Scegliere Dio con libertà.
16 Febbraio – VI Domenica del Tempo Ordinario.
Scegliere Dio con libertà.
Dio, dotando l’uomo della libertà, lo ha reso responsabile delle sue scelte e delle sue azioni. Per Gesù la giustizia che egli è venuto ad indicare parte dal cuore, che è la sede dei pensieri e delle decisioni. La liturgia oggi ci invita a vivere con libertà responsabile la nostra adesione al progetto di Dio, come scelta d’amore e non per imposizione.
Dio ha posto l’uomo di fronte al bene e al male, lasciandolo libero di inclinare il proprio volere. Queste due realtà sono, come le paragona il Siracide, « il fuoco e l’acqua, verso quale tu protendi la tua mano? ». Se pensiamo ottimisticamente all’uomo dovrebbe scegliere l’acqua, ma basta per l’uomo conoscere il bene perché lo persegua? Certo, spesso, pur vedendo il bene da fare, l’uomo si rivolge al male che magari detesta. Nelle impenetrabili oscurità dell’animo umano, la libertà è un abisso, perché sceglie, a volte, di fare il male pur sapendo che è male, e lo si vuole in quanto tale. Se si considera il Vangelo come codice di norme e consideriamo che Gesù non si riferisce solo agli atti ma anche alle intenzioni e ai segreti del cuore, allora la situazione delle scelte dell’uomo diventa disperante. Se prendiamo le sue parole nella loro drasticità e alla lettera, nessuno può ritenersi giusto secondo il volere di Dio.
Gesù, chiedendo una giustizia superiore a quella formalistica degli scribi e dei farisei, esige un’adesione interiore alla legge, che affascina e che tutti vorremmo avere, ma che nessuno può vantare, perché la legge imputa il peccato, la grazia data da Dio in Cristo rende possibile la santità.
Nella Chiesa inabita Dio. Egli è presente in particolare nell'assemblea raccolta a fare la memoria della Pasqua, dove lo Spirito ci dona il Corpo e il Sangue di Cristo. Ma noi saremmo estranei a questa presenza divina, se non amassimo il Signore.
Ognuno di noi è un tempio dove Dio dimora nella misura in cui con « cuore retto e sincero » custodisce la Parola di Dio ed è fedele alla sua volontà: « O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano », chiediamo nella colletta. Bisogna però che la « dimora » divina divenga « stabile », sottratta alle nostre volubilità e incertezze.
Un segno infallibile che amiamo Dio e che la sua presenza è efficace in noi è la carità, « pienezza della legge », quindi l’accoglienza di Cristo nei fratelli che soffrono, che sono poveri e oppressi, ai quali va l’offerta della nostra misericordia. Così diventiamo il « segno dell’umanità rinnovata ».
Prima Lettura: Sir 15,15-20.
L’uomo non è come l’animale privo della libertà e mosso da puri istinti. Dio lo ha dotato della capacità di scegliere, così da essere responsabile delle proprie azioni. Purtroppo, può anche fare il male, usando in modo sbagliato della preziosa facoltà che lo distingue.
La grazia di Cristo, il dono dello Spirito, aiutano la nostra libertà a scegliere il bene. Ogni scelta sbagliata, a dispetto di quanto può apparire a prima vista, non esalta la nostra libertà, ma la indebolisce e la paralizza.
Spesse volte facciamo ricadere sugli altri – la società, l’ambiente, le situazioni – i nostri gesti: è perché vogliamo sfuggire la nostra responsabilità. e anche perché l’opzione del bene costa assai.
Seconda Lettura: 1 Cor 2,6-10.
Gesù, Sapienza di Dio, è stato messo in croce: la superbia dell’uomo non ha saputo riconoscere in lui la condiscendenza divina. Per conoscere Dio occorre essere conformi al suo stile, che è antitetico rispetto a quello dell’uomo. Comprendere la croce di Cristo significa crescere nella maturità di lui. La sapienza della croce non può essere solo intellettiva, teorica ma anche pratica: accogliere il suo messaggio significa che la salvezza viene solo dalla croce di Cristo, la sola di cui gloriarsi. Il segreto scoperto dai santi, che hanno imitato Cristo, è appunto l’ obbedienza al Padre, l’umiltà e così, lasciandosi trasportare dall’azione dello Spirito, sono passati da un’etica da schiavi, a quella di figli, come nuova relazione liberante con Dio. Ed è per loro che Dio ha riservato un premio, che nessun discorso saprebbe descrivere e nessuna rappresentazione terrena immaginare, tanto è di là da qualsiasi esperienza di quaggiù.
Solo lo Spirito Santo fa intuire quanto Dio ha preparato per quelli che lo amano: si tratta quindi di amare Dio.
Vangelo: Mt 5,17-37.
Gesù, introducendo il suo discorso con l’affermazione che non è venuto « ad abolire la Legge o i Profeti…ma a dare compimento », vuole dirci che la sua venuta fra gli uomini è per la loro salvezza, la quale non si realizza abolendo la Scrittura. Nelle antitesi che il Vangelo di oggi pone non c’è contraddizione nella formula « avete inteso che fu detto…ma io vi dico ». In questa seconda parte viene specificato meglio e completato quanto viene detto nella prima. Gli insegnamenti di Gesù scendono ancora più in profondità rispetto agli insegnamenti della Torah. Egli viene a dare pieno compimento alla Scrittura perché ne realizza le promesse, ne fonda la comprensione interpretandola correttamente rispetto alle interpretazioni farisaiche, la riconduce all’unico principio interpretativo, quello dell’amore a Dio e ai fratelli e ne svela le sue intenzioni più profonde. Gesù riconduce la Legge alla sua radice, al cuore dell’uomo, da dove escono pensieri, intenzioni, determinazioni e scelte.
Il Vangelo, ponendo condizioni quasi impossibili a praticarsi, ma pur necessarie per entrare nel ragno dei cieli, sembra essere più di condanna che di speranza. Ma Gesù, invitando alla conversione profonda del cuore, dice che il Regno, presente ormai per il suo irrompere nella storia con la sua presenza, è un dono da accogliere, non una conquista da parte dell’uomo
Non basta, allora, osservare la legge di Dio esteriormente: bisogna aderirvi dall’intimo del cuore e sorvegliare anche i sentimenti più segreti. Così nei rapporti con il prossimo, così nella vita coniugale. Si può uccidere il fratello con l’odio coltivato nell’animo, così come si può essere adulteri con il desiderio. Prima che l’offerta all’altare importa un cuore rappacificato, che ha concesso il perdono; così come importa la benevolenza che sa essere generosa. Gesù poi non ammette il divorzio, come gli importa che si dica sempre la verità, più che la fedeltà ai giuramenti. In tal modo il Vangelo non abolisce ma porta a compimento la legge di Mosè. A tale profondità deve scendere lo scandaglio della nostra anima,e fino a tali esigenze dobbiamo rispondere.
In conclusione, come dice il Siracide, se « l’uomo osserva i comandamenti » con spirito nuovo, nella libertà e responsabilità, animato dallo Spirito del Signore, in quanto figlio della risurrezione, « essi lo custodiranno », perché diventano via alla perfezione e, con la grazia di Cristo, possono essere vissuti in pienezza, non come obbligo ma come risposta all’amore a Dio.
Cristo, luce del mondo, ci illumina e chiede di essere luce.
9 Febbraio - V Domenica del Tempo Ordinario.
Cristo, luce del mondo, ci illumina e chiede di essere luce.
Nello spirito delle Beatitudini, che sono la via più viva e credibile dell’annunzio del Vangelo, la Chiesa non è chiamata ad essere potente, ad avere successo, ma a seguire la logica di Dio e, poiché i criteri del mondo non sono quelli del Regno di Dio, può essere osteggiata e anche perseguitata. Certo, la marginalità, l’essere osteggiati, perseguitati può mettere in crisi la fede e la speranza, ma le parole di Gesù del vangelo di oggi vogliono essere di incoraggiamento a non venir meno nell’impegno di essere sale e luce nel mondo.
Identità e missione.
Gesù, rivolgendosi a coloro che vogliono seguirlo, dice: « Voi siete il sale della terra… siete la luce del mondo…» e chiede loro una “ identità ” che devono avere, non esprime tanto un desiderio o osservare un precetto morale. Questa identità è però frutto della grazia, che opera per la potenza dello Spirito Santo nel nostro cuore.
« Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia ». Così incominciamo oggi a pregare. Non siamo dunque degli estranei, ma siamo la famiglia di Dio, sulla quale veglia il suo amore. Abbiamo sempre bisogno di riaccendere questa certezza, avvolti come siamo da un’infinità di ansie, di ricorrenti motivi di timore, da tentazione e da sofferenze. E’ vero che la fede non li dissolve come d’incanto; li lascia ancora, e tuttavia dalla fede attingiamo la forza per non perdere la speranza, per aspettare con fiducia la liberazione, per accettare con « vero spirito del vangelo » le prove in comunione con la passione redentrice di Cristo e rendere più viva l’attesa della vita eterna. Noi sappiamo che Dio si accosta « alla sofferenza di tutti gli uomini » e li unisce « alla Pasqua del suo Figlio ». E’ giusto chiedere l’aiuto ai fratelli con i quali anzi siamo chiamati a « condividere il mistero del dolore »; ma non dimentichiamo quanto la stessa preghiera d’inizio afferma: « unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, o Dio ».
Prima Lettura: Is 58, 7-10.
Si rende culto a Dio non attraverso delle pratiche esteriori; nemmeno con un andare a Messa per soddisfare un precetto. Chi divide il pane con il prossimo che ha fame, chi veste l’ignudo, chi ha spirito di comprensione e di perdono, trova il Signore, incontra la sua misericordia e può avere il cuore illuminato dalla luce divina. La preghiera che salga da un animo duro, aspro, impietoso non è ascoltata da Dio. La domenica è anche il giorno della carità fraterna. Se no, non è nemmeno il giorno del Signore.
Seconda Lettura: 1 Cor 2, 1-5.
Paolo dice: il contenuto, l’argomento della mia predicazione è stato Gesù Cristo crocifisso. Egli non è andato a Corinto a mostrare la propria bravura nel parlare, la propria scienza. Il tema non poteva essere più umile: Gesù in croce; Paolo stesso d’altronde non era un gran parlatore.
Ciò che contava e che ha prodotto le conversioni è stato lo Spirito Santo e la potenza di Dio. E’ sempre così: non le belle prediche, ma la grazia apre il cuore. Preghiamo per la conversine degli uomini: forse essa è necessaria anche in casa nostra. E’ facciamo dei sacrifici per meritarla un poco dal Signore, cercando di staccarci dalle belle parole, che accontentano l’orecchio ma non modificano la vita.
Vangelo: Mt 5, 13-16.
I discepoli di Gesù sono uomini come tutti gli altri: vivono e operano in mezzo al mondo; eppure qualcosa li distingue dagli altri: la loro fede e la loro carità li rende come sale e come luce. Questa è una identità nuova e anche la nostra missione, poiché Dio agisce nella storia attraverso le nostre scelte quotidiane. Il sale dà sapore, rende gradevole il cibo. Così deve essere un cristiano: capace di conferire il vero sapore della sapienza, dono dello Spirito di Dio. Testimoniare questa sapienza è la missione che il Signore ci affida, anche quando essa è osteggiata ed estranea alla logica del mondo. Dio, come dice Gesù, ci dona la sua forza e quando siamo sfiduciati, demotivati e stanchi, rivolgiamoci a lui per avere nuova gioia e nuova forza.
Gesù, ancora, attraverso la metafora della luce, si proclama Luce del mondo, che rivela le cose nella luce di Dio e indica all’uomo il cammino da seguire, illuminato dalla giusta luce divina. Anche il popolo di Israele, vivendo la vera fede, avrebbe dovuto essere luce, così come noi, vivendo le Beatitudini, siamo luce se e nella misura in cui partecipiamo della luce di Cristo, da cui deriva la nostra missione profetica, affidata a tutti i credenti in lui, di illuminare tutta l’umanità.
Richiamando anche la necessità del buon esempio delle opere con l’immagine della luce, si noti, che Gesù parla della glorificazione del Padre. Esse infatti sono come il segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini e alla loro storia e non devono essere solo espressione di religiosità sterile e ipocrita. Chi fa il bene rende presente Dio e conduce a lui.
Identità cristiana: incarnazione della Parola e missione.
Il sale della sapienza evangelica e la luce che deve risplendere devono esprimere l’identità cristiana per continuare il mandato profetico che Gesù assegna ai suoi discepoli e alla sua Chiesa. La Parola di Dio, efficace nella testimonianza dell’apostolo e nel cuore di chi riceve l’annuncio, ha la priorità. Essa, seminata da Dio nel cuore degli uomini, se da una parte deve essere contemplata e testimoniata da chi l’annunzia, dall’altra deve portare alla missione, cosicchè venga incarnata non come mera propaganda ma come realizzazione del regno di Dio anche in chi l’accoglie.
Paolo, nel riconoscere la propria debolezza, fa affidamento alla potenza della Parola e assume la logica della croce, ritenendo di « non sapere altro in mezzo ai Corinzi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso » (1 Cor 2,2).
La missione animata dalla contemplazione rende testimoni e si diventa credibili se si vive nella propria esperienza di vita, con le parole e le opere, ciò che si è visto e si annunzia, per cui sant’ Ignazio d’Antiochia diceva scrivendo agli Efesini: « E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che professarlo senza esserlo » e « E’ cosa buona insegnare, se chi parla pratica ciò che insegna ».
La presentazione di Gesù al tempio.
2 Febbraio – Festa della presentazione di Gesù al tempio.
In questa domenica in cui ricorre la Presentazione di Gesù al tempio, celebriamo la Festa delle luci, che ebbe origine in Oriente con il nome di « Ipapante », cioè « Incontro ». Nel sec. VI si estese in Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia, con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come « Candelora ». Nell’ingresso solenne e suggestivo del simbolismo della luce, bisogna cogliere il senso profondo e il radicamento biblico, il significato cristologico di tale gesto: accogliere Cristo, luce del mondo.
Come ci viene raccontato nel Vangelo, Gesù, secondo la prescrizione della la legge di Mosè, viene presentato e offerto al tempio, come ogni primogenito: egli sarà particolarmente dedicato e consacrato a Dio.
« Con quel rito, dice la preghiera iniziale, il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede ». Così, con il venire incontro di Dio all’uomo si rinnova la relazione dell’uomo con Dio nel rapporto di comunione iniziale.
Se i figli sono dono del Signore e i genitori ne sono i custodi ed educatori finché sono sotto la patria potestà, anche Maria e Giuseppe, consapevoli di tale realtà, compiendo il gesto della presentazione di Gesù, riconoscono che Gesù, per essere ciò che è, deve essere riconsegnato al Signore per adempiere alla propria missione. Il gesto di obbedienza alla legge, e la consacrazione di Gesù al Signore, visti in funzione della Pasqua, in cui Gesù si renderà obbediente al Padre, assumono un significato redentivo e anche Maria e Giuseppe si rendono collaboratori di Dio nell’opera di salvezza.
Gesù luce.
La sua Presentazione soddisfa l’attesa dei giusti dell’Antico Testamento significati da Simeone, “ uomo e pio che aspettava la consolazione di Israele ”. Simeone profetizza che quel bambino è « luce per illuminare le genti » (Lc 2,32). Cristo, che rivela la fedeltà di Dio, viene incontro al suo popolo, che l’attende nella fede. Egli porta a compimento la speranza e le promesse del Dio dei padri, perché è la luce che ormai riverbera e si fa guida a tutti i popoli, che fa uscire dalle tenebre del peccato tutti gli uomini con la sua opera di salvezza e con la sua risurrezione fa irrompere nelle tenebre della morte la luce della vita.
Più che un bambino, allora, è Dio stesso che viene incontro all’uomo per salvarlo.
Dietro Simeone, anche Anna, dopo aver visto il bambino, parla di lui « a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme ».
Tra Natale e Pasqua.
La Presentazione del Signore, a quaranta giorni dal Natale, chiude le celebrazioni natalizie e, con l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone, apre il cammino verso la Pasqua. Le candele che si accendono richiamano il cero che viene acceso nella Veglia Pasquale. Nelle parole di Simeone a Maria si preannunziano i misteri pasquali: « una spada ti trafiggerà l’anima » con la sua partecipazione alle sofferenze del Figlio, cooperando alla redenzione degli uomini e « Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori ».
Anche noi andiamo incontro al Signore.
Se celebriamo la festa in cui Dio viene incontro a noi nel suo Figlio, andiamo anche noi incontro a Dio, come dice ancora la preghiera iniziale: « Anche noi qui riuniti dallo Spirito Santo andiamo incontro al Cristo che viene ». Seguiamo anche noi Cristo, luce che ci precede, per rinnovare insieme a lui l’incontro con il Padre, affidandoci alla fedeltà di Dio che non delude. Imploriamo di averlo sempre come conduttore , per poter « giungere felicemente alla pienezza della gloria », poiché tutta la nostra vita deve essere un andare incontro a Dio, che ci vuole in comunione con Lui.
Gesù ci esorta come suoi discepoli ad essere « luce del mondo », per cui, illuminati dalla sua luce, dedicati al Padre, diventiamo portatori della sua missione nel mondo con « lo splendore della santità ». Allora, sì, che la processione con le candele dietro a Cristo diviene un simbolo efficace della vita.
Prima Lettura: Ml 3,1-4.
Il « giorno » del Signore è giorno di purificazione e di giudizio di condanna del male. A prepararlo Dio promette l’invio di un profeta che converta i cuori.
Seconda Lettura: Eb 2, 14-18.
In questo brano è illuminato lo stretto legame fra il l’evento che stiamo celebrando e il mistero pasquale e vi si esprime la stretta solidarietà di Gesù con il Padre e con l’uomo, con cui condivide il « sangue e la carne » ( Eb 2,14), in un legame reale e integrale.
Intimamente unito agli uomini, come fratelli, Gesù è diventato « un sommo sacerdote misericordioso ». Fedele nel servizio a Dio, egli ha espiato i nostri peccati, ci ha liberato dal potere del demonio e della morte. La sua sofferenza è diventata capacità di soccorso nelle nostre prove, essendo lui stesso stato provato.
Vangelo: Lc 2, 22-40.
Gesù è consacrato a Dio. Sulla croce lui stesso si offrirà e si dedicherà al Padre, dopo tutta una vita di appartenenza a Lui. Al suo ingresso nel tempio si dà appuntamento l’Antico Testamento, di cui compie l’attesa.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Gennaio 2017 23:42)
La luce di Cristo risplende nelle tenebre.
26 Gennaio – IIIa Domenica del Tempo Ordinario.
Cristo, luce che risplende nelle tenebre.
Dalla Galilea Gesù inizia la sua predicazione e la conclude inviando i suoi discepoli perché annunzino in tutto il mondo la Buona Novella. Nella Galilea dei gentili inizia a risplendere la luce di Cristo. Egli inizia solennemente il suo ministero dicendo: « Convertitevi , perché il regno dei cieli è vicino », così come aveva fatto Giovanni al Giordano, che chiamava i giudei a conversione e come faranno gli apostoli continuando l’opera di Gesù. Se vi è continuità tra l’annunzio di Giovanni e quello della Chiesa, vi è differenza tra i due: il primo precorre, il secondo è in continuazione con quello di Cristo.
Giovanni svolge la sua predicazione nel deserto della Giudea, in austerità e pratica un battesimo di penitenza e di conversione; Gesù, nella Galilea pone l’accento sulla conversione in vista del regno dei cieli che è vicino.
La Galilea, terra di facile occupazione straniera, abitata da popoli diversi e con diverse religioni, ebrei, ebrei ellenizzanti, pagani, è una terra che ha sperimentato l’impurità e l’idolatria secondo il giudaismo ortodosso; terra simbolica, rappresentativa della vita dell’intera umanità, fatta di fedeltà e infedeltà, peccato e santità, amore e egoismo, grandezza e miseria. In questa terra, le cui genti « abitano nelle tenebre in regione e ombra di morte » inizia a risplendere la luce e l’opera di Cristo e anche da qui ha inizio il ministero della Chiesa, mandata da lui a predicare la salvezza a tutti i popoli (Mt 28,10; 16).
Da Nazaret di Galilea, si domandavano i Giudei come Natanaele, può venire il Messia? Da qui può aver avuto inizio l’annunzio della Chiesa di Cristo, si chiedeva la mentalità giudaica? Invece, da questa terra disprezzata ha inizio il cammino della salvezza.
Gesù annunzia il regno di Dio: una regalità, quella che annunzia, fatta di misericordia, di salvezza e di speranza per l’umanità, perché Dio ama gli uomini e nel suo Figlio, che incarna questa regalità con le sue parole, i suoi gesti, la sua morte e risurrezione, raggiunge tutti gli uomini e li salva. La luce che Gesù porta con il suo Vangelo dona gioia e toglie, a chi vive tristemente, la mestizia. Il regno di Dio annunziato, realizzato da Gesù e continuato dalla predicazione apostolica, deve tenere uniti i credenti in Cristo e non renderli divisi, come erano i Corinzi, a cui Paolo rimproverava la loro immaturità di fede. Purtroppo, nella Chiesa, sempre c’è stato e c’è il pericolo di divisioni, quando si perde di vista il centro della nostra identità di cristiani che è Cristo e non questo o quell’altro credente.
Riscoprire la centralità di Cristo e la gioia di partecipare alla realizzazione del regno di Dio ci fa rivivere nella nostra esistenza l’esperienza degli apostoli, che da pescatori, avendo incontrato Cristo, hanno lasciato tutto per seguirlo. Anche nel quotidiano della nostra vita, spesso grigia e annoiata, Cristo passa e ci chiama a seguirlo.
Andare dietro a Gesù, subito, come gli apostoli, significa cogliere l’urgenza del Regno e la necessità di una risposta che ci coinvolga per e con tutta la nostra vita.
Incontrato Cristo, come gli apostoli, è necessario mettere in atto una profonda conoscenza e relazione di intimità con lui, lasciandoci trasformare nella nostra esistenza, cosicché possiamo dire con Paolo che non siamo più noi che viviamo, ma è Cristo che vive in noi.
La domenica, giorno in cui si rinnova la gioia della Chiesa, essa ritrova il dono di Dio « sorgente inesauribile di vita nuova », cioè il Corpo e Sangue di Cristo. Anche l’uomo presenta una sua offerta, che è poi sempre grazia divina: sono il pane e il vino, ma è lo Spirito Santo che li consacra con la sua potenza, e così diventano « sacramento di salvezza ». La gioia per il dono di Dio diventa perfetta quando prendiamo parte al convito, e, ricevuto il sacramento, lo traduciamo nella vita che diventa allora « un segno di salvezza e di speranza », un’attuazione nel tempo della storia del regno di Dio, là dove passano i giorni della nostra vita feriale, dove ci sono anche i dubbiosi e i lontani.
Prima Lettura : Is 8, 23-9,3.
Il profeta annunzia un avvenire di liberazione e quindi di gioia per la Galilea. La parola di Isaia non si è spenta, al contrario: si è compiutamente avverata quando non su una sola regione ma su tutto il mondo è brillata la luce agli uomini, immersi tutti nelle tenebre del peccato; quando non tanto da una occupazione straniera, ma dal demonio il mondo intero è stato liberato con la venuta di Gesù, e quando l’anima di ciascuno di noi è tornata gioiosamente nella grazia del Signore.
Seconda Lettura: 1 Cor 1,10-13.17.
I fedeli della Chiesa di Corinto sono divisi tra di loro: chi si richiama a Paolo, chi ad Apollo, chi a Pietro. Ora proprio Paolo sottolinea con fermezza quanto siano assurde quelle divisioni e quelle discordie. Egli fa osservare due cose: la prima, che Cristo è uno per tutti; la seconda, che le persone, Paolo, Apollo, Pietro, non si sono sacrificate sulla croce, ma solo Cristo è stato crocifisso per tutti. I cristiani devono quindi vivere « in perfetta unione di pensiero e di sentire ». Questa esortazione non è mai priva di attualità. Ci sono sempre motivi di attrito, e spesso anche le comunità cristiane vi cedono con aspre lotte e contese e con grande scandalo per quelli che sono lontani dalla Chiesa. Dobbiamo preferire il silenzio, il ritiro, piuttosto che incentivare queste divisioni che rendono esausta una comunità cristiana.
Vangelo : Mt 4,12-23.
L’Evangelista Matteo rilegge la profezia della prima lettura sulla luce che pervade la Galilea, e ne vede la realizzazione con l’andata e il soggiorno di Gesù in quella regione. E’ allora che vi entra la vera luce, la redenzione, la gioia.
In Galilea incomincia la predicazione della « buona novella », il Vangelo, che vuol dire annunzio che infonde gaudio nel cuore; in Galilea incominciano i segni che il regno di Dio, che è poi Gesù stesso, è apparso. Sempre in quella regione inizia la raccolta dei primi discepoli intorno a Gesù. Sono pescatori che dal mare di Galilea verranno inviati nel mondo intero, ma ormai come pescatori di uomini.
San Matteo nota la prontezza con cui essi rispondono alla vocazione. Quando il Signore chiama non si devono accampare scuse o ammettere ritardi.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Gennaio 2017 23:40)
Essere testimoni di Gesù.
19 Gennaio – 2a Domenica del Tempo Ordinario.
Ci raccogliamo nel giorno del Signore per celebrare « il memoriale del Sacrificio » di Cristo. Non si tratta di un ricordo vago, di un simbolo, che tocchi e impressioni solo il nostro animo. E’ detto nell’orazione sulle offerte che alla celebrazione del memoriale « si compie l’opera della nostra redenzione ». Essa non è tramontata ma è presente nella verità del Corpo e del Sangue di Cristo, che divengono convito della Chiesa, il popolo della nuova alleanza. Particolarmente di domenica incontriamo Cristo nella liturgia e nei fratelli, e così è confermata la grazia del Battesimo, col dono dello Spirito, e riascoltata con cuore disponibile la Parola di Dio. Per questo si riaccende la nostra carità reciproca. Dopo la comunione chiediamo al Signore che « nutriti con l’unico pane di vita, formiamo un cuor solo e un’anima sola ».
Dio ci chiama ad essere testimoni.
Giovanni il Battista con la sua predicazione e il suo ministero ci invita a vivere la testimonianza del Signore: dobbiamo lasciare spazio a Cristo e non fare di noi l’oggetto del nostro testimoniare. Gesù è nato, ora spetta a noi che egli si incarni e cresca nella nostra vita.
Oggi siamo introdotti, ponendo l’attenzione su Giovanni, nella esperienza della fede, poiché egli, più che il Battista, è il testimone che annuncia il Messia, già presente tra gli uomini, l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, il Figlio di Dio su cui ha visto discendere e rimanere lo Spirito di Dio, Colui che avrebbe battezzato nello Spirito Santo: così egli indirizza chi ascolta la sua predicazione a Gesù. Giovanni, oggi, ci offre la sua testimonianza cristologica, invitando anche noi a fare il nostro cammino di fede.
L’indicazione di Gesù come l’ « Agnello di Dio » , ci rimanda all’agnello pasquale dell’Esodo e all’agnello del profeta Isaia del cantico dedicato al Servo del Signore. Gesù, offrendo se stesso, nella Pasqua definitiva della sua passione, morte e risurrezione, realizza la salvezza per tutti gli uomini, liberandoli dalla schiavitù del peccato: Cristo ha assunto su di sé la pena del peccato e ne ha vinto anche le conseguenze, cioè la morte. Gesù è venuto a liberarci, oltre che dai nostri concreti peccati, soprattutto dalla condizione di peccaminosità, dal rifiuto e ostilità del mondo verso Dio: questo è il peccato principale, origine degli altri peccati, cioè la non-fede.
Giovanni, ancora, proclamando Gesù « Figlio di Dio », esprime il vertice più alto della sua testimonianza riguardo alla identità, alla comunione e all’intimità del Cristo con il Padre, che nel battesimo lo ha manifestato come « il Figlio amato, in cui ha posto il suo compiacimento ».
Relazione tra Giovanni e Gesù.
Giovanni, come precursore, precede Gesù nel tempo, ma è cosciente che dopo di lui deve venire uno che è avanti a lui, perché è prima di lui. E mentre il battesimo di Giovanni annunzia la salvezza, solo quello che darà Gesù, nell’acqua e nello Spirito, la realizza, perché rimette i peccati e opera la santificazione, trasformando l’uomo nel profondo.
Prima Lettura: Is 49,3.5-6.
Il popolo di Israele è scelto da Dio per essere « luce delle nazioni » e perché porti la salvezza divina fino all’estremità della terra. Questo avverrà perfettamente quando apparirà Gesù, che brillerà come « Luce vera », come lo splendore che illumina le genti e redenzione di tutti gli uomini.
Seconda Lettura: 1 Cor 1,1-3.
Alla Chiesa, comunità di coloro che, redenti e credenti in Cristo, sono santificati dal Battesimo, Paolo chiede che si lascino guidare dalla testimonianza di Giovanni, per conoscere il mistero di Cristo, Figlio che bisogna ascoltare e Agnello che toglie i peccati del mondo.
Quanta stima dimostra san Paolo per i fedeli delle sue Chiese! Li chiama santi. E infatti sono stati santificati da Gesù, purificati dalla colpa e ricolmati di Spirito Santo. Questo è il regalo di Dio: si tratta di esservi coerenti con un comportamento degno della santità ricevuta, facendo crescere così in noi la potenza di questo dono di grazia.
Impariamo anche un’altra cosa: a rispettare e persino a venerare i nostri fratelli, quelli che fanno parte della nostra comunità e della nostra famiglia: a motivo della grazia che anche a loro il Signore ha donato.
Vangelo: Gv 1, 29-34.
Gesù è chiamato l ‘«agnello di Dio », «colui che toglie il peccato del mondo »: già si profila in queste parole di Giovanni l’immolazione del Signore, nuovo e vero Agnello pasquale, che nel suo sangue laverà le nostre colpe. Egli è il Figlio di Dio, non un semplice uomo, e per questo si dice che sopra di lui lo Spirito discende e rimane, e che il suo è un Battesimo nello Spirito Santo. Se fossimo solo lavati con l’acqua, o anche se solo ci fosse un pentimento nostro, ciò non basterebbe per essere purificati dal peccato ed essere figli di Dio a nostra volta. Invece nell’acqua riceviamo veramente lo Spirito Santo che inibita in noi.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Gennaio 2017 23:38)