Dio che ci conosce nell'intimo non ci abbandona mai.
2 Marzo – VIII Domenica del Tempo Ordinario.
Dio che ci conosce nell’intimo non ci abbandona mai.
Dio è sempre presente alla nostra vita e ci conosce nei desideri del nostro cuore. Ci accompagna in tutte le vicende della vita, sia nei momenti belli che oscuri. Avere fiducia nel suo amore, rimetterci al suo giudizio di misericordia e pensare che, per quanto ci allontaniamo da lui, il suo amore di Padre ci raggiunge sempre.
Prima di tutto il Regno di Dio.
Gesù ci invita a cercare il Regno di Dio, i suoi valori e nello stesso tempo avere fiducia nella sua Provvidenza, che, come agli uccelli fornisce il cibo e ai fiori dei campi la bellezza, non fa mancare agli uomini il necessario alla loro vita. Cercare il Regno di Dio e la sua giustizia non esclude l’impegno nel lavoro quotidiano per procurarsi il cibo, il vestito, la casa, purché queste cose o le ricchezze non diventino l’unico assillo dei nostri giorni, tanto da asservirsi ad esse e dimenticare il nostro rapporto con il Padre celeste. Dice infatti il Signore: “ Nessuno può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro …Non potete servire a Dio e la ricchezza ”.
La ricchezza, con la grande attrattiva che esercita su di noi, ha la capacità di abbindolare il cuore, la mente e ogni energia della nostra vita: si propone come idolo, che ci asserve e possiede e non offre che una effimera sicurezza
Le sollecitazioni della vita ci spingono verso una esistenza frantumata nelle sue energie, interessi e nel nostro agire: con molta difficoltà la nostra ricerca spirituale trova un centro di unificazione tra aspetti terreni e materiali e interessi spirituali.
Gesù dicendoci ancora: « Non preoccupatevi … la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito ? » (Mt 6,25) non intende legittimare la pigrizia, ma vuole rassicurarci che, se ricerchiamo anche e soprattutto il Regno di Dio, il Padre celeste, che ci ha fatto dono della vita e del corpo, sarà sollecito nel donare, nella sua provvidenza, energie e impegno per procurarci il necessario.
In tale atteggiamento paterno di Dio verso di noi dobbiamo porre il centro della nostra esistenza, per cui in relazione a lui, al suo Regno, tutto assume un significato e un valore nuovo, vissuto nella prospettiva di un amore filiale verso il Padre. Tutto ciò che di bello e di buono c’è nel mondo ( cose, attività, relazioni, ecc) sarà allora illuminato da una nuova luce e da nulla saremo manipolati e posseduti. Confidando, ancorati, nella paternità di Dio nulla ci creerà ansia, affanno, ma tutto, nel nostro intimo, sarà pervaso dalla sua presenza rassicurante, perché la sua Provvidenza non abbandona la sua creatura mantenendola nella sua esistenza.
Pur tuttavia noi, nella nostra concretezza storica, rimaniamo responsabili della nostra vita, perché Dio donandoci la libertà ha voluto responsabilizzarci e ci ha fornito nell’intimo i valori del Regno (giustizia, uguaglianza, equità, fraternità, carità, ecc.) che motivano le nostre azioni di uomini, di fratelli e di figli di Dio.
Anche oggi siamo chiamati ad essere « commensali di Dio in questo mondo ». Capissimo in profondità la grazia dell’Eucaristia, comprenderemmo che l’amore di Dio per noi, la sua provvidenza e misericordia, è stata e continua ad essere immensa. Nell’Eucaristia riceviamo non un simbolo ma la verità del Corpo e Sangue del Figlio di Dio. Certo questo convito è solo un inizio di comunione con Dio. Siamo nell’attesa e nella speranza della « perfetta comunione nella vita eterna », ma ne è già un pegno sicuro. E’ questa commensalità, questa «alleanza nuova ed eterna », che dona alla Chiesa di dedicarsi « con serena fiducia » al servizio di Dio. L’Eucaristia ci impegna a far sì – come diciamo nella colletta - « che il corso degli eventi del mondo si svolga secondo la volontà di Dio nella giustizia e nella pace ». In essa troviamo la forza della giustizia, che domina l’avidità e l’egoismo, e della pace, che vince ogni presunzione e cattiveria.
Prima Lettura: Is 49, 14-15.
Capita di tutto nel mondo: persino che una madre snaturata dimentichi il suo bambino. Non avverrà invece mai che Dio si dimentichi dell’uomo, che è la sua creatura prediletta. Ci viene talora sulla labbra l’amara, e insensata , considerazione: Dio si è dimenticato di me, perché mi manda troppe tribolazioni. E’ semplicemente assurdo: « Io non ti dimenticherò mai », dice il Signore.
E’ la certezza più gioiosa che possiamo avere. Il nostro prossimo non di rado ci trascura, dopo tante promesse; Dio non ci trascura mai. Il segreto della pace interiore e di tutta la vita spirituale sta nella convinzione incrollabile che Dio non si dimentica di noi, che ci è vicino, anche se non lo sentiamo, e che ci ama come Dio sa amare, e quindi immensamente.
Seconda Lettura : 1 Cor 4,1-5.
Chi sono i vescovi, i sacerdoti, quelli che esercitano un ministero nella Chiesa? Sono dei « Servi di Cristo », appunto dei « ministri »; sono «dispensatori dei misteri di Dio », risponde Paolo. Per fare questo occorre che siano fedeli, che trasmettano quanto hanno ricevuto.
Noi non ci dobbiamo fermare a loro ma, tramite il loro servizio, unirci a Gesù, che unicamente conta e che è il Signore. Talora ci fermiamo al ministro e dimentichiamo lui, che solo non ha difetti: gli altri hanno tutti una perfezione assai limitata. Neppure c’è da stupirsi che possano incorrere in colpe.
In ogni modo, è ancora Paolo che lo dice, il giudizio è dato da Gesù Cristo, che rende manifeste le intenzioni segrete dei cuori. L’Apostolo dice: « Mio giudice è il Signore!». Lo dobbiamo tenere a mente anche noi , così proclivi a giudicare, o a essere in ansia per i giudizi umani che ci toccano. Non ce ne dobbiamo inquietare più di tanto, assai poco.
Vangelo : Mt 6, 24-34.
La ricchezza, che Gesù paragona a un padrone, non può essere servita da chi intende amare Dio. Il denaro è facile che leghi il cuore, che rappresenti l’unica preoccupazione. Cristo mette in guardia dall’affanno opprimente per il domani, quasi che l’avere da mangiare e da vestirsi sia l’unica cosa che conta, e quasi che Dio sia indifferente alle necessità degli uomini.
Siamo esortati ad avere fiducia nella provvidenza: il che non significa pigrizia, o sfruttamento degli altri: sarebbe un tentare Dio. Quante volte si trascorre un’intera vita in questo affanno, si dimentica l’amore di Dio e anche quello del prossimo, e ci si ritrova alla fine con le mani vuote di opere buone, se pure non anche con la privazione di quei beni per l’accumulo dei quali soltanto ci siamo affannati.
Il Vangelo di oggi ci spinge a ricercare la pacificazione interiore in noi stessi con le realtà terrene, necessarie alla esistenza nostra e a quella degli uomini, ad avere sollecitudine e responsabilità per il mondo.
La giustizia di Dio e l'amore al prossimo.
23 Febbraio - VII Domenica del Tempo Ordinario.
La giustizia di Dio e l’amore al prossimo.
La Domenica è il giorno dell’ascolto della Parola di Dio. L’ascolto avviene durante la liturgia che la proclama, e alla quale dobbiamo essere presenti puntuali e attenti. Ma questo non basta. Occorre l’attenzione interiore alla voce dello Spirito, che risuona tramite la lettura sacra. Non è sufficiente conoscere la Bibbia dall’esterno; occorre trovare in essa « ciò che è conforme alla volontà di Dio », cioè il suo disegno su di noi, e poi attuarlo « nelle parole e nelle opere ». Gesù stesso ci è modello.
Essere discepoli di Gesù significa, prima che osservare i precetti, seguirlo, divenendo capaci come lui di saper perdonare anche ai propri nemici e di considerare fratelli da amare tutti coloro che incontriamo nel nostro cammino. La nostra vita non può prescindere dal realizzare l’amore al nostro prossimo come quello che dobbiamo avere per noi. Un appello concreto che ci interpella ogni giorno.
Ci potremmo chiedere: « Ma Gesù ha sempre realizzato quello che ha insegnato? ». Certo è che quando veniva schiaffeggiato e percosso il Vangelo di Matteo non ci riferisce alcuna reazione. In Giovanni è scritto che Gesù non reagisce alla violenza con la violenza, ma solo chiede ragione del perché viene schiaffeggiato e percosso.
Davanti alla “ legge del taglione ” che, secondo il codice di Hammurabi, recepito dal V.T., consentiva, per limitare l’istinto di vendetta moderandolo, all’offeso di poter applicare un principio di reciprocità come rivalsa per l’offesa, così da applicare una pena proporzionata alla colpa, Gesù richiede un atteggiamento ulteriore con il suo « Ma io vi dico …». Egli indica la via della non violenza e della non resistenza ai malvagi, non per coprire le cattiverie altrui, ma per rendere consapevole il malvagio del suo errore e invogliarlo ad un percorso di conversione e di riconciliazione.
La specificità, allora, della vita cristiana, rispetto alla logica del mondo e alla prassi del taglione, è l’amore anche per i propri nemici. Gesù non abolisce la Torah, ma la interpreta ponendo il comandamento dell’amore come principio di comprensione e di completamento di essa. L’amore illimitato e incondizionato deve diventare prassi della vita dei suoi discepoli, così come agisce il Padre celeste, che « fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti ».
L’ « Amerai il prossimo come te stesso », Gesù lo pone alla stregua dell’amore a Dio e a se stessi, come dice al giovane ricco. Come anche l’« odierai il tuo nemico », che non è testo biblico, ma interpretazione tradizionale, Gesù intende correggerlo e purificarlo. Il giudaismo però si chiedeva, come fece lo scriba con Gesù, chi bisognava considerare come prossimo e Gesù, con la parabola del buon Samaritano, chiarisce chi deve essere considerato come prossimo, anche il proprio nemico. Nel discorso della montagna, d’altra parte, Gesù aveva già incluso nella categoria di prossimo, anche il nemico.
Spesso ci chiediamo: “ Come possiamo amare colui che pone delle ostilità nei nostri confronti? ”. L’amore che, contrariamente a quanto si ritiene, è cosa naturale se amiamo quelli che ci amano, se lo intendiamo come fa Gesù, non è naturale. Esso deve essere innanzitutto frutto di autoeducazione e richiede, come prima cosa, un processo di conversione intellettuale, per cui non bisogna rappresentarsi come nemico colui che ci è ostile o avversario fin che non pone gesti oggettivi di inimicizia ; poi bisogna far seguire la conversione spirituale, che è una scelta fondamentale per il cristiano radicata sulla misericordia di Dio, poiché, essendo tutti peccatori, siamo nemici di Dio e, come Dio ci ha perdonato, dobbiamo fare anche noi con i nostri debitori. Dall’esperienza dell’amore di Dio per noi, donatoci gratuitamente, dobbiamo imparare a vivere le nostre relazioni con i fratelli e con ogni uomo. Ancora.
Da Gesù, che ci esorta a « pregare per quelli chi ci perseguitano », impariamo a vedere con gli occhi di Dio coloro che ci perseguitano, andando così oltre le situazioni di conflitto e realizzando nella nostra prassi la misericordia divina, per cui imitiamo il Padre celeste se vogliamo essere perfetti come è lui. Questo è il di più che Gesù ci chiede se vogliamo essere figli di Dio, operatori di pace, e suoi discepoli .
Nella seconda preghiera eucaristica proclamiamo: « per compiere la tua volontà (Padre santo) egli stese le braccia sulla croce ». L’Eucaristia ci riporta questo atto di obbedienza di Gesù, perché a nostra volta lo abbiamo a continuare. Nel Figlio, « spogliato e umiliato sulla croce », Dio ha rivelato « la forza dell’amore »: lì impariamo che cosa vuol dire amare Dio facendo la sua volontà e che cos’è « l’amore gratuito e universale». L’amore divino, gratuito ed esteso a tutti, assunto da noi come modalità delle nostre relazioni d’amore verso amici e nemici, vicini e lontani, anche se non potrà mai raggiungere l’intensità divina, sarà nella stessa logica rivelata nella croce del Signore.
Se questi non avviene la Parola risuona invano: la voce dello Spirito si ferma sulla soglia della nostra vita fin che non entra a rinnovare le nostre scelte. E facciamo attenzione che la voce dello Spirito richiede silenzio interiore, raccoglimento, orazione, contro il rischio di parlare troppo noi. Dio non è mai chiassoso.
Prima Lettura : Is 19, 1-2.17-18.
Dio è santo, e quindi devono essere santi quanti appartengono al suo popolo. Ma osserva: un segno che prova la santità è l’amore verso i fratelli. « Non coverai nel tuo cuore odio »; « non serberai rancore »; « amerai il tuo prossimo come te stesso ». Sono già principi evangelici, norme di comportamento per il cristiano. Ma sappiamo che non sono facili da mettere in pratica. L’Eucaristia ce ne dà la forza , perché in essa è presente la carità di Cristo per tutti gli uomini.
Seconda Lettura : 1 Cor 3,16-23.
Due pensieri di Paolo: primo, siamo tempio di Dio, il suo Spirito abita in noi. Il peccato è una profanazione del tempio vivente che siamo noi. Secondo, non dobbiamo vantarci della nostra sapienza, ma riporre in Dio tutti i motivi del nostro vanto. A Dio appartiene tutto, e lui solo dobbiamo servire. Non gli deve essere preferita nessuna persona e nessuna cosa. Così come nulla deve intralciare il nostro rapporto con lui. Noi apparteniamo a Cristo e Cristo appartiene a Dio. Su questo si fonda la nostra libertà. Siamo solo servi di Dio.
Vangelo : Mt 5,38-48.
E’ esigente il Vangelo in fatto di amore per il prossimo. Lo era già l’Antico Testamento, come abbiamo visto nella prima lettura. Ma Gesù dice che persino i nemici vanno amati e che questo amore è il segno che distingue i suoi discepoli. Si tratta di imitare il Padre celeste, che dimostra la sua benevolenza verso i giusti e verso gli ingiusti. Senza spirito di remissività, che sa passare sopra a tante cose, che non ragiona in termini di puntigliosa giustizia, è impossibile avere la carità come è richiesta dal Signore.
E invece tante volte un inflessibile rigore, che non tollera e non lascia passare nulla, ci rende infedeli alle parole evangeliche.
Scegliere Dio con libertà.
16 Febbraio – VI Domenica del Tempo Ordinario.
Scegliere Dio con libertà.
Dio, dotando l’uomo della libertà, lo ha reso responsabile delle sue scelte e delle sue azioni. Per Gesù la giustizia che egli è venuto ad indicare parte dal cuore, che è la sede dei pensieri e delle decisioni. La liturgia oggi ci invita a vivere con libertà responsabile la nostra adesione al progetto di Dio, come scelta d’amore e non per imposizione.
Dio ha posto l’uomo di fronte al bene e al male, lasciandolo libero di inclinare il proprio volere. Queste due realtà sono, come le paragona il Siracide, « il fuoco e l’acqua, verso quale tu protendi la tua mano? ». Se pensiamo ottimisticamente all’uomo dovrebbe scegliere l’acqua, ma basta per l’uomo conoscere il bene perché lo persegua? Certo, spesso, pur vedendo il bene da fare, l’uomo si rivolge al male che magari detesta. Nelle impenetrabili oscurità dell’animo umano, la libertà è un abisso, perché sceglie, a volte, di fare il male pur sapendo che è male, e lo si vuole in quanto tale. Se si considera il Vangelo come codice di norme e consideriamo che Gesù non si riferisce solo agli atti ma anche alle intenzioni e ai segreti del cuore, allora la situazione delle scelte dell’uomo diventa disperante. Se prendiamo le sue parole nella loro drasticità e alla lettera, nessuno può ritenersi giusto secondo il volere di Dio.
Gesù, chiedendo una giustizia superiore a quella formalistica degli scribi e dei farisei, esige un’adesione interiore alla legge, che affascina e che tutti vorremmo avere, ma che nessuno può vantare, perché la legge imputa il peccato, la grazia data da Dio in Cristo rende possibile la santità.
Nella Chiesa inabita Dio. Egli è presente in particolare nell'assemblea raccolta a fare la memoria della Pasqua, dove lo Spirito ci dona il Corpo e il Sangue di Cristo. Ma noi saremmo estranei a questa presenza divina, se non amassimo il Signore.
Ognuno di noi è un tempio dove Dio dimora nella misura in cui con « cuore retto e sincero » custodisce la Parola di Dio ed è fedele alla sua volontà: « O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano », chiediamo nella colletta. Bisogna però che la « dimora » divina divenga « stabile », sottratta alle nostre volubilità e incertezze.
Un segno infallibile che amiamo Dio e che la sua presenza è efficace in noi è la carità, « pienezza della legge », quindi l’accoglienza di Cristo nei fratelli che soffrono, che sono poveri e oppressi, ai quali va l’offerta della nostra misericordia. Così diventiamo il « segno dell’umanità rinnovata ».
Prima Lettura: Sir 15,15-20.
L’uomo non è come l’animale privo della libertà e mosso da puri istinti. Dio lo ha dotato della capacità di scegliere, così da essere responsabile delle proprie azioni. Purtroppo, può anche fare il male, usando in modo sbagliato della preziosa facoltà che lo distingue.
La grazia di Cristo, il dono dello Spirito, aiutano la nostra libertà a scegliere il bene. Ogni scelta sbagliata, a dispetto di quanto può apparire a prima vista, non esalta la nostra libertà, ma la indebolisce e la paralizza.
Spesse volte facciamo ricadere sugli altri – la società, l’ambiente, le situazioni – i nostri gesti: è perché vogliamo sfuggire la nostra responsabilità. e anche perché l’opzione del bene costa assai.
Seconda Lettura: 1 Cor 2,6-10.
Gesù, Sapienza di Dio, è stato messo in croce: la superbia dell’uomo non ha saputo riconoscere in lui la condiscendenza divina. Per conoscere Dio occorre essere conformi al suo stile, che è antitetico rispetto a quello dell’uomo. Comprendere la croce di Cristo significa crescere nella maturità di lui. La sapienza della croce non può essere solo intellettiva, teorica ma anche pratica: accogliere il suo messaggio significa che la salvezza viene solo dalla croce di Cristo, la sola di cui gloriarsi. Il segreto scoperto dai santi, che hanno imitato Cristo, è appunto l’ obbedienza al Padre, l’umiltà e così, lasciandosi trasportare dall’azione dello Spirito, sono passati da un’etica da schiavi, a quella di figli, come nuova relazione liberante con Dio. Ed è per loro che Dio ha riservato un premio, che nessun discorso saprebbe descrivere e nessuna rappresentazione terrena immaginare, tanto è di là da qualsiasi esperienza di quaggiù.
Solo lo Spirito Santo fa intuire quanto Dio ha preparato per quelli che lo amano: si tratta quindi di amare Dio.
Vangelo: Mt 5,17-37.
Gesù, introducendo il suo discorso con l’affermazione che non è venuto « ad abolire la Legge o i Profeti…ma a dare compimento », vuole dirci che la sua venuta fra gli uomini è per la loro salvezza, la quale non si realizza abolendo la Scrittura. Nelle antitesi che il Vangelo di oggi pone non c’è contraddizione nella formula « avete inteso che fu detto…ma io vi dico ». In questa seconda parte viene specificato meglio e completato quanto viene detto nella prima. Gli insegnamenti di Gesù scendono ancora più in profondità rispetto agli insegnamenti della Torah. Egli viene a dare pieno compimento alla Scrittura perché ne realizza le promesse, ne fonda la comprensione interpretandola correttamente rispetto alle interpretazioni farisaiche, la riconduce all’unico principio interpretativo, quello dell’amore a Dio e ai fratelli e ne svela le sue intenzioni più profonde. Gesù riconduce la Legge alla sua radice, al cuore dell’uomo, da dove escono pensieri, intenzioni, determinazioni e scelte.
Il Vangelo, ponendo condizioni quasi impossibili a praticarsi, ma pur necessarie per entrare nel ragno dei cieli, sembra essere più di condanna che di speranza. Ma Gesù, invitando alla conversione profonda del cuore, dice che il Regno, presente ormai per il suo irrompere nella storia con la sua presenza, è un dono da accogliere, non una conquista da parte dell’uomo
Non basta, allora, osservare la legge di Dio esteriormente: bisogna aderirvi dall’intimo del cuore e sorvegliare anche i sentimenti più segreti. Così nei rapporti con il prossimo, così nella vita coniugale. Si può uccidere il fratello con l’odio coltivato nell’animo, così come si può essere adulteri con il desiderio. Prima che l’offerta all’altare importa un cuore rappacificato, che ha concesso il perdono; così come importa la benevolenza che sa essere generosa. Gesù poi non ammette il divorzio, come gli importa che si dica sempre la verità, più che la fedeltà ai giuramenti. In tal modo il Vangelo non abolisce ma porta a compimento la legge di Mosè. A tale profondità deve scendere lo scandaglio della nostra anima,e fino a tali esigenze dobbiamo rispondere.
In conclusione, come dice il Siracide, se « l’uomo osserva i comandamenti » con spirito nuovo, nella libertà e responsabilità, animato dallo Spirito del Signore, in quanto figlio della risurrezione, « essi lo custodiranno », perché diventano via alla perfezione e, con la grazia di Cristo, possono essere vissuti in pienezza, non come obbligo ma come risposta all’amore a Dio.
Cristo, luce del mondo, ci illumina e chiede di essere luce.
9 Febbraio - V Domenica del Tempo Ordinario.
Cristo, luce del mondo, ci illumina e chiede di essere luce.
Nello spirito delle Beatitudini, che sono la via più viva e credibile dell’annunzio del Vangelo, la Chiesa non è chiamata ad essere potente, ad avere successo, ma a seguire la logica di Dio e, poiché i criteri del mondo non sono quelli del Regno di Dio, può essere osteggiata e anche perseguitata. Certo, la marginalità, l’essere osteggiati, perseguitati può mettere in crisi la fede e la speranza, ma le parole di Gesù del vangelo di oggi vogliono essere di incoraggiamento a non venir meno nell’impegno di essere sale e luce nel mondo.
Identità e missione.
Gesù, rivolgendosi a coloro che vogliono seguirlo, dice: « Voi siete il sale della terra… siete la luce del mondo…» e chiede loro una “ identità ” che devono avere, non esprime tanto un desiderio o osservare un precetto morale. Questa identità è però frutto della grazia, che opera per la potenza dello Spirito Santo nel nostro cuore.
« Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia ». Così incominciamo oggi a pregare. Non siamo dunque degli estranei, ma siamo la famiglia di Dio, sulla quale veglia il suo amore. Abbiamo sempre bisogno di riaccendere questa certezza, avvolti come siamo da un’infinità di ansie, di ricorrenti motivi di timore, da tentazione e da sofferenze. E’ vero che la fede non li dissolve come d’incanto; li lascia ancora, e tuttavia dalla fede attingiamo la forza per non perdere la speranza, per aspettare con fiducia la liberazione, per accettare con « vero spirito del vangelo » le prove in comunione con la passione redentrice di Cristo e rendere più viva l’attesa della vita eterna. Noi sappiamo che Dio si accosta « alla sofferenza di tutti gli uomini » e li unisce « alla Pasqua del suo Figlio ». E’ giusto chiedere l’aiuto ai fratelli con i quali anzi siamo chiamati a « condividere il mistero del dolore »; ma non dimentichiamo quanto la stessa preghiera d’inizio afferma: « unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, o Dio ».
Prima Lettura: Is 58, 7-10.
Si rende culto a Dio non attraverso delle pratiche esteriori; nemmeno con un andare a Messa per soddisfare un precetto. Chi divide il pane con il prossimo che ha fame, chi veste l’ignudo, chi ha spirito di comprensione e di perdono, trova il Signore, incontra la sua misericordia e può avere il cuore illuminato dalla luce divina. La preghiera che salga da un animo duro, aspro, impietoso non è ascoltata da Dio. La domenica è anche il giorno della carità fraterna. Se no, non è nemmeno il giorno del Signore.
Seconda Lettura: 1 Cor 2, 1-5.
Paolo dice: il contenuto, l’argomento della mia predicazione è stato Gesù Cristo crocifisso. Egli non è andato a Corinto a mostrare la propria bravura nel parlare, la propria scienza. Il tema non poteva essere più umile: Gesù in croce; Paolo stesso d’altronde non era un gran parlatore.
Ciò che contava e che ha prodotto le conversioni è stato lo Spirito Santo e la potenza di Dio. E’ sempre così: non le belle prediche, ma la grazia apre il cuore. Preghiamo per la conversine degli uomini: forse essa è necessaria anche in casa nostra. E’ facciamo dei sacrifici per meritarla un poco dal Signore, cercando di staccarci dalle belle parole, che accontentano l’orecchio ma non modificano la vita.
Vangelo: Mt 5, 13-16.
I discepoli di Gesù sono uomini come tutti gli altri: vivono e operano in mezzo al mondo; eppure qualcosa li distingue dagli altri: la loro fede e la loro carità li rende come sale e come luce. Questa è una identità nuova e anche la nostra missione, poiché Dio agisce nella storia attraverso le nostre scelte quotidiane. Il sale dà sapore, rende gradevole il cibo. Così deve essere un cristiano: capace di conferire il vero sapore della sapienza, dono dello Spirito di Dio. Testimoniare questa sapienza è la missione che il Signore ci affida, anche quando essa è osteggiata ed estranea alla logica del mondo. Dio, come dice Gesù, ci dona la sua forza e quando siamo sfiduciati, demotivati e stanchi, rivolgiamoci a lui per avere nuova gioia e nuova forza.
Gesù, ancora, attraverso la metafora della luce, si proclama Luce del mondo, che rivela le cose nella luce di Dio e indica all’uomo il cammino da seguire, illuminato dalla giusta luce divina. Anche il popolo di Israele, vivendo la vera fede, avrebbe dovuto essere luce, così come noi, vivendo le Beatitudini, siamo luce se e nella misura in cui partecipiamo della luce di Cristo, da cui deriva la nostra missione profetica, affidata a tutti i credenti in lui, di illuminare tutta l’umanità.
Richiamando anche la necessità del buon esempio delle opere con l’immagine della luce, si noti, che Gesù parla della glorificazione del Padre. Esse infatti sono come il segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini e alla loro storia e non devono essere solo espressione di religiosità sterile e ipocrita. Chi fa il bene rende presente Dio e conduce a lui.
Identità cristiana: incarnazione della Parola e missione.
Il sale della sapienza evangelica e la luce che deve risplendere devono esprimere l’identità cristiana per continuare il mandato profetico che Gesù assegna ai suoi discepoli e alla sua Chiesa. La Parola di Dio, efficace nella testimonianza dell’apostolo e nel cuore di chi riceve l’annuncio, ha la priorità. Essa, seminata da Dio nel cuore degli uomini, se da una parte deve essere contemplata e testimoniata da chi l’annunzia, dall’altra deve portare alla missione, cosicchè venga incarnata non come mera propaganda ma come realizzazione del regno di Dio anche in chi l’accoglie.
Paolo, nel riconoscere la propria debolezza, fa affidamento alla potenza della Parola e assume la logica della croce, ritenendo di « non sapere altro in mezzo ai Corinzi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso » (1 Cor 2,2).
La missione animata dalla contemplazione rende testimoni e si diventa credibili se si vive nella propria esperienza di vita, con le parole e le opere, ciò che si è visto e si annunzia, per cui sant’ Ignazio d’Antiochia diceva scrivendo agli Efesini: « E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che professarlo senza esserlo » e « E’ cosa buona insegnare, se chi parla pratica ciò che insegna ».
La presentazione di Gesù al tempio.
2 Febbraio – Festa della presentazione di Gesù al tempio.
In questa domenica in cui ricorre la Presentazione di Gesù al tempio, celebriamo la Festa delle luci, che ebbe origine in Oriente con il nome di « Ipapante », cioè « Incontro ». Nel sec. VI si estese in Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia, con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come « Candelora ». Nell’ingresso solenne e suggestivo del simbolismo della luce, bisogna cogliere il senso profondo e il radicamento biblico, il significato cristologico di tale gesto: accogliere Cristo, luce del mondo.
Come ci viene raccontato nel Vangelo, Gesù, secondo la prescrizione della la legge di Mosè, viene presentato e offerto al tempio, come ogni primogenito: egli sarà particolarmente dedicato e consacrato a Dio.
« Con quel rito, dice la preghiera iniziale, il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede ». Così, con il venire incontro di Dio all’uomo si rinnova la relazione dell’uomo con Dio nel rapporto di comunione iniziale.
Se i figli sono dono del Signore e i genitori ne sono i custodi ed educatori finché sono sotto la patria potestà, anche Maria e Giuseppe, consapevoli di tale realtà, compiendo il gesto della presentazione di Gesù, riconoscono che Gesù, per essere ciò che è, deve essere riconsegnato al Signore per adempiere alla propria missione. Il gesto di obbedienza alla legge, e la consacrazione di Gesù al Signore, visti in funzione della Pasqua, in cui Gesù si renderà obbediente al Padre, assumono un significato redentivo e anche Maria e Giuseppe si rendono collaboratori di Dio nell’opera di salvezza.
Gesù luce.
La sua Presentazione soddisfa l’attesa dei giusti dell’Antico Testamento significati da Simeone, “ uomo e pio che aspettava la consolazione di Israele ”. Simeone profetizza che quel bambino è « luce per illuminare le genti » (Lc 2,32). Cristo, che rivela la fedeltà di Dio, viene incontro al suo popolo, che l’attende nella fede. Egli porta a compimento la speranza e le promesse del Dio dei padri, perché è la luce che ormai riverbera e si fa guida a tutti i popoli, che fa uscire dalle tenebre del peccato tutti gli uomini con la sua opera di salvezza e con la sua risurrezione fa irrompere nelle tenebre della morte la luce della vita.
Più che un bambino, allora, è Dio stesso che viene incontro all’uomo per salvarlo.
Dietro Simeone, anche Anna, dopo aver visto il bambino, parla di lui « a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme ».
Tra Natale e Pasqua.
La Presentazione del Signore, a quaranta giorni dal Natale, chiude le celebrazioni natalizie e, con l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone, apre il cammino verso la Pasqua. Le candele che si accendono richiamano il cero che viene acceso nella Veglia Pasquale. Nelle parole di Simeone a Maria si preannunziano i misteri pasquali: « una spada ti trafiggerà l’anima » con la sua partecipazione alle sofferenze del Figlio, cooperando alla redenzione degli uomini e « Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori ».
Anche noi andiamo incontro al Signore.
Se celebriamo la festa in cui Dio viene incontro a noi nel suo Figlio, andiamo anche noi incontro a Dio, come dice ancora la preghiera iniziale: « Anche noi qui riuniti dallo Spirito Santo andiamo incontro al Cristo che viene ». Seguiamo anche noi Cristo, luce che ci precede, per rinnovare insieme a lui l’incontro con il Padre, affidandoci alla fedeltà di Dio che non delude. Imploriamo di averlo sempre come conduttore , per poter « giungere felicemente alla pienezza della gloria », poiché tutta la nostra vita deve essere un andare incontro a Dio, che ci vuole in comunione con Lui.
Gesù ci esorta come suoi discepoli ad essere « luce del mondo », per cui, illuminati dalla sua luce, dedicati al Padre, diventiamo portatori della sua missione nel mondo con « lo splendore della santità ». Allora, sì, che la processione con le candele dietro a Cristo diviene un simbolo efficace della vita.
Prima Lettura: Ml 3,1-4.
Il « giorno » del Signore è giorno di purificazione e di giudizio di condanna del male. A prepararlo Dio promette l’invio di un profeta che converta i cuori.
Seconda Lettura: Eb 2, 14-18.
In questo brano è illuminato lo stretto legame fra il l’evento che stiamo celebrando e il mistero pasquale e vi si esprime la stretta solidarietà di Gesù con il Padre e con l’uomo, con cui condivide il « sangue e la carne » ( Eb 2,14), in un legame reale e integrale.
Intimamente unito agli uomini, come fratelli, Gesù è diventato « un sommo sacerdote misericordioso ». Fedele nel servizio a Dio, egli ha espiato i nostri peccati, ci ha liberato dal potere del demonio e della morte. La sua sofferenza è diventata capacità di soccorso nelle nostre prove, essendo lui stesso stato provato.
Vangelo: Lc 2, 22-40.
Gesù è consacrato a Dio. Sulla croce lui stesso si offrirà e si dedicherà al Padre, dopo tutta una vita di appartenenza a Lui. Al suo ingresso nel tempio si dà appuntamento l’Antico Testamento, di cui compie l’attesa.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Gennaio 2017 23:42)