





Il Signore è lento all'ira e grande nell'amore.
20 Luglio – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il Signore è lento all’ira e grande nella sua misericordia.
Quando andiamo a Messa noi presentiamo una modesta offerta: il pane, il vino, e talora anche un’espressione della nostra solidarietà ai bisogni della comunità cristiana. Ma più che dare, noi riceviamo dei doni dal Signore: « i tesori della grazia ». Il pane e il vino, sono consacrati nel Corpo e Sangue di Cristo che il Padre ci elargisce. E’ soprattutto questo sacrificio compiuto da Cristo per la nostra salvezza che noi offriamo al Padre. Non abbiamo meriti, ma abbiamo l’amore di Gesù in croce che si rinnova ogni volta che siamo « convocati per la Pasqua settimanale ».
Giustamente riconosciamo di essere « colmati della grazia dei santi misteri ». Solo che questa grazia deve diventare visibile: essa è come seme e lievito che cresce e trasforma ; è umiltà e mitezza; è accoglienza e servizio del prossimo, perché in esso è presente il Signore.
Prima Lettura: Sap 12,13.16-19.
Mentre tra gli uomini possiamo constatare la protervia del potere, unito alla violenza e al dominio, nei confronti degli altri uomini, Dio esercita la sua forza e potenza, in maniera diversa, con giustizia e pazienza, perché altrimenti chi potrebbe resistergli. Ma se Egli esercita, nei nostri confronti, la sua infinita pazienza e misericordia, perché ci attende nonostante i nostri fallimenti, applica anche per ognuno di noi la sua giustizia.
Il metodo, il modo di agire di Dio, quindi, sorprende per la sua pazienza, mitezza e misericordia verso tutti. Il potere divino non è arbitrio: « Ci governi con molta indulgenza ». Tale modo di agire di Dio deve essere tenuto presente da noi; ad esso si deve conformare il nostro comportamento. Talora vorremmo, infatti, un intervento più preciso nel reprimere il male, ma è proprio questa maniera di fare di Dio che infonde in noi un « buona speranza », e che ci assicura « dopo i peccati » la possibilità di pentirsi. Occorre molta pazienza e fiducia, che accompagna i nostri sentimenti e le nostre inquietudini. D’altra parte, non dimentichiamo che è anche detto che Dio « rigetta l’insolenza ».
Seconda Lettura: Rm 8,26-27.
Credessimo veramente che in noi abita lo Spirito Santo! La nostra certezza rimane spesso una convinzione molto astratta. Egli è realmente in noi: prega dentro di noi; ci suggerisce le intenzioni nella preghiera, ma a condizione di lasciarci guidare da lui, che ci conforma al disegno di Dio.
Vangelo: Mt 13,24-43.
La zizzania.
Se nella vita degli uomini una medesima realtà può essere vissuta in maniera diversa a seconda delle capacità di ognuno, ma anche per le finalità che poniamo nel nostro agire, nel pensare, sognare in grande e, di conseguenza, operare per partecipare ad un grande progetto non significa illudersi. Se i grandi orizzonti, anche un po’ visionari, danno un senso al nostro agire concreto, bisogna, però, mettere in conto le difficoltà che si incontreranno lungo il cammino: far fronte allo smarrimento che può essere causato dalla derisione della gente, affrontare il disincanto di coloro che non condividono il nostro orizzonte, l’assenza di risultati immediati, ecc. Si raggiungono le grandi mete imparando a superare le difficoltà, le deviazioni, le contraddizioni che si incontrano lungo il cammino: esse si raggiungono con fatica e un percorso accidentato può far facilmente scoraggiare.
Così, nei primordi dell’annunzio del Regno, molti pensarono che esso si sarebbe realizzato nell'’immediato, ma il passare delle generazioni e dei secoli hanno smorzato l’entusiasmo iniziale e ci è resi conto che lavorare per l’avvento del Regno di Dio non è facile, perché bisogna resistere nelle tentazione, tra le persecuzioni e gli scandali derivanti da comportamenti di infedeltà dei peccatori all’ interno della Chiesa stessa.
A parte il seme che cade lungo la strada ed è beccato, quello che cade in terreno sassoso e secca, tra il buon seme della sua Parola, seminato dal Signore nel suo campo, come nella parabola del Vangelo di oggi, spunta anche la zizzania. Non è stato certo solo nella Chiesa delle origini che si è faticato per non perdere la tensione verso il Regno, ma anche oggi i cristiani devono affrontare le varie resistenze che si oppongono alla realizzazione del Regno di Dio.
Ma tutto il tempo della storia è tempo di misericordia di Dio, perché gli uomini si convertano. La libertà, di cui Dio ha dotato l’uomo, può trascinarlo nelle sue quotidiane scelte di vita, a tradurre gli ideali di bene e le sue capacità, le sue ispirazioni, la sua Parola, seminate nel suo cuore, da buon grano in zizzania. Per ognuno la propria vita è tempo per imparare a discernere il bene e il male, non quello di giudicare il buono e il malvagio. La parabola ci insegna che questo è il tempo della misericordia, della pazienza e del non peccare di presunzione, volendo chiedere a Dio di affrettare il suo giudizio, per estirpare il male.
La parabola della zizzania ci invita ci invita, nel nostro oggi, a prendere posizione a favore del Regno di Dio, ad averlo nelle nostre scelte e nei nostri desideri con l’ampio orizzonte di Dio, trovando in esso il senso del nostro agire.
Le altre parabole, quella del granellino di senape e del lievito, se fanno risaltare la sproporzione tra la piccolezza del seme e la grandezza del realizzarsi finale del Regno di Dio, devono anche farcelo concepire non come un avvenimento clamoroso, invadente, che subito s’imponga. Il Vangelo cresce a poco a poco, con una forza interna, capace di permeare tutta la massa dell’umanità nelle varie epoche di vita degli uomini, qualora questi mostrassero la disponibilità ad accoglierlo nella propria vita. E’ perciò necessario che il seme muoia per poter crescere rigoglioso. Si deve credere, quindi, alla sua forza interna, simile – dice Gesù – a quella del granellino di senape, dagli inizi insignificanti: la croce di Cristo e la sua morte umana, realtà piccole e deboli, hanno espresso la potenza di Dio per l’inizio e l’incremento del Regno.
Il lievito solo sciogliendosi e confondendosi con la farina può farla fermentare, non certo il restare separati e distinti.
La piccolezza del seme e la commistione tra lievito e farina, realtà piccole, producono un effetto grandioso: frutto di una operatività che sfugge all’uomo, che dovrebbe saper vivere realizzando il bene anche in mezzo alle resistenze, alle contraddizioni, alle difficoltà e alle incompiutezze.
La tentazione di accelerare i tempi per il giudizio, che certo ci sarà, ma che è nel tempo e nelle mani di Dio e non nostri, significa non voler accettare l’interiorizzazione delle leggi del Regno, che sono la piccolezza, la commistione di puro e impuro.
Tre insegnamenti dalla pagina del Vangelo che leggiamo.
- Dio non interviene subito nella storia dell’uomo.
- E’ paziente. Aspetta. Ma alla fine il male sarà strappato ed eliminato.
- Non dobbiamo lasciarci sconvolgere dalla presenza del male nel mondo; dobbiamo sopportarlo ed avere fiducia insieme nella giustizia e nella misericordia del Signore. « I figli del Maligno », « quelli che commettono iniquità » non avranno riuscita. Occorre fare il bene con serenità e con la certezza che « i giusti splenderanno ».
Il Signore semina la sua Parola
13 LUGLIO – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
L’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, è stato dotato della libertà. Ma ci domandiamo: quale uso fa l’uomo della sua libertà nel suo rapporto con il Creatore? L’uomo può accogliere o rifiutare il dialogo e la parola con cui Dio lo interpella, anche se ciò è avvenuto attraverso il suo stesso Figlio, venuto tra noi. A seconda della disponibilità o indisponibilità dell’uomo, la Parola di Dio può portare il suo frutto nel cuore di chi l’accoglie: il seme è gettato, ma potrebbe andare disperso.
Nel Vangelo di oggi, la parabola del Buon Seminatore, se nella prima parte è messo in risalto il lavoro del seminatore, che sparge il seme, nella seconda parte viene sottolineato quale frutto matura nelle varie situazioni del terreno in cui il seme è sparso.
Tutti gli ascoltatori, a cui Gesù si rivolge annunziando la lieta novella del Regno, comprendono il significato della parabola, se agli apostoli Gesù ne spiega il significato? Secondo la profezia di Isaia, citata nel brano, coloro a cui Gesù si rivolge, udrebbero sì, ma non comprenderebbero, guarderebbero ma non vedrebbero a causa dell’insensibilità del loro cuore, della durezza dei loro orecchi, e della cecità dei loro occhi.
Gesù, che è il seminatore, nel narrare la parabola, ci permette di contemplarne il significato nella sua persona e nella predicazione che egli fa. Anche a noi Gesù ripete: « Chi ha orecchi, ascolti ». Cristo, nel nome del Padre, per sua libera iniziativa, semina la Parola del Regno che è dono elargito all’uomo, Parola rivolta a tutti senza distinzione di sorta.
Sembra, però, che l’opera della semina sia quasi fallimentare, se si pensa che solo nella quarta tipologia di terreno il seme porta frutto, mentre nelle altre tipologie il seme, pur spuntando, viene impedito nel suo sviluppo dalle situazioni del terreno e non per difetto del seme, che è sempre buono e capace di produrre.
Nei cuori degli uomini i quattro tipi di terreno non si trovano cosi nettamente connotati. Spesso il cuore di ognuno è un misto dei quattro tipi, o contemporaneamente o in tempi diversi. Fare in modo che il proprio cuore diventi terreno produttivo senza compromessi è il compito affidato a ciascuno, durante il cammino di purificazione lungo la propria esistenza. Siamo chiamati nel percorso della nostra vita spirituale ad evitare che il nostro cuore si indurisca, evitare che pur “sentendo non ascoltiamo, pur vedendo non vediamo e non comprendiamo”. E’ la lotta contro il Maligno che ruba la Parola; contro l’incostanza che non resiste alle tribolazioni; contro “le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza”. Saremo allora produttivi se faremo, con la grazia di Dio e la forza dello Spirito, germogliare il seme che ci è stato donato e lo faremo fruttare nella vita di fede e nella vita di orazione, anche dopo una inesausta lotta contro tutto ciò che vi si oppone.
La profezia citata spiegherebbe la difficoltà che ha il seme di svilupparsi e portare frutto. Se il Regno di Dio non è accolto non è per una ristrettezza di Dio nell’annunziarlo, non è per una predestinazione divina alla dannazione. E’ per la indisponibilità dell’uomo all’ascolto. Dio per parte sua è magnanimo, anche nel rispettare la libertà dell’uomo. Ogni uomo è affidato alla propria libertà, alla propria responsabilità. Per esempio, i miracoli di Gesù, da parte dei sapienti e dei dotti, sono considerati eventi prodigiosi e non vengono accolti; per i “piccoli” sono eventi che aprono alla fede. Così vi sono alcuni che “guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono” (Mt 13,13).
Chi apre invece il cuore all’ascolto, allora la Parola porta frutto e rende “ beati gli occhi perché vedono e gli orecchi perché ascoltano e comprendono”.
Ascoltare e comprendere: sono i due atteggiamenti di chi porge orecchio attento, disponibile, libero e di conseguenza traduce in prassi di vita l’appello della Parola.
Ci professiamo cristiani. Non si tratta di un’etichetta o di una distinzione esteriore, ma di un impegno e di uno stile di vita. Dobbiamo coerentemente « respingere ciò che è contrario a questo nome » e « seguire ciò che gli è conforme ». Le orazioni di questa domenica ritornano su questa esigenza e parlano di « opere di giustizia e di pace »; di annunzio dello Spirito « con la fede e con le opere »; di « cuore attento e generoso verso le sofferenze e le miserie dei fratelli ». Non illudiamoci che basti insistere su questo tema nella liturgia per rendere concreta questa fraternità, che sia sufficiente parlarne. Spesso la consistenza delle nostre azioni è inversamente proporzionata alla frequenza e all’insistenza con cui ne parliamo.
Prima Lettura: Is 55,10-11.
Per quanti ostacoli gli uomini credono di porre di fronte alla Parola e al piano di Dio, essa riuscirà certamente. Ha in sé la virtù di operare. Dio riesce, a dispetto di tutte le apparenze e di tutte le interferenze e opposizioni che l’uomo possa frapporre. E’ un motivo di impegno e di speranza. Ma per parte nostra dobbiamo ricevere questa Parola.
Seconda Lettura : Rm 8,18-23
Siamo già stati redenti, ma ancora siamo sottoposti al travaglio della sofferenza, perché questa redenzione deve diffondersi, purificare, accrescersi. E’ una vita nuova che deve venire alla luce gradatamente. Lo Spirito Santo agisce già, ci è già stato dato come un anticipo, una primizia, dice sempre Paolo. Per tale Spirito siamo a poco a poco liberati dal male e dai suoi condizionamenti. La riuscita è sicura: il termine sarà la redenzione completa e la perfetta conformità con Cristo risorto. Ma la « gloria dei figli di Dio » va aspettata attivamente con la sofferenza delle scelte liberatrici. Il bene è sempre doloroso, è una passione quaggiù, m ha in sé il germe della risurrezione.
Vangelo: Mt 13,1-23.
E’ narrata la vicenda del seme, immagine della Parola di Dio e della sua vicissitudine. Tale Parola riesce certamente, ma di fronte ad essa l’accoglienza può essere assai diversa. Accanto all’accoglienza generosa c’è l'accoglienza incerta, disimpegnata, dubbiosa, incostante, non piena e libera. E persino ci può essere il rifiuto: neppure l’inizio della salvezza. Sono così ritratte varie categorie di uomini e di cristiani. Ascoltare, comprendere e produrre. Ecco l’impegno di ognuno. Per non soggiacere alla condanna di chi ha ricevuto l’annunzio, ma l’ha trascurato, ne ha avuto paura, si è ostinato nel male. La parabola di Gesù era detta agli Ebrei; valeva per la Chiesa primitiva e le sue circostanze; vale per la comunità idi ogg e per ognuno di noi.
Ultimo aggiornamento (Sabato 12 Luglio 2014 20:13)
IL SIGNORE E' RIFUGIO DEGLI UMILI
6 LUGLIO – XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
« Donaci una rinnovata gioia pasquale »: è la preghiera di una colletta di oggi E infatti questa gioia che si rinnova è la grazia propria della domenica, pasqua settimanale della Chiesa.
Ma deve essere chiara la condizione di questa gioia: dobbiamo essere « liberi dall’oppressione della colpa », da quel giogo del peccato che ci chiude in noi e ci immiserisce sempre più. Tutto diverso è invece « il giogo soave della croce », che ci sgombra il cuore, ci rende « poveri, liberi ed esultanti », a imitazione di Cristo nella sua « umiliazione », e quindi disponibili proprio perché non più attaccati a noi stessi, a portare « in ogni ambiente di vita la parola d’amore e di pace », il Vangelo che è annunzio ed esperienza di gioia pasquale.
Le letture della liturgia di oggi ci parlano di un Messia umile. Secondo le parole del profeta Zaccaria egli si manifesta al mondo cavalcando un asino. E’ Gesù il Messia mite ed umile di cuore annunziato dal profeta che chiama a sé gli affaticati e porta la salvezza del Padre.
Prima Lettura: Zc 9,9-10.
La vittoria del Signore non è nella prepotenza, ma nella giustizia. Alla sua mite ed umile venuta scompaiono i segni e gli strumenti della guerra. I valori terreni sono capovolti: non contano le sicurezze della regalità mondana. Si trovano a valere l’umiltà e la giustizia.
Il re con queste prerogative è il Messia, e sarà Gesù di Nazaret , nel suo ingresso in Gerusalemme, a realizzare questa profezia e a essere motivo di gioia grande. Infatti porterà il Vangelo, annunzio e grazia gioiosa di liberazione.
Seconda Lettura: Rm 8,9.11-13.
La carne e lo Spirito: sono due mondi antitetici.
Il primo è l’uomo di carne, intesa non solo come « corpo » o « sessualità », ma in tutta la sua realtà di fragilità, di debolezza, di condizione di schiavitù sotto il potere del peccato e in quanto si oppone a Dio, alla sua azione e alla sua signoria.
Il dominio della carne si manifesta quando la superbia, l’orgoglio, peccati difficili da riconoscere e più pericolosi, possono rivestirsi esteriormente di devozione e inducono l’uomo a ridurre Dio ad oggetto del proprio pensiero, manipolandolo, possedendolo e dominandolo, pervertendo così le dimensioni più nobili dell’animo umano.
Il secondo è invece l’uomo spirituale, che vive nel regno della grazia, animato dallo Spirito, che inabita in lui e che lo unisce, lo fa appartenere a Cristo e gli assicura la risurrezione con lui.
Nella relazione con Dio l’uomo spirituale riconosce che tutto gli viene per grazia e, nel percepire la sproporzione della gratuità, diventa cosciente del dono di sé che Dio, immeritatamente, gli offre.
In un contesto di rifiuto della rivelazione che Gesù fa e delle sue opere, la fede dei piccoli, degli umili, più che essere conquista deve essere libera risposta dell’uomo alla Parola che lo raggiunge, lo interpella e lo coinvolge e non orgogliosa presunzione di sapere su Dio, che nella sua benevolenza, si rivela ai piccoli e agli umili: « Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza »(Mt11,26).
La condotta del cristiano deve rivelare la presenza in lui dell’azione dello Spirito di Cristo e manifestare l’assoluta novità del suo modo di vivere.
Egli fa « morire le opere del corpo »: non certo la sua realtà corporea e fisica, ma quella che è mossa dal male. Carne qui per Paolo e tutto ciò che si oppone a Cristo, al Vangelo, allo Spirito Santo.
Vangelo: Mt 11,25-30.
Chi è superbamente ingolfato in se stesso, nei propri pregiudizi, nella propria bravura e nella propria illusoria giustizia, non riesce a comprendere il mistero di Gesù. Non riesce a conoscerlo e ad amarlo. La rivelazione di Gesù è concessa come grazia « ai piccoli », agli umili, aperti alla Parola di Dio. Questi, affidandosi a Cristo nei loro affanni, nella loro situazione di dolore, di disagio, di rifiuto da parte dei potenti, di prova, trovano serenità e pace.
Nella ricerca teologica o nell’accogliere la rivelazione di Dio da parte di qualunque credente, è necessario un atteggiamento di umiltà, la consapevolezza della propria piccolezza in ragione della sproporzione che vi è fra lui e Dio.
Il Vangelo non è un giogo che schiaccia, ma un sollievo per chi lo viva con sincerità e coerenza.
Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
29 Giugno – Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Pietro e Paolo sono come i due apostoli emblematici e tra coloro che sono stati chiamati, per il ruolo fondamentale che hanno avuto nella Chiesa delle origini e nella storia della Chiesa universale, le hanno dato « le primizie della fede cristiana ».
Noi crediamo secondo il credo apostolico, ricevendo la loro testimonianza e le loro certezze, che sono sempre attuali nella Chiesa, ne formano la tradizione vivente. Ma osserviamo che Pietro e Paolo non furono testimoni di parole, ma a Cristo hanno consacrato la loro vita nel martirio, nel quale sono stati accomunati. La nostra fede deve essere apostolica anche per questa imitazione della vita e dell’esperienza degli apostoli.
I loro doni furono diversi, ma identica fu la passione e il loro fervore per Cristo e la dedizione per la sua Chiesa.
« Con doni diversi – proclama il prefazione – hanno edificato la Chiesa » e oggi, la stessa Chiesa, che li celebra con un’unica solennità, poiché uniti « in gioiosa fraternità » sono « Associati nella venerazione del popolo cristiano e condividono la stessa corona di gloria », prosegue la fede del pescatore di Galilea in Gesù e « Figlio del Dio vivente », cioè la confessione di Pietro, e il magistero di Paolo, che illuminò « le profondità del mistero » di Cristo. Entrambi, pur con le loro differenze culturali, per la storia personale e le vicende affrontate, per le animate polemiche riportate nel Nuovo Testamento, ( differenze che sono ricchezze per una più profonda azione missionaria, ma che devono essere conciliate dalla carità), partecipano all’annunzio del Vangelo.
La professione della fede in contrasto con l’idolatria.
La professione di fede di Pietro, che Gesù è « il Cristo e il Figlio del Dio vivente », riportata dal Vangelo ed espressa a Cesarea di Filippo, (territorio pagano lontano da Gerusalemme, abitato dagli Erodiani, opportunisti e asserviti al potere dei più forti, con l’idolatria del potere e con tutto il corollario di malefatte della famiglia degli erodiani), è significativa, dopo che Gesù ha posto ai discepoli alcune domande capitali: « La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? » (Mt 16,13); e ancora : « Voi chi dite che io sia? » ( Mt 16,15). Gli apostoli, al di là di quello che dice la gente, che egli è Giovanni il Battista, Elia, Geremia o qualche profeta ( tutti personaggi biblici collegati a Gesù ), non colgono della persona di Gesù il mistero e l’identità, realtà che, se possono essere compresi nel contesto della Scrittura, eccedono rispetto alle risposte date.
Oggi il Vangelo, come agli apostoli e a Pietro, anche a noi chiede chi sia Gesù per noi. Ognuno deve dare la propria risposta personale, che non vuol dire solo sapere ciò che dice il Catechismo di Gesù o inventarsi una nuova dottrina, ma partecipare interiormente e personalmente alla
Fede della Chiesa. Richiede un di più esistenziale che, se vuole la conoscenza della dottrina, ci chiede una più profonda e decisa adesione alla fede.
Il segno della nostra fedeltà agli apostoli è messo in luce nella preghiera dopo la comunione, dove chiediamo « di perseverare nella frazione del pane e nella dottrina degli apostoli, per formare nel vincolo della carità un cuor solo e un’anima sola ».
La fede come relazione vitale.
La fede, se comporta la conoscenza dei contenuti, è soprattutto un’ esperienza vitale. Come ogni relazione che non è mai statica, stabile, immutabile, ma è viva e si incarna in persone in carne e sangue, così tutti i credenti nel Signore, pur nelle differenze, devono esprimere la stessa fede, come Pietro e Paolo, che « con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa »( Prefazio).
Prima Lettura: At 12,1-11.
Per Pietro in carcere prega tutta la Chiesa, consapevole di ciò che Pietro significa per lei. L’apostolo perseguitato sta sperimentando che cosa vuol dire seguire il Signore ed essere pastore del suo gregge. Ma sente anche la forza liberatrice di Gesù, che lo restituirà alla comunità cristiana.
Seconda Lettura: 2 Tm 4,6-8.17-18.
Per Paolo, che è alla fine della sua vita, la fede è stata un’esperienza esaltante che lo ha accompagnato dal momento in cui Cristo lo ha chiamato sulla via di Damasco. Da uno sguardo retrospettivo essa gli appare una battaglia, una corsa, un impegno fedelmente assunto: « Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno » ( 2Tm 4,6-8). La sua fiducia totale è nel Signore, che darà la corona a lui e a tutti quelli che ne attendono la venuta con amore. La ricompensa che Paolo attende sembrerebbe una magra consolazione, ma è l’essenziale per ogni credente e, giunti alla fine della propria vita, per ognuno può essere più che sufficiente.
Vangelo: Mt 16, 13-19.
Per la perspicacia della sua professione di fede in Gesù, Messia, Figlio di Dio, Pietro viene eletto fondamento della Chiesa, sovraintendente che decide autorevolmente a nome di Cristo. Dietro di lui è Cristo stesso che opera, al quale la Chiesa appartiene. Gesù dice infatti « la mia Chiesa ».
Ultimo aggiornamento (Sabato 28 Giugno 2014 19:22)
Solennità del Corpo e Sangue di Gesù.
22 Giugno – Solennità del Corpo e Sangue di Gesù.
Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall' Egitto, averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore, come comunità, non può dimenticare la sua dimensione comunitaria, in cui la fede è vissuta e celebrata, specie nella Eucaristia, che è il « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto. Memoriale vuol dire non un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore. Celebrando l’Eucaristia noi offriamo il sacrificio della nuova alleanza, ripresentiamo l’immolazione della croce, dove Gesù s’è offerto, Agnello senza macchia. L’altare è anche la mensa della sua cena: vi attingiamo il cibo per il « viaggio della nostra vita », in attesa di essere ammessi al convito del regno eterno.
All’ altare ci riconosciamo fratelli, uniti in « assemblea festosa » a rendere grazie a Dio, che nel sangue di Cristo ci ha creato come suo popolo, legato nella medesima fede e dall’ identica unità e carità, rappresentate nell’ unico pane e nell’ unico calice. Nell’ Eucaristia riceviamo lo Spirito che scaturisce dal Corpo di Cristo e la purificazione di ogni colpa.
Tutto questo deve farci fugare i rischi di considerare la comunità in termini psicologici, o ridurla come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, per colmare situazioni compensatorie nelle proprie fragilità: una tale comunità rischierebbe di produrre un gruppo di immaturi che cercano un ovattamento alla vita; oppure percepire la comunità in termini sociologici, perché l’affermazione conciliare sulla Chiesa, come « popolo di Dio », è da intendersi in maniera teologica non sociologica, costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Infine bisogna evitare un ultimo rischio che è quello di considerare la Comunità come aggregazione per eventi o iniziative di tipo organizzativo, con poco dispendio di energie e con scarsa intensità di comunione spirituale.
Non si può parlare di comunità senza parlare di « comunione », come relazione spirituale e di amore fraterno, che lega sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti. La comunione trova il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo, e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo la prerogativa testé esposta realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che rimane dopo la celebrazione della Messa è presenza reale di Cristo, che avvera la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo del tabernacolo va la nostra adorazione e il nostro culto.
Prima Lettura: Dt 8,2-3. 14-16.
Nell’ arduo cammino del deserto, Dio non ha lasciato mancare al suo popolo il nutrimento. Provato dalla fame, quel popolo fu sostenuto da un cibo singolare, la manna, segno della provvidenza potente e amorosa di Dio.
Così come fu provvidenziale l’acqua straordinariamente sgorgata dalla roccia arida e dura. Veramente Dio non abbandona mai nessun uomo, fosse il più umile e piccolo. In particolare è vicino alla sua Chiesa con la provvidenza dell’Eucaristia.
Seconda Lettura: 1 Cor 10,16-17.
Prendendo parte al calice entriamo in comunione con il Sangue di Cristo; e spezzando e mangiando il pane eucaristico assumiamo il Corpo reale di Gesù. Dunque non si tratta di puri simboli, che accennano da lontano a Gesù: « L’Eucaristia è il Signore, che dona la sua vita per noi; in essa noi lo riceviamo veramente ». Ma l’Apostolo Paolo mette in particolare in luce una conseguenza: se unico è il pane che spezziamo, se unico, quindi, è il Corpo di Gesù, allora noi siamo intimamente uniti, gli uni agli altri.
Siamo molti: ognuno con la propria personalità, la propria fisionomia esteriore e interiore, la propria storia e il proprio temperamento, e tuttavia formiamo come un solo corpo. Non siamo reciprocamente estranei, ma intimamente uniti. Per questo ci dobbiamo amare. E’ il frutto e l’impegno dell’Eucaristia.
Vangelo: Gv 6,51-58.
La comunità del Signore si caratterizza per la comunione che i credenti in lui pongono attorno alla sua presenza, reale e non simbolica, nell’Eucaristia. Le sue parole, come leggiamo nel Vangelo di questa solennità: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui », ci dicono che l’assimilazione della carne e del sangue di Cristo, rendono presente Gesù nel credente e viceversa. Certo le parole “mangiare ” e “ bere ” non sono da intendersi in senso naturalistico, ma vanno intese in senso sacramentale, in quanto mangiare il pane e bere il vino, che per la potenza dello Spirito di Dio, sono trasformati nel Corpo e Sangue di Cristo, rendono presente in noi il Cristo-Dio, e sono “ segni efficaci ”, che compiono ciò che dicono. La partecipazione a questi segni sacramentali è partecipazione da parte nostra agli effetti della passione e al dono della pienezza della vita che Gesù ci comunica.
Adesso il pane che ci nutre, come credenti e come figli di Dio, è la carne, quindi la persona, di Cristo, il quale si offre per noi. Entriamo infatti in profonda comunione con il Corpo e il Sangue di Gesù. Solo così abbiamo la vita, quella vera, che non si logora e che non è destinata ad esaurirsi e a spegnersi. L’Eucaristia ci dona la vita stessa del Padre e del Figlio, Gesù. Grazie all’ Eucaristia e alla vita che in essa riceviamo, a differenza degli antichi ebrei, saremo sottratti all’ esperienza della morte, perché, sostenuti da questo nutrimento lungo il cammino terreno, possiamo giungere alla “ terra promessa ” del Regno celeste. Nell’ Eucaristia già riceviamo il germe della risurrezione e conformazione al Signore che ha vinto la morte. Concludendo, solo dalla comunione con Cristo viene la vera comunione nella comunità che le permette di essere, nell’ og- gi, profezia e annunzio del Regno futuro. Tutto il resto può rendere visibile la comunione nella comunità, ma se manca il centro, cioè Cristo, la Chiesa fallisce lo scopo per cui il Signore l’ha posto nel mondo.