La luce di Cristo risplende nelle tenebre.
26 Gennaio – IIIa Domenica del Tempo Ordinario.
Cristo, luce che risplende nelle tenebre.
Dalla Galilea Gesù inizia la sua predicazione e la conclude inviando i suoi discepoli perché annunzino in tutto il mondo la Buona Novella. Nella Galilea dei gentili inizia a risplendere la luce di Cristo. Egli inizia solennemente il suo ministero dicendo: « Convertitevi , perché il regno dei cieli è vicino », così come aveva fatto Giovanni al Giordano, che chiamava i giudei a conversione e come faranno gli apostoli continuando l’opera di Gesù. Se vi è continuità tra l’annunzio di Giovanni e quello della Chiesa, vi è differenza tra i due: il primo precorre, il secondo è in continuazione con quello di Cristo.
Giovanni svolge la sua predicazione nel deserto della Giudea, in austerità e pratica un battesimo di penitenza e di conversione; Gesù, nella Galilea pone l’accento sulla conversione in vista del regno dei cieli che è vicino.
La Galilea, terra di facile occupazione straniera, abitata da popoli diversi e con diverse religioni, ebrei, ebrei ellenizzanti, pagani, è una terra che ha sperimentato l’impurità e l’idolatria secondo il giudaismo ortodosso; terra simbolica, rappresentativa della vita dell’intera umanità, fatta di fedeltà e infedeltà, peccato e santità, amore e egoismo, grandezza e miseria. In questa terra, le cui genti « abitano nelle tenebre in regione e ombra di morte » inizia a risplendere la luce e l’opera di Cristo e anche da qui ha inizio il ministero della Chiesa, mandata da lui a predicare la salvezza a tutti i popoli (Mt 28,10; 16).
Da Nazaret di Galilea, si domandavano i Giudei come Natanaele, può venire il Messia? Da qui può aver avuto inizio l’annunzio della Chiesa di Cristo, si chiedeva la mentalità giudaica? Invece, da questa terra disprezzata ha inizio il cammino della salvezza.
Gesù annunzia il regno di Dio: una regalità, quella che annunzia, fatta di misericordia, di salvezza e di speranza per l’umanità, perché Dio ama gli uomini e nel suo Figlio, che incarna questa regalità con le sue parole, i suoi gesti, la sua morte e risurrezione, raggiunge tutti gli uomini e li salva. La luce che Gesù porta con il suo Vangelo dona gioia e toglie, a chi vive tristemente, la mestizia. Il regno di Dio annunziato, realizzato da Gesù e continuato dalla predicazione apostolica, deve tenere uniti i credenti in Cristo e non renderli divisi, come erano i Corinzi, a cui Paolo rimproverava la loro immaturità di fede. Purtroppo, nella Chiesa, sempre c’è stato e c’è il pericolo di divisioni, quando si perde di vista il centro della nostra identità di cristiani che è Cristo e non questo o quell’altro credente.
Riscoprire la centralità di Cristo e la gioia di partecipare alla realizzazione del regno di Dio ci fa rivivere nella nostra esistenza l’esperienza degli apostoli, che da pescatori, avendo incontrato Cristo, hanno lasciato tutto per seguirlo. Anche nel quotidiano della nostra vita, spesso grigia e annoiata, Cristo passa e ci chiama a seguirlo.
Andare dietro a Gesù, subito, come gli apostoli, significa cogliere l’urgenza del Regno e la necessità di una risposta che ci coinvolga per e con tutta la nostra vita.
Incontrato Cristo, come gli apostoli, è necessario mettere in atto una profonda conoscenza e relazione di intimità con lui, lasciandoci trasformare nella nostra esistenza, cosicché possiamo dire con Paolo che non siamo più noi che viviamo, ma è Cristo che vive in noi.
La domenica, giorno in cui si rinnova la gioia della Chiesa, essa ritrova il dono di Dio « sorgente inesauribile di vita nuova », cioè il Corpo e Sangue di Cristo. Anche l’uomo presenta una sua offerta, che è poi sempre grazia divina: sono il pane e il vino, ma è lo Spirito Santo che li consacra con la sua potenza, e così diventano « sacramento di salvezza ». La gioia per il dono di Dio diventa perfetta quando prendiamo parte al convito, e, ricevuto il sacramento, lo traduciamo nella vita che diventa allora « un segno di salvezza e di speranza », un’attuazione nel tempo della storia del regno di Dio, là dove passano i giorni della nostra vita feriale, dove ci sono anche i dubbiosi e i lontani.
Prima Lettura : Is 8, 23-9,3.
Il profeta annunzia un avvenire di liberazione e quindi di gioia per la Galilea. La parola di Isaia non si è spenta, al contrario: si è compiutamente avverata quando non su una sola regione ma su tutto il mondo è brillata la luce agli uomini, immersi tutti nelle tenebre del peccato; quando non tanto da una occupazione straniera, ma dal demonio il mondo intero è stato liberato con la venuta di Gesù, e quando l’anima di ciascuno di noi è tornata gioiosamente nella grazia del Signore.
Seconda Lettura: 1 Cor 1,10-13.17.
I fedeli della Chiesa di Corinto sono divisi tra di loro: chi si richiama a Paolo, chi ad Apollo, chi a Pietro. Ora proprio Paolo sottolinea con fermezza quanto siano assurde quelle divisioni e quelle discordie. Egli fa osservare due cose: la prima, che Cristo è uno per tutti; la seconda, che le persone, Paolo, Apollo, Pietro, non si sono sacrificate sulla croce, ma solo Cristo è stato crocifisso per tutti. I cristiani devono quindi vivere « in perfetta unione di pensiero e di sentire ». Questa esortazione non è mai priva di attualità. Ci sono sempre motivi di attrito, e spesso anche le comunità cristiane vi cedono con aspre lotte e contese e con grande scandalo per quelli che sono lontani dalla Chiesa. Dobbiamo preferire il silenzio, il ritiro, piuttosto che incentivare queste divisioni che rendono esausta una comunità cristiana.
Vangelo : Mt 4,12-23.
L’Evangelista Matteo rilegge la profezia della prima lettura sulla luce che pervade la Galilea, e ne vede la realizzazione con l’andata e il soggiorno di Gesù in quella regione. E’ allora che vi entra la vera luce, la redenzione, la gioia.
In Galilea incomincia la predicazione della « buona novella », il Vangelo, che vuol dire annunzio che infonde gaudio nel cuore; in Galilea incominciano i segni che il regno di Dio, che è poi Gesù stesso, è apparso. Sempre in quella regione inizia la raccolta dei primi discepoli intorno a Gesù. Sono pescatori che dal mare di Galilea verranno inviati nel mondo intero, ma ormai come pescatori di uomini.
San Matteo nota la prontezza con cui essi rispondono alla vocazione. Quando il Signore chiama non si devono accampare scuse o ammettere ritardi.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Gennaio 2017 23:40)
Essere testimoni di Gesù.
19 Gennaio – 2a Domenica del Tempo Ordinario.
Ci raccogliamo nel giorno del Signore per celebrare « il memoriale del Sacrificio » di Cristo. Non si tratta di un ricordo vago, di un simbolo, che tocchi e impressioni solo il nostro animo. E’ detto nell’orazione sulle offerte che alla celebrazione del memoriale « si compie l’opera della nostra redenzione ». Essa non è tramontata ma è presente nella verità del Corpo e del Sangue di Cristo, che divengono convito della Chiesa, il popolo della nuova alleanza. Particolarmente di domenica incontriamo Cristo nella liturgia e nei fratelli, e così è confermata la grazia del Battesimo, col dono dello Spirito, e riascoltata con cuore disponibile la Parola di Dio. Per questo si riaccende la nostra carità reciproca. Dopo la comunione chiediamo al Signore che « nutriti con l’unico pane di vita, formiamo un cuor solo e un’anima sola ».
Dio ci chiama ad essere testimoni.
Giovanni il Battista con la sua predicazione e il suo ministero ci invita a vivere la testimonianza del Signore: dobbiamo lasciare spazio a Cristo e non fare di noi l’oggetto del nostro testimoniare. Gesù è nato, ora spetta a noi che egli si incarni e cresca nella nostra vita.
Oggi siamo introdotti, ponendo l’attenzione su Giovanni, nella esperienza della fede, poiché egli, più che il Battista, è il testimone che annuncia il Messia, già presente tra gli uomini, l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, il Figlio di Dio su cui ha visto discendere e rimanere lo Spirito di Dio, Colui che avrebbe battezzato nello Spirito Santo: così egli indirizza chi ascolta la sua predicazione a Gesù. Giovanni, oggi, ci offre la sua testimonianza cristologica, invitando anche noi a fare il nostro cammino di fede.
L’indicazione di Gesù come l’ « Agnello di Dio » , ci rimanda all’agnello pasquale dell’Esodo e all’agnello del profeta Isaia del cantico dedicato al Servo del Signore. Gesù, offrendo se stesso, nella Pasqua definitiva della sua passione, morte e risurrezione, realizza la salvezza per tutti gli uomini, liberandoli dalla schiavitù del peccato: Cristo ha assunto su di sé la pena del peccato e ne ha vinto anche le conseguenze, cioè la morte. Gesù è venuto a liberarci, oltre che dai nostri concreti peccati, soprattutto dalla condizione di peccaminosità, dal rifiuto e ostilità del mondo verso Dio: questo è il peccato principale, origine degli altri peccati, cioè la non-fede.
Giovanni, ancora, proclamando Gesù « Figlio di Dio », esprime il vertice più alto della sua testimonianza riguardo alla identità, alla comunione e all’intimità del Cristo con il Padre, che nel battesimo lo ha manifestato come « il Figlio amato, in cui ha posto il suo compiacimento ».
Relazione tra Giovanni e Gesù.
Giovanni, come precursore, precede Gesù nel tempo, ma è cosciente che dopo di lui deve venire uno che è avanti a lui, perché è prima di lui. E mentre il battesimo di Giovanni annunzia la salvezza, solo quello che darà Gesù, nell’acqua e nello Spirito, la realizza, perché rimette i peccati e opera la santificazione, trasformando l’uomo nel profondo.
Prima Lettura: Is 49,3.5-6.
Il popolo di Israele è scelto da Dio per essere « luce delle nazioni » e perché porti la salvezza divina fino all’estremità della terra. Questo avverrà perfettamente quando apparirà Gesù, che brillerà come « Luce vera », come lo splendore che illumina le genti e redenzione di tutti gli uomini.
Seconda Lettura: 1 Cor 1,1-3.
Alla Chiesa, comunità di coloro che, redenti e credenti in Cristo, sono santificati dal Battesimo, Paolo chiede che si lascino guidare dalla testimonianza di Giovanni, per conoscere il mistero di Cristo, Figlio che bisogna ascoltare e Agnello che toglie i peccati del mondo.
Quanta stima dimostra san Paolo per i fedeli delle sue Chiese! Li chiama santi. E infatti sono stati santificati da Gesù, purificati dalla colpa e ricolmati di Spirito Santo. Questo è il regalo di Dio: si tratta di esservi coerenti con un comportamento degno della santità ricevuta, facendo crescere così in noi la potenza di questo dono di grazia.
Impariamo anche un’altra cosa: a rispettare e persino a venerare i nostri fratelli, quelli che fanno parte della nostra comunità e della nostra famiglia: a motivo della grazia che anche a loro il Signore ha donato.
Vangelo: Gv 1, 29-34.
Gesù è chiamato l ‘«agnello di Dio », «colui che toglie il peccato del mondo »: già si profila in queste parole di Giovanni l’immolazione del Signore, nuovo e vero Agnello pasquale, che nel suo sangue laverà le nostre colpe. Egli è il Figlio di Dio, non un semplice uomo, e per questo si dice che sopra di lui lo Spirito discende e rimane, e che il suo è un Battesimo nello Spirito Santo. Se fossimo solo lavati con l’acqua, o anche se solo ci fosse un pentimento nostro, ciò non basterebbe per essere purificati dal peccato ed essere figli di Dio a nostra volta. Invece nell’acqua riceviamo veramente lo Spirito Santo che inibita in noi.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Gennaio 2017 23:38)
Il Battesimo di Gesù al Giordano.
BATTESIMO DI GESU' -ANNO A
Tra i misteri della vita di Cristo il Battesimo riveste un’importanza singolare, e per questo la liturgia lo commemora con solennità.
Con questa celebrazione si conclude il tempo del Natale pur meditandosi un momento della vita adulta di Gesù. E se da una parte continuiamo a riflettere sul mistero dell’incarnazione, dall’altra iniziamo a ripensare la vita adulta di Gesù e la sua missione.
Nel Battesimo la voce del Padre manifesta, in una nuova epifania, e riconosce in Gesù il Figlio amato, il Messia inviato ai poveri e, con lo Spirito che si posa su di lui, lo consacra sacerdote, profeta e re.
Un tempo la liturgia celebrava in un unico momento l’adorazione dei Magi, il miracolo di Cana e il Battesimo al Giordano, avendo questi tre eventi, in vario modo, come contenuto la manifesta-zione di Gesù.
In questa manifestazione che il Padre fa del Figlio, Gesù manifesta la sua solidarietà, iniziata con l’incarnazione, con l’umanità.
Siano così introdotti nel mistero di Gesù: vero uomo, che porta su di sé i peccati del mondo e venuto per salvarci, vero Dio, che ci libera dalla colpa, dandoci lo Spirito e rendendoci figli di Dio, rigenerati nel lavacro e « interiormente rinnovati a sua immagine ». Dono dello Spirito Santo e figliolanza divina: sono i doni del Battesimo cristiano, che oggi particolarmente richiamiamo alla memoria.
Prima Lettura:Is 42,1-4.6-7.
Un misterioso « Servo di Dio » sarà mediatore di salvezza con la sua obbedienza e umiltà, con le sue opere di misericordia: aprirà gli occhi ai ciechi, libererà i carcerati, sarà « luce delle nazioni » e « alleanza del popolo ». Già con il suo Battesimo Gesù invera la profezia di questo « Servo di Dio »: il Battesimo al Giordano è atto di docilità, di umiltà e di compassione per noi
Seconda Lettura: At 10,34-38.
Nel suo Battesimo Gesù inizia il suo cammino di salvezza per tutti gli uomini: « Dio non fa preferenze di persone » - predica san Pietro - : Gesù Cristo è il « Signore di tutti ». E infatti tutti gli uomini sono destinatari della buona novella della « pace », e perciò del Vangelo e dei sacramenti, di cui il primo è il Battesimo.
Può essere un proposito in consonanza con la festa di oggi quello di voler bene a tutti, senza preferenze che ledono la carità, che turbano lo stare insieme.
Vangelo : Mt 3,13-17.
Giovanni, predicando un battesimo di penitenza e di conversione, preparava l’avvento de Messia, indicato come colui che doveva venire. Così Gesu, il giusto, unendosi con gli ingiusti, si reca al Giordano dove c’è Giovanni che battezza. Questi, al vederlo, si ribella alla domanda di Gesù di voler ricevere da lui il Battesimo, perché, riconoscendo in Gesù colui che « è più forte di lui », di cui non era « degno di sciogliergli il legaccio dei sandali » e a cui aveva dedicato tutta la sua opera di preparazione, implicitamente afferma che la salvezza da lui annunziata e che ha atteso, lui non è in grado di realizzarla.
Ma Gesù risponde : « Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia ». Giovanni, davanti al mistero dell’umiltà di Gesù, del suo servizio, della sua azione che purifica ogni peccato dell’uomo, acconsente a compiere il gesto. Dopo il battesimo, Giovanni, che ha visto lo Spirito scen- dere su Gesù e ha udito la voce del Padre, che lo manifestava il Figlio prediletto, vedendolo venirgli incontro, lo addita come l’ « agnello di Dio che toglie i peccati del mondo », venuto per realizzare la giustizia di Dio, attraverso, come testimonieranno gli apostoli, la sua morte e la risurrezione, poiché « Chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo sangue » (At 10,43).
Così, con la celebrazione del Battesimo del Signore, termina il tempo della preparazione e inizia il tempo della missione di salvezza di Gesù.
Quello di Gesù è dunque un esempio che si contrappone alle nostre pretese sovente orgogliose dettate dalla superbia. Gesù si mette all’ultimo posto, gravato anche dai nostri peccati.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Gennaio 2017 23:33)
Epifania: manifestazione di Gesù a tutte le genti.
6 Gennaio – Epifania del Signore alle genti.
Mentre nel Natale abbiamo contemplato, come dice Isaia, Cristo, luce che risplende nelle tenebre, in cui è immersa l’umanità, dalla quale Gesu assume la carne umana, con tutta la sua fragilità e debolezza, eccetto il peccato; nell’Epifania, festa di luce, che traspare e guida a Gesù, Dio continua a rivelarsi, sempre nella debolezza e nella fragilità di bambino, nato nel nascondimento, e con lo splendore di una stella attrae a Betlemme genti lontane. Così san Paolo esprime il significato dell’Epifania : « Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa ». I Magi, guidati dalla stella e desiderosi di vedere ciò che essa preannunciava, messisi in cammino, giungono a Geru-salemme e chiedono, lì dove pensano possa essere nato un re, ad Erode: « Dove è nato il re dei Giudei? ». A Gerusalemme, dove avrebbe dovuto essere maggiormente viva l'attesa del "Mes-sia", i sommi sacerdoti e gli scribi, radunati da Erode, ricordando le profezie, indicano che da Bet-lemme, piccolo capoluogo della Giudea, doveva « uscire un capo che sarebbe stato il pastore del popolo Israele ».
Così i Magi vengono indirizzatia Betlemme. Usciti da Gerusalemme dove la stella che li precedeva non era vista, riappare loro e si ferma sul luogo dove « entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono e gli offrirono i doni: oro, incenso e mirra » (Mt 2,11), riconoscendolo come Re, Dio e Redentore.
Alla fine del loro viaggio, nella ricerca della verità, desiderosi di conoscere l'evento indicato dalla stella, incontrano il Signore nella debolezza della carne: l'umanità nella sua dimensione di fragilità, nella sua vulnerabililtà alla sofferenza e al dolore. Essi riconoscono Dio nella carne, per-chè è in questo che Dio condivide la povertà umana, si rivela e nasconde la sua divinità: questo è il mistero dell'incarnazione di Dio.
I Magi modello della Chiesa
I MAGI sono le primizie della Chiesa, formata da uomini di tutti i popoli, sono il simbolo di tutti gli uomini, che vanno a trovare il Signore, Cristo Gesù, il Salvatore, guidati dalla luce della fede e lo adorano.
Essi, che hanno affrontato le fatiche e i pericoli di un lungo viaggio, sia fisico che interiore di ricerca della verità divina, esprimono così il percorso paradigmatico della fede di ogni uomo. La stella, verità dell’uomo, è un segno che va ricercato e obbedito, e pone l’uomo nella fatica della ricerca della verità.
La fede non è ancora la visione delle realtà che crediamo. I nostri occhi ancora sono come velati; ma la fede è già una luce che illumina l’anima. L’incredulo si trova ancora nelle tenebre.
Gesù che nasce tra noi provoca sentimenti opposti, azioni antitetiche. Infatti alcuni dei prossimi al Messia non lo riconoscono. La sua nascita produce anche turbamento, come in Erode, il nuovo persecutore, come lo fu il faraone, che opprimeva Israele nei suoi primogeniti.
Oggi preghiamo perché la fede divenga sempre più ferma e luminosa, perché non ci accada mai la sventura di perderla; perché tutti gli uomini l’abbiano in dono, così da accogliere il mistero della salvezza, che è lo stesso Figlio di Dio, in tutto solidale con noi, annunziato a tutte le genti.
Prima Lettura: Is 60, 1-6.
La gloria del Signore brilla in Gerusalemme: il profeta la vede come il luogo verso cui tutti i popoli convergono per lodare Dio e offrirgli « oro e incenso ». La venuta dei Magi porta a compimento la visione esaltante di Isaia, poichè essi, e con loro le nazioni della terra, riconoscono in Gesù il loro Re.
Seconda Lettura: Ef 3,2-3.5-6.
Paolo ricorda agli Efesini che nella carne condivisa da Dio in Gesù si attua e manifsta il suo piano di salvezza. Per mezzo del mistero dell'incarnazione tutti gli uomini sono chiamati a far parte della Chiesa nella fede e ad essere partecipi della salvezza.
Sia gli Ebrei, eletti per primi, sia i pagani, venuti dopo, sono chiamati alla fede in Cristo e alla condivisione dell’eredità eterna con lui. La salvezza è universale: e infatti la Chiesa è detta « una e cattolica ». In essa non c’è distinzione di razza: il Vangelo è predicato a tutte le genti, per- ché formino una medesima Chiesa. Questo ci porta a due considerazioni: la prima, che dobbiamo sentire la vocazione missionaria, anche se personalmente non siamo in missione. Il nostro aiuto è dato dalla preghiera, dai sacrifici, dalla collaborazione, fatta anche di offerte: i missionari sono là a rappresentarci. La seconda considerazione è questa: dobbiamo evitare le divisioni, in contrasti tra noi, visto che siamo partecipi della stessa grazia e della stessa promessa di Cristo. Facciamoci nel nostro ambiente missionari di concordia.
Vangelo: Mt 2,1-12.
Quale contrasto tra l’indifferenza e l’ignoranza somma dei sommi sacerdoti e degli scribi, tra la sospettosa ostilità di Erode e l’ardente e gioiosa domanda dei Magi: « Dov’ è colui che è nato, il re dei Giudei ? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo »! Vengono i lontani , e i vicini non si accorgono che è nato il Salvatore. Ai primi è data la felicità di incontrarlo e di adorarlo; i secondi o non sono toccati dall’avvenimento o, peggio, cercano di soffocarlo. Dobbiamo pensare che abbiamo vicino il Signore, quasi a due passi, vicino alle nostre case, nella Eucaristia, e il cuore rimane freddo, pigro, senza interesse. La vera fede dà gioia, fervore e desiderio di incontrare il Signore, come i Magi, capaci di affrontare qualche sacrificio per lui.
iL VERBO, GENERATO DAL PADRE DALL'ETENITA' SI FECE CARNE
5 Gennaio – SECONDA DOMENICA DOPO NATALE.
Il Verbo eterno si è fatto carne.
Nella vita di Cristo il Natale non è il mistero compiuto. Il disegno di grazia è pienamente attuato nella morte e nella risurrezione, in cui anche la natività, che è l’inizio della salvezza, riceve senso e definitiva efficacia.
Non cessiamo di accogliere in festa e contemplare gioiosi il Figlio di Dio come redentore.
Nessuno amerà mai un uomo con l’intensità con cui Dio lo ama. E’ tempo, quello natalizio per ripensarci, e allora si ravviva la carità, e anche si riaccende il sentimento della presenza e della compagnia di Dio nelle nostre singole esistenze, facilmente esposte a rinchiudersi nell’avvilimento e nella solitudine; talora persino a lasciarsi sopraffare dalla coscienza del peccato, per la dimenticanza che nel Natale di Cristo siamo redenti e giustificati e che siamo uomini « che Dio ama ».
La liturgia della Parola, oggi, ci fa riflettere sull’origine eterna di Cristo e sul significato che la sua venuta ha per l’umanità. Egli è la Sapienza dell’ Antico Testamento, il Verbo di san Giovanni che si è fatto carne e in lui il Padre ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi.
La realtà salvifica nel progetto di Dio.
In questa Domenica meditiamo, partendo dalla Parola, sul dispiegarsi del progetto salvifico di Dio, iniziato dall’eternità. Nel Prologo del Vangelo di Giovanni, partendo dall’evento della nascita di Gesù, risaliamo alla sua origine divina ed eterna: « In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio », per cui viene affermata la divinità del Logos, il quale si è fatto carne in Gesù, che è Dio, uguale ma distinto dal Padre.
Prima Lettura: Sir 24,1-2.8-12.
Anche il Siracide fa risalire all’eternità l’esistenza della Sapienza, la quale parla di sé, della sua origine e di ciò che essa compie e prende dimora nella nostra storia, poiché, come dice Giovanni, “Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi”.
La Sapienza ha posto la sua stabile dimora in mezzo a noi con l’incarnazione del Figlio di Dio, generato dal Padre fin dall’eternità. L’Antico Testamento aveva già presentato la strada della salvezza, che è dono di Dio e frutto dello Spirito Santo. A suo tempo infatti manderà il suo stesso Verbo, cioè Gesù Cristo, tra gli uomini.
Seconda Lettura: Ef 1,3-6.15-18.
Per Paolo, il piano eterno di salvezza, realizzato nel tempo, fin dall’eternità ha i suoi effetti nella vita degli uomini: fin dall’eternità, « prima della creazione del mondo », Dio ci ha scelti, benedetti e predestinati ad essere suoi figli in Gesù, il Figlio suo diletto, e quindi per vivere nella santità e nella grazia che riceviamo da Cristo. La festa natalizia ravviva la consapevolezza della nostra vera vocazione e la nostra conoscenza di Cristo, perché in Lui, Figlio unigenito, che si abbassa, accettando di farsi uomo solidarizzando con noi e offrendosi in sacrificio per i nostri peccati, si radica l’amore misericordioso del Padre per gli uomini.
Vangelo : Gv 1,1-18.
« Il Verbo si fece carne »: è il contenuto del Natale. L’Evangelista Giovanni vuol dire che il Figlio di Dio, che esiste dall’eternità, che è Dio e Creatore, che è fonte della Vita e della Luce, è veramente uomo e non solo in apparenza.
Davanti al progetto di Dio l’uomo liberamente può rispondere accettando o rifiutando di parteciparvi, perché, pur essendo “ il mondo stato fatto per mezzo del Verbo. il mondo non lo ha riconosciuto” e “ venuto tra i suoi, i suoi non lo hanno accolto”.
A quanti lo accolgono nella fede, credendo nel suo nome, Dio dà il potere di diventare suoi figli , venendo generati a tale dignità, non da sangue, né da volere di carne né da volere di uomo, ma dall’amore di Dio, a cui bisogna rispondere purificandosi sempre più e conformandosi a Cristo, suo Figlio.
Paolo, scrivendo agli Efesini, ringrazia Dio per la loro fede e la loro carità e lo prega perché doni loro « uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui » (Ef 3,17). E ancora: « illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi »( Ef 3,18).
Celebrare il Natale di Gesù significa comprendere quali risvolti siamo chiamati a dare alla nostra esistenza, aprendoci alla gioia di avere la solidarietà di Dio nella nostra debolezza e alla speranza di partecipare alla stessa eredità di Gesù.
Ultimo aggiornamento (Sabato 04 Gennaio 2014 17:22)