





La sequela di Gesù.
30 Giugno – 13a Domenica del Tempo Ordinario.
LA SEQUELA DEL SIGNORE.
In questa Domenica il tema del seguire il Signore ci porta a ripensare il nostro essere discepoli di Gesù. Nella prima lettura Dio ordina al profeta Elia, la cui vita sta per finire, di scegliersi come discepolo il giovane contadino Eliseo. Costui imparerà da lui ad essere profeta, e dopo la sua morte continuerà ad essere “ Colui che parla nel nome di Dio ”. Eliseo, che nel campo sta arando con dodici paia di buoi, quando riceve il mantello di Elia, lascia tutto, va a baciare suo padre e sua madre. Prima, però, prende un paio di buoi, li uccide, cuoce la carne, la dà al popolo, e si pone al servizio di Elia.
Alla luce di questo avvenimento dell’Antico Testamento, Luca presenta, nel Vangelo di oggi, Gesù che raduna e istruisce i suoi discepoli sulla loro sequela di lui.
Gesù chiama i suoi discepoli.
Gesù chiama un gruppo di persone a seguirlo e perché diventino suoi collaboratori nel chiamare la gente alla conversione e all’accoglienza del regno di Dio. Alcuni restano ognumo nella propria casa e alla proprie attività, come Zaccheo, Lazzaro, Giuseppe d’Arimatea, Marta e Maria, sorelle di Lazzaro; altri, lasciano tutto: casa, moglie e figli, il lavoro, i beni e lo seguono formando un gruppo itinerante dietro Gesù. Conducono una vita insieme e, contro la mentalità corrente che discriminava le donne dal partecipare alla vita di un gruppo, alcune fanno parte di coloro che seguono Gesù, anche se non con regolarità. Queste si rendono utili con l’assistenza domestica e il sostegno economico. Tra coloro che sono più vicini, un giorno, Gesù ne sceglie dodici, che chiama « apostoli ». Nel CdA è detto che « Gesù è legato profondamente alla comunità dei discepoli, composta da quelli che credono in lui e particolarmente da quelli che stanno anche materialmente con lui: la considera la sua vera famiglia; ne fa il segno pubblico del regno di Dio che comincia ad essere visibile. Chiama i discepoli a manifestare in questo mondo la santità del Padre con una vita di carità. Dovranno essere come una sorta di sale, per dare sapore alla terra; come una città illuminata sul monte, che attrae con il suo fascino tutte le nazioni e le conduce a riconoscere Dio come Padre ». Gesù, certamente, vuole fare affidamento sui suoi discepoli che dovranno continuare la sua opera e manifestare così che il Padre, in lui, vuole farsi compagno dell’uomo.
Quale stile di discepolato?
Il discepolo, nel seguire il Maestro, quali atteggiamenti deve imparare a vivere e ad attuare? Come prima esigenza vie è quella di una pronta obbedienza. Il discepolo non può porre condi- zioni o fissare tempi per attuare la sua sequela di Gesù. Non risponde veramente chi ponesse presupposti, calcoli e condizioni.
Nel Vangelo ci è detto che Gesù, avvicinandosi i giorni della sua morte, vincendo una certa paura, si mette con forza, decisamente, in cammino verso Gerusalemme, dove si compirà la volontà del Padre e, nella sua morte e risurrezione, si realizzerà la salvezza del mondo: così Gesù dice ai discepoli che bisogna confidare in Dio e vincere ogni forma di paura e timore davanti alle difficoltà che la missione a cui li manderà potrà comportare.
Manda avanti a sé messaggeri perché nei villaggi dove Egli passa preparino la sua accoglienza. Un villaggio di Samaritani, nemici tradizionali degli ebrei, rifiuta di accoglierlo perché Gesù va verso Gerusalemme e, davanti alla proposta di Giacomo e Giovanni di chiedere una dura punizione per quelli, Gesù li rimprovera duramen-te. I discepoli del Signore devono ricercare e portare la pace, il perdono.
C’è chi chiede di seguirlo ma non ha preso in considerazione le condizioni che Gesù gli porrà: vivere senza tutte quelle sicurezze terrene e materiali che gli uomini ritengono necessarie per la vita.
Gesù ad uno chiede, perentoriamente, di seguirlo. A costui, davanti alla sua richiesta di andare a seppellire suo padre, Gesù risponde di lasciare le faccende della vita, anche molto importanti, come andare a seppellire il padre, a chi deve adempierle e di andare ad annunciare il regno di Dio. Con ciò Gesù non chiede di rinnegare la famiglia, né insegna di non adempiere ai doveri imposti dai comandamenti, vuole semplicemente insegnare al discepolo a non vivere in mezzo alle esitazioni, ai dubbi, alla mancanza di coraggio o ai tentennamenti, tutti atteggiamenti che possono mettere in pericolo la sua azione di discepolo.
Il Signore chiama ciascuno ad essere suo discepolo secondo la vocazione ricevuta.
Prima Lettura: 1Re 19, 16.19-21.
Eliseo riceve l’investitura e la prerogativa del profeta. La sua vita subisce allora un cambiamento: si distacca dalla sua famiglia e dalla sua vita di prima. Si pone nella piena disponibilità alla Parola di Dio a cui dedicherà la vita. Mettersi al servizio della Parola di Dio vuol dire essere obbedienti e pronti e non ritrarsi da nessun sacrificio.
Seconda Lettura: Gal 5,1.13-18.
Il cristiano è un uomo libero. Non lo impaccia nessun gioco, che non sia quello dell’amore. Ormai – lo ricorda Paolo ai Gàlati – la legge di Mosè con le sua imposizioni non conta più. Né la con dotta dev’essere asservita agli impulsi ai desideri dell’uomo vecchio, quello non ancora redento dalla grazia di Cristo. La guida deve essere lo Spirito Santo, e l’unico comando che riassume tutta le legge è quello dello Spirito. E’ possibile amare il prossimo proprio perché ci è dato il dono dello Spirito. Non senza ironia San Paolo scrive: « Se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri ». Allora come adesso anche nella Chiesa è facile trovare la contesa, il risentimento , l’aggressività. Se tutto questo ha come sua causa « il desiderio della carne », allora non si è liberi ma schiavi.
Vangelo : Lc 9, 51-62
Un primo ammonimento che ci viene dal Vangelo è la mitezza, la pazienza, che non si sostituisce a Dio giudicando e condannando. Invocare il fuoico e la consumazione è spontaneo, ma non è secondo lo spirito di Cristo. Del resto non siamo tutti quanti oggetto dell’infinita pazienza di Dio? Un altro insegnamento è la prontezza, la decisività con cui bisogna seguire Gesù e diventare suoi discepoli. E’ facile lasciarsi condizionare e sorprendere dalla nostalgia dei vari generi di legami. D’altra parte non si deve essere impulsivi nel seguire il Signore: è una via difficile, di disagio, di povertà, di stenti. Bisogna che sia ben forte il vincolo che unisce a lui e la passione di annunziare il Regno di Dio.
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12 Domenica del Tempo Ordinario.
23 GIUGNO – 12a Domenica del Tempo Ordinario.
« Voi chi dite che io sia?»
Nella Parola di Dio del Vangelo di questa Domenica c’è la domanda di Gesù rivolta ai discepoli ma anche a noi: « Voi chi dite che io sia? ».
Il Signore ci invita a pensare e a riflettere su chi è per noi Lui, il Signore Gesù, in cui diciamo di credere. La nostra vita cristiana dipende allora dalla risposta che diamo a questa domanda: è una conoscenza di Gesù solamente culturale, è una abitudine a dirsi cristiani perché per tradizione familiare siamo stati educati così, per cui non abbiamo mai preso coscienza di quello che comporta aver accolto Gesù in noi? La nostra fede deriva da un incontro personale con una persona viva: Gesù Cristo?
Quale è l’identità di Gesù?
Il Cristianesimo è l’aver accolto Gesù e vivere seguendo il suo esempio, non è né un codice di precetti, né una religione e neppure riti e liturgie varie. Chi ha scommesso l’unica vita che ha sulla persona di Gesù sente spesso la necessità di rinfrescare la propria fede in Lui e sulla sua vera identità. Spesso qualche mezzo di comunicazione in modo sensazionale ci dà qualche scoop su Gesù, magari inventando o dando interpretazioni su chi sia, ma dimenticando che gli unici testi che ci parlano di lui sono i Vangeli, che certo bisogna tenere in considerazione se non si vuole fare delle proprie opinioni l’unica e esatta identità di Gesù.
Al di là delle sue fattezze fisiche, Gesù aveva uno sguardo che colpiva chi lo incontrava, come Simone, il giovane ricco, Zaccheo; uno sguardo che parlava e faceva capire che Gesù aveva idee molto chiare e dava insegnamenti precisi e non contestabili. Più che esprimere opinioni i suoi detti erano lapidari, significativi, determinati, non che semplici e persuasivi. Esprimeva una libertà nel parlare e nel frequentare le persone che spesso scandalizzava e amava teneramente i bambini, che sapeva capire, e gli amici come nel caso di Lazzaro, tanto che i Giudei, presenti a Betania, vedendolo piangere per la morte dell’amico esclamarono: « Vedete come l’amava? ». Amava ancora il suo popolo, la sua terra, tanto che piange al pensiero della futura distruzione di Gerusalemme.
Gesù è sì uomo, ma più che uomo.
Davanti a Gesù, l’uomo, specie nel mondo occidentale, si è sempre chiesto: Ma Egli era solo un uomo? Se leggiamo il Vangelo vi troviamo frasi come quella in cui si definisce « Figlio dell’Uomo », per indicare Colui che nella profezia di Daniele è un personaggio misterioso che sarebbe venuto dal cielo e dato compimento alla Storia. Quelli del Sinedrio davanti a questa frase replicarono: « Tu dunque sei il Figlio di Dio? » (Lc22,69-70; Mc 13, 26). Avevano capito bene cosa intendeva Gesù con quelle parole “ Figlio dell’Uomo ”, riguardo alla sua origine divina, per cui lo accusarono di bestemmia. E ancora rivendica il suo potere di rimettere i peccati, come nel caso del paralitico scandalizzando i presenti (Mt9,1-8) o di giudicare l’uomo, come con la donna adultera, che gli viene presentata perché esprima il suo giudizio sulla sua ondanna o meno, e a cui dice: “Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in oi non peccare più ” (Gv 8, 1-11). Così anche altre affermazioni:« Chi dà la sua vita per me la ritroverà... »; « Chi avrò lasciato il padre e la madre, i campi e la casa per me, avrà il centuplo quaggiù, con le persecuzioni e la vita eterna »; e all’apostolo Filippo che gli chiede di mostrargli il Padre, Gesù dice: « Filippo…chi ha visto me, ha visto il Padre...Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?... Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. »(Gv 14,9-11).
Gesù è certamente grande come uomo, ma soprattutto è Dio, perché Figlio di Dio. Egli intendeva questa identità di Figlio non come lo siamo tutti noi, come lo sono tutte le creature. Egli è il Figlio unigenito del Padre, che opera in unità col Padre e compiendo le opere che il Padre gli ha dato da compiere.
Quale risposta da parte di ognuno di noi?
Chi siamo chiamati ad annunziare? Un uomo o l’Uomo-Dio,CristoGesù? Ognigenerazione deve rispondere e fare una scelta di vita come voleva Gesù dai suoi contemporanei. Nessuno può eludere la domanda e la risposta non può che essere personale, una presa di coscienza che ognuno deve maturare da solo, nel silenzio, perché solo così ci si può porre alla sua sequela.
La fede, ricevuta da bambini come dono di Dio in quanto battezzati, non può ridursi solo un dato anagrafico o un atto formale: il contenuto del battesimo, l’ essere figli di Dio e crescere nella vita divina, bisogna farlo proprio, vivendo sì in una cultura cristiana, che da sola non è sufficiente, ma divenendo sempre più testimoni autentici del Signore, morto e risorto. Gesù non è solo un dato culturale o storico.
La fede in Gesù ci chiede di vedere le cose che non sono visibili umanamente in lui, la capacità di andare oltre il dato storico, un’apertura al dato spirituale e celeste dell’opera e della persona di Gesù Cristo.
Il nostro pensiero cristiano moderno e occidentale, spesso ha allontanato dalla vita concreta il problema di Dio e di Cristo, relegandolo in speculazioni razionali storiche,esegetiche e teologiche a volte lontane dalla realtà storica di Gesù e dalla nostra. In ogni forma di esperienza religiosa, il credente deve essere cosciente della presenza diCristo nella propria vita, presenza che sia più conforme alle esigenze evangeliche e secondo una perenne testimonianza ecclesiale, per allontanare i tanti ostacoli ad una risposta autentica di fede e non cadere in un facile relativismo religioso fatto, a propria misura, da ognuno. La risposta di fede a Dio, mediante Cristo, che la Scrittura, esalta come unico mediatore tra Dio e gli uomini, deve investire tutta la vita personale, immergendola nella verità di Cristo e vivendola nella comunione con Dio. Scrive D. Maria Turoldo: « L’uomo e Cristo stanno di fronte come il problema e la sua soluzione, come il desiderio e la sua soddisfazione, solo chi trova in Cristo la soluzione del suo problema, la soddisfazione del suo desiderio, è salvo ».
Prima Lettura: Zc 12,10-11,13.
Un figlio trafitto, primogenito, che come vittima diviene motivo di pentimento e di salvezza, mentre viene effuso lo spirito. è segno dei tempi del Messia. Ora sappiamo bene chi sia quel trafitto dal quale viene uno “ spirito di grazia e di consolazione, che trasforma il cuore e lo rigenera. E’ il Cristo crocifisso dinanzi al quale avviene la conversione.
Ci si va dicendo che oggi il senso del peccato è scaduto: per poterlo riavere non servono pure considerazioni sociologiche ; non basta neppure la constatazione delle ingiustizie sociali: occorre riandare a Colui che per il peccato è morto in croce, e che nella sua morte ha meritato il dono dello Spirito Santo che purifica e riconcilia con Dio.
Seconda Lettura: Gal 3,26-29.
Chi crede diviene figlio di Dio, poiché credere è affidare se stessi a Dio, nell’abbandono assoluto della propria esistenza. Per questa confidenza agisce la grazia che ci rende figli di Dio. Essa opera nel battesimo, dove l’uomo imita la morte di Gesù e ne riceve i frutti; dove rivesta – come dice Paolo – Gesù Cristo e quindi diventa con lui figlio del Padre celeste. Attraverso il battesimo, lavacro di rigenerazione, passa in noi la vita di Dio, che ci assimila a lui e ci rende sue immagini viventi. Per questa figliolanza le divisioni scompaiono, gli steccati che ci dividono e ci oppongono crollano. Siamo fatti uno in Cristo Gesù. Figli di Dio, dunque fratelli tra noi e se fratelli dobbiamo volerci bene. Questo dovrebbe essere il nostro quotidiano impegno di testimonianza dei valori spirituali della nostra fede.
Vangelo: Lc 9, 18-24.
Anche a noi Gesù oggi chiede, come un tempo ai discepoli, chi egli sia per noi. E’ per noi Gesù, come per Pietro e gli altri, il Cristo, il Figlio di Dio? Il Vangelo ci chiede di rinnovare la nostra fede in Lui e adeguare la nostra testimonianza secondo una fede personale, autenticamente evangelica, ecclesiale ed esistenziale.
XI DOMENICA T.O.:Poichè ha molto amato è perdonata.
16 GIUGNO – 11a Domenica del Tempo Ordinario.
« POICHE’ HA MOLTO AMATO E’ PERDONATA »
In questa Domenica, nella relazione che Gesù pone con il fariseo Simone e la donna peccatrice, siamo chiamati a contemplare l’amore di Dio che perdona quando si ama molto. Gesù è stato invitato da Simone perché vuole ascoltarlo insieme ai suoi amici, per conoscerlo, lo chiama « Maestro », e non contesta le sue parole. Essendo, però, della classe dei farisei, che comincia a guardare Gesù con sospetto, Simone non gli offre i gesti cortesi della ospitalità come si usa verso gli ospiti di riguardo: il bacio all’entrata, il lavargli i piedi attraverso i servi, ungergli di profumo il capo. Egli, come buon fariseo, osservante dei precetti della legge, non si considera peccatore come quelli a cui Gesù annunzia la conversione. Simone si considera, più che figlio che ama Dio come padre, come un osservante della legge anche nei minimi dettagli e, quindi, si sente a posto con la propria coscienza.
Nel confronto con gli altri, che sono poveri e miseri peccatori, egli si stima come persona giusta e, perché no, anche migliore di questi e di tanti altri. Avverte un certo disagio per quella donna peccatrice che è entrata nella sua casa e compie gesti non gradevoli ai suoi e agli occhi degli altri ospiti. Gesù, a lui come agli altri farisei, rimprovererà, entrando in contrasto con essi, proprio il peccato di superbia, il peggiore, la chiusura egoistica, il disprezzo dei fratelli. Essi non si sen- tono nemmeno peccatori, per cui non viene loro nemmeno in mente di chiedere perdono a Dio.
L’incontro con la donna peccatrice.
La donna, conosciuta per la sua vita non corretta, sa di aver vissuto una vita di peccato, ma ha ascoltato l’invito di Gesù alla conversione, a ritornare all’amore di Dio, che come un pastore cerca la pecora perduta, e che, trovatala, più che punirla, se la pone sulle spalle e fa festa con gli amici per averla ritrovata. Ha sentito Gesù parlare di Dio come un padre che aspetta con pazienza il figlio, che si è allontanato da casa, e quando torna fa festa per averlo ritrovato. Così la donna ha riscoperto l’amore per questo Dio che la sta aspettando, e piangendo per la sua vita disordinata, chiede perdono per i suoi molti peccati.
Verso Gesù, che le ha rivelato che Dio è amore e misericordia, ella vuole compiere un gesto di riconoscenza e vuole avvicinarsi a lui. Ma come potersi avvicinare a Gesù, lei che è riconosciuta come « pubblica peccatrice ? ». Piena di coraggio sfida l’opinione di quella gente per bene, entra nella casa di Simone, e, avvicinandosi a Gesù, si inginocchia ai suoi piedi, scoppia in pianto, gli bagna i piedi con le lacrime e li asciuga con i suoi capelli. E come se non bastasse questo gesto di profonda umiltà glieli unge con un profumo prezioso. Simone con i suoi ospiti si indignano, perché Gesù si lascia toccare da una donna di tal genere. Perché, si chiedono, se è un profeta, dovrebbe sapere che razza di donna è quella che lo tacca e, dovrebbe scacciarla, invece di permetterle di compiere quei gesti.
« L’Amore copre una moltitudine di peccati ».
Attraverso la breve parabola dei due debitori, che dovevano ognuno verso un unico creditore, uno cinquecento denari e l’altro cinquanta, a cui, non avendo essi di che restituire, viene condonato loro il debito, Gesù chiede a Simone chi dei due amerà di più quel creditore.
Avendo Simone risposto: « Suppongo sia colui al quale ha condonato di più », Gesù gli fa capire che egli, credendo di non avere nulla da farsi perdonare da Dio, lo amerà di meno, a differenza della donna, che sentendosi una grande peccatrice e avendo molti peccati da farsi perdonare, certamente amerà di più Dio di lui e lo ringrazierà maggiormente della sua misericordia verso i peccatori. A differenza di lui, che non l'ha accolto con gentilezza, la donna ha dimostrato un grande amore per Dio e per Gesù, avendo compiuto gesti più proporzionati al perdono che ha ricevuto. Il Signore allora conclude con una sentenza che è valida per tutti: « Poiché ha amato molto, molto le viene perdonato ». Così Gesù riafferma quel grande e unico comandamento:
« Amate tanto Dio e amatevi tanto tra voi. Questa è tutta la legge ». San Giovanni Crisostomo soleva dire ai cristiani:« Se vuoi essere perdonato, ama. L’amore copre una moltitudine di peccati ». Anche nel Salmo responsoriale Davide canta che ciò che conta è credere nell’amore di Dio e amare. Il perdono di Dio è vissuto nella capacità di sentirsi amati gratuitamente, al di là dei propri meriti, nonostante tutte le debolezze umane. E questa è l’esperienza più grande che possiamo fare dell’amore di Dio. Nel sacramento della riconciliazione Dio offre a noi questo dono di grazia e il peccatore rinnova il suo incontro con Gesù e con il Padre celeste. A Lui, allora, offriamo le nostre lacrime, il nostro pentimento, il nostro ringraziamento, sicuri che il Padre ci riaccoglie con il suo abbraccio paterno: siamo riconciliati con Dio e rinnovati nella vita divina della sua grazia.
Santa Teresina di Lisieux e la « piccola via « dell’amore.
Questa santa, morta giovanissima, aveva capito profondamente il pensiero di Gesù e che l’unica cosa importante era l’amore, tanto da scrivere: « Gesù non bada tanto alla grandezza delle azioni che facciamo, neppure alla loro difficoltà. Guarda invece all’amore che ci fa fare quelle azioni… Non si tratta di cercare gli atti più difficili, ma di vivere con amore tutte le situazioni quotidiane ». Scriveva ancora: « Quando non sento nulla, quando sono incapace di pregare, quello è il momento di fare quelle cose da nulla che piacciono a Gesù più della conquista del mondo: per esempio “un sorriso”, “una parola gentile”, anche quando non ne ho proprio voglia ». La vita semplice di Santa Teresina non contiene miracoli, ma è una vita vissuta nella sua normalità, segnata da una grande amore per Dio e le sue sorelle nelle piccole azioni di tutti i giorni: voleva essere nella Chiesa il cuore pulsante di amore per Dio, Gesù e gli uomini. Attraverso questa “piccola via” santa Teresina ha raggiunto in brevissimo tempo un alto grado d santità.
Prima Lettura: 2Sam 12,7-10.13.
Natan, in maniera ferma, lucida e inflessibile, accusa e condanna il re Davide per i suoi peccati di adulterio e di omicidio. Ma la condanna non è l’ultima parola: questa è lasciata alla misericordia, dal momento che il re riconosce la sua colpa e si pente. Egli, avendo fatto male agli uomini, ha peccato contro Dio, e in questa offesa Davide riconosce la ragione della gravità della colpa: poiché in ogni uomo è presente Dio e ogni peccato è mancanza di fedeltà a lui. E’ Dio che gli rimette il suo peccato. Noi guardiamo a Gesù crocifisso, che versa il suo sangue, presente in ogni eucaristia, per la remissione dei peccati. Dal perdono deve sgorgare una vita nuova, nell’intima beatitudine di essere riconciliati.
Seconda Lettura : Gal 2,16.19-21.
Dice San Paolo che siamo salvati perché siamo in comunione con Cristo crocifisso e perché siamo entrati in intimità di viva e reale con lui: « Non vivo più io, ma Cristo vive in me ». Questa è la fede e la grazia: in noi vive il crocifisso come pegno della vita risorta. Per questa unione siamo giustificati, amati e nella sua morte si è conse- gnato a noi con un gesto infinito di amore. Pensiamo che possiamo salvarci da soli, noi deprezziamo e annulliamo il valore salvifico del Sacrificio di Gesù. Non distogliamo mai lo sguardo dalla croce se vogliamo essere salvati.
Vangelo : Lc 7,36-8,3.
Gesù perdona alla donna pentita dei suoi peccati perché riconosce di essere peccatrice e, esprime il suo ringraziamento attraverso gesti concreti, come segno del suo molto amore perché ha avuto perdonati molti peccati. Il fariseo Simone non può capire il perdono, perchè non è cosciente delle sue colpe e non si sente peccatore. Per questo non riceve la grazia fatta alla peccatrice, perché, sentendosi pulito e giusto, ha il cuore chiuso all’amore. La sventura più grande che possa accaderci è quella di sentirsi giusti, non bisognosi di misericordia.
CREDERE NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE GESù.
Ultimo aggiornamento (Sabato 08 Giugno 2013 19:26)
Solennità del CORPO E SANGUE DEL SIGNORE.
2 Giugno – Solennità del Corpo e Sangue di Cristo.
Il Pane di Dio dato agli uomini.
La vita degli uomini soffre speso la precarietà: senza lavoro, immersi spesso nella sofferenza, con delusioni, insuccessi, tristezze, angosce, calamità, ecc. Chi può soddisfare la fame che l’uomo ha di una vita migliore?
Il pane e le cose necessarie per la vita materiale dell’uomo sono problemi di giustizia sociale, che possono risolversi con maggiore equità distributiva delle risorse della terra, riducendo o azzerando il debito dei popoli poveri verso quelli più benestanti, rispettando la vita e la dignità di ogni individuo e essere umano. Tutte queste proclamatiche possono essere risolte con il solo sforzo dell’uomo? L’uomo senza Dio non si sente forse più fragile, angosciato, senza speranza e affamato non solo di beni materiali, ma anche di realtà spirituali che lo appaghino in maniera più duratura? Non basta, per i credenti, avere tavole più imbandite per sfamarsi, bisogna avere anche il coraggio di accedere alla mensa di Dio per non avere più fame.
Il pane di Dio è quello disceso dal cielo.
La fede e la parola di Dio ci fanno riconoscere il pane quotidiano come dono di Dio e per questo lo ringraziamo. Esso è dono della sua provvidenza, ma anche « frutto della terra e del lavoro dell’uomo ». Il credente sa che dipendiamo da Dio e lui ci ha donato ogni cosa: la vita, il mondo, la terra e ciò che essa produce. Ogni cibo è preparato, certo, dalle mani dell’uomo, ma è anche preparato dalla Provvidenza di Dio, il quale, dice Gesù « sa di ciò di cui abbiamo bisogno…poiché Egli fa crescere i gigli del campo e nutre gli uccelli del cielo » (Mt 6).
Nella prima Lettura della Parola di Dio di quest’oggi, Melchisedek offre ad Abramo pane e vino, come segno della benedizione di Dio, per avergli messo in mano i suoi nemici; Elia, il profeta, nel suo cammino lungo il deserto, viene sfamato da ciò che l’angelo gli appresta, per ben due volte, perché è lungo il cammino che deve affrontare fino all’Oreb, il monte di Dio; Gesù moltiplica i pani per sfamare la folla perché possa seguirlo nel deserto, ma soprattutto perché gli uomini capiscano che il pane del cielo che Egli avrebbe dato, è quello che essi devono ricercare per giungere alla risurrezione e alla vita.
Gesù risorto offre il pane e il pesce arrostito perché lo riconoscano e ai due discepoli di Emmaus spezza il pane perché lo riconoscano in quel gesto come « il pane disceso dal cielo che viene offerto come nutrimento da Dio ».
Se il pane materiale è segno della benedizione e della provvidenza di Dio per l’uomo e del dovere di dividere il nostro pane con chi è affamato, Gesù ci dà la sua Parola, il Corpo e il Sangue come cibo e bevanda di vita eterna per alimentare nel nostro spirito la vita divina; ci comunica il suo amore per la salvezza delle nostre anime e il suo Spirito come luce e forza per camminare fino al cielo.
Gesù è il vero pane del cielo che Dio ci dà.
Gesù nell’Eucaristia, come ha fatto nell’Ultima Cena prima di morire, ha dato se stesso come cibo di vita. Il mangiare, allora, il suo Corpo e bere il suo Sangue, non è compiere un rituale magico, in cui mangiamo carne e beviamo sangue, ma è un condividere la sua stessa vita, perché carne e sangue sono la sua stessa persona. Come durante un pasto che si condivide con gli amici e i parenti si esprime l’amicizia e l’amore dello stare insieme, così Gesù, nella sua Cena pasquale, ha espresso il desiderio che i discepoli diventino, quando fanno la sua memoria e mangiano il pane e il vino, che egli trasforma nel suo Corpo e Sangue, una cosa sola con lui, uniti dagli stessi sentimenti, dal medesimo stile di vita e orientati all’amore del Padre. Mangiare di questo pane, che è Gesù stesso, significa condividere la sua morte e la sua risurrezione e avere il pegno e l’anticipazione della vita eterna.
Dal pane terreno, che ci aiuta a vivere e risolvere il problema della nostra quotidiana sopravivenza, mantenendoci in buona salute e nella gioia di vivere in fraternità, Gesù ci chiede di passare a mangiare il suo Pane, con cui ci aiuta a raggiungere lo scopo per cui esistiamo: ritornare a Dio. Il cristiano, che vive e crede in Gesù, munito della sua forza e del suo Spirito. realizza anche la sequela di Lui nel dono della propria vita al Padre e nell’amore condiviso con i fratelli.
L’Eucaristia è il pane della condivisione.
Luca, nell’episodio della moltiplicazione dei pani distribuiti alla folla, ha ben presente questo rito compiuto dagli Apostoli nella Chiesa primitiva. Il Signore prende ciò che gli apostoli gli offrono e con questo gesto di solidarietà trasforma la condivisione in un gesto di amore e tutti mangiano a sazietà. Partecipare, allora, all’Eucaristia e non nutrirsi del pane eucaristico non è segno pieno della condivisione della vita di Gesù, vita offerta al mondo per amore e al Padre per obbedienza. Non partecipare pienamente dell’Eucaristia significa svuotare il rito di quello per cui è stato istituito. Partecipare alla Cena del Signore e non condividere il pane del nostro tempo, delle nostre gioie e fatiche, del nostro amare ogni giorno con tutti, mettendosi a disposizione degli altri, significa non accogliere Gesù, pane disceso dal cielo.
Come non si può vivere senza pane, così non si può vivere senza amore e soprattutto non si può vivere senza accogliere Gesù nella nostra esistenza quotidiana, in cui dobbiamo mettere in pratica la sua Parola e il suo Amore.
Prima Lettura : Gn 14,18-20.
L’offerta del pane e del vino da parte di Melchisedek - figura misteriosa che appare nel Vecchio Testamento – è una profezia, un preannunzio dell’offerta che verrà fatta dal vero Sommo Sacerdote, Gesù, costituito tale, come dice la Lettera agli Ebrei, non secondo l’ordine levitico, ma secondo l’ordine di Melchisedek, sacerdote del Dio Altissimo. Gesù, immolandosi sulla croce compirà questa offerta, e nei segni del banchetto eucaristico consegnerà se stesso con il suo Corpo e il suo Sangue, in sua memoria, come cibo di vita eterna.
Seconda Lettura : 1 Cor 11,23-26.
L’Eucaristia non è stata inventata dalla Chiesa. Essa la riceve dalla tradizione, cioè dal Signore stesso. E’ lui che nella notte in cui veniva tradito, ha consegnato ai discepoli il suo Corpo e il suo Sangue in sacrificio nei segni del pane e del vino, comandando loro di fare questo gesto in sua memoria. Il cibo e la bevanda eucaristica ci affidano la morte del Signore, la grazia di questa morte che ci ha redenti. Con l’Eucaristia entriamo a far parte dell’alleanza con Dio che Gesù ha reso possibile e ha confermato con il suo Sangue e il suo amore. Tutto questo deve essere vissuto il più degnamente possibile realizzando anche gesti di comunione con i fratelli.
Vangelo : Lc 9,11-17.
Gesù invita, come leggiamo nel Vangelo, gli apostoli a dividere alla folla del pane che però essi non hanno: lo fa Gesù moltiplicando i pani e i pesci di cui essi dispongono. Dopo aver reso grazie e averli spezzati tutti ne mangiano e sono saziati. Questa moltiplicazione preannunzia già l’Eucaristia, ciò che Gesù farà nell’ultima Cena e che Egli ha affidato agli Apostoli e alla sua Chiesa, dove a essere distribuiti non sono dei semplici pani e pesci, ma lo stesso Corpo del Signore. Gesù ci sazia con il dono di sé tramite il ministero della Chiesa, che continua al suo posto a sfamarci del pane della Vita.