Il cammino pasquale della Comunità.
28 Aprile – 5a Domenica di Pasqua.
Il cammino pasquale della Comunità,
Se vogliamo capire chi è Gesù, quale identità di Dio egli ci rivela, possiamo comprendere tutto questo attraverso la contemplazione del Crocifisso, che è la massima espressione con cui Dio ci ha amato, perché non ha risparmiato neppure il suo unico Figlio, in quanto lo ha dato per tutti noi. Se Dio, in Cristo Gesù, ci ha amati sino alla fine, l’amore autentico dell’uomo verso Dio lo ha manifestato Gesù, che ha avuto una fiducia totale nel Padre da spendersi completamente per noi).
L’amore di Gesù per noi ci è stato manifestato in un dono totale che egli ci ha fatto fino a farsi crocifiggere per noi. Quello di Dio, in Gesù, non è un amore del tento-quanto, ma è un dono totalmente gratuito e basta. Nella croce il cristiano trova il modello della sua risposta di amore a Dio, perché la croce gli manifesta quanto Gesù lo ha amato: si è donato fino alla follia, sebbene incompreso e abbandonato anche dai suoi intimi. Il suo dono incondizionato apre il cammino verso la reciprocità dell’amore da parte dell’uomo. La comunità cristiana nasce perché il Crocifisso è risorto e, mediante il suo Spirito, convoca coloro che si lasciano trafiggere il cuore dopo il racconto che Pietro fa degli eventi di Gesù. Quella di Cristo è l’unica strada che i cristiani devono seguire per realizzare una profonda reciprocità di amore con il loro Signore.
La Comunità si consolida
Se Domenica scorsa la Parola di Dio ci ricordava la sua efficacia nel portare i suoi frutti a tempo e a modo propri, nonostante il rifiuto che l’uomo può opporre, nella lettura degli Atti di oggi, attraverso le azioni di Paolo e Barnaba, che ritornano, attraversano,raggiungono, scendono, arrivano…non solo ci viene descritta la loro azione missionaria, ma ci viene detto della Parola che essa è una realtà dinamica che raggiunge gli uomini nella loro vita concreta.
Paolo e Barnaba, dopo aver fondato le comunità in alcune città, vi ritornano per « confermare i discepoli, esortarli a restare saldi nella fede », cioè a consolidare le Comunità del Signore essendo esse ancora comunità giovani e da poco fondate. In queste si viveva il paradosso del Regno di Dio inau-gurato da Gesù, regno che registra anche opposizioni interne alle stesse comunità: in esse è viva la tentazione di pensare che la presenza del Regno elimini le prove e le difficoltà della vita. Le tribolazioni invece sono presenti, in questa esistenza terrena, come normali prove che i discepoli del Signore devono affrontare e superare quotidianamente così da restare saldi nella fede lungo il cammino della vita verso il Regno promesso.
L’esistenza e la vita del cristiano è, allora, sempre sotto il segno della certezza che il Regno opera anche in maniere nascosta, come il lievito, ma vi è contemporaneamente la tentazione di credere che la potenza del Vangelo scavalchi la storia concreta è anche presente.
Affinché le Comunità possano perseverare e consolidarsi nella fede i due missionari costituiscono alcuni anziani, che, se è il tentativo di strutturare le comunità, dall’altra le dovranno guidare per non deviare dalla retta fede. Su di essi impongono le mani e li affidano alla protezione del Signore.
Così la loro vita e la loro azione devono appartenere esclusivamente al Signore ( nel loro servizio di capi essi devono essere sottoposti al Signore e porsi al servizio dei fratelli ). Inoltre, viene espressa la convinzione che la vera guida delle comunità resta sempre in definitiva il Signore. Vi è espressa la logica che nelle Comunità cristiane più che quella del potere, deve regnare quella del servizio come aveva detto Gesù, che era venuto per servire e non per essere servito. Questa del servizio dovrebbe distinguere le comunità cristiane da ogni altra organizzazione umana e sociale.
La comunione tra le Chiese.
Nel ritornare ad Antiochia Paolo e Barnaba raccontano « tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro ». E’ un fatto importante della missione che il missionario che è stato mandato, ritornando racconti la sua esperienza e ciò che la grazia di Dio opera negli uomini per mezzo loro. La narrazione della missione diviene cosi esaltazione dell’opera di Dio, delle grandi e mevigliose cose che Dio compie nella storia e non l’esaltazione degli sforzi compiuti dai credenti. I discepoli, ci narra Luca nel Vangelo, inviati da Gesù, ritornando raccontano pieni di gioia che anche i demoni si sottomettono a loro nel suo nome. Se si raccontano le opere dei missionari è per narrare ciò che Dio compie non ciò che l’uomo opera, perché quello che è accaduto è un dono di Dio e, poiché è dono, esso deve diventare lode a Dio e condivisione. Inoltre ciò che Dio compie in un luogo deve diventare un insegnamento per tutti ed edificazione della comunità che deve aprirsi alla presenza attiva di Dio. L’esaltazione della propria opera non sarebbe” la lieta notizia” ma solo celebrazione della propria vanità.
Prima lettura : At 14,21-27.
Paolo e Barnaba esortano i discepoli del Signore a « restare saldi nella fede ». Non mancano le tribolazioni che la possono mettere alla prova e in pericolo. Ma le sofferenze sono necessarie per entrare nel Regno di Dio. Le comunità fondate sono affidate agli anziani perché essi svolgano un servizio verso la comunità del Signore. Chi presiede non sostituisce il Signore Gesù, ma lo rende come visibile. Una Chiesa c’è e vive in virtù della grazia che sola genera la santità. Essa non è visibile, ma opera nell’intimo dei cuori.
Seconda Lettura : Ap 21,1-5.
La nostra vita non ci è data per viverla sempre su questa terra ma il Signore ci darà un nuovo cielo e una nuova terra. Verrà la santa Gerusalemme dove Dio sarà in intima comunione con gli uomini, dove ogni sofferenza scomparirà e passerà ogni lutto. E’ questo un ideale lontano, un sogno? Nient’affatto. Attraverso l’immagine del cielo e della terra nuova, delle cose di prima che passano e delle altre che sono fatte, ci viene detto che una nuova condizione ci attende, di cui non abbiamo ancora esperienza ma che svrà la pienezza della redenzione: la risurrezione di tutti in Cristo per essere partecipi della vita eterna.
Vangelo: Gv 13, 31-33.34-35.
Il vangelo ci parla della glorificazione di Gesù da parte del Padre, che viene così glorificato dal Figlio per la sofferenza e la croce che egli accetterà come compimento della sua volontà. Per l’uomo la croce è fallimento e ignominia: per il Signore e secondo il disegno di Dio essa è glorificazione. Con la croce Cristo redime il mondo: essa è strumento e passaggio per la risurrezione. Il comandamento nuovo che Gesù dà ai suoi discepoli è segno di appartenenza a Cristo e deve essere distintivo di coloro che vogliono seguirlo. Non possiamo non amarci dopo che Gesù sulla croce ci ha amato. E questo av-viene come risultato della comunione a quell’amore di Gesù che è presente e condiviso nell’ Eucaristia.
Dio ci fa dono della vita eterna.
21 Aprile – 4a Domenica di Pasqua
Dio ci fa dono nel suo Figlio della vita eterna.
Nella Parola di Dio di questa domenica il tema è la promessa della Vita eterna. Per tutti gli uomini, senza distinzione, vi è l’annuncio della risurrezione quale dono di speranza. Gli apostoli portano questo annuncio a tutte le genti e nel libro dell’Apocalisse ( 2a lettura) ci viene presentato il progetto di Dio per la storia: un’immensa moltitudine di quelli che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello è radunata davanti al trono di Dio e dell’Agnello. Il Pastore che ha dato la vita terrena per le sue pecore le ha unite per sempre a sé donando loro la vita eterna.
L’eternità, allora, possiamo immaginarla come l’unità in Dio di tutte le genti nella pace e nella luce della Verità di Dio. Questo futuro in Dio e il riconoscimento del dono della vita eterna di cui Dio ci fa partecipi caratterizzano ancora troppo poco la vita della Chiesa. Sperimentiamo, forse, con molta facilità il sentirsi legati a tradizioni e certezze del passato, piuttosto che sentirsi impegnati nello sperimentare linguaggi nuovi della fede, o nuovi cammini di testimonianza. L’essere aperti alla novità del Vangelo dovrebbe orientare le comunità cristiane verso la realizzazione di un mondo nuovo e rinnovato con la prospettiva dell’eternità. La Parola di Dio, oggi, ci preannuncia quale è il destino dei battezzati e li impegna a vivere attivamente e a costruire un mondo rinnovato nell’amore, preludio e anticipazione di quello futuro dell’eternità.
Rifiuto e accoglienza del messaggio di Cristo risorto.
Se la predicazione del messaggio di Cristo, da parte di Paolo e Barnaba, suscita l’accoglienza entusiasta dei pagati che se ne rallegrano da una parte, dall’altra vi è la gelosia e la reazione violenta dei giudei tanto da cacciarli dal loro territorio. Così i lontani accolgono l’annuncio e i vicini lo rifiutano.
La Parola di Dio che viene annunciata da Paolo e Barnaba convoca la folla, è glorificata dai pagani e si diffonde in tutta la regione. La Parola ha una tale forza in sé che porta frutti secondo una sua logica interna: questa indica il senso dell’apertura ai pagani, che come dice il profeta Isaia, è « luce » per tutte le genti e portatrice di « salvezza fino all’estremità della terra » (Is 49,6). L’annuncio della Parola del Vangelo , per il nuovo Testamento, ha una priorità da mantenere: deve essere prima portato al popolo eletto, depositario delle promesse di Dio, perché, accettando il Messia e mettendosi al suo servizio, esso potrà essere « luce delle genti » chiamandole a condividere a loro volta la salvezza realizzata da Dio. Di fronte al rifiuto, però, gli apostoli si rivolgono a quelli a cui questo messaggio deve essere ugualmente rivolto, affinché il disegno salvifico di Dio si compia per tutte le genti. L’apertura ai pagani, portando loro l’annuncio della salvezza, diventa la realizzazione del comando di Gesù di andare in tutto il mondo e di predicare a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati e di battezzarli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così la storia e l’opera di Gesù continua nella storia e nell’opera della Chiesa. Il compito di essere luce del mondo e salvezza dei pagani è passato ora in mano agli apostoli e a coloro a cui lo trasmetteranno: alla Chiesa tutta, ai discepoli che nella fedeltà a quell’annuncio continueranno l’opera di Gesù. Né d’altra parte le difficoltà e le persecuzioni spaventa-no i cristiani o arrestano la corsa della Parola di Dio: questa trae la sua forza e l’efficacia non tanto dall’accoglienza di coloro a cui è rivolta, ma essa è feconda in se stessa se la si accoglie con cuore pronto e sincero.
La fedeltà di Dio.
Il Vangelo ci offre la stessa prospettiva: coloro che accolgono la parola di Gesù sono da lui definiti con la similitudine del gregge, di cui Egli è il buon Pastore. Come il rapporto tra il pastore e il gregge è vissuto dal primo con fedeltà e amore, tanto da dare la sua vita per il secondo per difenderlo, e dal gregge a sua volta deve esserci l’ascolto e la sequela, così è da parte di Cristo e dei cristiani. Come il pastore è dalla parte delle pecore e queste non devono temere nulla, così Cristo « dà la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla sua mano ».
L’efficacia della Parola, la certezza che Dio accompagna l’agire dei credenti nonostante tutte le smentite e le avversità, la certezza di una storia che avrà la sua pienezza sotto il se- gno della benedizione di Dio devono farci superare qualsiasi titubanza nell’affidarci alla logica evangelica e nel vivere la nostra fedeltà a Cristo.
Prima Lettura: At 13,14.43-52.
C’è chi respinge la salvezza e chi invece l’accoglie, chi si chiude e chi si apre alla luce; chi bestemmia e chi è pieno di gratitutine e di gioia. Vediamo di stare con i secondi, di rallegrarci per essere cristiani e discepoli del Signore; di riflettere anche al dono che ci viene fatto, impegnandoci a « perseverare nella grazia di Dio ». Non è sufficiente aver ricevuto all’inizio la sal-vezza; occorre perseguire, vincendo le tentazioni della stanchezza e della mediocrità di fronte agli ostacoli nell’essere cristiano coerenti. Voler essere fedeli costa non poco, Ma Cristo per redimerci è morto in croce.
Seconda lettura: Ap 7,9.14-17.
Gesù è insieme agnello e pastore: agnello nel cui sangue sono lavate le colpe; pastore, alla cui guida si giunge alle « fonti del-le acqua della vita ». Giovanni apre uno squarcio sulla vita celeste: vi ritrova i martiri passati dalla tribolazione, puri dal peccato e ormai nella gioiosa comunione con Cristo. Tutti sia-mo chiamati a rendere monda la nostra vita, a essere fedeli a Cristo nella prova, a vivere la speranza ossia l’incrollabile certezza che alla sofferenza, alla passione, seguirà la consolazione. Così tutti siamo chiamati a questa gloriosa comunione.
Non c’è distinzione di razza o di lingua. Cristo è redentore e Signore universale. Intanto attingiamo alle acque della vita con i sacramenti e in particolare con l’Eucaristia, dove abbiamo il Sangue che lava e lo Spirito che disseta.
Vangelo Gv 10,27-30
Gesù chiama gli uomini alla salvezza: li conosce profondamente e dona per loro la sua vita. E’ il modo singolare con cui egli è pastore. Un legame profondo li unisce a lui e alla tenacia del suo legame nessuno li può strappare. Questa presenza del Cristo tra gli uomini, questa sua carità, rispondono al progetto di Dio che affida a Gesù l’umanità da redimere attraverso quest’intima unione. Ma Cristo, che ricevendola dal Padre lo proclama « più grande di tutti », è « una cosa sola » con il Padre , è lo stesso Dio. Questa appartenenza a Cristo e questa forza del vincolo di carità che a lui ci stringe sono il fondamento dell’abbandono e la ragione per cui non ci lasciamo disarmare da nessun evento e da nessuna disavventura.
IL RISORTO ILLUMINA E GUIDA LA STORIA.
14 Aprile – 3a Domenica di Pasqua.
Il Risorto illumina e guida la storia.
La testimonianza data al Risorto davanti alle autorità religiose e al Sinedrio dagli Apostoli, come leggiamo nella Prima Lettura dagli Atti. permette a Pietro di ribadire che essi non potevano obbedire loro e disobbedire a Dio. Essi non possono tacere ciò di cui sono testimoni e, cioè, che Colui che essi avevano crocifisso, « Dio lo ha risuscitato e lo ha innalzato alla sua destra come capo e Salvatore, per dare ad Israele conversione e perdono dei peccati ». Pietro e gli apostoli ristabiliscono i giusti criteri con i quali rapportarsi alla realtà: Dio, la verità e la coscienza vengono prima dell’autorità.
L’autorità umana, qualunque essa sia, non può arrogarsi il diritto di Dio, perché, come disse Gesù a Pilato, questi non avrebbe avuto alcun potere su di Lui se non gli fosse stato dato dall’alto. Il Signore risorto rende i discepoli liberi di quella libertà che costa, come è costata a Cristo: il potere umano, sconfitto sul piano della verità, ricorre alle minacce e alle vessazioni, perché " li fecero flagellare e ordinarono loro di non insegnare più nel nome di Gesù".
La visione dell’Apocalisse, della Seconda Lettura di oggi, che è una solenne liturgia di lode a Dio e all’Agnello « immolato, che è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione » rappresenta la conclusione della storia della salvezza e la vita nella Risurrezione di Cristo e dell’innumerevole schiera celeste dei redenti.
Questi due momenti della celebrazione della Parola di Dio di oggi si associano nella liturgia eucaristica in cui tutti noi siamo uniti, indipendentemente dalla nostra realtà sociale, dalla nostra vocazione e dalla cultura, per testimoniare il Signore risorto nella nostra vita e unirci alla lode che in cielo si eleva a Dio e all’Agnello immolato nella liturgia escatologica.
Entrambe queste due realtà, la lode del cielo e l’anticipo dello splendore celeste di cui godremo, celebrato nella liturgia eucaristica qui in terra, sono intimamente connesse, poiché la Chiesa terrestre e quella celeste celebrano l’unico mistero di Cristo morto e risorto. Come a Pietro, ad ogni battezzato è conferita l’investitura della missione di testimoniare l’annuncio del Cristo risorto, annuncio che può creare vivaci dibattiti e far sorgere qualche timore, ma che bisogna fare con lo stesso coraggio apostolico. Siamo chiamati a rendere conto della speranza che è in noi. Siamo coloro che devono annunciare la vita eterna, la vita in Dio, la fine del peccato e della morte.
Cristo risorto alimenta nell’uomo la speranza che dà forza alla vita. Il mondo chiede al cristiano di dare senso al dolore, ai fallimenti della storia umana, alla morte come realtà ultima di questa esperienza terrena.
Memoria dell’Agnello immolato.
L’uomo, da sempre, è stato dibattuto tra il senso della sua vita, la sua voglia di vivere e l’amara constatazione che tutto termina con la morte. Gesù, il crocifisso, solo Lui che è morto e risorto, come ci dice l'Apocalisse, può svelarci il senso profondo della storia dell’umanità. Nella prospettiva di Cristo, nella sua vicenda di morte e risurrezione, possiamo comprendere come vanno le cose nella loro realtà più profonda. Ricordando la vicenda di Gesù, allora, comprendiamo che il disegno di Dio è sempre combattuto tra le forze del male che sembrano prevalere ( la Croce) e la potenza di Dio che in Cristo, primizia di risurrezione, ci dice l’ultima parola: al peccato Dio contrappone il perdono, alla morte e alla distruzione fisica, la risurrezione
La via dell’amore, del perdono, del martirio e una via di Crocifissione, ma non di sconfitta. La morte e la risurrezione di Cristo, oltre che essere, sì una consolazione, sono un criterio di valutazione che ci fa ritenere vera storia la testimonianza dei martiri e non l’apparente vittoria dei potenti e degli oppressori.
Il tempo della Chiesa terrestre è sotto il segno della persecuzione e del rifiuto, ma la parola ultima è la potenza della risurrezione che opera nella memoria viva dell’evento del Cristo risorto. La testimonianza che diamo a Cristo crocifisso e risorto realizza in noi quella memoria di risurrezione e sottrae la storia al suo apparente non senso.
La storia di Cristo crocifisso e risorto continua nella sua Chiesa: ai suoi discepoli è richiesta la fiducia e la certezza. Fiducia: la logica che ha guidato la vita del Crocifisso non è perdente ma vincente, per cui ha senso continuare nonostante le persecuzioni. Con la forza dello Spirito di Cristo e con la sua presenza, come egli stesso ha assicurato, certamente si realizza il progetto di Dio. Certezza: solo in questa linea si rende testimonianza al Dio di Gesù.
DOMENICA "IN ALBIS" O DELLA DIVINA MISERICORDIA
7 APRILE – 2a DOMENICA DI PASQUA
DOMENICA IN “ALBIS” O DELLA DIVINA MISERICORDIA
La Comunità dei credenti si accresce di nuovi membri.
In questa Domenica la Parola di Dio ci parla della realtà dell’Assemblea dei credenti, cioè della Chiesa, che è segno settimanale della Pasqua, poiché in essa si celebra la Risurrezione di Gesù e la speranza che essa infonde nei credenti.
Il dono dello Spirito Santo donato da Cristo, che continua ad operare nella Chiesa, suscita la fede nell’evento della risurrezione e opera guarigioni non solo nel corpo, ma soprattutto porta salvezza, perché libera dal peccato, dalla paura, dalla schiavitù. Gli apostoli, continuano l’opera di Gesù nella storia degli uomini e da allora la Chiesa continua ad accrescersi di nuovi membri.
Caratteristiche della Comunità nascente.
La gente attratta dall’annuncio apostolico, leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli, portava nelle piazze gli ammalati affinché fossero toccati o anche solo sfiorati dall’ombra di Pietro che passava. Ma se da una parte il popolo esaltava l’operato degli apostoli, dall’altra vi era l’ostilità da parte dei capi dei sacerdoti e dei maestri della Legge, per cui “ nessuno degli altri osava avvicinarsi a loro”. Pur godendo la simpatia del popolo e vedendo i prodigi, per i credenti nel Signore, la comunità nata dalla risurrezione di Cristo, è fatta oggetto di persecuzione. Per Luca, l’ostilità e la persecuzione da parte delle autorità religiose saranno una costante che rende la vita della prima comunità tenace nel testimoniare il Signore risorto. D’altra parte, Gesù stesso lo aveva detto: « Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi ».
Vi erano anche delle donne tra coloro che avevano aderito al Signore. Esse hanno una importanza fondamentale nella vita della Comunità.
L’essere e il diventare credenti nel Signore.
Oggi, spesso, il successo di una iniziativa o di un movimento, viene sancito dalla quantità degli aderenti che vi partecipano. E oggi, forse, la preoccupazione numerica dei partecipanti prende anche le nostre iniziative pastorali. Ci preoccupiamo dell’audience. Una nuova evangelizzazione potrebbe anche fare a meno dell' angosciante preoccupazione dei numeri. Il regime di cristianità dei tempi passati ha lasciato il posto a una minoranza di credenti che sono e vivono pienamente consapevoli della testimonianza che il Signore chiede oggi.
Davanti a questo fenomeno si potrebbe essere tentati di perseguire forme di presenza più audaci e aggressive che potrebbero allontanare gli uomini dall’approccio a Cristo; oppure si potrebbero privilegiare grandi eventi che facilmente attirano folla, ma dove l’incontro con il Cristo diventa molto evanescente. La presenza nel mondo dei credenti nel Signore dovrebbe essere come quella del lievito, che con la testimonianza, anche silenziosa, quotidiana, permea la vita degli uomini.
Più che ricercare il successo o la quantità della gente bisogna compiere l’annunzio di Cristo nella fedeltà alla sua Parola: sarà considerato, allora, secondario l’essere pochi o tanti. Diceva san Ignazio di Antiochia che " E' meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo".
Come minoranza i credenti devono farsi compagni di viaggio degli uomini del nostro tempo, devono percorrere le loro stesse strade, vivere le ansie e le problematiche di tutti, farsi carico delle necessità dei fratelli, con umiltà, sincerità e abnegazione. Entrare in dialogo con il mondo, guardare con simpatia agli uomini, non sentirsi estranei ai fratelli, devono essere caratteristiche che devono animare la nostra testimonianza di Gesù, e se anche si è espressione di minoranza tra la gente, bisogna evitare di inseguire inutili e pericolosi trionfalismi.
La liberazione che Gesù fa dalle malattie, dal pecca to, dalla incredulità e dal dubbio.
Per Tommaso la liberazione, come leggiamo nel Vangelo, avviene dall’incredulità, da una fede debole, che ha bisogno di prove visibili, tangibili per credere; ma viene anche data a tutti, da Gesù risorto, che effonde il suo Spirito sugli Apostoli, per mezzo della loro opera, la possibilità di essere liberati dai peccati che vengono perdonati nel suo nome; negli Atti degli Apostoli, la liberazione dalle malattie e infermità è data da Cristo e nel suo nome, sempre per opera degli Apostoli; nell’Apocalisse, per Giovanni, la liberazione dalla morte è data da Colui che egli contempla e che gli dichiara di essere “ Il primo e l’Ultimo, il Vivente, Colui che era morto, ma che ora vive e ha le chiavi della morte e degli inferi”.
Oggi l’uomo, e soprattutto i giovani, vogliono sentirsi liberi di provare emozioni e trasgressioni, liberi da ideali, di affermare le proprie opinioni e la propria personalità. La libertà la si ricerca nella condizione di colui che libero da necessità economiche e con una certa posizione sociale, si può permettere ciò che si vuole. Invece, in tante parti del mondo, la libertà è ancora un diritto da conquistare, non solo pacificamente, ma anche con ogni forma di violenza, pur di abolire le varie forme di schiavitù. La libertà di praticare qualunque forma di diritto nella uguaglianza dei sessi, prodotto della cultura occidentale, espone ad un concetto di libertà, che più che rendere liberi, espone a nuove problematiche mai prima d’ora vissute, per cui molte donne nel mondo più che essere libere sono esposte e costrette alla prostituzione, ad essere condannate alla schiavitù, all’ignoranza, perché obbligate alla segregazione. La Parola di Dio, in Cristo risorto, ci garantisce la liberazione dal peccato, che è il senso e la radice di ogni vera liberazione, ci restituisce nella dignità di Figli di Dio, nel rispetto della dignità di ogni persona, di ogni creatura umana, anche non nata.
Nella Pasqua è tutto l’uomo che viene reso nuovo dal dono di Dio, datoci in Cristo risorto, per cui viene data al mondo la speranza che, il male più radicale, quello del peccato, è stato vinto.
Nel continuare, allora, nella Chiesa la stessa opera di Cristo, significa per i cristiani liberare i fratelli dalle loro sofferenze, farli uscire da ogni forma di schiavitù, angoscia, dai loro dubbi e paure. Il mes-saggio cristiano deve essere testimoniato a tutti, perché è portatore di speranza per coloro che sono schiavi, anche nei nostri paesi che sono civilizzati, di tutte le forme di dipendenze dell’uomo legate alla droga, alla violenza, alla mafia, al gioco, alle lotterie, al successo, alla carriera, alla allusione del benessere economico da conseguire ad ogni costo.
Alla luce di questa Parola di Dio, i cristiani possono ripartire dall’essenziale, ripartire da Dio, che nella Pasqua ha dato inizio ad un tempo nuovo, annunciando agli uomini il momento della liberazione e dando loro la speranza che “Egli è Colui che è venuto per far nuove tutte le cose “.
PASQUA 2013
PASQUA DI RISURREZIONE
2013
La vita a Pasqua risorge festosa,
la natura riveste i suoi colori,
il sole emette radiosi splendori
che rendon la terra armonia gioiosa.
A Pasqua Cristo risorge da morte
e dà all’uomo speranza futura
rendendolo in sé nuova creatura
per avergli mutato orami la sorte.
O uomo che aspiri ad alti ideali
a Cristo puoi tu sempre guardare,
realizzando i valori reali
che, se vuoi, da lui puoi imitare:
libererai così l’uomo dai mali
che l’affliggon nel suo pellegrinare.
Leonforte, lì 30 Marzo 2013 don Nino Lo Grasso
AUGURI
PER UNA GIOIOSA E SANTA
P A S Q U A
DI
RISURREZIONE E VITA NUOVA
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