Il messaggio di Gesù affidato ai 72 discepoli
7 Luglio – 14a Domenica del Tempo Ordinario.
I discepoli portano a tutti il messaggio di Gesù.
Il Vangelo di Luca su cui oggi la Chiesa ci chiama a riflettere ci racconta un fatto di cui gli altri tre Vangeli non danno notizia. Durante il suo viaggio a Gerusalemme Gesù vuole avvicinare molte più persone di quante abbia già incontrato. Gesù compie allora uno sforzo di propaganda, che dovrà essere nel futuro un insegnamento e un modello per la sua Chiesa. Sceglie tra il grande numero dei suoi discepoli 72 persone, e le invia a due a due, come si usava allora, « in ogni città e luogo dove stava per recarsi ». I suoi inviati dovranno annunciare a tutti che « il regno di Dio è vicino ».
Luca intende evidenziare la portata universale della salvezza, offerta da Dio a tutti i popoli. Settantadue sono gli inviati, ad indicare la totalità dei popoli del mondo, secondo l’Antico Testamento; in questo numero è dunque simboleggiata l’estensione della missione a tutto il mondo e l’annuncio del Vangelo a tutti i popoli della Terra. Da Gerusalemme, sfavillante di gioia, la buona notizia raggiunge tutti i luoghi e ogni popolo.
Insegnamenti importanti per i discepoli e tutti i cristiani.
Ai discepoli che partono come suoi primi missionari, Gesù dà alcuni insegnamenti molto importanti anche per i cristiani di tutti i tempi. La gente a cui occorre portare il messaggio evangelico è moltissima, e i missionari saranno sempre pochi. Occorre dunque pregare Dio che mandi molti a portare la parola di Dio. L’impegno di annunciare il messaggio di Gesù porterà sofferenze, non darà successo e soddisfazione ( nel senso che il mondo dà a questi termini). I missionari di Gesù saranno come agnelli in mezzo ai lupi.
Colui che porta il messaggio di Gesù, porta la pace. La pace cristiana è la gioia e la felicità che scaturiscono dall’incontro con Dio. L’unica soddisfazione che i missionari di Gesù possiedono è che « i loro nomi sono scritti nei cieli »: cioè sono già concittadini di Dio, hanno un posto preparato nella casa del Padre.
Il messaggio di Gesù affidato a tutti i cristiani.
Possiamo constatare che molti cristiani accettano il messaggio di Gesù, ma non sentano il bisogno di portare questo messaggio alla gente. Si sono abituati a considerare questa missione come un compito dei preti, dei frati e delle suore. Quelli sono – secondo questa cattiva convinzione – gli « specialisti » nell’annunciare Gesù, lo fanno per « mestiere ». Il Concilio Vaticano II ha attribuito anche ai laici il compito missionario, rivalutando il senso della presenza cristiana nel mondo secolarizzato, nei luoghi di lavoro, per le strade, nelle città.
Fin dall’inizio del cristianesimo – è scritto nel Catechismo degli Adulti - gli apostoli insegnano che la missione è affidata al popolo di Dio nella sua globalità:« Voi siete il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce », scrive l’apostolo Pietro.
Di fatto, al tempo delle origini, è vivissima in tutti i credenti la coscienza missionaria. In chiusura delle lettera ai Romani, viene ricordata una fitta schiera di collaboratori dell’apostolo Paolo nel servizio del Vangelo: sono uomini, donne, coniugi, intere famiglie. Il cristianesimo si diffonde velocemente sulle vie dell’impero romano soprattutto per l’impegno spontaneo dei credenti, da persona a persona. Urgente e imperiosa è l’esigenza di condividere con altri la propria fede. Nessuno si tira indietro. Un filosofo, Celso, pensando di screditare la nuova religione, osserva che tra i suoi divulgatori abbondano « cardatori di lana, calzolai, lavandai, gente senza istruzione e di maniere grossolane ». Sebbene i mezzi di trasporto e di comunicazione siano ancora primitivi, l’annuncio del Vangelo raggiunge in breve tempo i confini del mondo allora conosciuto.
Guardando alla comunità delle origini, la Chiesa oggi può ritrovare la coscienza della comune vocazione missionaria. La gioia del cristiano che porta la bella notizia nasce dalla consapevolezza di annunciare la salvezza di cui si è fatto esperienza. Ogni cristiano che ha fatto esperienza dell’incontro con Cristo trova il proprio « vanto » nell’annunciare il Crocifisso risorto, unica Parola-Persona che non cambia, unico salvatore che dona gioia vera.
Prima Lettura : Is 66,10-14;
Viene annunciata un’era nuova, di gioia e di consolazione: quella dell'esilio cessato e della liberazione. Non si tratta di un sogno, ma occorre credere che a condurre la storia d’Israele è Dio, il quale non è bloccato e condizionato da nessuna forza umana. La parola del profeta andava però oltre il traguardo della fine di un esilio. Egli presagiva la venuta del Messia, del Signore Gesù, il liberatore.
Seconda Lettura: Gal 6,14-18.
Il cristiano è una « nuova creatura ». Egli non si appoggia sui meriti che possono venire dall’osservanza della legge di Mosè. Non si vanta delle proprie virtù, ma della grazia, e perciò della passione del Signore assunta e rappresentata in lui. Il mondo quasi scompare, non conta: è crocifisso, così come il cristiano è un crocifisso a immagine di Gesù. E’ il paradosso: la riuscita del disegno di Dio passa attraverso la croce. Da essa proviene la pace di Dio e la misericordia. Si tratta anche per noi di portare « le stigmate di Gesù » nella vita: non tanto i segni fisici sensibili e dolorosi, ma i segni della fedeltà al Vangelo e delle opere compiute secondo la volontà di Dio.
Vangelo: Lc 10,1-12. 17-20.
I discepoli di Gesù sono inviati ad annunziare al mondo la consolazione, la pace. Il motivo di questo annuncio è che il Regno di Dio,
la redenzione,ormai è vicino. Ma occorre fare attenzione: il discepolo deve presentarsi povero, austero, fiducioso, affidato alla forza di Cristo che lo libera da ogni male, solo preoccupato della salvezza. D’altra parte lo stesso annunzio discrimina. Chi lo lasciasse cadere e lo rifiutasse incorrerebbe nella condanna, perché ha respinto l’offerta di grazia. Su di lui sarebbe imminente e peserebbe il giudizio di Dio. Il Vangelo è estremamente serio e impegnativo.
La sequela di Gesù.
30 Giugno – 13a Domenica del Tempo Ordinario.
LA SEQUELA DEL SIGNORE.
In questa Domenica il tema del seguire il Signore ci porta a ripensare il nostro essere discepoli di Gesù. Nella prima lettura Dio ordina al profeta Elia, la cui vita sta per finire, di scegliersi come discepolo il giovane contadino Eliseo. Costui imparerà da lui ad essere profeta, e dopo la sua morte continuerà ad essere “ Colui che parla nel nome di Dio ”. Eliseo, che nel campo sta arando con dodici paia di buoi, quando riceve il mantello di Elia, lascia tutto, va a baciare suo padre e sua madre. Prima, però, prende un paio di buoi, li uccide, cuoce la carne, la dà al popolo, e si pone al servizio di Elia.
Alla luce di questo avvenimento dell’Antico Testamento, Luca presenta, nel Vangelo di oggi, Gesù che raduna e istruisce i suoi discepoli sulla loro sequela di lui.
Gesù chiama i suoi discepoli.
Gesù chiama un gruppo di persone a seguirlo e perché diventino suoi collaboratori nel chiamare la gente alla conversione e all’accoglienza del regno di Dio. Alcuni restano ognumo nella propria casa e alla proprie attività, come Zaccheo, Lazzaro, Giuseppe d’Arimatea, Marta e Maria, sorelle di Lazzaro; altri, lasciano tutto: casa, moglie e figli, il lavoro, i beni e lo seguono formando un gruppo itinerante dietro Gesù. Conducono una vita insieme e, contro la mentalità corrente che discriminava le donne dal partecipare alla vita di un gruppo, alcune fanno parte di coloro che seguono Gesù, anche se non con regolarità. Queste si rendono utili con l’assistenza domestica e il sostegno economico. Tra coloro che sono più vicini, un giorno, Gesù ne sceglie dodici, che chiama « apostoli ». Nel CdA è detto che « Gesù è legato profondamente alla comunità dei discepoli, composta da quelli che credono in lui e particolarmente da quelli che stanno anche materialmente con lui: la considera la sua vera famiglia; ne fa il segno pubblico del regno di Dio che comincia ad essere visibile. Chiama i discepoli a manifestare in questo mondo la santità del Padre con una vita di carità. Dovranno essere come una sorta di sale, per dare sapore alla terra; come una città illuminata sul monte, che attrae con il suo fascino tutte le nazioni e le conduce a riconoscere Dio come Padre ». Gesù, certamente, vuole fare affidamento sui suoi discepoli che dovranno continuare la sua opera e manifestare così che il Padre, in lui, vuole farsi compagno dell’uomo.
Quale stile di discepolato?
Il discepolo, nel seguire il Maestro, quali atteggiamenti deve imparare a vivere e ad attuare? Come prima esigenza vie è quella di una pronta obbedienza. Il discepolo non può porre condi- zioni o fissare tempi per attuare la sua sequela di Gesù. Non risponde veramente chi ponesse presupposti, calcoli e condizioni.
Nel Vangelo ci è detto che Gesù, avvicinandosi i giorni della sua morte, vincendo una certa paura, si mette con forza, decisamente, in cammino verso Gerusalemme, dove si compirà la volontà del Padre e, nella sua morte e risurrezione, si realizzerà la salvezza del mondo: così Gesù dice ai discepoli che bisogna confidare in Dio e vincere ogni forma di paura e timore davanti alle difficoltà che la missione a cui li manderà potrà comportare.
Manda avanti a sé messaggeri perché nei villaggi dove Egli passa preparino la sua accoglienza. Un villaggio di Samaritani, nemici tradizionali degli ebrei, rifiuta di accoglierlo perché Gesù va verso Gerusalemme e, davanti alla proposta di Giacomo e Giovanni di chiedere una dura punizione per quelli, Gesù li rimprovera duramen-te. I discepoli del Signore devono ricercare e portare la pace, il perdono.
C’è chi chiede di seguirlo ma non ha preso in considerazione le condizioni che Gesù gli porrà: vivere senza tutte quelle sicurezze terrene e materiali che gli uomini ritengono necessarie per la vita.
Gesù ad uno chiede, perentoriamente, di seguirlo. A costui, davanti alla sua richiesta di andare a seppellire suo padre, Gesù risponde di lasciare le faccende della vita, anche molto importanti, come andare a seppellire il padre, a chi deve adempierle e di andare ad annunciare il regno di Dio. Con ciò Gesù non chiede di rinnegare la famiglia, né insegna di non adempiere ai doveri imposti dai comandamenti, vuole semplicemente insegnare al discepolo a non vivere in mezzo alle esitazioni, ai dubbi, alla mancanza di coraggio o ai tentennamenti, tutti atteggiamenti che possono mettere in pericolo la sua azione di discepolo.
Il Signore chiama ciascuno ad essere suo discepolo secondo la vocazione ricevuta.
Prima Lettura: 1Re 19, 16.19-21.
Eliseo riceve l’investitura e la prerogativa del profeta. La sua vita subisce allora un cambiamento: si distacca dalla sua famiglia e dalla sua vita di prima. Si pone nella piena disponibilità alla Parola di Dio a cui dedicherà la vita. Mettersi al servizio della Parola di Dio vuol dire essere obbedienti e pronti e non ritrarsi da nessun sacrificio.
Seconda Lettura: Gal 5,1.13-18.
Il cristiano è un uomo libero. Non lo impaccia nessun gioco, che non sia quello dell’amore. Ormai – lo ricorda Paolo ai Gàlati – la legge di Mosè con le sua imposizioni non conta più. Né la con dotta dev’essere asservita agli impulsi ai desideri dell’uomo vecchio, quello non ancora redento dalla grazia di Cristo. La guida deve essere lo Spirito Santo, e l’unico comando che riassume tutta le legge è quello dello Spirito. E’ possibile amare il prossimo proprio perché ci è dato il dono dello Spirito. Non senza ironia San Paolo scrive: « Se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri ». Allora come adesso anche nella Chiesa è facile trovare la contesa, il risentimento , l’aggressività. Se tutto questo ha come sua causa « il desiderio della carne », allora non si è liberi ma schiavi.
Vangelo : Lc 9, 51-62
Un primo ammonimento che ci viene dal Vangelo è la mitezza, la pazienza, che non si sostituisce a Dio giudicando e condannando. Invocare il fuoico e la consumazione è spontaneo, ma non è secondo lo spirito di Cristo. Del resto non siamo tutti quanti oggetto dell’infinita pazienza di Dio? Un altro insegnamento è la prontezza, la decisività con cui bisogna seguire Gesù e diventare suoi discepoli. E’ facile lasciarsi condizionare e sorprendere dalla nostalgia dei vari generi di legami. D’altra parte non si deve essere impulsivi nel seguire il Signore: è una via difficile, di disagio, di povertà, di stenti. Bisogna che sia ben forte il vincolo che unisce a lui e la passione di annunziare il Regno di Dio.
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12 Domenica del Tempo Ordinario.
23 GIUGNO – 12a Domenica del Tempo Ordinario.
« Voi chi dite che io sia?»
Nella Parola di Dio del Vangelo di questa Domenica c’è la domanda di Gesù rivolta ai discepoli ma anche a noi: « Voi chi dite che io sia? ».
Il Signore ci invita a pensare e a riflettere su chi è per noi Lui, il Signore Gesù, in cui diciamo di credere. La nostra vita cristiana dipende allora dalla risposta che diamo a questa domanda: è una conoscenza di Gesù solamente culturale, è una abitudine a dirsi cristiani perché per tradizione familiare siamo stati educati così, per cui non abbiamo mai preso coscienza di quello che comporta aver accolto Gesù in noi? La nostra fede deriva da un incontro personale con una persona viva: Gesù Cristo?
Quale è l’identità di Gesù?
Il Cristianesimo è l’aver accolto Gesù e vivere seguendo il suo esempio, non è né un codice di precetti, né una religione e neppure riti e liturgie varie. Chi ha scommesso l’unica vita che ha sulla persona di Gesù sente spesso la necessità di rinfrescare la propria fede in Lui e sulla sua vera identità. Spesso qualche mezzo di comunicazione in modo sensazionale ci dà qualche scoop su Gesù, magari inventando o dando interpretazioni su chi sia, ma dimenticando che gli unici testi che ci parlano di lui sono i Vangeli, che certo bisogna tenere in considerazione se non si vuole fare delle proprie opinioni l’unica e esatta identità di Gesù.
Al di là delle sue fattezze fisiche, Gesù aveva uno sguardo che colpiva chi lo incontrava, come Simone, il giovane ricco, Zaccheo; uno sguardo che parlava e faceva capire che Gesù aveva idee molto chiare e dava insegnamenti precisi e non contestabili. Più che esprimere opinioni i suoi detti erano lapidari, significativi, determinati, non che semplici e persuasivi. Esprimeva una libertà nel parlare e nel frequentare le persone che spesso scandalizzava e amava teneramente i bambini, che sapeva capire, e gli amici come nel caso di Lazzaro, tanto che i Giudei, presenti a Betania, vedendolo piangere per la morte dell’amico esclamarono: « Vedete come l’amava? ». Amava ancora il suo popolo, la sua terra, tanto che piange al pensiero della futura distruzione di Gerusalemme.
Gesù è sì uomo, ma più che uomo.
Davanti a Gesù, l’uomo, specie nel mondo occidentale, si è sempre chiesto: Ma Egli era solo un uomo? Se leggiamo il Vangelo vi troviamo frasi come quella in cui si definisce « Figlio dell’Uomo », per indicare Colui che nella profezia di Daniele è un personaggio misterioso che sarebbe venuto dal cielo e dato compimento alla Storia. Quelli del Sinedrio davanti a questa frase replicarono: « Tu dunque sei il Figlio di Dio? » (Lc22,69-70; Mc 13, 26). Avevano capito bene cosa intendeva Gesù con quelle parole “ Figlio dell’Uomo ”, riguardo alla sua origine divina, per cui lo accusarono di bestemmia. E ancora rivendica il suo potere di rimettere i peccati, come nel caso del paralitico scandalizzando i presenti (Mt9,1-8) o di giudicare l’uomo, come con la donna adultera, che gli viene presentata perché esprima il suo giudizio sulla sua ondanna o meno, e a cui dice: “Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in oi non peccare più ” (Gv 8, 1-11). Così anche altre affermazioni:« Chi dà la sua vita per me la ritroverà... »; « Chi avrò lasciato il padre e la madre, i campi e la casa per me, avrà il centuplo quaggiù, con le persecuzioni e la vita eterna »; e all’apostolo Filippo che gli chiede di mostrargli il Padre, Gesù dice: « Filippo…chi ha visto me, ha visto il Padre...Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?... Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. »(Gv 14,9-11).
Gesù è certamente grande come uomo, ma soprattutto è Dio, perché Figlio di Dio. Egli intendeva questa identità di Figlio non come lo siamo tutti noi, come lo sono tutte le creature. Egli è il Figlio unigenito del Padre, che opera in unità col Padre e compiendo le opere che il Padre gli ha dato da compiere.
Quale risposta da parte di ognuno di noi?
Chi siamo chiamati ad annunziare? Un uomo o l’Uomo-Dio,CristoGesù? Ognigenerazione deve rispondere e fare una scelta di vita come voleva Gesù dai suoi contemporanei. Nessuno può eludere la domanda e la risposta non può che essere personale, una presa di coscienza che ognuno deve maturare da solo, nel silenzio, perché solo così ci si può porre alla sua sequela.
La fede, ricevuta da bambini come dono di Dio in quanto battezzati, non può ridursi solo un dato anagrafico o un atto formale: il contenuto del battesimo, l’ essere figli di Dio e crescere nella vita divina, bisogna farlo proprio, vivendo sì in una cultura cristiana, che da sola non è sufficiente, ma divenendo sempre più testimoni autentici del Signore, morto e risorto. Gesù non è solo un dato culturale o storico.
La fede in Gesù ci chiede di vedere le cose che non sono visibili umanamente in lui, la capacità di andare oltre il dato storico, un’apertura al dato spirituale e celeste dell’opera e della persona di Gesù Cristo.
Il nostro pensiero cristiano moderno e occidentale, spesso ha allontanato dalla vita concreta il problema di Dio e di Cristo, relegandolo in speculazioni razionali storiche,esegetiche e teologiche a volte lontane dalla realtà storica di Gesù e dalla nostra. In ogni forma di esperienza religiosa, il credente deve essere cosciente della presenza diCristo nella propria vita, presenza che sia più conforme alle esigenze evangeliche e secondo una perenne testimonianza ecclesiale, per allontanare i tanti ostacoli ad una risposta autentica di fede e non cadere in un facile relativismo religioso fatto, a propria misura, da ognuno. La risposta di fede a Dio, mediante Cristo, che la Scrittura, esalta come unico mediatore tra Dio e gli uomini, deve investire tutta la vita personale, immergendola nella verità di Cristo e vivendola nella comunione con Dio. Scrive D. Maria Turoldo: « L’uomo e Cristo stanno di fronte come il problema e la sua soluzione, come il desiderio e la sua soddisfazione, solo chi trova in Cristo la soluzione del suo problema, la soddisfazione del suo desiderio, è salvo ».
Prima Lettura: Zc 12,10-11,13.
Un figlio trafitto, primogenito, che come vittima diviene motivo di pentimento e di salvezza, mentre viene effuso lo spirito. è segno dei tempi del Messia. Ora sappiamo bene chi sia quel trafitto dal quale viene uno “ spirito di grazia e di consolazione, che trasforma il cuore e lo rigenera. E’ il Cristo crocifisso dinanzi al quale avviene la conversione.
Ci si va dicendo che oggi il senso del peccato è scaduto: per poterlo riavere non servono pure considerazioni sociologiche ; non basta neppure la constatazione delle ingiustizie sociali: occorre riandare a Colui che per il peccato è morto in croce, e che nella sua morte ha meritato il dono dello Spirito Santo che purifica e riconcilia con Dio.
Seconda Lettura: Gal 3,26-29.
Chi crede diviene figlio di Dio, poiché credere è affidare se stessi a Dio, nell’abbandono assoluto della propria esistenza. Per questa confidenza agisce la grazia che ci rende figli di Dio. Essa opera nel battesimo, dove l’uomo imita la morte di Gesù e ne riceve i frutti; dove rivesta – come dice Paolo – Gesù Cristo e quindi diventa con lui figlio del Padre celeste. Attraverso il battesimo, lavacro di rigenerazione, passa in noi la vita di Dio, che ci assimila a lui e ci rende sue immagini viventi. Per questa figliolanza le divisioni scompaiono, gli steccati che ci dividono e ci oppongono crollano. Siamo fatti uno in Cristo Gesù. Figli di Dio, dunque fratelli tra noi e se fratelli dobbiamo volerci bene. Questo dovrebbe essere il nostro quotidiano impegno di testimonianza dei valori spirituali della nostra fede.
Vangelo: Lc 9, 18-24.
Anche a noi Gesù oggi chiede, come un tempo ai discepoli, chi egli sia per noi. E’ per noi Gesù, come per Pietro e gli altri, il Cristo, il Figlio di Dio? Il Vangelo ci chiede di rinnovare la nostra fede in Lui e adeguare la nostra testimonianza secondo una fede personale, autenticamente evangelica, ecclesiale ed esistenziale.
XI DOMENICA T.O.:Poichè ha molto amato è perdonata.
16 GIUGNO – 11a Domenica del Tempo Ordinario.
« POICHE’ HA MOLTO AMATO E’ PERDONATA »
In questa Domenica, nella relazione che Gesù pone con il fariseo Simone e la donna peccatrice, siamo chiamati a contemplare l’amore di Dio che perdona quando si ama molto. Gesù è stato invitato da Simone perché vuole ascoltarlo insieme ai suoi amici, per conoscerlo, lo chiama « Maestro », e non contesta le sue parole. Essendo, però, della classe dei farisei, che comincia a guardare Gesù con sospetto, Simone non gli offre i gesti cortesi della ospitalità come si usa verso gli ospiti di riguardo: il bacio all’entrata, il lavargli i piedi attraverso i servi, ungergli di profumo il capo. Egli, come buon fariseo, osservante dei precetti della legge, non si considera peccatore come quelli a cui Gesù annunzia la conversione. Simone si considera, più che figlio che ama Dio come padre, come un osservante della legge anche nei minimi dettagli e, quindi, si sente a posto con la propria coscienza.
Nel confronto con gli altri, che sono poveri e miseri peccatori, egli si stima come persona giusta e, perché no, anche migliore di questi e di tanti altri. Avverte un certo disagio per quella donna peccatrice che è entrata nella sua casa e compie gesti non gradevoli ai suoi e agli occhi degli altri ospiti. Gesù, a lui come agli altri farisei, rimprovererà, entrando in contrasto con essi, proprio il peccato di superbia, il peggiore, la chiusura egoistica, il disprezzo dei fratelli. Essi non si sen- tono nemmeno peccatori, per cui non viene loro nemmeno in mente di chiedere perdono a Dio.
L’incontro con la donna peccatrice.
La donna, conosciuta per la sua vita non corretta, sa di aver vissuto una vita di peccato, ma ha ascoltato l’invito di Gesù alla conversione, a ritornare all’amore di Dio, che come un pastore cerca la pecora perduta, e che, trovatala, più che punirla, se la pone sulle spalle e fa festa con gli amici per averla ritrovata. Ha sentito Gesù parlare di Dio come un padre che aspetta con pazienza il figlio, che si è allontanato da casa, e quando torna fa festa per averlo ritrovato. Così la donna ha riscoperto l’amore per questo Dio che la sta aspettando, e piangendo per la sua vita disordinata, chiede perdono per i suoi molti peccati.
Verso Gesù, che le ha rivelato che Dio è amore e misericordia, ella vuole compiere un gesto di riconoscenza e vuole avvicinarsi a lui. Ma come potersi avvicinare a Gesù, lei che è riconosciuta come « pubblica peccatrice ? ». Piena di coraggio sfida l’opinione di quella gente per bene, entra nella casa di Simone, e, avvicinandosi a Gesù, si inginocchia ai suoi piedi, scoppia in pianto, gli bagna i piedi con le lacrime e li asciuga con i suoi capelli. E come se non bastasse questo gesto di profonda umiltà glieli unge con un profumo prezioso. Simone con i suoi ospiti si indignano, perché Gesù si lascia toccare da una donna di tal genere. Perché, si chiedono, se è un profeta, dovrebbe sapere che razza di donna è quella che lo tacca e, dovrebbe scacciarla, invece di permetterle di compiere quei gesti.
« L’Amore copre una moltitudine di peccati ».
Attraverso la breve parabola dei due debitori, che dovevano ognuno verso un unico creditore, uno cinquecento denari e l’altro cinquanta, a cui, non avendo essi di che restituire, viene condonato loro il debito, Gesù chiede a Simone chi dei due amerà di più quel creditore.
Avendo Simone risposto: « Suppongo sia colui al quale ha condonato di più », Gesù gli fa capire che egli, credendo di non avere nulla da farsi perdonare da Dio, lo amerà di meno, a differenza della donna, che sentendosi una grande peccatrice e avendo molti peccati da farsi perdonare, certamente amerà di più Dio di lui e lo ringrazierà maggiormente della sua misericordia verso i peccatori. A differenza di lui, che non l'ha accolto con gentilezza, la donna ha dimostrato un grande amore per Dio e per Gesù, avendo compiuto gesti più proporzionati al perdono che ha ricevuto. Il Signore allora conclude con una sentenza che è valida per tutti: « Poiché ha amato molto, molto le viene perdonato ». Così Gesù riafferma quel grande e unico comandamento:
« Amate tanto Dio e amatevi tanto tra voi. Questa è tutta la legge ». San Giovanni Crisostomo soleva dire ai cristiani:« Se vuoi essere perdonato, ama. L’amore copre una moltitudine di peccati ». Anche nel Salmo responsoriale Davide canta che ciò che conta è credere nell’amore di Dio e amare. Il perdono di Dio è vissuto nella capacità di sentirsi amati gratuitamente, al di là dei propri meriti, nonostante tutte le debolezze umane. E questa è l’esperienza più grande che possiamo fare dell’amore di Dio. Nel sacramento della riconciliazione Dio offre a noi questo dono di grazia e il peccatore rinnova il suo incontro con Gesù e con il Padre celeste. A Lui, allora, offriamo le nostre lacrime, il nostro pentimento, il nostro ringraziamento, sicuri che il Padre ci riaccoglie con il suo abbraccio paterno: siamo riconciliati con Dio e rinnovati nella vita divina della sua grazia.
Santa Teresina di Lisieux e la « piccola via « dell’amore.
Questa santa, morta giovanissima, aveva capito profondamente il pensiero di Gesù e che l’unica cosa importante era l’amore, tanto da scrivere: « Gesù non bada tanto alla grandezza delle azioni che facciamo, neppure alla loro difficoltà. Guarda invece all’amore che ci fa fare quelle azioni… Non si tratta di cercare gli atti più difficili, ma di vivere con amore tutte le situazioni quotidiane ». Scriveva ancora: « Quando non sento nulla, quando sono incapace di pregare, quello è il momento di fare quelle cose da nulla che piacciono a Gesù più della conquista del mondo: per esempio “un sorriso”, “una parola gentile”, anche quando non ne ho proprio voglia ». La vita semplice di Santa Teresina non contiene miracoli, ma è una vita vissuta nella sua normalità, segnata da una grande amore per Dio e le sue sorelle nelle piccole azioni di tutti i giorni: voleva essere nella Chiesa il cuore pulsante di amore per Dio, Gesù e gli uomini. Attraverso questa “piccola via” santa Teresina ha raggiunto in brevissimo tempo un alto grado d santità.
Prima Lettura: 2Sam 12,7-10.13.
Natan, in maniera ferma, lucida e inflessibile, accusa e condanna il re Davide per i suoi peccati di adulterio e di omicidio. Ma la condanna non è l’ultima parola: questa è lasciata alla misericordia, dal momento che il re riconosce la sua colpa e si pente. Egli, avendo fatto male agli uomini, ha peccato contro Dio, e in questa offesa Davide riconosce la ragione della gravità della colpa: poiché in ogni uomo è presente Dio e ogni peccato è mancanza di fedeltà a lui. E’ Dio che gli rimette il suo peccato. Noi guardiamo a Gesù crocifisso, che versa il suo sangue, presente in ogni eucaristia, per la remissione dei peccati. Dal perdono deve sgorgare una vita nuova, nell’intima beatitudine di essere riconciliati.
Seconda Lettura : Gal 2,16.19-21.
Dice San Paolo che siamo salvati perché siamo in comunione con Cristo crocifisso e perché siamo entrati in intimità di viva e reale con lui: « Non vivo più io, ma Cristo vive in me ». Questa è la fede e la grazia: in noi vive il crocifisso come pegno della vita risorta. Per questa unione siamo giustificati, amati e nella sua morte si è conse- gnato a noi con un gesto infinito di amore. Pensiamo che possiamo salvarci da soli, noi deprezziamo e annulliamo il valore salvifico del Sacrificio di Gesù. Non distogliamo mai lo sguardo dalla croce se vogliamo essere salvati.
Vangelo : Lc 7,36-8,3.
Gesù perdona alla donna pentita dei suoi peccati perché riconosce di essere peccatrice e, esprime il suo ringraziamento attraverso gesti concreti, come segno del suo molto amore perché ha avuto perdonati molti peccati. Il fariseo Simone non può capire il perdono, perchè non è cosciente delle sue colpe e non si sente peccatore. Per questo non riceve la grazia fatta alla peccatrice, perché, sentendosi pulito e giusto, ha il cuore chiuso all’amore. La sventura più grande che possa accaderci è quella di sentirsi giusti, non bisognosi di misericordia.
CREDERE NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE GESù.
Ultimo aggiornamento (Sabato 08 Giugno 2013 19:26)