Solennità del CORPO E SANGUE DEL SIGNORE.
2 Giugno – Solennità del Corpo e Sangue di Cristo.
Il Pane di Dio dato agli uomini.
La vita degli uomini soffre speso la precarietà: senza lavoro, immersi spesso nella sofferenza, con delusioni, insuccessi, tristezze, angosce, calamità, ecc. Chi può soddisfare la fame che l’uomo ha di una vita migliore?
Il pane e le cose necessarie per la vita materiale dell’uomo sono problemi di giustizia sociale, che possono risolversi con maggiore equità distributiva delle risorse della terra, riducendo o azzerando il debito dei popoli poveri verso quelli più benestanti, rispettando la vita e la dignità di ogni individuo e essere umano. Tutte queste proclamatiche possono essere risolte con il solo sforzo dell’uomo? L’uomo senza Dio non si sente forse più fragile, angosciato, senza speranza e affamato non solo di beni materiali, ma anche di realtà spirituali che lo appaghino in maniera più duratura? Non basta, per i credenti, avere tavole più imbandite per sfamarsi, bisogna avere anche il coraggio di accedere alla mensa di Dio per non avere più fame.
Il pane di Dio è quello disceso dal cielo.
La fede e la parola di Dio ci fanno riconoscere il pane quotidiano come dono di Dio e per questo lo ringraziamo. Esso è dono della sua provvidenza, ma anche « frutto della terra e del lavoro dell’uomo ». Il credente sa che dipendiamo da Dio e lui ci ha donato ogni cosa: la vita, il mondo, la terra e ciò che essa produce. Ogni cibo è preparato, certo, dalle mani dell’uomo, ma è anche preparato dalla Provvidenza di Dio, il quale, dice Gesù « sa di ciò di cui abbiamo bisogno…poiché Egli fa crescere i gigli del campo e nutre gli uccelli del cielo » (Mt 6).
Nella prima Lettura della Parola di Dio di quest’oggi, Melchisedek offre ad Abramo pane e vino, come segno della benedizione di Dio, per avergli messo in mano i suoi nemici; Elia, il profeta, nel suo cammino lungo il deserto, viene sfamato da ciò che l’angelo gli appresta, per ben due volte, perché è lungo il cammino che deve affrontare fino all’Oreb, il monte di Dio; Gesù moltiplica i pani per sfamare la folla perché possa seguirlo nel deserto, ma soprattutto perché gli uomini capiscano che il pane del cielo che Egli avrebbe dato, è quello che essi devono ricercare per giungere alla risurrezione e alla vita.
Gesù risorto offre il pane e il pesce arrostito perché lo riconoscano e ai due discepoli di Emmaus spezza il pane perché lo riconoscano in quel gesto come « il pane disceso dal cielo che viene offerto come nutrimento da Dio ».
Se il pane materiale è segno della benedizione e della provvidenza di Dio per l’uomo e del dovere di dividere il nostro pane con chi è affamato, Gesù ci dà la sua Parola, il Corpo e il Sangue come cibo e bevanda di vita eterna per alimentare nel nostro spirito la vita divina; ci comunica il suo amore per la salvezza delle nostre anime e il suo Spirito come luce e forza per camminare fino al cielo.
Gesù è il vero pane del cielo che Dio ci dà.
Gesù nell’Eucaristia, come ha fatto nell’Ultima Cena prima di morire, ha dato se stesso come cibo di vita. Il mangiare, allora, il suo Corpo e bere il suo Sangue, non è compiere un rituale magico, in cui mangiamo carne e beviamo sangue, ma è un condividere la sua stessa vita, perché carne e sangue sono la sua stessa persona. Come durante un pasto che si condivide con gli amici e i parenti si esprime l’amicizia e l’amore dello stare insieme, così Gesù, nella sua Cena pasquale, ha espresso il desiderio che i discepoli diventino, quando fanno la sua memoria e mangiano il pane e il vino, che egli trasforma nel suo Corpo e Sangue, una cosa sola con lui, uniti dagli stessi sentimenti, dal medesimo stile di vita e orientati all’amore del Padre. Mangiare di questo pane, che è Gesù stesso, significa condividere la sua morte e la sua risurrezione e avere il pegno e l’anticipazione della vita eterna.
Dal pane terreno, che ci aiuta a vivere e risolvere il problema della nostra quotidiana sopravivenza, mantenendoci in buona salute e nella gioia di vivere in fraternità, Gesù ci chiede di passare a mangiare il suo Pane, con cui ci aiuta a raggiungere lo scopo per cui esistiamo: ritornare a Dio. Il cristiano, che vive e crede in Gesù, munito della sua forza e del suo Spirito. realizza anche la sequela di Lui nel dono della propria vita al Padre e nell’amore condiviso con i fratelli.
L’Eucaristia è il pane della condivisione.
Luca, nell’episodio della moltiplicazione dei pani distribuiti alla folla, ha ben presente questo rito compiuto dagli Apostoli nella Chiesa primitiva. Il Signore prende ciò che gli apostoli gli offrono e con questo gesto di solidarietà trasforma la condivisione in un gesto di amore e tutti mangiano a sazietà. Partecipare, allora, all’Eucaristia e non nutrirsi del pane eucaristico non è segno pieno della condivisione della vita di Gesù, vita offerta al mondo per amore e al Padre per obbedienza. Non partecipare pienamente dell’Eucaristia significa svuotare il rito di quello per cui è stato istituito. Partecipare alla Cena del Signore e non condividere il pane del nostro tempo, delle nostre gioie e fatiche, del nostro amare ogni giorno con tutti, mettendosi a disposizione degli altri, significa non accogliere Gesù, pane disceso dal cielo.
Come non si può vivere senza pane, così non si può vivere senza amore e soprattutto non si può vivere senza accogliere Gesù nella nostra esistenza quotidiana, in cui dobbiamo mettere in pratica la sua Parola e il suo Amore.
Prima Lettura : Gn 14,18-20.
L’offerta del pane e del vino da parte di Melchisedek - figura misteriosa che appare nel Vecchio Testamento – è una profezia, un preannunzio dell’offerta che verrà fatta dal vero Sommo Sacerdote, Gesù, costituito tale, come dice la Lettera agli Ebrei, non secondo l’ordine levitico, ma secondo l’ordine di Melchisedek, sacerdote del Dio Altissimo. Gesù, immolandosi sulla croce compirà questa offerta, e nei segni del banchetto eucaristico consegnerà se stesso con il suo Corpo e il suo Sangue, in sua memoria, come cibo di vita eterna.
Seconda Lettura : 1 Cor 11,23-26.
L’Eucaristia non è stata inventata dalla Chiesa. Essa la riceve dalla tradizione, cioè dal Signore stesso. E’ lui che nella notte in cui veniva tradito, ha consegnato ai discepoli il suo Corpo e il suo Sangue in sacrificio nei segni del pane e del vino, comandando loro di fare questo gesto in sua memoria. Il cibo e la bevanda eucaristica ci affidano la morte del Signore, la grazia di questa morte che ci ha redenti. Con l’Eucaristia entriamo a far parte dell’alleanza con Dio che Gesù ha reso possibile e ha confermato con il suo Sangue e il suo amore. Tutto questo deve essere vissuto il più degnamente possibile realizzando anche gesti di comunione con i fratelli.
Vangelo : Lc 9,11-17.
Gesù invita, come leggiamo nel Vangelo, gli apostoli a dividere alla folla del pane che però essi non hanno: lo fa Gesù moltiplicando i pani e i pesci di cui essi dispongono. Dopo aver reso grazie e averli spezzati tutti ne mangiano e sono saziati. Questa moltiplicazione preannunzia già l’Eucaristia, ciò che Gesù farà nell’ultima Cena e che Egli ha affidato agli Apostoli e alla sua Chiesa, dove a essere distribuiti non sono dei semplici pani e pesci, ma lo stesso Corpo del Signore. Gesù ci sazia con il dono di sé tramite il ministero della Chiesa, che continua al suo posto a sfamarci del pane della Vita.
La SANTA TRINITA'
26 Maggio – Santissima TRINITA’
La nostra vita nell’amore di Dio.
Può l’uomo nel suo cammino terreno raggiungere la verità tutta intera? Può raggiungere la totalità delle cose per cui vive: l’amore, la felicità, la libertà? Può l’uomo sperimentare un po’ d’amore, un po’ di felicità, un po’ di libertà. Ma finché siamo in cammino sulla terra tutte queste cose sono limitate. L’uomo da sempre ha ragionato su queste cose che gli mancano pienamente e come raggiungerle.
Solo Dio è il nostro tutto.
Nel Vecchio Testamento, prima della definitiva rivelazione, avvenuta con Gesù, la Sapienza narra gli interventi di Dio nelle realtà umane per trasfigurarle: le cose da Dio create prendono senso dalla Sapienza di Dio e sono orientate alla perfezione finale da essa, per cui la storia diventa la realizzazione del progetto di Dio al di là delle resistenze dell’uomo; l’uomo e la donna ricevono una dignità che non ha paragoni con le altre realtà create, perché ha fatto “ l’uomo poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo ha coronato e gli ha dato potere su tutto il creato ” (Salmo responsoriale).
Coloro che quindi non intravedono, nella perfezione del creato e negli avvenimenti che accadono, la presenza nascosta del creatore non vi scorgono il senso, la forza e l’amore che li sospinge verso la perfezione stessa, verso Dio. Questi sono tutto e ciò che Dio ha creato al di fuori di Sè, - Uomo, creato, universo -, non sono altro che ombra della sua presenza, della sua perfezione: esse, limitate, tendono però verso la perfezione fino all’incontro con il « Senza limiti ». Oltre le cose visibili, la vita, oltre il tempo e la storia i credenti, con lo sguardo della fede, scorgono la sapienza di Dio che tutto crea, tutto conserva in esistenza e sospinge tutto verso la perfezione: quando tutta quanta la creazione sarà trasformata nella gloria dei figli di Dio.
In Dio è il nostro futuro: la nostra piena realizzazione.
La nostra esistenza presente aspira alla piena realizzazione di sé, non solo in questa fase terrena, ma siamo aperti alla speranza, ad una realtà dopo la nostra morte, in cui avremo la felicità che in questa vita non abbiamo potuto avere pienamente. Noi ancora non abbiamo una piena conoscenza di Dio, del mondo, di Gesù che è venuto e ci ha rivelato il Padre, il suo progetto di amore, la sua volontà, e ci ha insegnato a vivere la nostra figliolanza imparandola da lui. Ma quanto è difficile realizzare questa nuova identità adottiva, ricevuta come dono, per cui, a volte, non riusciamo a sorreggere la fatica di vivere questa realtà. Nella fede camminiamo e, anche se immersi nelle difficoltà di una terra d’esilio, attendiamo che Dio porti a compimento il suo progetto e si riveli totalmente a noi come il Tutto che ci avvolge, come luce che ci illumina, come libertà piena, come gioia incomparabile, come vita nella sua immensità, liberata dalla corruzione della carne e trasformata dalla sua potenza divina.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Nel nome della Trinità noi siamo stati segnati nel nostro Battesimo; ci segniamo ancora con il segno della croce; nel nome della Trinità ci raduniamo in preghiera. Tutto questo deve portarci a vivere la nostra vita orientati alla comunione con le tre Persone divine e ciò significa: ringraziare il Padre creatore, per il dono dell’esistenza e dei suoi doni; ringraziare il Figlio che con il dono totale di sé ci ha redenti; ringraziare lo Spirito Santo che ci santifica con la sua presenza, attraverso i Sacramenti, la sua Parola, i suoi doni, nella vita della Chiesa, di ognuno di noi, e nella vita e nell’impegno di tutti gli uomini di buona volontà. Questa comunione con la Trinità ci porta a nutrire la speranza di giungere alla meta, che non è il nulla o l’insoddisfazione del parziale, ma è una meta di vita piena e di eterna beatitudine che Gesù Salvatore ci ha meritato. Memori del passato che ci educa, radicati nel presente che contiene frammenti di Dio, noi siamo orientati verso un futuro che appartiene a Dio e a noi, per suo dono, con Lui. Il segno di croce con cui ci tracciamo ci indica che noi siamo da Lui, viviamo e a Lui apparteniamo e in Lui vivremo. Siamo della Trinità tutta e dalle Persone divine riceviamo la perfezione della libertà, dell’amore, della vita. Il nostro futuro in Dio è una speranza che possiamo è dobbiamo ormai conseguire, perché la vita eterna non sarà più un tormento, ma solo estasi, non ci sarà più né lutto, né dolore, né affanno, ma pienezza di gioia. Non più mezze verità, ma la verità tutta intera. La verità sull’uomo e sul mondo è la Trinità nella sua Sapienza e nel suo Spirito e nella Comunione del-l’amore, finalmente liberi dalla corruzione e dalla morte, pienamente appagati per l’eternità dall’amore della Trinità
Prima Lettura: Prv 8,22-31
La Sapienza è la personificazione di Dio stesso, il Creatore e il Salvatore: nel Nuovo Testamento Gesù sarà la Sapienza, il Verbo incarnato. Nel creato Dio vi ha posto la sua sapienza e per questo il credente è chiamato a contemplarla e riconoscerla in esso.
Seconda Lettura :Rm 5,1-3.
Per mezzo del Signore Gesù possiamo sperare di raggiungere la comunione piena con il Dio Unico in tre Persone: Per questo Paolo saluta i cristiani augurando loro che l’amore del Padre, la grazia e la pace di Cristo e la comunione dello Spirito Santo sia sempre nella loro vita.
Vangelo: Gv 16,12-15,
Poiché quello che il Padre possiede è del Figlio, lo Spirito, che da loro procede e che inviano, rende i discepoli del Signore capaci di comprendere e annunciare ciò che Egli dice loro.
Ultimo aggiornamento (Domenica 26 Maggio 2013 00:25)
La Pentecoste: Gesù dona lo Spirito.
19 Maggio - Domenica di Pentecoste.
Gesù dona lo Spirito per la vita della Chiesa.
Il racconto della Pentecoste degli Atti degli Apostoli segna l’inizio della Chiesa e della sua missione. Luca ci racconta quanto è accaduto e anche che ciò che è accaduto è una realtà che coinvolge la vita delle comunità di tutti i tempi. Lo Spirito del Signore, da quel momento operante nella Chiesa, fa sbocciare l’amore per Cristo nel cuore dei fedeli. Lo Spirito genera nei credenti la comunione con il Padre, come Gesù aveva detto: « Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui ». La Chiesa, oggi, è chiamata a collaborare con lo Spirito per rinnovare il mondo attraverso l’annuncio e la testimonianza di coloro che sanno di essere salvati.
Dalla Pentecoste una nuova e definitiva alleanza.
Nella Pentecoste, festa della mietitura, divenuta successivamente festa della rinnovata alleanza del Sinai tra Dio e il popolo d’Israele, discende lo Spirito Santo che Gesù invia dal Padre dando inizio a una nuova alleanza realizzata da Gesù tra Dio e l’umanità.
Questo avvenimento collocato nel giorno della Pentecoste ebraica, indica che la nuova alleanza, nel nuovo popolo di Dio, la Chiesa, fa superare ogni barriera etnica e religiosa: vi erano, infatti, a Gerusalemme uomini di ogni nazione, e tutti comprendono nella propria lingua nativa ciò che gli apostoli dicevano ripieni dello Spirito Santo. La lieta notizia è compresa da tutti e nuova è ormai la comunicazione tra gli uomini, diversa da quella derivante da Babele.
Lo Spirito effuso permette agli uomini di comunicare l’esperienza del Cristo risorto. Lo Spirito, più che fare ciò che spetta a noi fare o dirci cosa dobbiamo fare, ci dà la forza e la possibilità di operare quanto noi dobbiamo fare e operare. Nella Pentecoste avviene un incontro tra i testimoni di un avvenimento: gli apostoli e coloro che sono presenti a Gerusalemme: uomini in cerca della verità. Lo Spirito permette che tra gli apostoli e questi è possibile comunicare; che la verità del Cristo, morto e risorto per tutti, può raggiungerli e, pur essendo diversi, renderli uniti in un nuovo popolo. Pur mantenendo, allora, la propria identità, cultura e diversità, è possibile comunicare la realtà della lieta notizia e partecipare della salvezza. La diversità diventa così una ricchezza e una rinnovata possibilità di collaborazione e di incontro.
Una comunità missionaria.
Se nella Babele antica regnava la divisione tra gli uomini, i quali erano incapaci di comunicare tra loro, nella Pentecoste, tutti, pur rimanendo nella diversità che li caratterizza, sono riuniti nella stessa fede nello stesso Signore. Ogni qual volta un gruppo di uomini e di donne, di adulti e giovani, di bambini vecchi, sono riuniti per ascoltare la parola di Cristo risorto, resa presente e operante dalla potenza dello Spirito Santo, la Chiesa ricomincia in una aurora continua. La Pentecoste invita ogni comunità cristiana a mettersi in stato di missione verso tutti gli uomini. Lo Spirito Santo dà ai cristiani, spesso paurosi, la forza di essere testimoni trasformati e convinti, pronti a riprendere il cammino del Cristo per continuare la sua opera di salvezza e di perdono, annunciando così il mondo ha sempre nuovi orizzonti da raggiungere e che camminare e lavorare per rendere l’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Ef 4,13b).
Per la crescita di tutti.
Lo Spirito dispensa ad ognuno dei doni che bisogna mettere a disposizione di tutti per il bene di tutta quanta la Chiesa, nella logica e nello spirito del servizio, della disponibilità, dell’accoglienza. Non tutti possono parlare nello stesso tempo, per esempio, perché mancherebbe lo spazio per l’ascolto. Non possono esserci doni per la rivalità o per l’oscuramento degli altri doni: tutti devono concorre al bene di tutta quanta la Chiesa di Cristo. Ognuno non può ritenersi tutto il corpo, né un servizio può pretendere di ricapitolare in sé tutti gli altri servizi, perché altrimenti la vita della comunità sarebbe minacciata e verrebbe smentita la logica del servizio. Con la Pentecoste la comunità è chiamata ad essere missionaria: in essa ogni credente riceve il dono di manifestare lo Spirito per l’utilità comune.
Prima lettura: At 2,1-11.
I discepoli di Gesù sono stati obbedienti. Hanno atteso la venuta dello Spirito Santo promesso, che appare loro sotto forma di lingue di fuoco. Con la venuta dello Spirito comincia l’annunzio delle grandi opere di Dio, che si riassumono nell’avvenimento della morte e risurrezione di Gesù. Ciò che sorprende è che ognuno sente la gioiosa proclamazione nella propria lingua pur essendo dei Galilei a parlare. L’insolenza della torre di Babele e il castigo della confusione sono vinte con la proclamazione del Vangelo. La fede pur volgendosi a popoli, lingue, tradizioni diverse, crea l’unità, perché tutti sono chiamati a divenire figli di Dio. La confusione che la superbia aveva portato tra gli uomini è ricomposta n un ità dallo Spirito Santo. Esaminiamoci se siamo operatori di unità o se invece fomentiamo la discordia; se, rompendo il cerchio che ci chiude in noi stessi, sappiamo uscire versi gli altri e creare comunione.
Seconda Lettura: Rm 8,8-17.
Non siamo più degli schiavi, ma figli di Dio; e infatti lo chiamiamo «Abba », «Padre ». Figli di Dio diventiamo perché riceviamo lo Spirito di Cristo, lo Spirito che ci fa appartenere a lui. Da questo Spirito deriva il principio, la garanzia, il pegno della risurrezione. La morte alla fine della vita è vinta. Certo bisogna vivere adesso secondo lo Spirito, non secondo la forma o il modello che è ancora quello, dice Paolo, della carne, cioè dell’uomo implicato e convivente col peccato. Se poi siamo figli di Dio, siamo eredi insieme con Cristo. Ci aspetta la gloria. Tutto il resto quaggiù passa; nessuna eredità rimane e ci dà piena soddisfazione. Anche le nostre sofferenze allora vengono illuminate: sono quelle di Cristo in noi, motivo quindi di gloria futura.
Vangelo: Gc 14,15-16.23b-26.
Il segno dell’amore a Dio non sono le parole e i propositi, ma le opere. Ossia: l’osservanza della parola di Cristo. Chi pratica i comandamenti riceve il Paràclito, anzi inabitato il lui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che, in particolare, viene inviato come colui che apre l’intelligenza a comprendere e a trattenere le stesse parole del Signore. E’ lui che rende vivo e fa conservare in noi il Vangelo.
L'Ascensione del Signore.
12 Maggio – Ascensione del Signore.
Il destino nuovo dell’umanità salvata da Cristo.
Il Cristo risorto ascende glorioso al cielo e alla destra del Padre intercede per sempre per l’umanità salvata. Oggi la Parola di Dio ci invita a lodare il Padre perché in Gesù, suo Figlio, è stato portato a compimento pieno il cammino terreno di Gesù e così gli uomini salvati, divenuti in lui sue membra, possono guardare a lui che li ha preceduti nella gloria del cielo e possono sperare un giorno di raggiungerlo.
Il racconto dell’Ascensione di Cristo con il suo corpo è una dichiarazione di fede in Lui risorto. Tutto oggi ci parla dello splendore con cui si è conclusa la vicenda terrena di Gesù, dalla sua incarnazione fino al momento di un nuovo inizio di vita in un’altra fase della storia della salvezza: quella eterna.
Gli angeli invitano anche noi a guardare in alto.
L’Antico Testamento, nel suo linguaggio simbolico, esprime nel « guardare in alto » le realtà di carattere superiore, mentre nel « basso » sono poste le imperfezioni della morte e della malattia che appartengono al regno degli inferi. Nell’immaginario degli antichi tutto poteva essere diviso fra alto e basso. Il rapporto dell’incontro tra l’uomo e Dio, allora, è posto in un piano verticale. Per cui Dio, nel suo Figlio, scende dal cielo per incontrare l’uomo e questo, in Gesù che risale al cielo, ascende a Dio, a conclusione del suo cammino terreno.
La vita dell’uomo non può essere solo un cammino in avanti nelle realtà terrene di progresso umano di benessere e tecnologico-scientifico, egli è chiamato a compiere anche un cammino verso l’alto, verso la piena realizzazione della sua vita, così come è avvenuto per Cristo, uomo perfetto, venuto a portare a perfezione piena l’umanità. L’Ascensione e la sua celebrazione, allora, come diceva san Leone Magno, ci ricorda e rinnova in noi la « speranza del nostro corpo » che per la potenza di Dio, nella risurrezione finale, sarà trasformato alla maniera di quello del Cristo risorto e glorioso. Il cristiano in questo evento vi trova la garanzia della vittoria sulla morte, il suo finale riscatto. L’elevazione, che l’uomo ricorda di Cristo, non è solo promessa di risurrezione per lui, è anche invito a compiere un cammino verso l’alto nella vita spirituale e nella comunione con Dio, realtà che saranno piene nella risurrezione finale.
Il vivere secondo lo Spirito di Dio, che san Paolo ci esorta a fare, non solo è «nascere dall’alto », ma anche camminare nello Spirito, accogliere e corrispondere come figli all’amore del Padre. Nella vita dello Spirito il credente fa l’esperienza del distacco dalle cose terrene, materiali, per ascendere a quelle di carattere spirituale; è chiamato a vivere nella speranza della risurrezione e a proiettarsi verso la gloria futura.
La vita nello Spirito, però, non può diventare per il cristiano un modo per alienarsi dagli impegni umani, terreni, sociali del- la sua vita quotidiana, che, anzi, questi devono, con la forza derivante da Dio, essere vissuti con maggiore impegno e pienezza, così da annunziare l’ « uomo nuovo » che Gesù ha re- staurato nella storia.
Se lo sguardo è verso l’alto, l’impegno è a camminare verso le realtà celesti.
Con l’Ascensione al cielo Gesù non si allontana dalla nostra umanità, ma questa va interpretata come una nuova presenza del Risorto, mediante il suo Spirito, nella Chiesa e tra gli uomini. Se da una parte i discepoli vedono Gesù ascendere al cielo, nel contempo sono invitati a continuare la sua missione nel mondo. I discepoli, dicono gli angeli, non devono adagiarsi a guardare colui che ascende, ma, piuttosto devono mettersi a continuare l’opera del loro Signore per le strade del mondo: « Perché, uomini di Galilea, state a guardare il cielo? ».
Guardare al cielo non significa essere inoperosi fino alla venuta del Cristo, perché bisogna attenderlo nell’impegno della testimonianza e nella sollecitudine della carità verso i fratelli.
Missione e profezia.
Se dall’Ascensione del Signore inizia la missionarietà della Chiesa, allora, illuminati dalla Parola di Dio, bisogna non solo rimotivare la chiamata a continuare la sua opera, ma anche a innovare lo slancio di nuove iniziative e progetti pastorali.
I cristiani, oggi, sono chiamati non tanto, e solo, a far di più o meglio, ma a sentire, guidati dallo Spirito di Cristo, a chiedersi quale sia il miglior servizio da rendere ai fratelli. Oggi, essi sono chiamati ad avere una chiara conoscenza della Verità di Cristo, ad essere missionari capaci di guardare più lontano di quello che lo sguardo comune può cogliere, ad interpretare gli avvenimenti alla luce di Dio, di saper comunicare lo splendore dei tempi ultimi, a cui oggi poco si pensa. Essere missionari e testimoni di Cristo vuol dire rendersi partecipi della storia, assumendo anche le proprie responsabilità politiche degli stati e delle loro istituzioni.
Prima Lettura: At 1,1-11.
Dopo che nei discepoli, durante i quaranta giorni dalla risurrezione, la fede nel Signore risorto ha preso sicura consistenza, Gesù sale al cielo. Non è un abbandono o una lontananza da loro, perché Cristo dalla destra del Padre, invia sui fedeli lo Spirito promesso ed essi, ricevendolo in pienezza, sono fortificati per rendergli testimonianza anche coraggiosa. E lo stesso Spirito che accompagna i discepoli nella loro missione. Essi infatti non devono restare inattivi aspettando la venuta gloriosa di Gesù. Non devono preoccuparsi di quando sarà la fine del mondo e il termine della storia. Durante poi questo tempo di attesa la testimonianza si manifesta specialmente nelle opere di fede e della carità, che esprimono il desiderio di riunirsi al Signore.
Seconda Lettura : Eb 9,24-28; 10,19-23,
Grazie al sangue di Gesù noi abbiamo aperta la via del cielo. Passiamo attraverso lui, « via nuova e vivente ». Da qui la nostra fiducia, la fortezza nella professione della fede, la fermezza della nostra speranza. E’ necessario un cuore sincero, purificato dall’acqua del battesimo. Nella vita, pur in mezzo alle preoccupazioni, non veniamo meno nella nostra certezza nella presenza di Gesù in mezzo ai suoi, e che, alla destra del Padre, intercede per noi.
Vangelo : Lc 24,46-53.
Lo Spirito del Signore nella Comunita di fede.
5 Maggio – 6a Domenica di Pasqua
Lo Spirito del Signore nella Comunità di fede.
La Comunità cristiana nata dalla Pasqua del Signore è una Comunità in cammino, in cui abita lo Spirito Santo che guida la Chiesa perché ricordi e comprenda nella fede la Parola di Gesù, così da rendere presente nella storia la salvezza del Signore.
Se nell’Apocalisse la Chiesa è presentata come realtà celeste, essa è però incarnata nella storia, e per questo la novità del cristianesimo deve essere adattata a tutte le situazioni pastorali concrete. Così è sempre lo Spirito che guidare la Chiesa: come avveniva nelle vicende delle comunità apostoliche così deve avvenire nelle situazioni presenti della storia della Chiesa.
La Comunità convocata dal Risorto.
La comunità, convocata dal Signore risorto è chiamata ad annunciare la lieta notizia della sua risurrezione. Col tempo, però, la Comunità deve affrontare le problematiche che si presentano concretamente e, nella lettura dagli Atti degli Apostoli, deve fare una scelta decisiva: davanti al problema suscitato da alcuni credenti venuti dalla Giudea i quali insegnavano che era necessaria la circoncisione per potersi salvare, Paolo e Barnaba furono inviati a Gerusalemme per discutere di tale questione con gli Apostoli. La Chiesa per essere comunità universale come avrebbe potuto proporre il Vangelo di Gesù alle culture e ai contesti religiosi diversi presenti nel mondo di allora e di sempre? L’assemblea riunita a Gerusalemme, dopo l’arrivo di Paolo e Barnaba, illuminata dallo Spirito del Signore dà la sua direzione di comportamento riguardo a quella questione.
Il problema teologico riguardante la possibilità di partecipare della salvezza ai numerosi pagani che aderivano alla fede senza ricevere la circoncisione e quindi far parte del popolo di Israele, è risolto perchè Dio ha dato lo Spirito Santo agli incirconcisi e « ha purificato con la fede i loro cuori » senza fare « fare alcuna distinzione ». D’altra parte opporsi a questa scelta fatta dallo Spirito avrebbe significato « tentare Dio » cioè mancare di fiducia nella sua scelta. Così Giacomo per permettere una coabitazione pacifica tra i giudeo-cristiani e fratelli di origine pagana, chiede a questi di rispettare alcuni divieti come « astenersi dalle contaminazioni degli idoli e dalla fornicazione, dalle carni di animali soffocati e dal sangue ».
Tutte le componenti della Comunità: gli Apostoli, gli anziani, l’assemblea a Gerusalemme nella scelta attuata vuole salvaguardare , da una parte, l’universalità del Vangelo e, dall’altra, l’unità della Chiesa. Il discernimento è attribuito alla Spirito Santo, che si è fatto presente attraverso il dialogo lungo e difficile: « E’ parso bene allo Spirito Santo e a noi » ( At 15,28).
La comunità in cammino verso la Gerusalemme celeste.
L’Apocalisse ci descrive, nella seconda lettura, la Gerusalemme celeste risplendente della gloria di Dio, fondata su basamenti che portano i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. in essa Dio e l’Agnello sono il tempio e la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello. La città non è fondata sulla legge ma sul Vangelo di Cristo. Le porte della città, aperte in ogni direzione indicano apertura e accoglienza perfetta.
Gesù, nel Vangelo di questa Domenica, offre delle indicazioni per vivere in pienezza la vita nuova nel cammino verso la Gerusalemme celeste. L’amore verso di Lui è presentato come il tempio in cui dimora la Trinità, che è l’esperienza nella propria vita della pienezza descritta nell’Apocalisse. Dopo la risurrezione il credente e la comunità possono fare affidamento sulla presenza dello Spirito Consolatore che ad essi « insegnerà ogni cosa e ricorderà tutto ciò che Gesù ha detto » e darà loro la forza di rendergli testimonianza. Li aiuterà a discernere in profondità le situazioni in cui potranno trovarsi. La comunità, anche se a volte esperimenta conflittualità al suo interno, potrà vivere nella pace se ci si amerà tra i suoi membri e si farà guidare dal suo Spirito, che convincerà i credenti della validità della via seguita da Gesù. Tutto questo è possibile se ci si mette in ascolto e memoria creativa delle parole di Gesù e si vigila per discernere ciò che viene dallo Spirito da ciò che è semplice proposta umana.
Prima Lettura: At 15,1-2.22-29.
Non sono più necessarie le pratiche imposte dalla legge di Mosè, come la circoncisione. Ci potranno essere ancora alcune norme da osservare per un po’ di tempo per non creare dissapori; ma ormai, con Gesù Cristo , la grande pratica sarà la carità, che ha come suo principio il dono dello Spirito Santo, quindi la grazia e la vita divina. La condotta cristiana ha dei comandamenti precisi, ma soprattutto bisogna che sia animata dalla novità dello Spirito, che rinnova l’intimo dei cuori.
Paolo e Barnaba hanno rischiato la loro vita per il nome di Gesù: Tutti lo devono fare, e singolarmente i vescovi e i sacerdoti, dediti come missione di vita al Vangelo e alla edificazione della comunità.
Gli Apostoli dicono « E’ parso bene, allo Spirito Santo e a noi ». Essi si sentono organi e strumenti dello Spirito. Non dei padroni, ma dei dipendenti. Noi ringraziamo il Signore che ha dato alla Gerarchia il dono dello Spirito Santo, così che come guida della comunità, della sua fede, della sua condotta, non può sbagliare, anche se essa può presentarsi con dei difetti umani e comuni.
Seconda Lettura : Ap 21,10-14.22-23.
Nella Gerusalemme celeste i segni esterni del culto, i templi, i sacramenti, i libri sacri, non sono più necessari. Essi sono necessari nella fase della Chiesa terrestre. In cielo Dio stesso e il Signore Gesù saranno immediatamente visibili e noi entreremo in comunione con loro senza mediazione di segni.
Ma già da adesso, quando celebriamo la liturgia, apriamo il libro delle Scritture, la nostra intenzione e il nostro desiderio è di raggiungere personalmente il Signore.
Vangelo : Gv 14,23-29.
In chi mette in pratica la Parola di Dio vengono ad abitare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Di conseguenza i discepoli di Gesù non devono lasciarsi prendere dall’ansia. Devono avere il cuore colmo della pace che il Signore ha promesso e ha donato. Innanzitutto principio e motivo di pace è lo Spirito, chiamato da Gesù « il Paràclito », il consolatore inviato a noi per i meriti e l’autorità di Cristo. Lo Spirito richiama alla memoria le parole di Gesù e introduce a capirle e a gustarle.
Il cristiano vive l’intimità dello Spirito: in tal modo è congiunto col Signore ed è portato alla comunione di vita del Padre.