





Cristo, fonte d'acqua viva.
23 - Marzo – III Domenica di Quaresima.
Cristo, fonte di acqua viva.
In un mondo pervaso dal peccato e dalle divisione Gesù annunzia la salvezza. Nella incapacità ad essere fedele a Dio e ai valori profondi dell’uomo, la nostra umanità è divisa da appartenenza etniche, religiose e siamo, nella nostra debolezza, invasi dalla sfiducia. Cristo, davanti al peccato dell’uomo, che nella Samaritana ha un prototipo, rivolge verso di lui in suo amore, per renderlo capace di amare Dio e di adorarlo in spirito e verità. Cristo, che è acqua, luce, vita ( simboli di realtà spirituali), in questa Quaresima ci chiama a fare un cammino di conversione e non ci abbandona alla solitudine della nostra colpa. Ci offre la sua misericordia, come un giorno alla Samaritana ha offerto l’ acqua che purifica e rigenera, cioè lo Spirito Santo, che sarebbe scaturito dal suo fianco aperto sulla croce.
L’acqua, come simbolo ambivalente, nella Bibbia, se nel diluvio è stata simbolo apportatrice di morte, solitamente è considerata come il simbolo della vita, della Parola di Dio, della Legge, dello Spirito Santo.
Gesù ancora adesso elargisce « all’umanità riarsa l’acqua viva della grazia », così noi diventiamo « tempio vivo » dell’amore di Dio. Il cammino della conversione, della ripresa interiore, della riparazione della colpa passa attraverso il digiuno, la preghiera e le opere della carità fraterna. Su questa strada – quando non si limita ad essere proclamata nella liturgia, ma diventa esperienza concreta di vita – viene vinto il nostro egoismo e infranta « la durezza della mente e del cuore ».
Prima Lettura: Es 17,3-7.
La sete, che attanaglia gli ebrei che vagano nel deserto, è un banco di prova per la loro fede in Dio e per la fedeltà dell’assistenza di Dio verso il suo popolo. E’ ancora lontananza da Dio ed anche occasione per il manifestarsi della misericordia di Dio, che farà scaturire acqua dalla roccia.
Alla sete della Samaritana corrisponde il progressivo rivelarsi di Gesù, di cui la donna ne comprende l’identità attraverso un crescendo espresso dai titoli che l’evangelista Giovanni usa: giudeo, più grande di Giacobbe, profeta, Cristo.
Anche Gesù ha sete, causata dalla sua missione per la salvezza dell'umanità e per cui assume la natura umana: così nel massimo della sua rivelazione, nell’ora della prova, della sofferenza e della croce, dirà ancora una volta: « Ho sete» (Gv 19,28).
Gesù prende su di sé la sete della Samaritana e di tutto l’uomo , la sua lontananza da Dio, il suo peccato e la stessa ricerca di Dio. Egli non è venuto per giudicare o condannare l’uomo, ma indica a tutti che la ricerca di Dio non può che passare attraverso il riconoscimento doloroso della propria fragilità e del proprio peccato.
I disagi del deserto insinuano nell’animo degli ebrei la sfiducia, la mormorazione e la contestazione verso Mosè e verso Dio stesso. L’esodo invece che grazia è giudicato gesto irresponsabile:« Ci ha fatti salire dall’Egitto per farci morire! ». Dio placa quella protesta con il miracolo dell’acqua che scaturisce dalla roccia e che è segno della sua presenza in mezzo al popolo liberato.
Non ci sentiamo lontani dagli ebrei in certi momenti della vita, quando pare che Dio ci abbia abbandonato e i miracoli non avvengono. Allora ci deve venire alla mente l’esempio di Gesù nel deserto, la sua fiducia nella Parola di Dio, il suo consenso alla volontà del Padre.
Seconda Lettura : Rm 5,1-2.5-8.
Eravamo peccatori e, ciò nonostante, abbiamo ricevuto da Dio il suo stesso Figlio, Gesù Cristo morto per noi sulla croce. Di fronte a un amore così grande non dobbiamo lasciare spazio ad alcun timore. La speranza ha un fondamento incrollabile e non potrà andare incontro a delusione. Tanto più che questo amore divino « è stato riversato nei nostri cuori » con il dono dello Spirito Santo.
E’ la condizione del cristiano. Solo che spesso non se ne rende conto, e allora si conduce un’esistenza uggiosa, inquieta e insoddisfatta.
Vangelo : Gv 4,5-42.
Gesù, in cammino verso la Samaria, stanco, sì per il viaggio, ma soprattutto per il lavoro apostolico, si siede al pozzo di Giacobbe, dove attende la donna Samaritana, a cui chiede da bere. Egli, però, non ha sete tanto di acqua, quanto della salvezza della donna, a cui promette di dare lui dell’acqua.
E così, via via che la donna samaritana lascia la sua diffidenza e le appare il mistero di Cristo, che non è più lo straniero e il nemico che chiede da bere, ma lui stesso si rivela il « pozzo dell’acqua viva », che è lo Spirito, assetata, gli chiede: « Signore, dammi di quest’acqua, perché io non abbia più sete »( Gv 4,15). E Gesù, per la donna, a conclusione del colloquio, non è tanto un profeta che dice dove Dio va adorato, ma è la Verità, in cui avviene il vero culto e la perfetta adorazione del Padre. E’ la scoperta che anche noi siamo chiamati a fare: Cristo, sorgente dello Spirito che lava le colpe, soddisfa il cuore; Messia al quale ci associamo per dedicarci al Padre con un amore rinnovato dallo Spirito Santo.
La donna, dopo aver trovato la vera acqua, si fa missionaria verso i suoi concittadini: lascia l’anfora con cui attingeva l’acqua materiale, per avere quella che Gesù le dà e che le estingue la sete, e, andando a chiamare gli altri, desidera che anche questi siano dissetati dalla medesima acqua.
Se inizialmente i samaritani vogliono conoscere Gesù per le parole della donna, a cui Gesù aveva detto il suo passato, quando incontrano Gesù anch’essi restano ammirati, lo invitano a restare con loro, e le dicono: « Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo ».
La ricerca spirituale di Dio porta con sé la scoperta della propria umanità nella sua fragilità, per cui solo così ci si può aprire ad accogliere la salvezza, che estingue la fame e la sete di Dio, come scrive Isaia: « Non li colpirà più né la fame né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua »( Is 49-10)
Nel deserto dell’esistenza, in cui si sperimenta la fame e la sete di gioia, di pienezza di vita, di valori perenni e di ricerca di Dio, se la testimonianza dei cristiani può stimolare altri ad andare a Lui, solo con l’esperienza diretta di Dio e sostando con Gesù può estinguersi la sete di Lui, possiamo giungere alla professione di fede e dire come i samaritani: « E’ veramente il salvatore del mondo ».
Ultimo aggiornamento (Sabato 22 Marzo 2014 16:54)
Dio benedice e salva in Gesù.
16 Marzo – 2a Domenica di Quaresima.
Oggi Gesù si rivela a noi nella sua trasfigurazione. Ce lo presenta il Padre come il Figlio amato: è a lui che dobbiamo aderire; è sulla sua parola che la nostra esistenza dev’essere programmata. In lui si conclude tutto l’Antico Testamento con la sua legge e la sua profezia. Ma seguire Cristo vuol dire assumere « nella nostra vita il mistero della croce », sulla quale ci è stato consegnato perché i nostri peccati fossero rimessi. E’ un itinerario difficile, che compiamo nella fede e nella speranza, intravedendo nel nostro pellegrinaggio i riverberi della gloria del Risorto, apparsi in Gesù trasfigurato.
Prima Lettura: Gn 12,1-4
Dio irrompe nella vita di Abramo e gli dischiude orizzonti umanamente nuovi. Abramo, affidandosi a Lui, abbandona le proprie sicurezze, il paese, la casa: è un passato che deve tramontare, perché ormai deve incominciare qualcosa di assolutamente nuovo, una nuova terra, un popolo nuovo con la promessa di un discendente, come segno e luogo della storia della salvezza; un popolo che porta in sé la benedizione di Dio: da lui sarebbe sorto Gesù Cristo, il vertice della discendenza, il senso e il fine del beni promessi ad Abramo.
Abramo, quindi, obbedisce e parte, con coraggio e fiducia in Dio che lo chiama e nel futuro che lo attende secondo il suo progetto: ecco il frutto della fede, che diviene operosa e che trasforma la vita.
Rispondere all’appello di Dio, scommettere e investire la propria vita e il proprio futuro su questo appello, lasciarsi guidare dalla sua Parola, la quale è sempre una chiamata alla conversione, vuol dire credere in Dio, mettersi in crisi nelle proprie certezze, essere sorretti dalla fede che la storia di ognuno e degli uomini non è dominata dal caso ma, come afferma Paolo, da Dio, che « ci ha salvati…secondo il suo progetto e la sua grazia », donandoci la sua grazia e misericordia in Cristo, suo Figlio e inserendoci nella sua volontà salvifica.
Seconda Lettura: 2 Tm 1,8-10.
Non si può essere veri apostoli, veri discepoli di Cristo, se non si soffre per il Vangelo. Paolo invita Timoteo a superare ogni avvilimento e ad accettare questa sofferenza; ma con Timoteo invita anche noi. Del resto, ci aiuta « la forza di Dio ». E’ la forza alla quale ci affidiamo troppo poco; eppure eassa è tale che nessun ostacolo la può piegare.
Quanto al contenuto del Vangelo: esso è la grazia, cioè il disegno di salvezza scelto da Dio, per mezzo di Cristo, fin dall’eternità e reso manifesto con la morte e la risurrezione di Gesù, vincitore della morte e luogo della vita. Ricevere la grazia vuol dire entrare in comunione con questa vita che risiede in Cristo.
Vangelo: Mt 17,1-9.
Nel racconto della Trasfigurazione sul Tabor di Matteo , Mosè ed Elia, la legge e i profeti convengono presso Gesù, poiché ne sono stati la preparazione e l’attesa. Come Mosè, convocato da Dio per ricevere la Legge è salito sul monte Sinai, dove « la gloria del Signore venne a dimorare e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno…», così « Sei giorni dopo …», la professione di fede di Pietro, che lo riconosce come « il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), l’annunzio della sua Passione, che scandalizzò gli apostoli (Mt 16 21) e delle parole dette da Gesù che « il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo » Mt 16 27, sul Tabor, in Gesù trasfigurato, si rivela la gloria di Dio in tutto il suo splendore. Qui i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, saliti con Gesù, sono spettatori e testimoni della rivelazione della divinità di Gesù, finora celata dalla sua umanità. E se, da una parte, Gesù corregge le attese messianiche degli apostoli con l’annunzio della Passione, dall’altra preannunzia gli eventi pasquali con la trasfigurazione.
Anche la voce che proclama « Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo » (Mt 17,5), come era avvenuto nel Battesimo al Giordano, aiuta a comprendere la figura di Gesù come Figlio e Messia del Salmo 2, l’ amato come Isacco, in cui si compiace come del Servo Sofferente di Isaia.
Mosè ed Elia, rappresentanti dell’Antico Testamento, indicano che in esso tutto è preannuncio della figura e dell’opera di Gesù: la Legge, la Profezia, il sacrificio di Isacco, la sofferenza del Servo di Dio e, quindi, la fede in lui deve affrontare lo scandalo della passione.
Gli apostoli, davanti all’evento della trasfigurazione, rimangono estasiati e non vorrebbero allontanarsene, ma la voce dice loro che più che guardarlo trasfigurato deve essere da loro ascoltato.
Poi Gesù, il Figlio di Dio, l’amato, colui nel quale abita e risuona la parola del Padre, resta solo e, insieme agli apostoli, scende dal monte per riportarli alla vita normale, quotidiana, luogo in cui bisogna ancora ascoltarlo e seguirlo, nell’obbedienza al Padre e nella sua sequela, affrontando i giorni della passione, condizione per giungere alla gloria.
I brevi momenti della trasfigurazione aprono come uno spiraglio sul mistro di Gesù, abitualmente nascosto nella sua vita mortale e che la passione verrà ad oscurare ancora di più. Ma non si dovrà dubitare : nel servizio umile della sua morte Gesù porterà a compimento il disegno di Dio, la fede non dovrà vacillare e venir meno.
Questo tempo di Quaresima è, particolarmente, il « momento opportuno per lasciare che la Parola ci smuova, ci sfidi a scommettere la nostra vita in Dio e ci provochi ad avere fiducia nel futuro di salvezza , iniziato con la morte e la risurrezione di Cristo e che avrà il pieno compimento, anche per il credente, nella stessa gloria di Dio, preannunziata con la trasfigurazione di Gesù sul Tabor.
Ultimo aggiornamento (Sabato 15 Marzo 2014 20:01)
Gesù tentato da Satana nel deserto, vince il male anche per noi.
9 Marzo – Prima Domenica di Quaresima.
La Quaresima è chiamata « segno sacramentale della nostra conversione » . Vuol dire che i giorni che passano e i riti che in essi celebriamo sono richiamo e manifestazione del nostro impegno a rivedere la vita e a giudicarla secondo le esigenze del Vangelo.
Quello di Quaresima è detto « tempo favorevole per la nostra salvezza »; tutti i tempi sono portatori di grazia e quindi invito alla redenzione della vita , ma in Quaresima le esortazioni diventano più pressanti e appassionate: la meditazione sulla nostra colpa si fa più prolungata; il sacrificio della croce fissa più intensamente la contemplazione della Chiesa, mentre i nostri cuori più attentamente sono in ascolto della Parola di Dio. Tutti questi giorni sono sotto la grande attrazione della Pasqua, i cui misteri sono al centro dell’anno liturgico e al culmine della storia della salvezza.
Prima Lettura: Gn 2,7-9. 3,1-7.
Questo testo non è una narrazione storica, ma vi troviamo il perché del peccato che, fin dalle origini, induce l’uomo ad ogni forma di male che sperimentiamo. E’ obbligo morale dell’uomo superare questo limite che non bisogna accettare passivamente e pigramente: tutti siamo chiamati in quanto creature a ricercare il bene nostro e di tutto l’uomo, a perfezionarci e assolvere al compito di maturazione umana. Ma ci ritroviamo con un limite insuperabile che è costitutivo della creatura: accettarsi nello stato di creatura è riconoscersi nella giusta relazione con Dio. Il voler oltrepassare questo limite spinge l’uomo al tentativo di equipararsi a Dio, volersi sostituire a Lui.
Allora: a motivo del demonio e del consenso dell’uomo a tale suggestione, l’uomo stesso diviene peccatore. Il peccato è un atto di diffidenza nei confronti di Dio, di autocompiacenza, di volontà di essere come Dio, misconoscendo la propria condizione di creatura. Invece di fare della creazione motivo di gioioso rendimento di grazie, l’uomo se ne accaparra, come se ne fosse l’autore. Il demonio inculca in Eva il sospetto che Dio abbia proibito di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male non perché sarebbero morti, ma perché insinua subdolamente: « Non morirete affatto! Anzi Dio sa che il giorno in cui ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscerete il bene e il male ». Dio viene presentato come nemico della sua creatura. Così con la disobbedienza la relazione armonica e fiduciosa tra Dio e l’uomo viene sostituita da un atteggiamento di rivalsa contro Dio, che lo avrebbe ingannato malevolmente.
Il frutto diventa, così, appetibile sotto tutti gli aspetti e il mangiarlo avrebbe fatto superare il limite creaturale: cadere nella tentazione di mangiarlo non apporta certo in Adamo ed Eva la sazietà del loro desiderio. Così l’uomo si rivolge anche verso le altre creature di Dio non con il giusto rapporto di amministratore della creazione ma come padrone e possessore!
Il risultato è che l’uomo viene sì a conoscere, ma che cosa? La propria nudità, simbolo della propria miseria, che infonde rossore, timore e vergogna.. Ogni nostro peccato conferma e continua il primo peccato.
Ma ormai il pensiero del peccato dev’essere intimamente congiunto con quello della misericordia, cioè con quello della croce di Gesù, dove egli muore, per riportare l’uomo alla vita di figlio di Dio per il dono della grazia. Così Cristo, recuperando l’identità dell’uomo che ha disobbedito al creatore, con la sua obbedienza, da creatura lo rende figlio del Padre celeste e restaura un nuovo rapporto tra Dio e l’umanità.
Seconda Lettura: Rm 5,12-19.
Il triste cammino del peccato inizia da Adamo, e porta nel mondo la morte. Tutti gli uomini nascono con l’impronta di quella colpa e di quella morte. Ma questo non è il destino vero e ultimo dell’uomo. Al peccato di uno, cioè di Adamo, sopravviene, ben più potente ed efficace, la grazia di uno, cioè di Cristo. Per la ribellione del primo uomo è venuto il male e la condanna, per l’obbedienza del secondo, è venuta la giustificazione. Nella nostra stessa vita deve sopravvenire alla conseguenza del primo peccato, e ai peccati personali che purtroppo già hanno intessuto e, meglio si dovrebbe dire, hanno disfatto la nostra vita, l’abbondanza della grazia. Questi giorni ci preparano alla comprensione rinnovata della croce, sulla quale Gesù ci ha riscattato e ridato la vita.
Vangelo : Mt 4, 1-11.
Gesù non si lascia suggestionare dal diavolo nel deserto. Egli sperimenta nella tentazione del diavolo il limite delle creature e non lo supera, per insegnarci che anche noi possiamo vincere le stesse tentazioni. Non cede come ha fatto Adamo e come ha fatto Israele lungo il suo peregrinare nel deserto. Dopo i quaranta giorni di digiuno « ebbe fame ». Anch’egli, pur essendo stato proclamato al Giordano dal Padre « figlio prediletto in cui si è compiaciuto » sperimenta la debolezza e Satana lo tenta proprio sulla sua dignità filiale: « Se tu sei Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane ». Ma Gesù lo respinge perché innanzitutto si preoccupa di ascoltare la Parola di Dio e di lasciarsene nutrire, rifiuta anche la via facile del miracolo applaudito, che è un mettere alla prova Dio, e infine reagisce alla prospettiva del potere terreno come compenso dell’adorazione del demonio, perché solo Dio dev’essere adorato; lui solo dev’essere servito.
Entrambi si basano sulla Scrittura, Satana per tentarlo alla disobbedienza e Gesù per respingerlo, interpretandola come criterio della sua relazione filiale.
Queste tentazioni del deserto sono, come tutta intera la sua esistenza, una continua messa alla prova fin sulla croce, su cui la sua obbedienza al Padre è confermata ed è sconfessata la disobbedienza dei progenitori. Così Gesù manifesta la sua conformità alla volontà salvifica del Padre riconciliando l’umanità disobbediente con la sua obbedienza sulla croce, dove appare spoglio di gloria e di potere: ma è quella la via misteriosa della salvezza del mondo.
In questa Quaresima da Cristo riceviamo la forza di vincere le tentazioni, piccolo e grandi che siano , poiché tutte si risolvono in quelle tre che Gesù ha decisamente superato per sé e per noi, dandocene un esempio..
Il sacro tempo della Quaresima
TEMPO DI QUARESIMA
Le sei settimane di Quaresima preparano alla Pasqua, che è cuore di tutto l’anno liturgico e la sintesi di tutti i misteri della salvezza.
Chi ancora non ha ricevuto i Sacramenti della iniziazione cristiana – il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia – vi si dispone in questo tempo, e li riceverà durante la grande Veglia Pasquale.
Chi invece è già inserito nel mistero di Cristo e della Chiesa trascorre la Quaresima riprendendo i propri impegni e accogliendo una grazia rinnovata.
Questi quaranta giorni sono segnati anzitutto dal ricordo dei quaranta giorni di Gesù nel deserto, dalla sua lotta con il demonio, dalla sua vittoria sul tentatore. Nel deserto Gesù viene nutrito dalla Parola di Dio, e così supera ogni suggestione diabolica, scegliendo decisamente il cammino segnatogli dal Padre: la redenzione mediante l’umiltà della croce. Durante questo tempo, con ascolto più attento e volenteroso, ci accosteremo anche noi alla Parola di Dio, per attingervi la forza di seguire Gesù Cristo sulla sua strada. In particolare questa Parola vivente ci nutrirà nell’Eucaristia, Pane vivo che ci sosterrà lungo il nostro cammino. L’immagine del cammino ci richiama il viaggio del popolo ebraico lungo il deserto, la liberazione e l’uscita di Israele dalla schiavitù. Fu un tempo di miracoli per l’antico popolo di Dio, miracoli che si avverano ancora di più per noi. Su di essi ritorna la nostra meditazione quaresimale: la manna per noi è l’Eucaristia; l’acqua viva dalla roccia è il dono dello Spirito, la luce luminosa che ci guida è Cristo, Verità e Luce, la legge è il Vangelo.
Nei quaranta giorni ripasseremo queste vicende bibliche, non solo per risuscitare il ricordo, ma soprattutto per constatare la loro continuazione e il loro compimento nella Chiesa.
Di fronte alla bontà divina diverrà più acuta la consapevolezza del nostro peccato: più che la fedeltà di Gesù, abbiamo imitato – stiamo imitando – la durezza di cuore dell’antico popolo di Dio.
Considereremo con amarezza quanto la nostra carne è debole, quanto siamo feriti. Ma alla coscienza della nostra condizione di peccatori non seguirà l’avvilimento di chi si dispera; al contrario, si rinnoverà la fiducia in un amore misericordioso che ci attende per il perdono.
La Quaresima è tutto un commosso e riconoscente elogio della bontà di Dio che nel Signore crocifisso chiama a sé l’uomo che ha peccato.
Quaresima, quindi, è tempo di ritorno, e perciò di mutamento dalla tristezza e dal rimorso alla gioia della vita nella grazia.
Così si riprende la grazia del Battesimo e di tutta la nostra iniziazione cristiana: diventeranno attuali per noi gli incontri con Gesù ( come quello con la Samaritana ), rievocati nelle grandi pagine del Vangelo di Giovanni, o i miracoli ( sul cieco nato e su Lazzaro ) riferiti dallo stesso evangelista, e che sono come la prefigurazione e il simbolo dei prodigi avvenuti nel nostro Battesimo.
I sacramenti vanno come rivissuti e così diviene presente la vita del Signore. Preghiera e Penitenza: ecco il programma di questi che potremmo chiamare « esercizi spirituali » di tutta la Chiesa.
Senza una volontà seria la Pasqua si avvicina nel tempo, ma la sua grazia non sarebbe colta. Chi invece si dispone a passare la Quaresima con la Chiesa, sotto la guida della sua liturgia, si accorgerà che qualche cosa di nuovo avviene in lui; che si trasformano i pensieri, si purificano i desideri, migliorano le azioni. Vuol dire che il mistero della Pasqua agisce e che insieme con Cristo l’anima risorge a nuova vita.
Del resto non si tratterà di fare imprese eccezionali e appariscenti. Basta vivere ogni giorno in comunione con la passione di Gesù – da qui l’importanza della Via Crucis in Quaresima - , perché già la sua risurrezione incominci silenziosamente a spuntare nella nostra esistenza.
Mercoledì delle Ceneri
Purificare la vita per amare il Signore e il prossimo.
Con l’imposizione delle Ceneri Incomincia il cammino della Quaresima, che ha per metà la Pasqua, in cui si rinnova la grazia della passione, della morte e della resurrezione del Signore. E’ un tempo di austerità, di penitenza, che vuol dire conversione, cambiamento « contro lo spirito del male»; un tempo di liberazione dal peccato, origine della morte, così che la nostra vita sia « rinnovata a immagine del Signore risorto ».
Il modello della Quaresima è Gesù Cristo nel deserto: la sua decisione nel rigettare le insidie dell’antico tentatore, il suo ascolto fedele della Parola di Dio e, per noi, la preghiera insieme all’elemosina e al digiuno sono l’espressione di questo cambiamento di vita nell’imitare il Signore in questo tempo sacro.
L’esperienza del digiuno non è una attenzione narcisistica di cura dimagrante che la società moderna propone, ma un’imitazione del Signore che nel deserto ha pregato e digiunato e ci ha insegnato a vivere con tutto il nostro essere, spirito e carne, nella ricerca e nell’amore di Dio, nell’avere fame di lui. La vita cristiana senza l’ascesi sarebbe solo fatto ideologico, costellato magari di buone intenzioni, ma senza coinvolgimento dell’intera persona. L’ascesi diventa palestra che vuol farci giungere a conoscere e amare Dio e a vivere, nella carità di Dio, liberandoci dall’egoismo, dal dominio incondizionato delle passioni, dal desiderio di possesso, l’amore al prossimo, per realizzare una comunione di condivisione e di fraternità con tutti coloro che sono nelle necessità spirituali e materiali.
Prima Lettura: Gl 2,12-18.
La quaresima è il tempo della conversione e del perdono. Certo tutti i giorni contengono l’invito e l’impegno per il ritorno al Signore « con tutto il cuore, con digiuni, con pianti ». Così come ogni tempo è ricco della misericordia e della benignità divina. Ma a partire da questo mercoledì , la Parola di Dio che « si muove a compassione » risuonerà più insistente, e anche salirà più fervida a Dio l’orazione, che è gemito e implorazione dei « sacerdoti , ministri del Signore » e di tutta la Chiesa con loro.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,20-6,2.
Paolo si considera ambasciatore di Cristo e collaboratore di Dio nel proclamare che è giunto, ed è presente adesso, il tempo della salvezza, cioè della riconciliazione con Dio. E’ la riconciliazione compiuta da Gesù stesso, l’innocente che Dio ha trattato da « peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio »: noi riceviamo la grazia della « giustizia di Dio », per i meriti del Signore.
Vangelo: Mt 6,1-6,16-18.
Le nostre opere di carità, le nostre preghiere, la nostra penitenza non devono essere proclamate all’esterno, perché siano ammirate e diventino morivo di lode per noi. Deve invece importare lo sguardo di Dio, che vede nel segreto, e la ricompensa che viene da lui. Diversamente, potremmo anche lavorare e impegnarci molto, ma sarebbe uno sciupio di tempo e di energie. In ogni azione buona, che compiamo non per vanità, ma per amore di Dio, c’è una dimensione di eternità, che non andrà mai perduta.
Il tempo di Quaresima comincia con il Mercoledì delle Ceneri e termina prima della Messa « in Cena Domini » al Giovedì santo.
Le domeniche di questo tempo hanno sempre la precedenza anche sulle feste del Signore e su tutte le solennità. Le solennità che coincidono con queste domeniche si anticipano al sabato.
La sesta domenica, con la quale si comincia la Settimana santa, viene chiamata Domenica delle Palme, della passione del Signore.
Il Mercoledì delle Ceneri e il VENERDI’ SANTO sono giorni di digiuno e astinenza: digiuno per coloro che sono compresi tra i 18 e i 60 anni compiuti, ( si è dispensati per motivi di salute); astinenza dalle carni, per coloro che sono dai 14 in sù ( si è dispensati per motivi di salute). Anche i bambini possono essere abituati ad astenersi dalle carni in questo Tempo di Quaresima.
Tutti i VENERDI’ di Quaresima, si osservi l’astinenza dalle carni.
Si consiglia di meditare nei Venerdì di Quaresima la Passione di Gesù o eventualmente in altri giorni a seconda della propria disponibilità di tempo.
Dio che ci conosce nell'intimo non ci abbandona mai.
2 Marzo – VIII Domenica del Tempo Ordinario.
Dio che ci conosce nell’intimo non ci abbandona mai.
Dio è sempre presente alla nostra vita e ci conosce nei desideri del nostro cuore. Ci accompagna in tutte le vicende della vita, sia nei momenti belli che oscuri. Avere fiducia nel suo amore, rimetterci al suo giudizio di misericordia e pensare che, per quanto ci allontaniamo da lui, il suo amore di Padre ci raggiunge sempre.
Prima di tutto il Regno di Dio.
Gesù ci invita a cercare il Regno di Dio, i suoi valori e nello stesso tempo avere fiducia nella sua Provvidenza, che, come agli uccelli fornisce il cibo e ai fiori dei campi la bellezza, non fa mancare agli uomini il necessario alla loro vita. Cercare il Regno di Dio e la sua giustizia non esclude l’impegno nel lavoro quotidiano per procurarsi il cibo, il vestito, la casa, purché queste cose o le ricchezze non diventino l’unico assillo dei nostri giorni, tanto da asservirsi ad esse e dimenticare il nostro rapporto con il Padre celeste. Dice infatti il Signore: “ Nessuno può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro …Non potete servire a Dio e la ricchezza ”.
La ricchezza, con la grande attrattiva che esercita su di noi, ha la capacità di abbindolare il cuore, la mente e ogni energia della nostra vita: si propone come idolo, che ci asserve e possiede e non offre che una effimera sicurezza
Le sollecitazioni della vita ci spingono verso una esistenza frantumata nelle sue energie, interessi e nel nostro agire: con molta difficoltà la nostra ricerca spirituale trova un centro di unificazione tra aspetti terreni e materiali e interessi spirituali.
Gesù dicendoci ancora: « Non preoccupatevi … la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito ? » (Mt 6,25) non intende legittimare la pigrizia, ma vuole rassicurarci che, se ricerchiamo anche e soprattutto il Regno di Dio, il Padre celeste, che ci ha fatto dono della vita e del corpo, sarà sollecito nel donare, nella sua provvidenza, energie e impegno per procurarci il necessario.
In tale atteggiamento paterno di Dio verso di noi dobbiamo porre il centro della nostra esistenza, per cui in relazione a lui, al suo Regno, tutto assume un significato e un valore nuovo, vissuto nella prospettiva di un amore filiale verso il Padre. Tutto ciò che di bello e di buono c’è nel mondo ( cose, attività, relazioni, ecc) sarà allora illuminato da una nuova luce e da nulla saremo manipolati e posseduti. Confidando, ancorati, nella paternità di Dio nulla ci creerà ansia, affanno, ma tutto, nel nostro intimo, sarà pervaso dalla sua presenza rassicurante, perché la sua Provvidenza non abbandona la sua creatura mantenendola nella sua esistenza.
Pur tuttavia noi, nella nostra concretezza storica, rimaniamo responsabili della nostra vita, perché Dio donandoci la libertà ha voluto responsabilizzarci e ci ha fornito nell’intimo i valori del Regno (giustizia, uguaglianza, equità, fraternità, carità, ecc.) che motivano le nostre azioni di uomini, di fratelli e di figli di Dio.
Anche oggi siamo chiamati ad essere « commensali di Dio in questo mondo ». Capissimo in profondità la grazia dell’Eucaristia, comprenderemmo che l’amore di Dio per noi, la sua provvidenza e misericordia, è stata e continua ad essere immensa. Nell’Eucaristia riceviamo non un simbolo ma la verità del Corpo e Sangue del Figlio di Dio. Certo questo convito è solo un inizio di comunione con Dio. Siamo nell’attesa e nella speranza della « perfetta comunione nella vita eterna », ma ne è già un pegno sicuro. E’ questa commensalità, questa «alleanza nuova ed eterna », che dona alla Chiesa di dedicarsi « con serena fiducia » al servizio di Dio. L’Eucaristia ci impegna a far sì – come diciamo nella colletta - « che il corso degli eventi del mondo si svolga secondo la volontà di Dio nella giustizia e nella pace ». In essa troviamo la forza della giustizia, che domina l’avidità e l’egoismo, e della pace, che vince ogni presunzione e cattiveria.
Prima Lettura: Is 49, 14-15.
Capita di tutto nel mondo: persino che una madre snaturata dimentichi il suo bambino. Non avverrà invece mai che Dio si dimentichi dell’uomo, che è la sua creatura prediletta. Ci viene talora sulla labbra l’amara, e insensata , considerazione: Dio si è dimenticato di me, perché mi manda troppe tribolazioni. E’ semplicemente assurdo: « Io non ti dimenticherò mai », dice il Signore.
E’ la certezza più gioiosa che possiamo avere. Il nostro prossimo non di rado ci trascura, dopo tante promesse; Dio non ci trascura mai. Il segreto della pace interiore e di tutta la vita spirituale sta nella convinzione incrollabile che Dio non si dimentica di noi, che ci è vicino, anche se non lo sentiamo, e che ci ama come Dio sa amare, e quindi immensamente.
Seconda Lettura : 1 Cor 4,1-5.
Chi sono i vescovi, i sacerdoti, quelli che esercitano un ministero nella Chiesa? Sono dei « Servi di Cristo », appunto dei « ministri »; sono «dispensatori dei misteri di Dio », risponde Paolo. Per fare questo occorre che siano fedeli, che trasmettano quanto hanno ricevuto.
Noi non ci dobbiamo fermare a loro ma, tramite il loro servizio, unirci a Gesù, che unicamente conta e che è il Signore. Talora ci fermiamo al ministro e dimentichiamo lui, che solo non ha difetti: gli altri hanno tutti una perfezione assai limitata. Neppure c’è da stupirsi che possano incorrere in colpe.
In ogni modo, è ancora Paolo che lo dice, il giudizio è dato da Gesù Cristo, che rende manifeste le intenzioni segrete dei cuori. L’Apostolo dice: « Mio giudice è il Signore!». Lo dobbiamo tenere a mente anche noi , così proclivi a giudicare, o a essere in ansia per i giudizi umani che ci toccano. Non ce ne dobbiamo inquietare più di tanto, assai poco.
Vangelo : Mt 6, 24-34.
La ricchezza, che Gesù paragona a un padrone, non può essere servita da chi intende amare Dio. Il denaro è facile che leghi il cuore, che rappresenti l’unica preoccupazione. Cristo mette in guardia dall’affanno opprimente per il domani, quasi che l’avere da mangiare e da vestirsi sia l’unica cosa che conta, e quasi che Dio sia indifferente alle necessità degli uomini.
Siamo esortati ad avere fiducia nella provvidenza: il che non significa pigrizia, o sfruttamento degli altri: sarebbe un tentare Dio. Quante volte si trascorre un’intera vita in questo affanno, si dimentica l’amore di Dio e anche quello del prossimo, e ci si ritrova alla fine con le mani vuote di opere buone, se pure non anche con la privazione di quei beni per l’accumulo dei quali soltanto ci siamo affannati.
Il Vangelo di oggi ci spinge a ricercare la pacificazione interiore in noi stessi con le realtà terrene, necessarie alla esistenza nostra e a quella degli uomini, ad avere sollecitudine e responsabilità per il mondo.