





E' tempo di svegliarsi dal sonno!
1 Dicembre – 1 Domenica d’Avvento. Anno A
I giorni della nostra vita trascorrono tutti uguali, occupati come siamo in mille faccende e impegni. Il nostro è un vagare senza una meta, senza significato? Molti forse pensano così! Anche tanti cristiani si attardano in un tepore terreno, quasi da addormentarsi in una vita senza senso.
La vita del cristiano non può essere un assopirsi nel sonno di una vita inutile, ma svegliandosi, come ci esorta san Paolo oggi, deve riprendersi, con la luce e le forze spirituali, il cammino che ci porta incontro al Signore. Saremo dunque pronti per la venuta di Gesù non quando ne conosciamo il giorno e l’ora, ma quando viviamo bene ogni momento. Vigilare non sarà l’agitazione o la paura della morte, non un’attesa del futuro in maniera angosciata e febbrile, ma la quieta e tranquilla speranza di chi, giorno dopo giorno, lavora con fedeltà al Vangelo, con la certezza che il Signore viene, ora e nella gloria futura del suo regno. Che il Signore risvegli continuamente in noi la vigilanza dello spirito, per camminare sulle sue vie di libertà e di amore fino a contemplarlo nell’eterna gloria.
Prima Lettura: Is 2, 3-5.
Siamo chiamati a raccoglierci tutti sul monte dove c’è il « tempio del Signore ». Ma non si tratta più di Gerusalemme, dove ancora possiamo recarci come pellegrini; si tratta del tempio che è Gesù stesso. E’ erso di Lui che siamo invitati: da lui viene un’umanità che ci ama, che cessa dalle discordie e lavora nella pace.
Seconda Lettura: Rm 13, 11-14.
San Paolo ci esorta a svegliarci dal sonno. Si riferisce al sonno della pigrizia e più ancora al sonno del peccato, paragonato alla notte e alle tenebre. Se pure importanti sono le realtà terrene in cui siamo immersi quotidianamente, molto di più lo devono essere quelle spirituali ed eterne. Né bisogna, peggio, dedicarsi a quelle con disonestà, vivendole “ nelle tenebre e nella carne con i suoi desideri ”, nell’egoismo o nella sete insaziabile delle ricchezze. Bisogna valutarle e viverle con la mentalità del Signore.
Paolo ci esorta, ancora, poiché “il giorno è vicino…la salvezza è vicina ”, a nutrire la certezza del ritorno del Signore, che non tarderà. Questa certezza è più importante della durata dell’attesa. La nostra vita, più che un vagare senza una meta, deve essere un camminare verso Dio che ci viene incontro: qui e ora nella sacramentalità dei segni (Cristo che nasce è la luce del mondo e noi presto ne commemoreremo il Natale) . Se Cristo viene verso di noi, noi dobbiamo camminare verso di lui preparando il nostro cuore. Faremo veramente Natale se ci rimettiamo alla grazia di Dio, che ha mandato la luce per illuminare e rinnovare il mondo.
Vangelo: Mt 24, 37-44.
Tutti gli uomini cercano la pace, però l’egoismo dell’uomo attenda sempre ad essa. E se il Signore viene, da una parte, come giudice, viene soprattutto come portatore della pace, la quale non si realizzerà magicamente. Se accogliamo la luce di Dio, dataci in Cristo, divenuti in lui figli, siamo anche la Sposa che attende Gesù, il suo Sposo. Siano come pellegrini: non dobbiamo distrarci e dissiparci, perdere la memoria di Cristo, attardarci per via. Dobbiamo essere fedeli e rendere più vicino il suo avvento con la preghiera, la speranza, le opere compiute secondo l’indicazione del Vangelo. Proprio per questo viviamo e riceviamo l’Eucaristia, il Pane che ci fa essere un solo Corpo, quello del Cristo: così, nella fraternità, rendiamo già presente la sua venuta nella continuità della storia salvifica e realizziamo, quindi, la pace sospirata, in tutte le realtà in cui operiamo.
Non facciamo, allora, troppi calcoli sul nostro domani: sarebbe imprudente. Bisogna essere sempre preparati: quando meno ce l’aspettiamo potrebbe venire il Signore a prenderci. Egli stesso ci ammonisce di essere vigilanti. Diversamente potremmo essere sorpresi dolorosamente come quando, senza preavviso, un ladro entra in casa nostra inaspettato e fa man bassa delle nostre cose. Così sarebbe se venisse la morte inattesa e ci trovasse senza nessuna prepara-zione.
Cristo Signore, re di pace e di giustizia.
24 Novembre- 34a Domenica del Tempo Ordinario.
SOLENNITA’ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO.
Cristo Signore, re di pace e di unità.
Cristo Gesù, davanti a Ponzio Pilato, che gli ha posto la domanda: “ Tu sei re? ”,rispose: « Io sono re. Ma il mio regno non è di questo mondo » (Gv 18). Egli è venuto a restaurare il regno di Dio e ha invitato gli uomini a conversione perché il Regno dei cieli è vicino (Mt 4,17). Ha proclamato che il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino (Mc 1,15); e che il Regno di Dio è in mezzo agli uomini (Lc 17,21: Gesù con la sua presenza già attua il regno che annunzia e dice di esserne re, costituito tale dal Padre celeste.
Gesù è il Re dell’universo: la sua regalità silenziosamente, misteriosamente si va costruendo ogni giorno con la grazia che libera le creature dalla schiavitù del peccato e le unisce a lui in gioiosa obbedienza.
Tutti sono chiamati a far parte del regno, poiché accogliendo Cristo si diventa figli di Dio e, di conseguenza, se ne accoglie la paternità e la regalità. Il regno che Gesù instaura e rende presente è un regno di servizio, come egli stesso dice: « Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» ( Mt 20, 28; Mc 10,45; Lc 22,24-27): Egli darà la sua vita sulla croce, che se è trono di sofferenza, non è di fallimento, ma trono, da cui attrae tutti a sé.
L’origine, quindi, della regalità di Cristo non è la potenza mondana, ma il sacrificio della croce: «e sacriificando se stesso immacolata vittima di pace sull’altare della croce, Cristo è diventato Signore ». La sua risurrezione esalta il suo sacrificio salvifico, avendoci liberato dal male e dalla morte e, avendoci unito a sé nella risurrezione, siamo trasferiti nel suo regno dal Padre celeste..
Ora, senza dubbio, « nelle tormentate vicende della storia » il regno di amore e di pace del Signore non si avverte, sembra persino che non ci sia. In realtà è presente, e già vi appartengono quelli che si associano alla sua passione, vivendo nella giustizia e nella carità, quelli che donano la vita per gli altri e hanno compreso che servire evangelicamente è regnare. Cristo re, al termine della vita e della storia, verrà a giudicare tutti con giustizia e misericordia.
A conclusione: l’opera salvifica del Padre a favore degli uomini trova il suo massimo intervento nel dono di Gesù, suo Figlio, posto come vittima di espiazione per i nostri peccati, per riconciliarci con Sé e vivere in piena comunione, ora nel tempo e poi nella gloria, con la Santa Trinità.
Per tutto questo siamo chiamati a rendere grazie con gioia al Padre, che nel suo Figlio ci ha liberati dalla morte e ci ha introdotti nel suo regno di vita, di amore e di verità, di pace e di giustizia, di gloria e santità. Resi nel Figlio membra del suo Corpo, siamo divenuti segno e strumento di salvezza universale, perché compiendo in noi, come dice San Paolo, ciò che manca ai patimenti del Cristo, possiamo giovare al bene di tutti, costruendo così la regalità di Dio tra gli uomini.
Prima Lettura: 2 Sam5,1-3.
Davide è unto re sopra Israele. Una regalità non priva di ambiguità e di infedeltà. Un re puro e fedele, un pastore perfetto, sarebbe venuto dopo, con Gesù, il Messia. Sarebbe stato lui a regnare sul trono di Davide « suo padre », e con una regalità senza fine.
Seconda Lettura: Col 1,12-20.
Gesù è il primo rispetto a tutti gli altri essere; è il modello di tutti gli esseri. Per mezzo e in vista di lui tutto fu progettato e creato. E’ il primo dei risorti. Su tutte le cose egli tiene la signoria. Tutti i valori si racchiudono e convergono in lui e in lui tutto si riconcilia con Dio.
Ma questo avviene in un evento preciso: la morte in croce, l’effusione del sangue. Questo disegno ci risulta molto oscuro. In ogni modo le cose sono liberate ed entrano a far parte del regno di Dio, non per una loro qualità nativa, non per loro diritto e potere, ma soltanto perché nella morte in croce Gesù le riscatta.
Il nostro pensiero e il nostro affetto devono essere fissi alla croce. In particolare Gesù è Capo della Chiesa, la quale è come il suo corpo, e noi ne siamo membra mediante la carità o la grazia. Chi è in grazia è nel regno di Cristo. Chi non è in grazia è nella schiavitù.
Vangelo : Lc. 23, 35-43.
Sulla croce Gesù appare senza potere e senza gloria; un vinto, non un vincitore, un oggetto di scherno per la sua « pretesa » di essere re, che poi va a finite così male. Nel brano che la liturgia ci fa ascoltare oggi, Luca,per ben tre volte, fa risuonare le parole « re » e « regno » mettendole sulle labbra di alcuni protagonisti della scena della crocifissione.
Uno dei ladroni, crocifisso con lui, sa scorgere, sotto l’ immagine dell’uomo sconfitto e prossimo a morire, un innocente, uno che « non ha fatto nulla di male », anzi in qualche modo già un re, se gli si affida e gli si raccomanda dicendo: « Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno ». A quella confidenza Gesù risponde con l’assicurazione del paradiso, portandolo con lui nel suo regno.
Ancora, in questo brano, Luca, oltre al buon ladrone, pone come testimoni della morte di Cristo, i capi del popolo che lo deridono dicendogli di salvarsi; i soldati che fanno altrettanto dicendogli di salvarsi se è il re dei Giudei: Sulla croce, poi vi è la scritta : “ Gesù Nazareno Re dei Giudei ”.
Non è molto diverso neppure per noi. Anche noi, peccatori, siamo chiamati a riconoscere Cristo Re, nel crocifisso, e ad affidarci a lui con assoluta fiducia e speranza. Non ci devono trattenere le nostre colpe, nemmeno le più gravi. Siamo acquistati dal sangue di Cristo, cioè dall’amore, e da questo immeritato amore trasferiti nel Regno di Dio. Ma ci deve essere una fede forte e assoluta.
La conclusione della storia degli uomini.
17 Novembre – 33a Domenica Tempo Ordinario.
La conclusione della storia degli uomini.
In questa Domenica la liturgia della Parola di Dio ci preannunzia la fine del mondo, simboleggiata dalla distruzione del tempio di Gerusalemme, e la persecuzione dei cristiani. Gesù, dopo aver percorso le strade della Palestina, è a Gerusalemme, dove si compirà la sua esistenza terrena essendo ormai prossima la sua morte. Pur consapevoli della fine, il Signore ci invita a scoprire che non siamo per la morte ma per la vita. E la speranza degli ultimi eventi della storia si apre nella certezza che i giusti trionferanno.
La paura degli ultimi giorni.
Nella convinzione profetica di Malachia la storia è nelle mani di Dio, che la volge secondo la sua volontà. Il Signore, che orienta la storia del suo popolo, agisce in essa, la guida, ma non ne limita la libertà, così, pur operando nel mondo, non limita la libertà dell’uomo. In tale contesto il profeta annunzia il giorno del giudizio, il « giorno del Signore », in cui la storia è prossima alla sua fine e il Signore instaurerà il suo regno di giustizia e di pace. Possiamo immaginare come questo giorno finale si verificherà? Sarà la fine di un mondo sbagliato in cui dominano gli arroganti e che il Signore cambierà? In che cosa consisterà il giudizio di Dio che viene preannunziato? Queste domande che si posero coloro che sentirono parlare Gesù, che presagiva la fine di Gerusalemme, sono le stesse che si pone l’uomo da sempre e soprattutto l’uomo moderno, che ormai sembra disincantato rispetto agli eventi finali della storia e ad una eventuale vita oltre questa esistenza.
Pur con tutto il disincanto, in questi ultimi tempi, molte sette apocalittiche, con tanti predicatori della « fine del mondo », come i Testimoni di Geova, sono riusciti a fare proseliti. Serpeggia, forse, al di là delle apparenze, il segno che il nostro tempo esprime un’attesa del giorno finale e che la storia è destinata alla sua fine? Il pullulare di oroscopi, di previsioni e di anticipazioni sulle eventuali date di questa fine non ingenerano forse nell’uomo tutta la sua paura riguardo al futuro, per cui egli cerca di aggrapparsi a speranze e segni che lo pongano al sicuro?
Oggi la Parola di Dio ci illumina, perché ci dà delle risposte: senza parlare della fine della storia e del mondo, non sollecita a costruire rifugi in vista di chissà quali guerre catastrofiche, né vengono indicate date previste, ma ci parla del fine a cui la storia tende ed è orientata.
Gesù stesso, rispondendo ad un apostolo che gli chiedeva di indicare quando questi eventi si sarebbero verificati, rispose che nessuno, né lui, ma solo il Padre celeste conosce il giorno e l’ora. Ma annun- ziando l’amore del Padre per gli uomini dice: « Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto ».
Gesù riafferma, così, l’amore del Padre per le sue creature, poiché ama tanto gli uomini da salvare anche l’ultimo capello del loro capo. Gesù vuole orientare gli uomini ad avere un atteggiamento esistenziale basato sull’impegno, sulla speranza e nella perseveranza. Pur parlando delle persecuzioni che si abbatteranno sui discepoli, egli li invita alla fedeltà e ad un testimonianza eroica, sostenuti dalla forza del suo Spirito: « che avrebbe loro dato lingua e sapienza».
Guardare verso la meta
Nella storia Dio non interviene magicamentem nè il suo giudizio sarà un tribunale. Gesù presenta la conclusione della storia terrena non come definitiva e pienamente compiuta, perchè se parla con i discepoli di questo tema, egli porta sempre il discorso in riferimento alla loro vita, che va oltre il giudizio, in quanto essa sarà piena nella comunione che l'uomo vivrà in Dio.
Nella storia della salvezza Dio collabora con l'uomo: come ha accompagnato il popolo d'Israele attraverso le varie vicende di infedeltà, di recuperi, di promesse, di tradimenti, così continua con tutti gli uomini, fino a che tale storia non sarà pienamente realizzata con essi in lui.
L'azione di Dio per il regno non si manifesta nella potenza esteriore, ma nella rivelazione dei segni, a volte semplici ma efficaci, della storia. La comunione di amore che Dio intesse con l'uomo è caratterizzata da un dinamismo che vede il cristiano in collaborazione con Lui fin da questa terra.
La Chiesa in questo dinamismo della storia della salvezza riveste un posto importantissimo. Essa, poichè segue la via del suo Maestro, prosegue la sua opera. Nella Chiesa, nella sua entità più sublime, come Comunità che ha come Capo il Cristo, gli uomini possono trovare la speranza di un nuovo ordine di cose, dove i giusti saranno nella gloria e i superbi e i reprobi lontani da lui: «Andate lontano da me...». La Parola di Dio presenta spesso questo rovesciamento delle situazioni,dove i piccoli sono sempre coloro che alla fine vedranno giustizia fatta, perchè Dio, se è somma misericordia, è anche somma giustizia. L'amore misericordioso di Dio farà di tutti i popoli un solo popolo, è purchè si avrà la « veste nuziale » tutti potranno sedere al banchetto del regno, poveri e ricchi, peccatori e farisei, angeli e santi.
Prima Lettura: Ml 3,1020.
La venuta del Signore giudice è paragonata a un giorno « giorno rovente come un forno ». L'immagine dice il rigore del giudizio, la distruzione di tutto quello che non vale, La vita e la gioia saranno riservate ai giusti, ai santi che hanno onorato il Signore.
Seconda Lettura: 2 Ts 3,7-12
Con la scusa che la venuta di Cristo era ritenuta imminente, nella Comunità di Tessalònica alcuni vive-vano sfaccendati e per di più alle spalle degli altri. San Paolo interviene e comanda di lavorare e di non agitarsi vanamente. Del resto lui stesso, Paolo, ha dato esempio di laboriosità, cos' che non fu di peso a nessuno.
Va bene aspettare il Signore: ma l'attesa cristiana non è pigrizia e dissipazione, ma attività e assolvi-mento del proprio dovere e al proprio posto.
Vangelo: Lc 21,5-19.
La vita dei discepoli del Signore non sarà tranquilla: non mancheranno persecuzioni, tradimenti, tentazioni e inganni. Occorre la perseveranza. Allora si potrà essere salvi, nello sfacelo di tutte le cose. Questo sfacelo prefigurato dalla distruzione di Gerusalemme, dagli sconvolgimenti che la hanno accompagnata. Il credente non deve temere di nulla, perchè a sostenerlo e a fortificarlo c'è il Signore stesso. Si deve sentire, certo non fisicamente, questa presenza di Dio nella nostra vita.
Ultimo aggiornamento (Sabato 16 Novembre 2013 21:34)
La risurrezione di Gesù e la nostra risurrezione.
10 Novembre - 32a Domenica del Tempo Ordinario.
La risurrezione di Gesù e la nostra risurrezione.
Il mistero della risurrezione permea oggi la liturgia della Parola di Dio.
L’uomo si domanda spesso se aldilà della vita terrena ci sua una realtà diversa e in che cosa possa consistere. Poiché il Dio in cui noi crediamo è il Dio dei vivi, crediamo anche che Gesù è morto ed è risorto, come nostra primizia di risurrezione e di vita eterna.
Nel Vecchio Testamento, nel Libro dei Maccabei, leggiamo che durante la persecuzione scatenatasi dopo la conquista della Palestina nel 167 a. C. da parte di Antioco Epifane , il quale devastò il tempio di Gerusalemme e voleva sradicare la religione ebraica sostituendovi il culto degli dei pagani, mentre molti giusti furono torturati e uccisi, tra questi martiri vi fu il caso di sette fratelli uccisi con la loro madre, perché non vollero abiurare alla propria fede.
Questi ragazzi, esortati dalla loro madre, sicuri di una futura risurrezione, affrontarono la morte con una testimonianza eroica. Uno di loro rispondendo al giudice disse: « Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna ». E un altro, il quarto, davanti alle sollecitudini dei torturatori, disse: « E’ preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te, rivolto al re Antioco, non ci sarà davvero risurrezione per la vita ». Così viene già nel V. T. affermata la risurrezione dei morti.
Gesù afferma: « Chi crede in me, anche se muore, vivrà ».
Al tempo di Gesù gli ebrei credevano nella risurrezione e il solo gruppo dei Sadducei, che non rico- noscevano alcuni libri della Bibbia, quale parola di Dio, la negavano. Essi, un giorno, con un esempio, vollero provocare Gesù, il quale non rispose al loro problema, ma affermò chiaramente la realtà della risurrezione, perché il Dio di Mosè e dei patriarchi non è il Dio dei morti, ma dei vivi. Gesù, quindi, crede nella risurrezione dei giusti ed egli stesso inaugurerà tale realtà con la sua risurrezione dai morti. E la prova del suo potere sulla vita e sulla morte lo ha dato risuscitando la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Naim. Davanti alla tomba del suo amico Lazzaro, fratello di Marta e Maria, mentre i giudei venuti da Gerusalemme aspettano di vedere cosa avrebbe fatto, Gesù afferma solennemente: « Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà » (Gv 11,25).
La risurrezione dell’amico, operata qualche istante dopo, confermò che le sue erano parole vere, che preannunziavano la sua risurrezione dai morti.
La risurrezione di Gesù: centro della fede cristiana.
E’ fondamentale per la fede cristiana la risurrezione di Gesù, avvenuta dopo la sua morte e sepoltura al terzo giorno, mentre i discepoli paurosi sono radunati nel Cenacolo. Essi, fin dal primo giorno dopo il Sabato, in diversi modi vengono a contatto con il Signore risorto: Gesù appare a Maria di Magdala, a cui, in un primo tempo, i discepoli non credono, ritenendola una visionaria; nello stesso giorno appare agli apostoli nel Cenacolo; Pietro e Giovanni che accorrono al sepolcro dopo l’annunzio di Maria lo trovano vuoto; appare ai due discepoli che da Gerusalemme si recano ad Emmaus; in diverse altre occasioni, nei successivi quaranta giorni, i discepoli sperimentano la presenza del Signore risorto; anche i soldati di guardia al sepolcro, terrorizzati, informano dell’evento sperimentato nella notte i responsabili della condanna di Gesù, i quali impongono ai soldati di spargere la diceria che i suoi discepoli ne hanno rubato il corpo e ora lo annunziano risorto dai morti.
Con la Pentecoste e la discesa dello Spirito Santo, promesso da Gesù, gli apostoli proclamano con coraggio e appassionata convinzione che il Maestro è vivo ed è risuscitato per la salvezza degli uomini.
Sono diventati creature nuove e, con coloro che accolgono l’evento del Cristo risorto e sono ripieni dello stesso Spirito, formano la prima comunità cristiana; essi raccontano a tutti, senza esitazione e titubanze, che Gesù è vivo, ha mangiato con loro, lo hanno toccato, ha spiegato ai discepoli di Emmaus le Scritture che lo riguardavano e che si sono adempiuto nella sua passione e morte di “Servo sofferente” di Isaia.
Inizia l’avventura della proclamazione della salvezza portata e realizzata da Gesù per tutti gli uomini, attuando così il suo comando di andare in tutto il mondo e fare suoi discepoli tutti i popoli della terra.
Dalla sua risurrezione, ( poiché egli ne è la primizia), deriva la nostra risurrezione dai morti, perché in lui la morte è stata definitivamente sconfitta e coloro che crederanno in lui vivranno per sempre nella casa del Padre, dove egli è andato, ascendendo al cielo, per prepararne un posto.
Pietro, nel suo primo discorso agli ebrei dice apertamente e senza mezzi termini: « Gesù è stato crocifisso ed è morto; ma Dio lo ha risuscitato, e per suo mezzo porta la salvezza agli uomini » (At 2).
E Paolo, scrivendo alla comunità dei Corinzi, annuncia: « Cristo è risuscitato dai morti. Se Cristo non fosse risuscitato, la nostra predicazione sarebbe senza fondamento e la vostra fede sarebbe vana. Ma Cristo è veramente risuscitato. Come tutti gli uomini muoiono per la loro unione con Adamo, così tutti risusciteranno per la loro unione a Cristo »( 1 Cor 15,12-22).
Da allora, la risurrezione di Gesù, causa della nostra futura risurrezione dei corpi, rimane la verità fondamentale della fede in Cristo. La vita, allora, assume un senso nuovo, sia per realizzare da risorti, con una mentalità nuova, la nostra esistenza quotidiana, sia per attendere, oltre la morte, la vita in Dio nello spirito e poi, alla risurrezione finale, parteciparvi anche con il nostro corpo.
Non è indifferente pensare che con la morte tutto finisce o credere e vivere accettando l’esperienza di Gesù, sapendo che vivremo per sempre con lui lì dove egli, come ci ha promesso, ci condurrà.
Sempre san Paolo ai cristiani di Colossi, volendo esortarli a vivere nella fede nella risurrezione, scrive :« Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose del cielo, non a quelle della terra.Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora, anche voi apparirete con lui nella gloria ». Come uomini nuovi, come popolo di Dio, scelti e amati, Paolo li esorta ad avere sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, a sopportarsi a vicenda e perdonarsi gli uni gli altri. Ma li esorta soprattutto a rivestirsi della carità, che le unisce in modo perfetto. E così la pace di Cristo, suo dono, regnerà nei loro cuori, perché ad essa sono stati chiamati in un solo corpo.
Prima Lettura: 2Mac 7,1-2.9-14.
Una vivissima fede nella risurrezione sostiene la testimonianza dei sette fratelli, disposti a morire piuttosto che tradire la legge di Dio. Questa vita e anche il martirio con i suoi strazi non contano: « E ‘ preferibile morire, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati ». E’ già la certezza di Cristo, che per essere fedele testimone del Padre muore in croce, è la speranza dei martiri cristiani, che si affidano senza timore a Gesù risorto. Dev’essere la speranza di tutta la Chiesa che vive con questa certezza della risurrezione, e quindi non si lascia abbattere dal timore, neppure di fronte alla persecuzione.
Seconda Lettura: 2Ts 2,16-3,5.
Nessun avvenimento ci deve abbattere. Dio ci ha amato, e Cristo ne è il segno: in lui troviamo conforto , speranza. E’ un Signore che non tradisce e non viene meno alla parola. « Il Signore è fedele »: dipende se crediamo veramente a questa fedeltà. Allora non siamo sopraffatti neanche se intorno a noi c’è la malvagità, c’è il Maligno. Abbiamo la forza di resistere e rendiamo grazie a Dio per la fede, che è un suo dono.
Vangelo: Lc 20, 27-38.
Nel mondo della risurrezione la nostra vita e la nostra condizione saranno completamente nuove e diverse, rispetto a quaggiù. I nostri rapporti non avranno la stessa funzione e modalità. Quanto alla risurrezione non si può dubitare se noi apparteniamo sempre a Dio. E’ già da questa vita « i figli della risurrezione », i credenti, sono aperti al mondo nuovo, e quindi vivono nella sua attesa; già sono associati alla vita che è propria degli angeli. Lo stesso sposarsi non viene considerato come il più grande bene, i rapporti sponsali non sono assolutizzati, e c’è persino chi per il Regno di Dio vi rinunzia. Un cristiano, un figlio di Dio, ha già uno stile di vita che è fuori dal puro paradigma di questo mondo.
Conversione di Zaccheo nella gioia.
3 Novembre – 31a Domenica del Tempo ordinario.
Conversione di Zaccheo nella gioia.
La vita pubblica di Gesù è un lungo viaggio che egli compie verso Gerusalemme, dove affronterà la sofferenza, la morte in croce e la resurrezione. Prima di giungere a Gerusalemme Gesù passa per Gerico e incontra un uomo di nome Zaccheo, pubblicano e sovrintendente degli esattori. E’ un cittadino ricco, ma anche odiato dalla gente.. Dall’incontro con Gesù egli inizia la sua storia di conversione che non sarà solo spirituale, ma che si attuerà anche nella solidarietà verso i poveri e coloro che ha defraudato.
La parola di Dio, oggi, ci fa comprendere che Egli scommette sulla vita di tutti gli uomini, anche su coloro che non se ne sentono degni, convinto, come è, che in ogni uomo vi è una grande possibilità di bene.
Gesù arriva a Gerico e incontra Zaccheo.
Per i discepoli, come anche per coloro che lo conoscono, Zaccheo è un pubblicano, ritenuto per questo, come tutti i pubblicani, peccatore. E’ anche un uomo ricco. Dei ricchi Gesù aveva detto che è difficile per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio! E che è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio.
Ai discepoli che sconcertati gli chiedono: « Ma allora, chi si può salvare? » Gesù risponde dicendo che « Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio » (Lc 18,24-17). Ecco che sotto i loro occhi sta per compiersi il miracolo di quanto Dio possa realizzare nel cuore di quel peccatore.
Gesù, passando per le vie di Gerico, pur accalcato dalla folla, scorge Zaccheo che, forse per curiosità, per aver sentito parlare di lui, o perché spinto interiormente, essendo piccolo di statura,si è arrampica-to su un sicomoro per vederlo passare.
Gesù lo guarda e i loro occhi si incrociano. Zaccheo forse si aspetta uno sguardo severo, di duro rimprovero, così come solevano fare i profeti per richiamare i pubblici peccatori nel nome di Dio. No! Gesù, rivolgendogli la parola, gli dice: « Vieni giù, perché voglio entrare in casa tua ».
Il ricco Zaccheo è come il cammello che passa per cruna di un ago.
Zaccheo, alla richiesta di Gesù di essere ospite in casa sua, scende subito e con gioia lo accoglie in casa, lo invita a mensa. A tavola Gesù entra festosamente nel suo cuore e nella sua esistenza. Gli scribi e i farisei mormorano e pensano che Gesù più che essere dalla parte degli sfruttati sta dalla parte degli sfruttatori e dei peccatori. Ma non è Gesù che passa dalla parte di Zaccheo, è questi che passa dalla parte di Gesù, accogliendo il suo invito alla conversione e sperimentando così la misericordia di Gesù, che lo invita a ritornare nella casa del Padre. Davanti alla folla e ai discepoli stupiti si compie il miracolo di cui aveva parlato Gesù, cioè dell’impossibilità che un ricco si converta, come è impossibile che un cammello passi per la cruna di un ago. Ma Zaccheo si converte perché « nulla è impossibile a Dio ».
Così’ Gesù, come il pastore della parabola, lascia i novantanove giusti per andare in cerca della pecora che si è smarrita. E’ Gesù che ci cerca quando ci allontaniamo da lui. Anche oggi, si rinnova il prodigio della conversione, del ritorno a Dio e alla fede di tanti uomini, in cui difficilmente avremmo immaginato avvenisse.
Zaccheo vuole essere più che giusto.
In Zaccheo, capo dei pubblicani, avviene un cambiamento radicale nel modo di rapportarsi con il denaro, con i poveri, con coloro che ha defraudato. Nella tradizione ebraica, secondo la Legge, la mas-sima offerta a favore dei poveri era dare un quinto dei propri beni. mentre quando si trattava di furto la Legge imponeva la restituzione del doppio.
Zaccheo invece promette solennemente a Gesù che avrebbe dato ai poveri la metà e a chi fosse stato defraudato avrebbe restituito il quadruplo. Così, la carità di Zaccheo supera la giustizia e le prescrizioni della Legge. Dona a chi è nel bisogno senza elemosinare, generosamente.
La conversione deve implicare una verifica concreta del proprio cambiamento di vita, manifestando la propria novità di vita attraverso la solidarietà effettiva verso i poveri.
Prima Lettura: Sap 11,22-12,2.
Dio ama le creature; non le disprezza; esercita la sua potenza attraverso la compassione; in particolare verso l’uomo ha un atteggiamento di perdono. E’ paziente, non interviene implacabilmente subito a castigare, ma aspetta che il peccatore creda e si penta. E’ già presente nell’Antico Testamento un messaggio di perdono, e quindi un Vangelo che annunzia ed elargisce misericordia.
Seconda Lettura: 2Ts 1,11-2,2.
Dio ci ha chiamato alla salvezza; ma bisogna che la chiamata sia poi portata a compimento, e per questo è necessaria una continua grazia del Signore, che sostenga la nostra volontà, così facile ad affievolirsi e a deprimersi, e che la faccia maturare nelle opere.
E’ la ragione per la quale san Paolo accompagna con la preghiera la vita della sua comunità di Tessalonica.. Solo così si può essere preparati alla venuta del Signore, la quale però non deve agitare, né essere ritenuta cronologicamente imminente come qualcuno va dicendo. Certo il Signore può apparire in ogni momento, e appare effettivamente in ogni momento; ma non si tratta di fare noi calcoli ma di essere sempre pronti.
Vangelo : Lc 19,1-10.
Zaccheo è scorto da Gesù, chiamato, e richiesto di ospitalità. E’ un pubblicano, un uomo ritenuto non molto raccomandabile. La chiamata è subito conversione, impegno di una vita nuova, riparazione del male compiuto. E’ il miracolo di Cristo, che si fa ospite del peccatore, e lascia dire le critiche di chi non ha capito il mistero della misericordia, che è il mistero stesso di Dio. Zaccheo è salvato, e così in lui Cristo realizza la ragione della sua venuta: salvare chi è perduto, offrire il perdono a chi è in colpa. Per parte sua Zaccheo è inondato di gioia: non c’è nella sua vita gioia più intima, più grande, di quella di santire che il peccato è perdonato e che inizia l’amicizia con Cristo.