





TI ADORIAMO, O CRISTO, E TI BENEDICIAMO, PERCHÉ CON LA CROCE HAI REDENTO IL MONDO
14 SETTEMBRE – XXIV – DOMENICA ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE.
TI ADORIAMO, O CRISTO, E TI BENEDICIAMO, PERCHÉ CON LA CROCE HAI REDENTO IL MONDO
Oggi, in questa Domenica. La liturgia ci fa celebrare l’Esaltazione della Santa Croce del Signore Gesù. Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Dio di-cendo: « O Padre, che hai voluto salvare gli uomini con la croce del tuo Figlio unigenito, concedi a noi, che abbiamo conosciuto in terra il suo mistero, di ottenere in cielo i frutti della sua redenzione. Egli vive e regna con te…»
Contemplando la croce del Signore, con cui Dio ha voluto esprimere la sua onnipotenza salvifica per mezzo del suo Figlio, il quale ci ha manifestato visibilmente l’amore del Padre celeste, siamo chiamati, essendo stati rigenerati nel Battesimo dal sangue versato sulla croce, a farci attrarre da Gesù che ha detto: « Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me ». Questo invito è rivolto ad ogni uomo che voglia accogliere Cristo come redentore universale del mondo. La croce del Signore Gesù, più che strumento di morte e supplizio, di vergogna o stoltezza, e segno di gloria e di vita, poiché per mezzo di essa Cristo ha vinto per noi la morte.
Nm. 21,4-9
Nel deserto in cui, il popolo che Dio aveva condotto dopo la liberazione dall’Egitto, si era ribellato a Dio e a Mosè, dicendo che avrebbe preferito morire in Egitto, dove aveva cibo e acqua, è messo alla prove con dei serpenti che mordevano gli israeliti, procurando la morte. A Mosè, a cui il popolo si rivolge, riconoscendo di aver peccato contro Dio ribellandosi, Dio ordina a Mosè di preparare un serpente di bronzo su un’asta, perché chiunque fosse morso, guardandolo sarebbe rimasto in vita.
In questa vicenda vissuta dal popolo di Dio, i cristiani vedono un’anticipazione di quello che avviene tra gli uomini, che vivendo in mezzo a tribolazioni varie, sono morsi da vari mali che li affliggono. Dio, allora, volendo liberare gli uomini da tante schiavitù, ha voluto salvarli per mezzo di Colui che ha fatto innalzare sulla croce, perché, come il buon ladrone, guadandolo, siano guariti spiritualmente, per potere giungere alla terra promessa, che è quel regno assicurato al ladrone pentito.
Fil 2, 6-11
Paolo, da persecutore dei discepoli di Cristo, sulla via di Damasco, si è lasciato “attrarre “ da lui e cadendo da cavallo ha fatto cadere tutte le convinzioni passate del giudaismo che ritiene come spazzatura, divenendo un “vaso di elezione”. Innamorato di Cristo professa la sua fede in lui scrivendo ai Filippesi: « Gesù Cristo, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce », considerandolo il fondamento della propria salvezza e liberazione. Seguire Cristo era per lui tutto, per cui ogni fatica o prova, persecuzione e oltraggi, lapidazione battiture, naufragi e pericoli vari, tutto egli sopporta per compiere nella sua carne quello che manca alla passione di Cristo a beneficio della Chiesa. La croce però non è fine a se stessa, perché con la risurrezione è dal Padre esaltato e riceve un nome davanti al quale ogni ginocchio si pieghi e ogni lingua proclami che « Gesù Cristo è Signore ».
La croce che sant’Elena ricercò è il segno della redenzione universale degli uomini:
Gv 3,13-17
Gesù, parlando con Nicodemo, riporta l’episodio del serpente di bronzo che Mose elevò, per ordine di Dio, perché coloro che lo guardavano venivano salvati dai morsi dei serpenti velenosi e conclude dicendo che quando egli, il Figlio dell’uomo, sarebbe stato innalzato da terra, colui che avrebbe creduto in lui avrebbe avuto la vita eterna.
Gesù crocifisso così diventa per gli uomini il segno del grande amore del Padre che lo ha mandato nel mondo non per condannare ma per salvare il mondo per mezzo di lui.
SEGUIRE CRISTO COMPORTA UNA SCELTA RADICALE.
7 SETTEMBRE – XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
SEGUIRE CRISTO COMPORTA UNA SCELTA RADICALE.
Nella celebrazione della Messa ci accostiamo a due mense: « quella della Parola di Dio » e « quella del pane della vita ». Entrambi questi doni sono lui stesso. E’ Cristo la Parola, la sapienza che è diffusa nella Scritture e soprattutto nel Vangelo, che ci guida e illumina nella vita quotidiana con il suo insegnamento, per una continua ricerca della volontà di Dio Padre, così come è il Pane della vita, datoci in cibo. In segno di riconoscenza a Dio per questi doni, noi celebriamo nella Messa il nostro ringraziamento e la nostra lode con la preghiera. Come figli lodiamo, adoriamo ed esprimiamo la pietà dei « figli adottivi, resi partecipi della vita divina, destinati alla vita eterna ed eredi del regno di Dio, pur nella nostra povertà e piccolezza ». Tutto questo lo condividiamo con i fratelli, con cui siamo uniti dalla stessa sorte, secondo quanto ci ha insegnato Gesù con il comandamento dell’amore fraterno, che compendia tutta la legge e i profeti.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che ti fai conoscere da coloro che ti cercano con cuore sincero, donaci la sapienza del tuo Spirito, perché possiamo diventare veri discepoli di Cristo tuo Figlio, vivendo ogni giorno il Vangelo della Croce. Egli è Dio, e vive e regna con te...».
Prima Lettura: Sap 9,13-18.
Nessuno, ci dice il Libro della Sapienza, può conoscere il pensiero di Dio, né cosa Egli vuole. Timidi sono i ragionamenti dell’uomo e incerte le sue riflessioni, perché il suo corpo corruttibile e d’argilla appesantisce l’anima e rende la mente piena di preoccupazioni. Chi può conoscere le cose celesti se a stento immaginiamo le terrene e fatica conosciamo quelle a portata di mano?. E’ per la sapienza data da Dio all’uomo e avergli inviato dall’alto il suo santo spirito che l’uomo può conoscere il suo volere. Per questo sono stati raddrizzati i sentieri di chi cammina sulla terra: gli uomini sono stati istruiti su ciò che è gradito al Signore e vengono salvati per mezzo della sapienza.
Seguire la sapienza di Dio, posta da lui nell’uomo, può farlo giungere alla salvezza. La sapienza è un dono di Dio e frutto dello Spirito Santo. Da solo, allora, l’uomo, con le sue sole forze, fa fatica a raggiungere la salvezza, perché nella sua fragilità non ne è facilmente capace. La venuta del suo Figlio, Sapienza eterna, ha portato agli uomini, nella pienezza dei tempi, la parola e la strada sicura per giungere alla salvezza.
Seconda Lettura: Flm 9,10.12-17.
Paolo, scrive a Filémone, che ha messo a disposizione dell’apostolo in catene lo schiavo Onèsimo, e lo esorta ed invita a trattarlo bene, perché l’apostolo lo ha generato per il battesimo come figlio ed è divenuto a lui caro. Pur desiderando tenerlo ancora con sé per assisterlo, rimandandolo a Filemone perché rimanga per sempre con lui, gli scrive: « Non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario». Ancora: lo esorta ad averlo non più come schiavo, ma come fratello carissimo: « in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore ». E se considera Paolo amico, accolga Onèsimo come se accogliesse lui.Discrezione e tenerezza caratterizzano le parole di Paolo nel ringraziare Filemone per aver messo a sua disposizione Onèsimo e nell’invitarlo a considerare questi, divenuto ormai cristiano da lui generato per il battesimo, come fratello nel Signore. La fede e la grazia, che ci rigenerano come figli di Dio, in Cristo Gesù, sono a fondamento della libertà e della fraternità cristiane, di cui sono insigniti i cristiani, che quindi agiscono conla libertà, la spontaneità e la validità derivanti dall’amore e non dalla costrizione.
Vangelo: 14,25-33.
Gesù, alla folla numerosa che lo segue, dice: « Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita non può essere mio discepolo » e prosegue ancora: « Colui che non porta la propria croce e non viene dopo a me, non può essere mio discepolo ». Parole forti e impegnative quelle del Signore, che non vogliono dire che non si debbano amare coloro che sono vicini a noi negli affetti, ma che questi affetti non devono precedere l’amore per lui e il seguirlo da discepoli. Attraverso due brevi parabole, della torre da costruire o del re che deve andare in guerra contro un altro re, Gesù insegna che bisogna ponderare le possibilità che ognuno ha, prima di intraprendere un’impresa, se può portarla compimento, per evitare di restare a metà dell’opera e di essere deriso, o di mandare un’ambasceria al nemico per chiedere la pace, se le sue forze militari sono inferiori e non rischiare la sconfitta. E conclude: « Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi avere, non può essere mio discepolo ». Per seguire il Signore sono necessarie determinazione, coerenza, ponderatezza e, in aggiunta, si richiede distacco da tutto, avendo solo Cristo come l’assoluto, a cui non anteporre nessun altro. Ogni altro legame, che non può essere trascurato, deve essere vissuto in lui. Seguire Cristo significa condividere il suo stesso destino, morto sulla croce: seguirlo portando ognuno dietro a lui la propria croce, che non manca a nessuno e, partecipando alle sue sofferenze, completare ognuno, nel proprio corpo, ciò che manca ai suoi patimenti a favore della Chiesa, come scrive Paolo. Alimentare il coraggio e seguirlo con la pazienza dei figli di Dio possiamo farlo vivendo il sacramento della Croce, l’Eucaristia.
SEGUIRE CRISTO COMPORTA UNA SCELTA RADICALE.
7 SETTEMBRE – XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
SEGUIRE CRISTO COMPORTA UNA SCELTA RADICALE.
Nella celebrazione della Messa ci accostiamo a due mense: « quella della Parola di Dio » e « quella del pane della vita ». Entrambi questi doni sono lui stesso. E’ Cristo la Parola, la sapienza che è diffusa nella Scritture e soprattutto nel Vangelo, che ci guida e illumina nella vita quotidiana con il suo insegnamento, per una continua ricerca della volontà di Dio Padre, così come è il Pane della vita, datoci in cibo. In segno di riconoscenza a Dio per questi doni, noi celebriamo nella Messa il nostro ringraziamento e la nostra lode con la preghiera. Come figli lodiamo, adoriamo ed esprimiamo la pietà dei « figli adottivi, resi partecipi della vita divina, destinati alla vita eterna ed eredi del regno di Dio, pur nella nostra povertà e piccolezza ». Tutto questo lo condividiamo con i fratelli, con cui siamo uniti dalla stessa sorte, secondo quanto ci ha insegnato Gesù con il comandamento dell’amore fraterno, che compendia tutta la legge e i profeti.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che ti fai conoscere da coloro che ti cercano con cuore sincero, donaci la sapienza del tuo Spirito, perché possiamo diventare veri discepoli di Cristo tuo Figlio, vivendo ogni giorno il Vangelo della Croce. Egli è Dio, e vive e regna con te...».
Prima Lettura: Sap 9,13-18.
Nessuno, ci dice il Libro della Sapienza, può conoscere il pensiero di Dio, né cosa Egli vuole. Timidi sono i ragionamenti dell’uomo e incerte le sue riflessioni, perché il suo corpo corruttibile e d’argilla appesantisce l’anima e rende la mente piena di preoccupazioni. Chi può conoscere le cose celesti se a stento immaginiamo le terrene e fatica conosciamo quelle a portata di mano?. E’ per la sapienza data da Dio all’uomo e avergli inviato dall’alto il suo santo spirito che l’uomo può conoscere il suo volere. Per questo sono stati raddrizzati i sentieri di chi cammina sulla terra: gli uomini sono stati istruiti su ciò che è gradito al Signore e vengono salvati per mezzo della sapienza.
Seguire la sapienza di Dio, posta da lui nell’uomo, può farlo giungere alla salvezza. La sapienza è un dono di Dio e frutto dello Spirito Santo. Da solo, allora, l’uomo, con le sue sole forze, fa fatica a raggiungere la salvezza, perché nella sua fragilità non ne è facilmente capace. La venuta del suo Figlio, Sapienza eterna, ha portato agli uomini, nella pienezza dei tempi, la parola e la strada sicura per giungere alla salvezza.
Seconda Lettura: Flm 9,10.12-17.
Paolo, scrive a Filémone, che ha messo a disposizione dell’apostolo in catene lo schiavo Onèsimo, e lo esorta ed invita a trattarlo bene, perché l’apostolo lo ha generato per il battesimo come figlio ed è divenuto a lui caro. Pur desiderando tenerlo ancora con sé per assisterlo, rimandandolo a Filemone perché rimanga per sempre con lui, gli scrive: « Non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario». Ancora: lo esorta ad averlo non più come schiavo, ma come fratello carissimo: « in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore ». E se considera Paolo amico, accolga Onèsimo come se accogliesse lui.Discrezione e tenerezza caratterizzano le parole di Paolo nel ringraziare Filemone per aver messo a sua disposizione Onèsimo e nell’invitarlo a considerare questi, divenuto ormai cristiano da lui generato per il battesimo, come fratello nel Signore. La fede e la grazia, che ci rigenerano come figli di Dio, in Cristo Gesù, sono a fondamento della libertà e della fraternità cristiane, di cui sono insigniti i cristiani, che quindi agiscono conla libertà, la spontaneità e la validità derivanti dall’amore e non dalla costrizione.
Vangelo: 14,25-33.
Gesù, alla folla numerosa che lo segue, dice: « Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita non può essere mio discepolo » e prosegue ancora: « Colui che non porta la propria croce e non viene dopo a me, non può essere mio discepolo ». Parole forti e impegnative quelle del Signore, che non vogliono dire che non si debbano amare coloro che sono vicini a noi negli affetti, ma che questi affetti non devono precedere l’amore per lui e il seguirlo da discepoli. Attraverso due brevi parabole, della torre da costruire o del re che deve andare in guerra contro un altro re, Gesù insegna che bisogna ponderare le possibilità che ognuno ha, prima di intraprendere un’impresa, se può portarla compimento, per evitare di restare a metà dell’opera e di essere deriso, o di mandare un’ambasceria al nemico per chiedere la pace, se le sue forze militari sono inferiori e non rischiare la sconfitta. E conclude: « Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi avere, non può essere mio discepolo ». Per seguire il Signore sono necessarie determinazione, coerenza, ponderatezza e, in aggiunta, si richiede distacco da tutto, avendo solo Cristo come l’assoluto, a cui non anteporre nessun altro. Ogni altro legame, che non può essere trascurato, deve essere vissuto in lui. Seguire Cristo significa condividere il suo stesso destino, morto sulla croce: seguirlo portando ognuno dietro a lui la propria croce, che non manca a nessuno e, partecipando alle sue sofferenze, completare ognuno, nel proprio corpo, ciò che manca ai suoi patimenti a favore della Chiesa, come scrive Paolo. Alimentare il coraggio e seguirlo con la pazienza dei figli di Dio possiamo farlo vivendo il sacramento della Croce, l’Eucaristia.
CHI SI UMILIA SARÀ ESALTATO, DICE IL SIGNORE.
31 AGOSTO – XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
CHI SI UMILIA SARÀ ESALTATO, DICE IL SIGNORE.
Ogni domenica siamo radunati, convocati dalla Parola di Dio, per celebrare il « memoriale della Pasqua del Signore », per lodarlo, ringraziarlo e rinnovare il nostro impegno a vivere nella fedeltà a questa parola. In questo convito, imbandito dal Padre celeste, ci viene offerto il suo Figlio, Pane di vita. Celebrare l’Eucaristia significa comprendere e sperimentare quanto Dio ci ami e riceviamo lo stimolo e la grazia a corrispondere a questo amore, nella fedeltà di discepoli, pronti a portare ogni giorno dietro al maestro la propria croce.
L’amore che nutriamo per Cristo sarà genuino e sincero se lo esprimiamo anche verso i fratelli, poiché amare il prossimo vuol dire confermare il nostro amore per il Signore.
Oggi, nella colletta preghiamo il Signore dicendo: « O Dio, che chiami i poveri e i peccatori alla festosa assemblea della nuova alleanza, concedi a noi di onorare la presenza del Signore negli umili e nei sofferenti, per essere accolti alla mensa del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo…».
Prima Lettura: Sir 3,17-18.20,28-29.
Il Siracide, comunicando al figlio la sapienza, lo esorta ad compiere le sue opere con mitezza, virtù superiore alla generosità, e a praticare l’umiltà, pur essendo nella grandezza, per trovare grazia davanti al Signore. Dio non rivela i suoi segreti ai molti uomini orgogliosi e ai superbi ma ai miti.
Dagli umili, poiché grande è la potenza del Signore, è invece glorificato. Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, in lui è radicata la pianta del male. L’uomo sapiente medita le parabole e il saggio ha l’orecchio attento ai dettami del Signore. La meditazione, la modestia, l’umiltà davanti alla Parola di Dio, l’elemosina fatta nell’ umiltà e non con alterigia, sono virtù che ci rendono graditi a Dio e ci fanno amare anche il prossimo. E facile incolpare gli altri se ci mancano di carità, ma sappiamo essere noi gradevoli e accettabili agli altri?
Seconda Lettura: Eb 12,18-19.22-24.
Nel brano di oggi l’autore della Lettera agli Ebrei ricorda ai cristiani che essi non si sono accostati a cose tangibili, come il fuoco, l’oscurità o tempesta, né a squilli di tromba o a suono di parole, comecoloro che udendole scongiuravano Dio di non rivolgere loro più la sua parola o i suoi segni. Al contrario, essi si sono accostati a realtà nuove: il monte Sion, la Gerusalemme celeste, la città del Dio vivente e a migliaia di angeli, all’adunanza e all’assemblea festosa di coloro i cui nomi sono scritti nei cieli, a Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti e in ultimo a Gesù, unico mediatore di nuova vita e di eterna alleanza. Gesù è colui, per mezzo del quale, abbiamo accesso al Padre e alle realtà celesti degli angeli e dei santi. I simboli del Vecchio Testamento, sono ormai passati, perché sono subentrate realtà nuove: la santità di Dio, la sua grazia, il suo perdono, la riconciliazione che Dio ha realizzato nella morte e nella resurrezione del suo Figlio. E se ancora usiamo i segni sacramentali, questi ci rendono parteci già, fin da ora, della vita divina e delle realtà celesti. Prendendo parte all’Eucaristia, in cui Gesù si dona a noi con il suo Copro e il suo Sangue, con gratitudine, riconoscenza e timore, per mezzo di lui, ci accostiamo a Dio, consapevoli che la nostra vita ormai deve essere trasformata dalla presenza santificante della potenza dello Spirito di Dio.
Vangelo: Lc 14,1.7-14.
Invitato Gesù, di sabato, nella casa di uno dei capi dei farisei a pranzo e notando come gli invitati sceglievano i primi posti, rivolse agli astanti una parabola dicendo: « Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “ Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “ Amico, vieni più avanti”. Allora ne avrai onore davanti ai commensali ». E concluse: « Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato ». Rivoltosi poi a colui che lo aveva invitato disse che, quando si offre un pranzo o una cena, più che invitare amici, fratelli, parenti, ricchi e vicini che possono contraccambiare, a loro volta, l’invito, al contrario bisogna invitare poveri, storpi, zoppi, ciechi, i quali non possono ricambiare. Allora si sarà beati, perché si riceverà la ricompensa alla risurrezione dei giusti.
L’ambizione di primeggiare può farci trovare in imbarazzo in tante circostanze, mentre l’umiltà è gradita ed elogiata. La superbia, l’orgoglio di sentirsi importanti, possono provocare situazioni incresciose e umilianti. La gratuità nel compiere il bene, e realizzarlo senza secondi calcoli, né per avere fraternità e la ricompensa la si deve attendere nell’altra vita.