CRISTO GESÙ CEDICO E SALVATORE CI ARRICCHISCE CON LA SUA VITA DIVINA.
30 GIUGNO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il Signore nella liturgia della Domenica continua a portare a compimento l’opera della redenzione e della liberazione degli uomini dalle tenebre del male e del peccato. Donandoci lo Spirito Santo, con la luce della sua verità, ci libera dal nostro egoismo e con la grazia del Cristo, povero e crocifisso, addolcisce le nostre asprezze con la dolcezza e la forza del suo amore.
Verificare ogni giorno questo cammino di santità è certo un compito a cui siano chiamati, ma dobbiamo ritenerlo un dono di grazia elargito dal Signore, dono che non dobbiamo mettere in dubbio di fronte all’esperienza di ogni giorno, in cui i sentimenti sono diversi da quelli che il Signore ci chiede.
Così non dobbiamo avvilirci né scoraggiarci e, convinti della continuità del dono della grazia che Dio ci fa, confidare sempre in lui e riprendere il cammino con serenità e costanza.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Padre celeste dicendo:« Padre, che nel mistero del tuo Figlio povero e crocifisso ci fai ricchi del dono della tua stessa vita, rinvigorisci la nostra fede, perché nell’incontro con lui sperimentiamo ogni giorno la sua vivificante potenza. Per il nostro Signore Gesù Cristo…».
Prima Lettura: Sap 1,13-15; 2,23-24.
Il libro della Sapienza ci insegna che Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi. Egli ha creato l’uomo per l’immortalità facendolo ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo e coloro che gli appartengono fanno esperienza della morte. Gesù è venuto per riscattarci da questa situazione mortale, vincendo il demonio e il male e vincendo anche la morte da lui causata. Gesù risorto è il principio e la primizia della vita definitiva spirituale ed eterna. Vivendo in comunione di grazia con Gesù, abbiamo in germe in noi la vita che non tramonta.
Seconda Lettura: 2 Cor 8, 7.9; 13-15.
San Paolo se da una parte loda i Corinzi perché ricchi nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che Egli ha insegnato loro, dall’altra li esorta e li sprona a vivere nella generosità dell’aiuto da dare alla Chiesa di Gerusalemme che è nel bisogno ed è attanagliata dalla carestia. Porta ad esempio Cristo Gesù che da ricco che era, si è fatto povero per arricchire noi della sua povertà, facendoci dono e partecipi della sua vita divina. Più che mettere in ristrettezza economica i Corinzi, chiede loro di fare uguaglianza, cosicché la loro abbondanza supplisca alla indigenza dei fratelli di Gerusalemme e, un domani, l’abbondanza dei cristiani di Gerusalemme potrà supplire a indigenza dei Corinzi. In questa imitazione dello stile di Gesù, che è venuto per arricchirci della sua divinità e della sua vita divina, i cristiani hanno un modello da imitare e testimoniare nel mondo, realizzando la fraternità tra le chiese e tra i fedeli, come anche la comunione nella fede, senza la quale la loro vita sarebbe destinata alla aridità e sarebbe smentito il principio della redenzione e della salvezza.
Vangelo: Mc 5, 21-43. Ù
Gesù compie un doppio miracolo, come ci racconta il brano evangelico di oggi: guarisce una donna, che da dodici anni è affetta da emorragia e da cui non era guarita pur avendo consultato molti medici e spendendo tutti i suoi averi, anzi aggravandosi, la quale dimostra una grande fede e viene guarita, perché crede che toccando anche solo il mantello di Gesù sarà guarita, come di fatto avviene e la figlia del capo della sinagoga Giairo, che lo invoca per la guarigione della figlia morente. Nella prima guarigione, davanti alle impossibilità umane o a quelle derivanti dalla convinzione che il denaro può tutto, solo per la sua fede quella donna, che riesce con fatica, a causa della folla, a toccare il mantello di Gesù, è esaudita da lui, dal cui corpo si sprigiona una potenza divina guaritrice. Gesù le rivolge parole che la rigenerano anche spiritualmente: « Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male » . Nell’ episodio della bambina, richiamata in vita, Gesù esaudisce il desiderio dei genitori invitandoli ad aver fede nella sua parola, pur tra le difficoltà poste da coloro che ne annunziano la morte sopraggiunta e dalle perplessità e dalla derisione manifestate da coloro che piangono e urlano per la sua morte: « Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme ». Gesù la richiama in vita, dimostrando così che egli sarà Colui che vincerà la morte e divenendo per tutti noi speranza di risurrezione eterna
FIDIAMOCI DEL SIGNORE, SEMPRE!
23 GIUGNO – XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nella celebrazione della memoria della Pasqua del Signore celebriamo il suo sacrificio di espiazione in cui Gesù si è offerto al Padre per riconciliare l’umanità con il Padre celeste. L’Eucaristia ci rende partecipi di questa riparazione, poiché la nostra vita segnata dal peccato ha continuo bisogno di riconciliazione e di riparazione, in quanto molte cose, come la ricerca del successo, la nostra superbia ed esaltazione, i cedimenti davanti alle esigenze del Vangelo, sono realtà che esigono purificazione.
Nell’Eucaristia oltre a questa espiazione e alla fedeltà per confessare la nostra fede, troviamo e sono condivise anche la lode innalzata da Gesù che si immola sulla croce, l’adorazione e il ringraziamento al Padre celeste.
Nel giorno del Signore la nostra lode deve sgorgare dal cuore in maniera più intensa e prolungata, alimentata dalla Parola di Dio che ci dà testimonianza della salvezza che Gesù ha operato e continua a renderla presente nella nostra storia, come con i due discepoli di Emmaus.
Nella preghiera iniziale diciamo a Dio: « O Dio, tutte le creature sono in tuo potere e servino al tuo disegno di salvezza: rendi salda la fede dei tuoi figli, perché nelle tempeste della vita possano scorgere la tua presenza forte e amorevole. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: Gb 38,1.8-11.
Il Signore a Giobbe, che è afflitto dal suo male, riafferma la sua presenza nel mondo e la sua vicinanza a lui, fin da quando con la sua potenza chiudeva tra due porte il mare, quando lo vestiva di nubi e lo fasciava di una nuvola oscura, quando gli ha fissato un limite mettendogli un chiavistello e dicendo : « Fin qui giungerai e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde ». Così Dio dice a Giobbe che nella opera creatrice Egli precede sempre l’opera dell’uomo e la sua stessa esistenza, poiché come creatura è limitata nella sua capacità di conoscere e dominare la natura. E il dolore che inquieta Giobbe, e tutto il mondo è certamente un mistero per lui. Ma Dio nella sua Provvidenza non abbandona l’uomo, il quale si deve abbandonare totalmente in lui come Gesù, Signore dell’universo, da cui i nostri misteri e le nostre oscurità vengono illuminati e con la sua croce si scioglie l’enigma del dolore.
Seconda Lettura: 2 Cor 5, 14-17.
San Paolo dice ai Corinzi che l’amore di Cristo ci possiede, poiché egli è morto per tutti e noi non viviamo più per noi stessi ma per « colui che è morto ed è risorto per loro ». Così non guardiamo più a Cristo alla maniera umana, ma con la fede. Essendo ormai in Cristo, siano nuove creature, le cose vecchie e la nostra vita di peccato sono passate e ne sono nate di nuove. Siamo ancorati a questa certezza di fede che, cioè, in Cristo siamo completamente creature nuove? Per cui la nostra adesione non deve essere labile e insicura per non essere incoerenti. Con il Battesimo siamo stati rinnovati e la nostra relazione con il peccato, con il demonio è stata eliminata nella sua forma originale, anche se permane ancora in noi l’inclinazione a ricadere nel peccato. Ma tutto però deve essere vissuto con una mentalità nuova e con nuovo modo di giudicare le cose e gli eventi della vita. La novità della vita si esprime, come dice Gesù, nell’amore verso gli altri vedendo in loro lui stesso. Quest’amore porta, alla maniera di Gesù, «che è morto per tutti », a dare la vita per gli altri. Le proprie scelte e i propri atteggiamenti, allora, dice San Paolo, devono ispirarsi al « non vivere più per se stessi ». Il cristiano sa che vivere per Cristo significa accogliere tutti gli uomini come egli ci ha accolti nella sua carità. La considerazione del prossimo è cambiata nella prospettiva di Gesù, perché l’amore al prossimo non dobbiamo portarlo tenendo conto del giudizio e delle simpatie puramente naturali, ma dal fatto che tutti siamo stati amati dal Signore nella sua donazione sulla croce.
Vangelo: Mc 4,35-41.
Oggi Gesù, nella traversata del lago, sconvolto dalla tempesta, è sulla barca insieme ai discepoli. Egli dorme e i discepoli, sconvolti dalla paura e agitati, gli dicono terrorizzati: « Maestro, non t’importa che siamo perduti? ».E Gesù destatosi « minaccia il vento e dice al mare: “Taci, calmati!”». Ritornata la bo-naccia dice loro: « Perché avete paura? Non avete ancora fede? ». I discepoli timorosi si chiedono:« Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono? ». Il mare in burrasca è il simbolo del mondo che è agitato e in disordine per i mali che lo affliggono. Gesù, Creatore come il Padre, impone con la sua potenza alle forze e agli elementi della natura i suoi comandi. La sua Signoria sull’universo e sulla storia è così ristabilita e riconosciuta, perché egli è colui che dà senso e valore, significato e ordine alle realtà. Attraverso la fede bisogna affidarsi a Cristo senza timore anche in mezzo alle vicende difficili e tempestose della vita: la barca della nostra esistenza può essere a volte agitata e la paura può prendere il sopravvento e giungere allo scoraggiamento e quasi possiamo sentirci sopraffatti dalle situazioni. Le nostre travagliate situazioni, le nostre tempeste si placano se ci affidiamo a Cristo. La certezza che il Signore dell’universo è con noi e la confidenza in lui, che anche a noi dice: « Perché avete paura? », devono farci riprendere coraggio e continuare la traversata della nostra vita, sicuri che nessuna forza di male ci può inghiottire.
GESÙ CRISTO, "REGNO DI VERITÀ E GIUSTIZIA.
16 GIUGNO – XI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO.
GESÙ CRISTO, "REGNO DI VERITÀ E GIUSTIZIA.
Nell’Eucaristia noi rendiamo grazia a Dio per i suoi benefici e con l’offerta del pane e del vino, che saranno trasformati dalla Spirito Santo nel Corpo e Sangue di Cristo, rendiamo grazie a lui. Questi doni trasformati diventano Sacramento che ci unisce a Cristo e viene edificata la Chiesa nell’unità e nella pace. L’unione a Cristo diventa più piena quando come lui viviamo nella osservanza della volontà di Dio, quando rendiamo la nostra vita una testimonianza conforme alla fede che professiamo: così questi doni trasformati e ricevuti li viviamo le scelte quotidiane, in coerenza con la fede. Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di oggi chiediamo a Dio: « O Padre, che spargi nei nostri cuori il seme del tuo regno di verità e di grazia, concedici di accoglierlo con fiducia e coltivarlo con pazienza, per portare frutti di giustizia nella nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ». I cristiani, come popolo profetico e sacerdotale, devono farsi annunciatori e testimoni del Vangelo e diffondere nel mondo la Parola che riconcilia con Dio e tra noi e crea la pace.
Prima Lettura: Ez 17,22-24.
Ezechiele paragona Israele ad un cedro, da cui Dio strapperà un ramoscello e lo pianterà sopra « un monte alto ed imponente … che metterà rami e farà frutti, diventerà un cedro magnifico e sotto i suoi rami gli uccelli dimoreranno e riposeranno », mentre umilierà l’albero alto e farà seccare l’albero verde e germogliare il secco. Dio esalta gli umili e abbassa i superbi, canta Maria nel Magnificat.
Ezechiele si riferisce alla Casa di Davide che verrà restaurata, ma non come potenza umana, ma come Colei da cui nascerà Gesù, il Cristo, Figlio di Davide. Non è l'orgoglio o la nostra forza che salva, ma la grazia di Dio. Quello che l’uomo disprezza, per Dio è colui che compirà le meraviglie di Dio. Quello che ’uomo considera potenza è da Dio considerato impotenza, nullità. Allora, oltre all’ umiltà, è la fiducia in Dio quella che il credente deve avere: nessuna potenza o resistenza umana potrà opporsi alla realizzazione del piano salvifico del Signore.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,6-10.
San Paolo, esortando i Corinzi e noi a riporre la nostra fiducia nel Signore finché viviamo in questo esilio terreno lontani da lui, ci dice che su questa terra dobbiamo camminare nella fede e non nella visione delle realtà celesti che siamo chiamati a conseguire. Per cui « sia abitando nel corpo sia andando in esilio dal corpo, dobbiamo sforzarci di essere a lui graditi », per abitare nel Signore, davanti al cui tribunale dobbiamo comparire « per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male ». Per quanto sulla terra ognuno si sforzi di star bene non mancano le tribolazioni, le ansie, le avversità della vita. In tale stato il cristiano è chiamato a credere che la vera patria a cui deve tendere è l’essere in Dio, il quale non chiede di alienarsi da questa terra, ma di impegnarsi quaggiù secondo la sua volontà e avere i nostri sguardi rivolti alle realtà celesti: siamo in esilio lontani dal Signore. Nella Eucaristia, sacramento della presenza del Signore, egli è vicino a noi, ma ancora questa presenza non è quella pienamente beatificante e gloriosa del cielo. Se camminiamo nella fede, ci avviciniamo a lui, per poi contemplarlo nella gioia eterna. Dobbiamo nutrire questo desiderio e questa speranza di raggiungerlo. Nell’ attesa non possiamo vivere nella pigrizia o peggio perseguendo una vita di peccato. Non dobbiamo dimenticare che prima della visione dobbiamo affrontare il giudizio del suo tribunale, in cui sarà valutato il bene o il male compiuto finché abbiamo vissuto su questa terra. Deponiamo allora ogni illusione: la ricompensa o il castigo dipenderanno dalla verità delle nostre quotidiane scelte. Siamo invitati ad essere più pensosi che preoccupati: sappiamo infatti già in anticipo su cosa saremo giudicati.
Vangelo: Mc 4,26-34.
Gesù parla del Regno di Dio e lo paragona al seme che il contadino sparge nel campo. Sia che il contadino dorma o vegli, il seme si sviluppa nelle varie fasi. Così è per il Regno di Dio, perché a dargli incremento è la potenza del Signore. Anche il seme di senape, che è il piccolo di tutti i semi, quando cresce permette agli uccelli di riposarsi alla sua ombra o farvi il loro nido. Gesù con la sua presenza rende presente il regno di Dio ed è la sua potenza a farlo crescere nel cuore dell’uomo, non siamo noi a sostenerlo o ad alimentarlo. Le vie che il Signore segue per farlo crescere non ci sono perfettamente note, sono avvolte nel silenzio e nel mistero. Il Regno cresce con il crescere della grazia e dell’amore di Dio, della sua regalità nel cuore dell’uomo, al di là delleg apparenze e dei rumori del mondo. La legge dell’umiltà e della pochezza sono alla base del suo sviluppo, non tanto nelle capacità umane. Così siamo invitati a non affidarci ad appoggi terreni come se fossero quelli che contano. Tutto ciò non toglie che noi dobbiamo essere operosi, anche silenziosamente come altrettanto avviene con il lavorio della grazia. Non è quello che si impone di più o è gradito di più che conta. Il mondo della grazia è in atto, ma non ce ne accorgiamo: l’ ultimo giudizio sarà una sorpresa, perché nel regno di Dio vi si trovano anche tanti che non ci aspetteremmo di trovarvi.
GESÙ HA VINTO IL POTERE DI SATANA E CI HA LIBERATI
9 GIUGNO – X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
GESÙ HA VINTO IL POTERE DI SATANA E CI HA LIBERATI.
Ritrovarsi la Domenica per celebrare i misteri del Signore significa volere attingere alla « sorgente di ogni bene », che è il Signore, il quale ha mandato il suo Figlio « a liberarci dalla schiavitù di satana » e chiedergli che ci sostenga con le armi della fede, perché « nel combattimento quotidiano contro il maligno partecipiamo alla vittoria pasquale del Cristo ». Così possiamo entrare in comunione con lui, animati dal suo immenso amore accogliente. Con la forza risanatrice del suo Spirito camminiamo nella speranza di raggiungere il cielo, pur in mezzo alle prove e alle tentazioni che la vita ci riserva.
Nella preghiera iniziale preghiamo: « O Padre che hai mandato il tuo Figlio a liberare l’uomo dal potere di Satana, alimenta in noi la fede e la libertà vera, perché, aderendo ogni giorno alla tua volontà, partecipiamo alla vittoria pasquale di Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te… »
Genesi 3, 9-15.
In questo brano ci viene descritta la condizione dell’uomo e della donna dopo aver disobbedito a Dio: essi si sono ritrovati nudi di tutti i beni di cui Dio li aveva dotati, creandoli. Così nel dialogo con Dio l’uomo incolpa la donna che gli ha dato da mangiare dell’albero proibito. A sua volta la donna, a cui Dio chiede che cosa abbia fatto, incolpa il serpente che l’ha ingannata, invitandola a mangiare di quel frutto, che secondo il tentatore avrebbe loro aperto gli occhi e li avrebbe resi come Dio.
Così Dio dice al serpente : « Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame … Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno ».
Rotta, allora, la comunione con Dio, l’uomo inizia la sua vita sotto la soggezione del tentatore, che per primo ha disobbedito a Dio. Ma Dio apre all’uomo il suo progetto di misericordia e di perdono promettendo che la stirpe della donna, Cristo Gesù e la donna, avrebbero avuto, come anche tutti gli uomini, la meglio sul tentatore.
2 Lettera ai Cor 4,13-5.1
San Paolo esorta i Corinzi a credere e professare che Dio che ha risuscitato Gesù, risusciterà anche noi con lui e ci porrà accanto a lui. La Grazia, che Cristo ci ha meritato per tutti, deve farci elevare il nostro inno di ringra- ziamento a Dio. Né bisogna scoraggiarci anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, mentre dobbiamo far crescere l’uomo interiore, che si rinnova di giorno in giorno. Dobbiamo ancora, anche in mezzo alle momentanee tribolazioni, tenere lo sguardo fisso non sulle cose visibili, che sono di un momento, ma su quelle invisibili che sono eterne. Il brano di oggi conclude dicendo che « quando sarà distrutta la nostra dimora terrena riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani di uomo, eterna, nei cieli ». Anche noi siamo chiamati quindi alla risurrezione, alla gloria e alla vita in Dio. Su questa fede si fonda la nostra esistenza di cristiani. Pur essendo sottomessi alla caducità nel nostro corpo con tutta quanta la creazione, attendiamo che Dio la trasformerà, alla fine dei tempi, nella manifestazione della gloria di Dio. Se le cose di questo mondo dobbiamo viverle e interessarcene, i cristiani sanno che sono passeggere e che devono tendere alle realtà eterne.
Marco 3,20-35
Nel brano del Vangelo di oggi siamo chiamati a superare non solo l’incredulità degli scribi, che ritengono Gesù posseduto da Beelzebùl, il principe dei demoni, ma anche quella dei parenti più stretti di lui, che lo ritengono che sia « fuori di sé », mentre forse era solo stanco e affaticato.
Gesù allora ribatte che se egli scaccia i demoni per opera di Beelzebùl, il regno di questi è diviso e non può restare in piedi; né satana può ribellarsi contro se stesso. Davanti a sua madre e ai suoi fratelli e sorelle, che stanno fuori della casa dove si trovava, Gesù, guardando la folla, dice che sua madre e i suoi fratelli sono tutti coloro che fanno la volontà di Dio. Al cristiano, che riconosce Gesù come sorgente della salvezza e della misericordia, Egli dice che ciò che importa è stabilire legami, non tanto fisici, che pur sono importanti, ma l’essere con lui nel compiere la volontà del Padre celeste, aderire a lui con tutto il cuore, obbedire a Dio accogliendo lui come il Figlio di Dio Salvatore, venuto tra noi per riportarci alla comunione con il Padre, che il peccato ha interrotto all’origine e in ogni tempo.
2 GIUGNO-SOLENNITA’ DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE : PRENDETE QUESTO È IL MIO CORPO...
2 GIUGNO-SOLENNITA’ DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE
Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall'Egitto, averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore, come comunità, non può dimenticare la sua dimensione comunitaria, in cui la fede è vissuta e celebrata, specie nella Eucaristia, che è il « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto. Tale memoriale non è un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore, resa possibile dall’azione dello Spirito Santo che viene invocato. Nella celebrazione dell’Eucaristia noi offriamo ilsacrificio della nuova alleanza, viene ripresentato il sacrificio della croce, dove Gesù, Agnello senza macchia, s’è offerto. Nell’altare che è anche la mensa della sua cena noi vi attingiamo il cibo che ci sostiene lungo il « viaggio della nostra vita », in attesa di essere partecipi del convito eterno del regno celeste.
Attorno all’altare, uniti in « assemblea festosa » a rendere grazie a Dio, ci riconosciamo fratelli, perché il Padre celeste, nel sangue di Cristo, ci ha rigenerati come fratelli e ci ha costituiti come suo popolo, legato nella medesima fede e dall’ identica unità e carità, rappresentate nell’ unico pane e nell’ unico calice. Noi riceviamo nell’Eucaristia lo Spirito che scaturisce dal Corpo di Cristo e veniamo purificati da ogni colpa.
Tutto questo deve farci fugare i rischi di considerare la comunità in termini psicologici, o ridurla come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, per colmare situazioni compensatorie nelle proprie fragilità: una tale comunità rischierebbe di produrre un gruppo di immaturi che cercano un ovattamento alla vita. Oppure percepire la comunità in termini sociologici, perché l’affermazione conciliare sulla Chiesa, come « popolo di Dio », è da intendersi in maniera teologica non sociologica, costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Infine bisogna evitare un ultimo rischio che è quello di considerare la Co- munità come aggregazione per eventi o iniziative di tipo organizzativo, con poco dispendio di energie e con scarsa intensità di comunione spirituale.
Non si può parlare di comunità senza parlare di « comunione », come relazione spirituale e di amore fraterno, che lega sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti. La comunione trova il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo, e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo la prerogativa testé esposta realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che dovesse rimanere dopo la celebrazione della Messa è presenza reale di Cristo, che realizza la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo che è presente nel tabernacolo va quindi la nostra adorazione e il nostro culto.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Signore dicendo: « Signore, che ci hai radunati interno al tuo altare per offrirti il sacrificio della nuova alleanza, purifica i nostri cuor, perché alla cena dell’Agnello possiamo pregustare la Pasqua eterna della Gerusalemme del cielo. Per il nostro Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: Es 24,3-8.
Dopo che Mosè riferì le parole del Signore al popolo e gli Israeliti, tutti uniti in una sola voce, si impegnarono dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo », venne eretto un altare con dodici stele e vennero offerti sacrifici di comunione per il Signore. Mosè, allora, lesse il libro dell’alleanza e il popolo rinnovò l’impegno di fedeltà ad eseguire ciò che il Signore chiedeva. Con il sangue degli animali sacrificati fu asperso il popolo con queste parole: « Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole! ». Con questo gesto di aspersione viene solennemente sancita l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Anche Gesù dirà sul vino, che sarà trasformato dalla potenza dello Spirito, « questo è il sangue dell’alleanza » dandolo da bere durante l’ultima Cena. Gesù infatti offrirà la sua vita per la remissione dei peccati e pone la « nuova alleanza » come alleanza eterna, impegnando noi a vivere, a nostra volta, nell’amore e nella fedeltà.
Seconda Lettura: Eb 9,11-15.
La Lettera agli Ebrei che oggi la Liturgia ci fa ascoltare ci presenta Cristo come Sacerdote dei beni futuri, perché egli, mediante il suo sacrificio e in virtù dello spargimento del suo sangue e non più per quello di animali, per ottenerci una redenzione eterna, è entrato nel santuario del cielo attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non appartiene a questa creazione. Il sangue di Cristo, sparso da lui che è senza macchia, offerto una volta per tutte, purifica e santifica la nostra coscienza dalle opere di morte, dal peccato, perché serviamo al Dio vivente: la redenzione di Cristo, operata sulla croce, è eterna, valida per tutti i tempi, e non ha bisogno di essere ripetuta. Così Gesù è « mediatore di una nuova alleanza, perché, con la sua morte intervenuta in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa ».
Vangelo: Mc 14,12-16.22-26.
Alla vigilia della sua Passione, Gesù manda due discepoli a preparare la cena della Pasqua. In questo contesto egli opera una trasformazione: al posto dell’agnello che gli ebrei consumavano in ricordo della Pasqua dell’Esodo, Gesù offre il suo Corpo, che immolerà sulla croce. Così, come il sangue dell’agnello, posto sugli stipiti delle porte, liberò i figli degli ebrei dalla morte, ora Cristo ci libera dai peccati e ci custodisce nel suo amore.
L’Eucaristia che celebriamo è la nostra Pasqua, mentre attendiamo di celebrare quella eterna nel cielo. L’Eucaristia è l’anticipo, qui in terra, del banchetto eterno del regno celeste; non è una illusione futura, ma una verità che ci fa sperare di raggiungere la realtà di Dio, verso la quale siamo incamminati. Nella Comunità della Chiesa, in ogni celebrazione dell’Eucaristia, i gesti e le parole di Gesù ripetuti dal ministro, rendono presente per noi ciò che Gesù fece allora: così mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue. Ci cibiamo di tutto il Cristo: del suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità.