





QUARESIMA TEMPO DI CONVRSIONE AL SIGNORE.
QUARESIMA 2025
Con il Mercoledì delle Ceneri inizia il periodo di quaranta giorni
in preparazione alla Pasqua. Fin dal IV secolo, dal Concilio di Nicea,(325), un canone stabiliva un tempo di digiuno della durata di quaranta giorni che precedevano la Pasqua. San Girolamo, nel 384, in un suo scritto evidenzia che il digiuno, in questo periodo, di durata variabile, da tre settima- ne all’inizio fino a quaranta giorni in seguito, è la caratteristica propria di questa celebrazione. A Roma veniva celebrato questo periodo con le celebrazioni stazionali, vissute dalla comunità romana insieme al papa, in chiese diverse, in vari giorni.
Iniziata come tempo di preparazione dei catecumeni ai sacramenti dell’ iniziazione, con il tempo divenne tempo penitenziale per coloro che dovevano praticare la penitenza pubblica per essere riammessi, nella notte di Pasqua nella comunione ecclesiale.
Sant’Ambrogio diceva che a Pasqua sono presenti due tipi di acque differenti: le acque del Battesimo e quelle delle lacrime della penitenza. Questo periodo di preparazione alla Pasqua, prevedeva a Roma sei settimane, e in seguito fu spostato l’inizio al mercoledì precedente queste settimane, in cui i penitenti pubblici erano rivestiti da un abito penitenziale e cosparsi di cenere. Vennero aggiunte, verso il VI secolo le domeniche di Settuagesima, Sessuagesima e Quinquagesima e verso la fine del IX secolo si instaura l’imposizione delle ceneri a tutto il popolo, essendo venuta meno la penitenza pubblica.
Oggi la Quaresima inizia con il Mercoledì delle Ceneri e termina il Giovedì Santo. L’imposizione delle ceneri viene fatto o durante la celebrazione eucaristica o inserita nella celebrazione della Parola.
Dopo il Concilio viene recuperato il significato battesimale della quaresima, che con il tempo era stato adombrato. Battesimo, che viene ricordato o a cui ci si prepara, e la Penitenza, invogliando i fedeli all’ascolto più frequente della Parola di Dio, alla preghiera per disporsi così a celebrare il mistero pasquale. In un percorso catecumenale la Quaresima può considerarsi una vera e propria iniziazione sacramentale: « La liturgia quaresimale guida alla celebrazione del mistero pasquale, sia i catecumeni, attraverso i diversi gradi dell’iniziazione cristiana, sia i fedeli, per mezzo del ricordo del battesimo e della penitenza ». (NGALC,N.27). La Parola di Dio, le preghiere delle collette, dei prefazi tutto ruota attorno al mistero pasquale di morte e risurrezione del Signore e le implicazioni che esso ha nella vita di tutti i credenti in lui: una sequela del Signore, che impegna fino al dono totaledi sé e che ci permettere di partecipare alla sua risurrezione nella gloria.
I racconti nelle Tentazioni e della Trasfigurazione vengono proclamati nella prima e seconda domenica in ogni ciclo liturgico, mentre nelle altri cicli vengono posti in evidenza l’itinerario sacramentale battesimale (nell’Anno A), cristocentrico-pasquale (nell’Anno B), penitenziale (nell’Anno C).
L’invito alla conversione, con una penitenza interna ed esterna, individuale e comunitaria, è continuamente rivolto a tutto il popolo di Dio nelle preghiere eucologiche, perché :« attraverso l’itinerario spirituale della Quaresima, i fedeli giungano completamente rinnovati a celebrare la Pasqua del tuo Figlio » e « Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua ». La conversione in quaresima è condizione indispensabile per partecipare pienamente al mistero pasquale di Cristo: essa è tempo sacramentale della nostra conversione.
Purificare la vita per amare il Signore e il prossimo.
Con l’imposizione delle Ceneri Incomincia il cammino della Quaresima, che ha per metà la Pasqua, in cui si rinnova la grazia della passione, della morte e della resurrezione del Signore. E’ un tempo di austerità, di penitenza, che vuol dire conversione, cambiamento « contro lo spirito del male»; un tempo di liberazione dal peccato, origine della morte, così che la nostra vita sia « rinnovata a immagine del Signore risorto ».
Il modello della Quaresima è Gesù Cristo nel deserto: la sua decisione nel rigettare le insidie dell’antico tentatore, il suo ascolto fedele della Parola di Dio e, per noi, la preghiera insieme all’elemosina e al digiuno sono l’espressione di questo cambiamento di vita nell’imitare il Signore in questo tempo sacro.
L’esperienza del digiuno non è una attenzione narcisistica di cura dimagrante che la società moderna propone, ma un’imitazione del Signore che nel deserto ha pregato e digiunato e ci ha insegnato a vivere con tutto il nostro essere, spirito e carne, nella ricerca e nell’amore di Dio, nell’avere fame di lui. La vita cristiana senza l’ascesi sarebbe solo fatto ideologico, costellato magari di buone intenzioni, ma senza coinvolgimento dell’intera persona. L’ascesi diventa palestra che vuol farci giungere a conoscere e amare Dio e a vivere, nella carità di Dio, liberandoci dall’egoismo, dal dominio incondizionato delle passioni, dal desiderio di possesso, l’amore al prossimo, per realizzare una comunione di condivisione e di fraternità con tutti coloro che sono nelle necessità spirituali e materiali.
Prima Lettura: Gl 2,12-18.
La quaresima è il tempo della conversione e del perdono. Certo tutti i giorni contengono l’invito e l’impegno per il ritorno al Signore « con tutto il cuore, con digiuni, con pianti ». Così come ogni tempo è ricco della misericordia e della benignità divina. Ma a partire da questo mercoledì , la Parola di Dio che « si muove a compassione » risuonerà più insistente, e anche salirà più fervida a Dio l’orazione, che è gemito e implorazione dei « sacerdoti , ministri del Signore » e di tutta la Chiesa con loro.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,20-6,2.
Paolo si considera ambasciatore di Cristo e collaboratore di Dio nel proclamare che è giunto, ed è presente adesso, il tempo della salvezza, cioè della riconciliazione con Dio. E’ la riconciliazione compiuta da Gesù stesso, l’innocente che Dio ha trattato da « peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio »: noi riceviamo la grazia della « giustizia di Dio », per i meriti del Signore.
Vangelo: Mt 6,1-6,16-18.
Le nostre opere di carità, le nostre preghiere, la nostra penitenza non devono essere proclamate all’esterno, perché siano ammirate e diventino morivo di lode per noi. Deve invece importare lo sguardo di Dio, che vede nel segreto, e la ricompensa che viene da lui. Diversamente, potremmo anche lavorare e impegnarci molto, ma sarebbe uno sciupio di tempo e di energie. In ogni azione buona, che compiamo non per vanità, ma per amore di Dio, c’è una dimensione di eternità, che non andrà mai perduta.
Le domeniche di questo tempo hanno sempre la precedenza anche sulle feste del Signore e su tutte le solennità. Le solennità che coincidono con queste domeniche si anticipano al sabato.
La sesta domenica, con la quale si comincia la Settimana santa, viene chiamata Domenica delle Palme,della passione del Signore.Il Mercoledì delle Ceneri e il VENERDI’ SANTO sono giorni di digiuno e astinenza: digiuno per coloro che sono compresi tra i 18 e i 60 anni compiuti, ( si è dispensati per motivi di salute);astinenza dalle carni, per coloro che sono dai 14 in sù ( si è dispensati per motivi di salute). Anche i bambini possono essere abituati ad astenersi dalle carni in questo Tempo di Quaresima.Tutti i VENERDI’ di Quaresima, si osservi l’astinenza dalle carni.
Si consiglia di meditare nei Venerdì di Quaresima la Passione di Gesù o eventualmente in altri giorni a seconda della propria disponibilità di tempo.
LA PAROLA DI DIO E GESÙ CRISTO, PAROLA VIVENTE DEL PADRE CI GUIDI NELLA VITA.
2 MARZO – VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Se, partecipando all’Eucaristia, comprendessimo la profondità della grazia e del dono che Dio Padre ci fa nel suo Figlio, capiremmo quale grande amore ha Dio per noi, la sua provvidenza, la sua misericordia. In essa non riceviamo un simbolo ma la realtà del Corpo e Sangue del Figlio di Dio, che si rende presente per la potenza dello Spirito Santo. Questo convito è l’inizio della comunione con Dio. Vissuto nella speranza di partecipare alla perfetta comunione con lui nella vita eterna, è un pegno della gloria futura. Questa commensalità , questa « alleanza nuova ed eterna » dà ai cristiani di dedicarsi non solo alla lode e al ringraziamento a Dio per le meraviglie operate per gli uomini, ma anche dedicarsi al servizio dei fratelli.
Nella preghiera dell’Eucaristia ci rivolgiamo a Dio dicendo: « Dio nostro Padre, che hai inviato nel mondo la tua Parola di verità, risana i nostri cuori divisi, perché dalla nostra bocca non escano parola malvagie ma parola di carità e di sapienza. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima lettura: Sir 27,4-7
Il libro del Siracide, nel suo complesso, esprime la sapienza non solo umana che l’esperienza ha codificato, ma anche quella che è ispirata da Dio, così come credono coloro che accolgono la Sacra Bibbia come ispirata. Il nostro parlare riflette lo spirito e i sentimenti che ci sono in noi, per cui come il ceramista mette alla prova con il fuoco i vasi di creta che ha modellato « così il modo di ragionare è banco di prova per un uomo ». Come il frutto dimostra la natura dell’albero « così la parola rivela i pensieri del cuore ».
Seconda lettura: 1 Cor 15,54-58
San Paolo, scrivendo ai Corinti, ricorda loro e a noi che dobbiamo rendere grazie a Dio perché nel nostro corpo, di nascita corruttibili e mortali, siamo chiamati a rivestirci dell’incorruttibilità e dell’immortalità. Infatti, come dice la Scrittura : « La morte è stata inghiottita nella vittoria » del Cristo risorto, cosicché la morte non può vantarsi della sua vittoria sul nostro corpo, ha perso il suo pungiglione « che è il peccato e la forza del peccato è la Legge ». Ci esorta a « rimanere saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la nostra fatica non è vana nel Signore ».
La Pasqua di Cristo è la vittoria, anche per noi, sulla morte: questo ci dà la certezza di fede che, aldilà della morte, siamo chiamati alla risurrezione, per cui anche se sperimentiamo il peccato, finché siamo nel corpo, non dobbiamo farci prendere dalla stanchezza e dallo scoraggiamento, né a rimandare a fare il bene che dobbiamo realizzare come discepoli di Cristo.
Anche quando sperimentiamo la morte nelle vicende della vita umana, siamo chiamati a rinnovare la nostra speranza nella risurrezione, per cui la morte non deve prostraci nella disperazione: Cristo unisce alla sua vittoria i nostri cari che ci lasciano, così come sarà anche per noi.
Vangelo: Lc 6, 39-45
Gesù, attraverso semplici parabole, come quella che oggi il Vangelo ci fa ascoltare: « Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso ?» ci insegna ad imparare da lui che è il Maestro, ad essere ben preparati come lui. Così ci dice che se vogliamo togliere la pagliuzza che notiamo nell’occhio di un fratello, mentre non ci accorgiamo della trave che è nel nostro, dobbiamo prima togliere la nostra trave per vederci bene e poi possiamo aiutare il fratello a togliersi la pagliuzza dal suo.
Ancora. Come non vi è un albero buono che produca frutti cattivi, né vi è un albero cattivo che possa produrre frutti buoni, così ogni albero si conosce dai suoi frutti, per cui ogni uomo, se buono o cattivo, può riconoscersi dalle sue opere, perché « L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda ».
Non possiamo essere maestri quando si tratta di correggere gli altri o giudici inflessibili sul prossimo e sui loro difetti, mentre non ci accorgiamo di quelli che abbiamo in noi. Dobbiamo innanzitutto preoccuparci della nostra perfezione, vedere le nostre colpe. Ci costa molto riformare la nostra vita, mentre preferiamo migliorare la vita di chi ci sta intorno. Iniziare da noi a cambiare vita sarebbe un buon motivo per vivere più in pace nei nostri ambienti di vita, per essere più comprensivi, più facili al perdono, ecc.
Così non saremmo guide cieche degli altri, ma guide luminose: preoccupati a togliere il male dal nostro cuore potremo agire con saggezza e con bontà nell’aiutare i fratelli a migliorarsi nella loro vita.
APPUNTAMENTI QUARESIMALI
MERCOLEDI’ 5 MARZO : ore 18.30 - SACRA CELEBRAZIONE DELLE CENERI
Nota bene:
- Il giorno delle Ceneri è un giorno di digiuno e di astinenza dalla carne, mentre tutti Venerdì di Quaresima sono giorni di astinenza. Al digiuno si è moralmente obbligati dal 18° al 60° anno di età e alle solite condizioni. L’astinenza dal 14° anno in poi; ma è bene abituare anche i bambini ad astenersi dal mangiare la carne. Si è dispensati da entrambe le pratiche per motivi di salute e per gravi necessità.
- Tutti i Venerdì sarà celebrato il Pio esercizio della Via Crucis in parrocchia, alle ore 19.00, dopo la Celebrazione della Santa Messa.
- Anche per questo tempo di Quaresima sarà a disposizione il sussidio per meditare ogni giorno la Parola di Dio.
Altre attività da vivere in questo tempo quaresimale saranno rese note lungo questo periodo.
Ultimo aggiornamento (Lunedì 03 Marzo 2025 18:30)
BENEDETTO COLUI CHE CONFIDA NEL SIGNORE ED IN LUI TROVA LA SUA GIOIA.
16 FEBBRAIO – VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)
BEATI VOI!
Nell’assemblea liturgica, che celebra la Pasqua del Signore, lo Spirito Santo rende presente il Corpo e il Sangue di Cristo. Noi, attraverso l’amore che nutriamo per il Signore, mangiando il suo Corpo e il suo Sangue, entriamo in intimità di vita con Lui. Con Cristo, con cui formiamo un solo Corpo, il tempio dove Dio dimora se accogliamo la sua parola con cuore retto e sincero, ci vien data la grazia e la forza di vivere nella fedeltà alla sua volontà.
Un segno infallibile che amiamo Dio e che la sua presenza è efficace in noi è la carità, « pienezza della legge », per cui l’accoglienza di Cristo nei fratelli che soffrono, che sono « poveri, oppressi » fa sì che diventiamo segno dell’umanità rinnovata.
I discepoli del Signore, illuminati dalla risurrezione del Signore, vivono il tempo della loro vita cercando di attuare i comportamenti che Gesù ci esorta a realizzare attraverso le beatitudini. Vivere il tempo presente con la potenza della fede e della speranza di raggiungere la beatitudine futura è per il cristiano il cammino di santità che Dio chiede ai suoi figli.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristica, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Dio, Signore del mondo, che prometti il tuo regno ai poveri e agli oppressi e resisti ai potenti e ai superbi, concedi alla tua Chiesa di vivere secondo lo spirito delle Beatitudini proclamate da Gesù Cristo, Tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te… ».
Ger 17,5-8
Il profeta Geremia, nel brano che oggi leggiamo, ci dice che bisogna confidare in Dio e non nell’uomo, di non entrare in situazioni di compromessi e umiliazioni, per avere vantaggi facili, incerti e precari.
In modo impietoso egli ci mette in guardia dicendo che è « maledetto l’uomo che confida nell’uomo e che pone il suo sostegno nella carne , allontanando il suo cuore da Dio ». Un tale comportamento lo rende arido come il tamerisco, con l’incapacità di vedere il bene, lo fa dimorare « in una terra di salsedine », chiuso a qualunque forma di relazione umana.
Proclama invece « Benedetto l’uomo che confida nel Signore e in lui pone la sua forza ». Lo paragona ad un albero, che piantato lungo un corso d’acqua, non teme quando viene il caldo, attinge con le sue radici l’alimento per avere sempre le foglie verdi e, pur nella siccità, produce i suoi frutti.
Camminare con il Signore rende l’uomo retto, lo rende veritiero, sereno d’animo nel suo agire, pur in mezzo alle disavventure e alle preoccupazioni, e vive le relazioni con i fratelli e i propri simili portando abbondanti frutti di bene.
Anche il Salmo 1 ripercorre la stessa strada dell’uomo che è beato se non segue il consiglio dei malvagi e non resta nella via dei peccatori e meditando la legge del Signore trova in essa la sua gioia.
1 Cor 15,12.16-20
Paolo, scrivendo ai Corinzi, proclama che la risurrezione di Cristo dà valore e fondamento alla fede che egli annunzia in Cristo, morto e risorto per gli uomini. Se Cristo non è risorto l’uomo resta nel suoi peccati e anche i credenti, che sono morti in lui, restano nei propri peccati e sono perduti.
Se il discepolo di Cristo ha speranza in Lui solo per questa vita e non nella certezza di risorgere con Cristo, è da commiserare più di chiunque altro uomo. La vittoria di Cristo sulla morte, egli che è primizia di coloro che risorgono, ci dà la certezza che il nostro seguirlo nella vita terrena, in una esistenza rinnovata nel bene, liberi dal peccato grazie alla sua morte e risurrezione, ci fa conseguire la vita da risorti nella stessa gloria del Signore.
Lc 6,17.20-26.
Gesù, oggi, attraverso alcune beatitudini che il Vangelo ci fa riascoltare, ci indica il cammino che devono seguire coloro che vogliono seguirlo per ascendere al monte della santità e della vita beata di Dio. A differenza del brano di Matteo del capitolo 5, questo brano, più conciso, se proclama beati i poveri a cui appartiene il regno dei cieli, coloro che hanno fame, perché saranno saziati, coloro che piangono, perché rideranno, coloro che sono odiati, messi al bando, insultati e disprezzati a causa del Figlio dell’uomo e li invita a rallegrarsi ed esultare perché la loro ricompensa è grande nel cielo, in contrasto annunzia guai per coloro che sono ricchi perché, avendo avuto nella vita come fine la ricchezza, hanno già ricevuto la loro consolazione; guai a chi è ora sazio, perché, essendosi saziato di cose terrene, caduche e passeggere, avrà fame; guai a coloro che ridono, perché, avendo gioito di momenti fallaci e goderecce, saranno nel dolore e piangeranno; guai a tutti coloro di cui gli uomini diranno bene, perché allo stesso modo hanno agito i loro padri con i falsi profeti.
Siamo posti, come discepoli di Cristo, di fronte ad un discorso paradossale: istintivamente ragioneremmo in maniera opposta; diremmo: « guai ai poveri, guai a quelli che piangono! ». Ma Gesù assicura il contrario al nostro modo di pensare.
Se le beatitudini infondono serenità e speranza, se andiamo a cercare ricchezza e gioia in questo mondo, saremo contenti solo per questa vita ma non certo per l’altra e forse qualche preoccupazione l’abbiamo pure per questa.
« ECCOMI, SIGNORE, MANDA ME! »
9 FEBBRAIO– V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
« ECCOMI, SIGNORE, MANDA ME! »
ttraverso il Battesimo siamo partecipi della Chiesa, famiglia di Dio, su cui veglia l’amore del Padre celeste. Poiché siamo, però, avvolti da tante situazioni che ci rendono poco sereni, ansiosi, timorosi davanti alle tentazioni e sofferenze, nell’incontro con il Signore e tra noi riaccendiamo la certezza di
questo amore di Dio. La fede certo non dissolve tutte quelle realtà di disagio, ma certamente da essa noi attingiamo la forza per vivere nella speranza e nella fiducia che Dio, come ha liberato il suo Figlio, ci promette una liberazione che ci fa accettare, con spirito evangelico, le prove della vita, e viverle in comunione con le sofferenze e la passione redentrice di Cristo, mentre attendiamo di essere introdotti nella vita in Dio. Egli è vicino alla sofferenza dei suoi figli e li unisce alla Pasqua di Cristo, suo Figlio.
Se quindi chiediamo ai fratelli un aiuto che possa sostenerci non possiamo fare a meno di confidare nella forza e nella grazia di Dio.
Nella preghiera della Colletta ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « O Dio, tre volte santo, che hai scelto gli annunciatori della tua parola tra gli uomini dalle labbra impure, purifica i nostri cuori con il fuoco della tua parola e perdona i nostri peccati con la dolcezza del tuo amore, così che come discepoli seguiamo Gesù, nostro Maestro e Signore. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Is 6,1-2.3-8.
Nella visione profetica Isaia vede nel tempio il Signore che con i lembi del suo manto lo riempie e attorno i Serafini proclamano: « Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta le terra è piena della tua gloria ». Al risuonare di quella voce il tempio si riempiva di fumo. Il profeta smarrito esclama: « Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo ad un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti ». Davanti a tanto sgomento, un Serafino, prendendo con le molle un carbone ardente dall’altare, purifica le labbra del profeta, assicurandolo che è scomparsa la sua colpa e espiato il suo peccato.
Dopo questo gesto, il profeta ode la voce del Signore che dice: « Chi manderò E chi andrà per noi? ». Egli risponde: « Eccomi, manda me! ». Non solo Isaia, ma ogni uomo che Dio chiama ad essere suo profeta, avverte la propria indegnità e impurità davanti a Colui che è il Santo. Ma Dio purifica e brucia l’iniquità e il peccato di colui che è inviato a portare la sua Parola, rendendo puri il suo cuore e le sue labbra. Più l’uomo si avvicina a Dio più avverte e si accorge delle sue colpe, anche se sono nel luogo più recondito della sua anima. Siamo, infatti, facili a commettere le nostre colpe, anche se spesso leggere o di poco conto. Dobbiamo chiedere al Signore la sua luce per giudicare la nostra condotta, perché nella nostra cecità, tante volte, non vediamo le nostre innumerevoli mancanze.
1 Cor 15,1-11.
Paolo vuole rafforzare nei Corinzi la loro adesione al Vangelo che ha loro annunziato, per renderli saldi in esso affinché lo mantengano come lo ha annunziato.
Egli riconferma quel Vangelo che a sua volta ha ricevuto e che cioè: « Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici ».
E ancora. Che è apparso a più di cinquecento fratelli in una sola volta, a Giacomo e, ultimo, anche a lui, che si ritiene come un aborto. Riconosce la sua piccolezza tra gli apostoli e, avendo perseguitato la Chiesa di Dio nella vita precedente alla conversione, avverte la sua indegnità ad essere chiamato apostolo. Riconosce, pero, che è stata la grazia di Dio, che in lui non è stata vana, a renderlo quello che è. Per questa sua nuova realtà di vita e per aver creduto nel Signore, ritiene di essere stato inviato anche lui, come gli altri apostoli, a predicare il Vangelo della salvezza, come lui lo ha ricevuto dalla tradizione e l’ ha annunziato ai Corinzi, affinché lo mantengano nella sua integrità. Attribuisce, infine,pur riconoscendo di aver faticato più di tutti gli altri nell’annunzio del Vangelo, alla grazia di Cristo la fecondità del suo annunzio e la sua corrispondenza alla missione, a cui il Signore Gesù lo ha mandato.
Vangelo: Lc 5,1-11.
Gesù presso il lago di Gennèsaret vede due barche ormeggiate e i pescatori che riparano le reti. Salito sulla barca di Simone, gli chiede di staccarsi un poco da terra e, sedutovisi, insegna alle folle dalla barca. Finito di parlare dice a Simone: « Prendi il largo e gettate le reti per la pesca ». A questa richiesta di Gesù Simone risponde che hanno faticato tutta la notte e non hanno preso nulla. Ma sulla parola del Maestro vanno a pescare e « presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano ». Aiutati poi dai compagni dell’altra barca riempiono tutte due le barche fino quasi a farle affondare. Visto il fatto, Simon Pietro, inginocchiatosi ai piedi di Gesù, esclama: « Allontanati da me, perché sono un peccatore », poiché per lo stupore ha preso lui e i due fratelli, Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, soci di Simone.
Ma Gesù rincuora Simone dicendogli: « Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini ». Subito tutti, tirate le reti a terra, le lasciano e lo seguono.
Anche Pietro,dopo la pesca inaspettata, fatta per obbedienza al Signore, si riconosce peccatore e lui e gli altri avvertono la loro indegnità davanti alla presenza di Gesù, il quale affida loro ugualmente la missione, cambiando loro la vita, di diventare pescatore di uomini. Quella di Pietro e degli apostoli sarà una pesca più miracolosa di quella del lago: la forza divina di Gesù, in mezzo ad un mare burrascoso quale è il mondo, in cui si trovano gli uomini con tutte le loro problematiche, renderà possibile una pesca salvifica degli uomini, sia per allora come anche per la Chiesa di oggi. Il Signore agisce ancora oggi, ma chiede a tutti, apostoli e discepoli che egli invia a compere quest’opera salvifica, pur restando nel mondo e compiendo le attività quotidiane, di lasciare tutto e seguirlo, con un impegno che interessa e coinvolge indistintamente, nell’annunziare il Vangelo della salvezza.
PRESENTAZIONE DI GESÙ AL TEMPIO
2 FEBBRAIO – FESTA DELLA PRESENTAZIONE DI GESÙ AL TEMPIO.
In questa domenica, in cui ricorre la Presentazione di Gesù al tempio, celebriamo la Festa delle luci, che ebbe origine in Oriente con il nome di « Ipapante », cioè « Incontro ». Nel sec. VI si estese in Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia, con la solenne benedizione e processione delle candele, popolarmente nota come « Candelora ». Nell’ingresso solenne e suggestivo del simbolismo della luce bisogna cogliere il senso profondo e il radicamento biblico, il significato cristologico di tale gesto: accogliere Cristo, luce del mondo.
Come ci viene raccontato nel Vangelo, Gesù, secondo la prescrizione della legge di Mosè, viene presentato e offerto al tempio, come ogni primogenito: egli sarà particolarmente dedicato e consacrato a Dio.
« Con quel rito, dice la preghiera iniziale, il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede ». Così, con il venire incontro di Dio all’uomo si rinnova la relazione dell’uomo con Dio nel rapporto di comunione iniziale.
Se i figli sono dono del Signore e i genitori ne sono i custodi ed educatori finché sono sotto la patria potestà, anche Maria e Giuseppe, consapevoli di tale realtà, compiendo il gesto della presentazione di Gesù, riconoscono che Gesù, per essere ciò che è, deve essere riconsegnato al Signore per adempiere alla propria missione. Il gesto di obbedienza alla legge, e la consacrazione di Gesù al Signore, visti in funzione della Pasqua, in cui Gesù si renderà obbediente al Padre, assumono un significato redentivo e anche Maria e Giuseppe si rendono collaboratori di Dio nell’opera di salvezza.
Gesù luce.
La sua Presentazione soddisfa l’attesa dei giusti dell’Antico Testamento, significati da Simeone, “ uomo e pio che aspettava la consolazione di Israele ”. Simeone profetizza che quel bambino è « luce per illuminare le genti » (Lc 2,32). Cristo, che rivela la fedeltà di Dio, viene incontro al suo popolo, che l’attende nella fede. Egli porta a compimento la speranza e le promesse del Dio dei padri, perché è la luce che ormai riverbera e si fa guida a tutti i popoli, che fa uscire dalle tenebre del peccato tutti gli uomini con la sua opera di salvezza e, con la sua risurrezione, fa irrompere nelle tenebre della morte la luce della vita.
Più che un bambino, allora, è Dio stesso che viene incontro all’uomo per salvarlo.
Dietro Simeone, anche Anna, dopo aver visto il bambino, parla di lui « a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme ».
Tra Natale e Pasqua.
La Presentazione del Signore, a quaranta giorni dal Natale, chiude le celebrazioni natalizie e, con l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone, apre il cammino verso la Pasqua. Le candele che si accendono richiamano il cero che viene acceso nella Veglia Pasquale. Nelle parole di Simeone a Maria si preannunziano i misteri pasquali: « una spada ti trafiggerà l’anima ». Essa, così, partecipa alle sofferenze del Figlio, cooperando alla redenzione degli uomini, perché « Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori ».
Anche noi andiamo incontro al Signore.
Se celebriamo la festa in cui Dio viene incontro a noi nel suo Figlio, andiamo anche noi incontro a Dio, come dice ancora la preghiera iniziale: « Anche noi qui riuniti dallo Spirito Santo andiamo incontro al Cristo che viene ». Seguiamo anche noi Cristo, luce che ci precede, per rinnovare insieme a lui l’incontro con il Padre, affidandoci alla fedeltà di Dio che non delude. Imploriamo di averlo sempre come conduttore , per poter « giungere felicemente alla pienezza della gloria », poiché tutta la nostra vita deve essere un andare incontro a Dio, che ci vuole in comunione con Lui.
Gesù ci esorta, come suoi discepoli, ad essere « luce del mondo », per cui, illuminati dalla sua luce, dedicati al Padre, diventiamo portatori della sua missione nel mondo con « lo splendore della santità ». Allora, sì, che la processione con le candele dietro a Cristo diviene un simbolo efficace della vita.
Nella preghiera iniziale di questa festa chiediamo: « Dio onnipotente ed eterno, guarda i tuoi fedeli riuniti nella festa della Presentazione al tempio del tuo unico Figlio fatto uomo, e concedi anche a noi di essere presentati a te purificati nello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo…».
Prima Lettura: Ml 3,1-4.
Il « giorno » del Signore è giorno di purificazione e di giudizio di condanna del male. A prepararlo Dio promette l’invio di un profeta che converta i cuori.
Seconda Lettura: Eb 2, 14-18.
In questo brano è illuminato lo stretto legame fra il l’evento che stiamo celebrando e il mistero pasquale e vi si esprime la stretta solidarietà di Gesù con il Padre e con l’uomo, con cui condivide il « sangue e la carne » ( Eb 2,14), in un legame reale e integrale.
Intimamente unito agli uomini, come fratelli, Gesù è diventato « un sommo sacerdote misericordioso ». Fedele nel servizio a Dio, Gesù, espiando i nostri peccati, ci ha liberato dal potere del demonio e della morte. La sua sofferenza è diventata capacità di soccorso nelle nostre prove, essendo lui stesso stato provato.
Vangelo: Lc 2, 22-40.
Gesù è consacrato a Dio. Sulla croce lui stesso si offrirà e si dedicherà al Padre, dopo tutta una vita di appartenenza a Lui. Al suo ingresso nel tempio si dà appuntamento l’Antico Testamento, di cui compie l’attesa.
IL GIORNO 2 FEBBRAIO FESTA DELLA PRESENTAZIONE AL TEMPIO DI GESÙ
(LA CANDELORA)
LA SANTA MESSA SARA’ CELEBRATA ALLE ORE 18.30
« Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia ». Così incominciamo oggi a pregare. Non siamo dunque degli estranei, ma siamo la famiglia di Dio, sulla quale veglia il suo amore. Abbiamo sempre bisogno di riaccendere questa certezza, avvolti come siamo da un’infinità di ansie, di ricorrenti motivi di timore, da tentazione e da sofferenze. E’ vero che la fede non li dissolve come d’incanto; li lascia ancora, e tuttavia dalla fede attingiamo la forza per non perdere la speranza, per aspettare con fiducia la liberazione, per accettare con « vero spirito del vangelo » le prove in comunione con la passione redentrice di Cristo e rendere più viva l’attesa della vita eterna. Noi sappiamo che Dio si accosta « alla sofferenza di tutti gli uomini » e li unisce « alla Pasqua del suo Figlio ». E’ giusto chiedere l’aiuto ai fratelli con i quali anzi siamo chiamati a « condividere il mistero del dolore »; ma non dimentichiamo quanto la stessa preghiera d’inizio afferma: « unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, o Dio ».