





SI STABILÌ TRA NOI, COLUI CHE DA SEMPRE RIEMPIE L'UNIVERSO.
5 GENNAIO – II DOMENICA DI NATALE.
Il Verbo eterno si è fatto carne. Ì
Nella vita di Cristo il Natale non è il mistero compiuto. Il disegno di grazia è pienamente attuato nella morte e nella risurrezione, in cui anche la natività, che è l’inizio della salvezza riceve senso e definitiva efficacia.
Non cessiamo di accogliere in festa e contemplare gioiosi il Figlio di Dio come redentore.
Nessuno amerà mai un uomo con l’intensità con cui Dio lo ama. E’ tempo, quello natalizio, per ripensarci e allora si ravviva la carità e anche si riaccende il sentimento della presenza e della compagnia di Dio nelle nostre singole esistenze, facilmente esposte a rinchiudersi nell’avvilimento e nella solitudine; talora persino a lasciarsi sopraffare dalla coscienza del peccato, per la dimenticanza che nel Natale di Cristo siamo redenti e giustificati e che siamo uomini « che Dio ama ».La liturgia della Parola, oggi, ci fa riflettere sull’origine eterna di Cristo e sul significato che la sua
La realtà salvifica nel progetto di Dio.
In questa domenica meditiamo, partendo dalla Parola, sul dispiegarsi del progetto salvifico di Dio, iniziato dall’ eternità. Nel Prologo del Vangelo di Giovanni, partendo dall’ evento della nascita di Gesù, risaliamo alla sua origine divina ed eterna: « In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio », per cui viene suoi figli adottivi.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo a Dio dicendo:« O Dio, nostro Padre, che nel Verbo venuto ad abitare in mezzo a noi riveli al mondo la tua gloria, illumina gli occhi del nostro cuore, perché, credendo nel tuo Figlio unigenito, gustiamo la gioia di essere tuoi figli. Per il nostro Signore Gesù Cristo…», così viene affermata la divinità del Logos, il quale si è fatto carne in Gesù, che è Dio, uguale al Padre nella Trinità divina, distinto e non separato dal Padre.
Prima Lettura: Sir 24,1-2.8-12.
Anche il Siracide fa risalire all’eternità l’esistenza della Sapienza, la quale parla di sé, della sua origine e di ciò che compie e prende dimora nella nostra storia, poiché, come dice Giovanni, “ il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi ”. La Sapienza ha posto la sua stabile dimora in mezzo a noi con l’incarnazione del Figlio di Dio, generato dal Padre fin dall’eternità. L’Antico Testamento aveva già presentato la strada della salvezza, che è dono di Dio e frutto dello Spirito Santo.
A suo tempo infatti manderà il suo stesso Verbo, cioè Gesù Cristo, tra gli uomini.
Seconda Lettura: Ef 1,3-6.15-18.
Per Paolo, il piano eterno si salvezza, realizzato nel tempo, fin dall’ eternità ha i suoi effetti nella vita degli uomini: fin dall’ eternità, « prima della creazione del mondo », Dio ci ha scelti, benedetti e predestinati ad essere suoi figli adottivi in Gesù, il Figlio suo diletto, e quindi per vivere nella santità e nella grazia che riceviamo da Cristo. La festa natalizia ravviva la consapevolezza della nostra vera vocazione e la nostra conoscenza di Cristo, perché in Lui, Figlio unigenito, che si abbassa, accettando di farsi uomo, solidarizzando con noi e offrendosi in sacrificio per i nostri peccati, si radica l’amore misericordioso del Padre per gli uomini.
Vangelo: Gv 1,1-18.
« Il Verbo si fece carne »: è il contenuto del Natale. L’Evangelista Giovanni vuol dire che il Figlio è Dio, che esiste dall ’eternità, che è Dio e Creatore, che è fonte della Vita e della Luce, è veramente uomo e non in apparenza.
Davanti al progetto di Dio l’uomo liberamente può rispondere accettando o rifiutando di parteciparvi, perché, pur essendo “ il mondo stato fatto per mezzo del Verbo, il mondo non lo ha riconosciuto” e “venuto tra i suoi, i suoi non lo hanno accolto “.
CELEBRIAMO MARIA NELLA SUA DIVINA MATERNITÀ.
1 GENNAIO- MARIA SS. MADRE DI DIO
Giornata Mondiale della Pace.
La redenzione è incominciata dalla Vergine Maria. Partono da lei « le primizie dell’amore misericordioso », dal suo « sì » alla parola del Signore, dal suo consenso a divenire la madre del Figlio di Dio.
Gesù passa anzitutto attraverso la fede di Maria, che accoglie il progetto divino e vi si rende totalmente disponibile, come « l’ancella del Signore », tutta dedita alla sua volontà. Ella è il punto più alto della collaborazione dell’uomo con Dio per realizzare l’economia della salvezza. Maria concepisce l’Autore della vita per opera dello Spirito Santo: la potenza divina rende feconda e lascia intatta la sua « gloria verginale ». Gesù infatti non è meritato dall’uomo, ma puro dono dello Spirito, cioè dono della grazia.
La Vergine Maria « Madre del Cristo e della Chiesa », rimane modello sommo di santità per ogni cristiano: anche noi siamo chiamati a dare il nostro assenso a Dio e, oggi, Ella ci insegna a vivere la fede e l’offerta di tutta la vita al disegno del Padre.
Nella preghiera della Santa Maria, che recitiamo con frequenza, proclamiamo Maria « Madre di Dio » e forse non percepiamo la profondità teologica che il titolo ha. Nel Concilio di Efeso del 431 d.C.
Maria, dai vescovi riuniti, venne proclamata « Madre di Dio ». Questo titolo, nelle discussioni che precedettero e seguirono al Concilio era di estrema importanza in sé e nelle sue conseguenze: se Maria è la Madre di Dio, si affermava di conseguenza che Gesù è Dio. In Cristo, nato da donna, sotto la Legge, vi è l’unione della natura umana e divina, come insegna il Concilio di Calcedonia.
In questa festa, all’ottavo giorno del Natale del Signore, la Chiesa celebra il mistero dell’Incarnazione guardando a Maria. Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia diciamo. « O Dio, che nella verginità feconda di Maria hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna, fa’ che sperimentiamo la sua intercessione, poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’Autore della vita, Gesù Cristo, tuo Figlio. Egli è Dio e vive e regna con te… ».
Prima Lettura: Nm 6,22-27.
« Ti benedica il Signore e ti custodisca. Faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia »: è l’augurio che ci fa la Chiesa, oggi, e che noi, a nostra volta, facciamo ai nostri fratelli e vicini. Né si tratta di un augurio superficiale e convenzionale. La benedizione di Dio implica la sua azione favorevole nei confronti della comunità. In essa vi sono espressi i sentimenti di compassione e di benevolenza del Signore, che si specificano nella « custodia » che viene invocata da Dio, perché ci preservi da ogni forma di male, ci conceda il bene, ci faccia grazia, ci sia propizio e infine ci conceda la pace. Cioè, chiediamo a Dio che elargisca la pienezza dell’esistenza. E Tutto questo, come dono di Dio si realizza in Gesù. La Chiesa in questa benedizione ci consegna veramente la grazia di Dio per tutti i giorni del nuovo anno e noi, con altrettanta verità all’augurio, dovremo far seguire una presenza e una manifestazione di Dio, specialmente con le opere di carità verso il prossimo per il quale auspichiamo un «buon anno».
Seconda Lettura: Gal 4,4-7.
Paolo, in poche battute, condensa il mistero di Cristo: Gesù, nato da donna, è venuto a riscattarci dalla Legge e per ricevere l’adozione a figli. Il tempo che ha preceduto la venuta di Cristo era tutto teso verso il Natale: quando il Figlio di Dio appare, lunghi anni dell’aspettativa trovano soddisfazione e il tempo viene come riempito.
Paolo afferma che Gesù è l’inviato di Dio, di natura divina, venuto per riscattarci dalla Legge, che notifica e imputa all’uomo il peccato, ma che non realizza la salvezza: questa ci viene da in Gesù, il Salvatore, che ci rende figli adottivi del Padre, perché siamo « giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù » (Rm 3,24).
Così San Paolo esclude ogni auto-salvezza, che oggi si pretenderebbe raggiungere in tutte quelle vie di ricerca della salvezza rimanendo nell’orizzonte delle risorse umane e della propria autorealizzazione.
Non è esclusa certamente nel Cristianesimo la realizzazione della propria umanità, ma questo avviene in una visione di trascendenza. Viene valorizzato l’umano nella sua fragilità, ma l’uomo, nella sua interezza, è salvato solo da Dio.
Senza la carne, assunta dal Figlio eterno con l’incarnazione, non avremmo potuto avere la salvezza. La Liturgia, facendoci contemplare il Natale del Signore, ci dice che in questo evento è avvenuto « un mirabile scambio » di doni: Egli ha assunto la nostra natura e noi abbiamo ottenuto la salvezza.
Dal di dentro di questa umanità è stato vinto il Male e la morte. Di conseguenza, senza Gesù, che inaugura una nuova era, la storia, con i suoi millenni, sarebbe inesorabilmente e assolutamente vuota, senza senso. Anche la nostra vita, con i suoi giorni e anni, trascorrerebbe priva di significato se mancasse la presenza di Gesù. Egli sarà il compagno di tutte le ore che verranno: riempirà la nostra solitudine e sarà motivo di un’incrollabile speranza. Non lamentiamoci troppo di essere soli, abbiamo l’amicizia di Gesù Cristo, che ci rende figli di Dio.
Vangelo: Lc 2,16-21.
I pastori tornano dalla grotta e lodano il Signore. La loro vita certamente non è quella di prima. Anche noi non restiamo sempre al presepio. Tra non molto verrà « disfatto » e ricomposto per il prossimo anno. E tuttavia, ritornando alla nostre occupazioni e condizioni abituali, non dimentichiamo quella nascita, quell’innocenza e quell’amore che ci hanno attratti in questi giorni. Come la Vergine Maria conserveremo nel cuore quegli avvenimenti di Betlemme per riviverli.
I fatti della vita di Gesù devono essere il soggetto più ricorrente e più dolce della nostra memoria.
LA FAMIGLIA DI NAZARET, MODELLO DELLE FAMIGLIE CRISTIANE.
29 DICEMBRE – FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA GESÙ, MARIA E GIUSEPPE.
La Chiesa celebra oggi la santa Famiglia di Nazareth, Gesù, Maria e Giuseppe, a cui la famiglia cristiana guarda, per realizzare lo stesso stile di vita. La famiglia di Gesù, pur nella sua singolarità, è presentata dalla Chiesa come « vero modello di vita » per imitarne le virtù e realizzare lo stesso rapporto che essa ebbe verso Dio e verso gli uomini. Le famiglie cristiane, oggi, sono chiamate a vivere nell’amicizia e nella pace con Dio e i genitori cristiani devono sentirsi partecipi della « fecondità dell’amore divino », mentre i figli devono « crescere in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini come Gesù. Pur tra le prove della vita, le incomprensioni e le varie situazioni a cui si va incontro: sofferenza, angosce e tribolazioni, le famiglie cristiane sanno che, come nella Famiglia di Nazareth, essi possono attingere
da essa esempio di vita e da Dio la grazia e la forza per vivere nella fedeltà gli impegni e i compiti a cui il Egli li chiama. L’Eucaristia, mensa che ci nutre tutti come figli di Dio, come noi crediamo rinvigorisce la nostra fede.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio crescesse in sapienza, età e grazia nella famiglia di Nazaret, ravviva in noi la venerazione del dono e il mistero della vita, perché diventiamo partecipi della fecondità del tuo amore. Per ol nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: 1 Sam 1.20-22.24-28.
Al bambino che Dio concesse ad Anna, moglie di Elkanà, venne dato nome Samuele, « perché - lei diceva - al Signore l’ho richiesto ». Anna, quando il marito, come ogni anno, si recò ad offrire il sacrificio per soddisfare al suo voto, non andò dicendogli: « Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre ». Quando il bambino crebbe fu portato insieme ad un giovenco, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo. Ivi presentarono il fanciullo al sacerdote Eli e Anna gli disse: « Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore…Il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore ».
Così Anna cede al Signore, che autore e principio di ogni vita, suo figlio, il quale, non costretto nella scelta, si consacrerà a Dio con piena dedizione, adempiendo alla missione di giudice e profeta nel popolo d’Israele. Da ciò i Cristiani imparano che i figli appartengono a Dio creatore e che devono essere educati affinché essi prendano consapevolezza di Dio, sorgente della libertà e della riuscita perfetta della loro vita.
Seconda Lettura: 1 Gv 3,1-2.21-24.
San Giovanni ci dice in questo brano che l’amore di Dio ci ha fatti realmente suoi figli, « ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo perché quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è ». Esorta quindi ad avere fiducia in lui e, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, « qualunque cosa gli chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito ». Esorta, infine, a vivere il suo comandamento che è credere nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e amarci gli uni gli altri, secondo il suo precetto. Osservando i comandamenti si rimane nell’amore di Dio e che Dio è in noi lo conosciamo dallo Spirito che ci ha dato.
Questa condizione di figliolanza non appare ancora visibilmente e perfettamente. Ciò avverrà quando saremo introdotti nella stessa condizione del Figlio risorto, ma fin d’ora lo stile di vita del discepolo, cioè la pratica del l’amore a Dio e ai fratelli, mediante la carità teologale, rivela questa figlio- lanza. Giovanni, nella sua concretezza, non annette valore alle parole, ma ai fatti, cioè all’osservanza del precetto della carità. La famiglia, come piccola chiesa domestica, è il luogo dove la testimonianza dei genitori fa crescere i figli in questa dimensione spirituale della vita.
Vangelo: Lc 2,41-52.
Luca ci racconta l’esperienza vissuta dalla santa Famiglia quando Gesù si smarrisce nel tempio, portato per la prima volta, secondo la consuetudine, nel tempio di Gerusalemme, all’età di dodici anni. Ritornando a Nazareth, dopo un giorno di cammino, Maria e Giuseppe si accorgono che Gesù non è con loro nella comitiva. Lo cercano tra parenti e conoscenti e non trovandolo, tornano allora, angosciati e trepidanti, a Gerusalemme. Lo ritrovano, dopo tre giorni, nel tempio, seduto in mezzo ai dottori della Legge, mentre li ascoltava e li interrogava e chi lo ascoltava rimaneva stupito per la sua intelligenza e le sue risposte. Maria, allora, rivolta dolcemente al figlio dicendo: « Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavano ». E Gesù: « Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? ». Maria e Giuseppe non compresero. Allora Gesù, con loro, ritornò a Nazareth, stava loro sottomesso, e cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini, mentre Maria custodiva nel suo cuore tutte queste cose.
Maria e Giuseppe ritrovano Gesù che ha già consapevolezza della missione che il Padre celeste gli ha affidato: compiere in pienezza la volontà del Padre.
Di questo disegno non tutto però è chiaro immediatamente, poiché non comprendono pienamente le parole dette da Gesù. Gesù non si ribella per questo e si prepara al disegno del Padre con la sottomissione a loro e con la crescita « in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini ».
MARIA CI DONA GESÙ COME AD ELISABETTA E A GIOVANNI.
22 DICEMBRE – IV DOMENICA DI AVVENTO.(Anno C)
MARIA CI DONA GESÙ COME AD ELISABETTA E A GIOVANNI.
Per ricevere la grazia e entrare nel mistero del Natale sono necessarie queste tre condizioni: ascoltare la Parola di Dio, obbedire nella fede al Signore e aderire alla sua santa volontà, come ha fatto la Beata Vergine Maria, nel cui grembo il Figlio di Dio, Verbo eterno del Padre, ha rivestito la nostra carne per la virtù e la potenza dello Spirito Santo. Come Maria, la Chiesa, per azione dello Spirito, deve portare Cristo al mondo. Anche in noi, per la fede, Cristo nasce nei nostri cuori, con le nostre opere e la nostra testimonianza. Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che per attuare il tuo disegno d’amore hai scelto l'umile figlia di Sion, dona alla Chiesa di aderire pienamente al tuo volere, perché, imitando l'obbedienza del tuo Figlio, si offra a te in perenne cantico di lode ».
Prima Lettura: Mic 5,1-4.
Nella profezia di Michea viene preannunziato che da Betlemme di Efrata, piccolo villaggio di Israele, sarebbe venuto colui che sarebbe stato il dominatore in Israele e le cui origini sono dall’antichità. Israele sarebbe stato in potere altrui fino a quando una vergine lo avrebbe partorito e il resto dei suoi fratelli sarebbe ritornato a riunirsi con Israele. Il Messia annunziato avrebbe pascolato con la forza e la potenza del Signore e la maestà del suo Dio; sarebbe stato grande fino agli estremi confini della terra, anzi è lui la pace in persona. Davanti a Dio, più che la visibilità terrena, vale ciò che il Signore compie per mezzo di persone o luoghi umili, come Betlemme, da cui sarebbe uscita la regalità di Davide, che nel Messia-pastore avrebbe avuto la massima realizzazione: questi avrebbe portato la liberazione, dato sicurezza e portato la pace in tutto il mondo. Alla sua nascita a Betlemme, gli angeli cantano: « Pace in terra agli uomini che il Signore ama ».
Seconda Lettura: Eb 10,5-10.
Il brano della Lettera agli Ebrei pone sulla bocca di Cristo la sua risposta di Figlio al Padre: « Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà ». Con questa piena adesione alla volontà del Padre, Gesù abolisce i sacrifici antichi e costituisce il nuovo sacrificio con l’offerta di se stesso. Mediante questa volontà salvifica gli uomini sono stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per tutte. I sacrifici antichi, costituiti dall’offerta di capri, agnelli e buoi, vengono sostituiti con l’offerta sacrificale del Figlio, che con un gesto unico dedica se stesso e la sua disponibilità a fare la volontà del Padre. Con il sacrificio della croce Gesù offre se stesso, in obbedienza al Padre e in amore per gli uomini, come vittima di espiazione dei nostri peccati. Tale gesto, compiuto da Cristo una sola volta, non ha bisogno di essere ripetuto: esso ha un valore eterno perché compiuto da Cristo, uomo-Dio. E l’Eucaristia rende presente, in ogni tempo e luogo, per la virtù e l’azione dello Spirito di Dio, questo evento salvifico.
Vangelo: Lc 1,39-45.
Dopo aver ricevuto l’annunzio dall’angelo per la sua divina maternità e aver saputo che la cugina Elisabetta, pur essendo in età avanzata, era al sesto mese della sua gravidanza, Maria si mette, prontamente, in viaggio per raggiungere, nella regione montuosa della Giudea, la cugina. Giunta da Elisabetta, non appena la saluta, il bambino della cugina esulta di gioia nel suo grembo. Elisabetta, allora, ripiena di Spirito Santo, esclama: « Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto ».
Elisabetta elogia Maria per la sua fede e per la sua adesione alla volontà di Dio. Riconosce in Maria la benedizione di cui Dio l’ha colmata essendo divenuta la madre del suo Figlio. La proclama beata perché Ella ha creduto alla parola di Dio e si è affidata totalmente alla sua volontà. Portando Maria Gesù nel suo grembo, con la sola vicinanza alla cugina, le fa sussultare di gioia il bambino che porta nel suo grembo, reso fecondo per il dono del Signore. Maria, nella sua umiltà, non riconosce alcun merito in sé, come canta nel Magnificat. Ciò che è avvenuto in lei è opera della benevolenza di Dio, che opera i suoi prodigi nei poveri e negli umili, in quelli che il mondo spesso emargina. Dio ha operato in Maria non per la sua grandezza ma per la sua umiltà.
CONFIDIAMO NELLA VENUTA DEL SALVATORE: GODIAMO E NON LASCIAMOCI CADERE LE BRACCIA
15 DICEMBRE - III DOMENICA DI AVVENTO - « GAUDETE ».
CONFIDIAMO NELLA VENUTA DEL SALVATORE: GODIAMO E NON LASCIAMOCI CADERE LE BRACCIA
A Natale il mistero della salvezza viene ricordato e vissuto realmente, perché nella fede il Cristo nasce nei nostri cuori e lo concepiamo spiritualmente.
La grazia della sua venuta si rinnova per noi: a seconda della disponibilità interiore a volerci far coinvolgere da Gesù, il salvatore, venuto a liberarci dal peccato. Ogni Natale deve essere segno della seconda venuta del Signore nella gloria, quando dobbiamo accoglierlo vigilanti e con cuore puro e generoso.
Nella Colletta preghiamo dicendo: « O Dio, fonte della vita e della gioia, rinnovaci con la potenza del tuo Spirito, perché affrettandoci sulla via dei tuoi comandamenti, portiamo a tutti gli uomini il lieto annunzio del Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te… ».
Prima Lettura: Sof 3,14-17.
Il profeta esorta la figlia di Sion a rallegrarsi ed esultare perché il Signore ha revocato la sua condanna e ha disperso i suoi nemici. Il Signore è il re d’Israele e Gerusalemme non deve temere nessuna sventura, per cui non deve scoraggiarsi e abbattere, perché il Signore è in mezzo ad essa come salvatore potente. Egli gioirà per essa e gli rinnoverà il suo amore, esultando per lei con grida di gioia.
Se la Parola del profeta, allora, si rivolgeva a Gerusalemme, ora essa è rivolta alla Chiesa e ad ogni singolo fedele. La tristezza può essere presente nella nostra esistenza quotidiana, per tante situazioni di difficoltà: per la salute, per la precarietà, per le intime sconfitte, gli insuccessi e le umiliazioni. Ma se pensiamo che il Signore che viene ci dona la sua gioia, portandoci il perdono Padre e la riconciliazione con lui, allora anche per noi è annunziata la gioia, come disse l' angelo ai pastori: « Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto io popolo: oggi, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore ». E il profeta ci ha detto: « Il Signore tuo Dio, in mezzo a te, è un Salvatore potente .
Seconda Lettura: Fil 4,4-7.
Anche San Paolo, scrivendo ai Filippesi, li esorta ad essere sempre lieti nel Signore, e a mostrare a tutti la loro amabilità, perché il Signore è vicino.
Ancora. Li esorta a non angustiarsi per nulla e in ogni occasione facciano presente a Dio le loro richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. Allora la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, li custodirà nei loro cuori e nelle loro menti in Cristo Gesù, perché gli angeli alla nascita del Salvatore cantarono : « Gloria a Dio e pace agli uomini, che egli ama ».
Vangelo: Lc 3,10-18.
Giovanni il Battista, precursore di Gesù, predica nel deserto del Giordano la conversione del cuore per la prossima venuta del Messia. Le folle che accorrono a sentirlo gli chiedono cosa devono fare. Egli risponde: « Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto ».
Ai pubblicani dice: « Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato » e ai soldati che lo interrogano: « Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe ». Tra il popolo che è in attesa tutti si domandano in cuor loro se Giovanni non sia il Messia. Egli risponde: « Io battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile ».
Giovanni nella sua predicazione si prefigge di preparare tutti alla imminente venuta del Messia, e invita a dividere con gli altri, specie con i poveri, ciò che ognuno può avere a disposizione, ad osservare la giustizia, a rispettare il prossimo e non maltrattarlo. Per lui era urgente mettere in pratica quegli avvertimenti perché sarebbe venuto Gesù e con lui lo Spirito che purifica i cuori e brucia come il fuoco tutto quello che non è buon grano, ossia tutte le opere di male. Per questo il Natale che celebriamo è insieme un avvenimento che ci deve far sperimentare la misericordia di Dio, farci vivere rinnovati dalla grazia, praticare le opere di giustizia e di fraternità che ci rendono graditi al Signore e farci essere vigilanti nell’attesa di incontrarlo quando verrà a chiamarci per il suo giudizio.
Dai «Discorsi» del beato Isacco della Stella, abate
(Disc. 51; PL 194, 1862-1863. 1865)
Maria e la Chiesa
Il Figlio di Dio è il primogenito tra molti fratelli; essendo unico per natura, mediante la grazia si è associato molti, perché siano uno solo con lui. Infatti «a quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 12). Divenuto perciò figlio dell’uomo, ha fatto diventare figli di Dio molti. Se ne è dunque associati molti, lui che è unico nel suo amore e nel suo potere; ed essi, pur essendo molti per generazione carnale, sono con lui uno solo per generazione divina.
Il Cristo è unico, perché Capo e Corpo formano un tutt’uno. Il Cristo è unico, perché è figlio di un unico Dio in cielo e di un’unica madre in terra.
Si hanno insieme molti figli e un solo figlio. Come infatti Capo e membra sono insieme un solo figlio e molti figli, così Maria e la Chiesa sono una sola e molte madri, una sola e molte vergini. Ambedue madri, ambedue vergini, ambedue concepiscono per opera dello Spirito Santo senza concupiscenza, ambedue danno al Padre figli senza peccato. Maria senza alcun peccato ha generato al corpo il Capo, la Chiesa nella remissione di tutti i peccati ha partorito al Capo il corpo.
Tutt’e due sono madri di Cristo, ma nessuna delle due genera il tutto senza l’altra.
Perciò giustamente nelle Scritture divinamente ispirate quel che é detto in generale della vergine madre Chiesa, s’intende singolarmente della vergine madre Maria; e quel che si dice in modo speciale della vergine madre Maria, va riferito in generale alla vergine madre Chiesa; e quanto si dice d’una delle due può essere inteso indifferentemente dell’una e dell’altra.
Anche la singola anima fedele può essere considerata come Sposa del Verbo di Dio, madre, figlia e sorella di Cristo, vergine e feconda. Viene detto dunque in generale per la Chiesa, in modo speciale per Maria, in particolare anche per l’anima fedele, dalla stessa Sapienza di Dio che è il Verbo del Padre: Fra tutti questi cercai un luogo di riposo e nell’eredità del Signore mi stabilii (cfr. Sir 24, 12). Eredità del Signore in modo universale è la Chiesa, in modo speciale Maria, in modo particolare ogni anima fedele. Nel tabernacolo del grembo di Maria Cristo dimorò nove mesi, nel tabernacolo della fede della Chiesa sino alla fine del mondo, nella conoscenza e nell’amore dell’anima fedele per l’eternità.