ALLA MENSA DELL'EUCARISTIA NUTRIAMO LA NOSTRA FEDE CON IL PANE DELLA VITA: CRISTO GESÙ.
11 AGOSTO – XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
ALLA MENSA DELL'EUCARISTIA NUTRIAMO LA NOSTRA FEDE CON IL PANE DELLA VITA:
CRISTO GESÙ.
La Domenica i figli di Dio rinnovano la gioia di ritrovarsi insieme e riscoprono la grazia e la gioia di invocare Dio, “Abba,Padre” e sentirsi, in forza del dono dello Spirito ricevuto, “figli adottivi”. In virtù di questa paternità e figliolanza riceviamo la fede e la forza per avvertirlo presente in tutti gli avvenimenti della nostra vita e della storia, anche quando siano chiamati ad affrontare con serenità le prove della vita, con tutte le difficoltà a volte ad essa connesse. Siamo chiamati ad affrontare le situazioni difficili, quali malattie, avversità varie, sofferenze, con la fiducia e la certezza che il Signore ci è vicino e che, come dice a san Paolo, davanti alle difficoltà da affrontare per l’annunzio del Vangelo: “Ti basta la mia grazia”.
Il Signore accompagna la sua Chiesa, sua Sposa, nel suo pellegrinare terreno, in attesa della contemplazione del volto dello Sposo nella Gerusalemme celeste. Quando ci raduniamo per celebrare i misteri della salvezza nel giorno del Signore accresciamo il desiderio della patria celeste e non per evadere dai nostri impegni quotidiani o perdere il nostro tempo, che crediamo prezioso per le cose passeggere ed effimere, che dobbiamo pur contro nostra voglia lasciare. Spesso dimentichiamo che dobbiamo vivere da figli di Dio e avere sempre fissi i nostri sguardi ai beni celesti verso cui siamo incamminati.
Nella preghiera iniziale di questa domenica diciamo:« O Padre, che guidi la tua Chiesa pellegrina nel mondo, sostienila con la forza del cibo che non perisce, perché, perseverando nella fede e nell’amore, giunga a contemplare la luce del tuo volto. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: 1 Re 19,4-8.
Il profeta Elia, fuggendo perché perseguitato, dopo una giornata di cammino nel deserto, stanco e desideroso di morire, dice al Signore: « Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri ». Si addormenta. Ma l’angelo del Signore, toccandolo, gli dice: « Alzati, mangia». Vedendo vicino « alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua, mangiò e bevve », riaddormentandosi. Di nuovo l’angelo lo invitò a mangiare e a bere perché aveva ancora da fare un lungo cammino. « Con la forza di quel cibo il profeta camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb ». Si sentiva sconfitto ed esaurito nelle sue forza il profeta nella lotta ingaggiata contro l’idolatria del re d’Israele e dei suoi profeti e l’infedeltà del suo popolo. Ma Dio non vuole che il suo profeta rassegni le sue dimissioni, e pur nel deserto interviene a dargli vigore. E come aveva nell’esodo dato la manna, le quaglie e l’acqua al suo popolo per sfamarlo, poiché Dio non abbandona nessuno, specie chi lo onora e lo serve, anche se abbiamo l’impressione di essere lasciati soli, ora al profeta egli provvede pane e acqua.
A parte il pane quotidiano che chiediamo al Signore per tutti e che, con la condivisione generosa dei beni della terra , la Provvidenza di Dio non verrebbe meno, per i credenti, oggi il nostro pane quotidiano, nel deserto dell’esistenza, è anche Gesù Cristo nell’Eucaristia, e la nostra acqua è il dono dello Spirito. Con questi alimenti possiamo affrontare il cammino, anche se irto di difficoltà, fino a giungere al monte di Dio che, a conclusione della vita, è arrivare a contemplare il volto di Dio faccia a faccia nell’ eternità di una esistenza da lui rinnovata, ad immagine del suo Figlio risorto e glorioso.
Seconda Lettura: Ef 4,30-5.2.
San Paolo esorta gli Efesini e anche noi a non rattristare lo Spirito Santo con il quale si è stati segnati per il giorno della redenzione e a vivere allontanando ogni asprezza, sdegno, ira, maldicenza, grida e ogni forma di malignità dal comportamento. Seguendo invece lo Spirito avere sentimenti di benevolenza vicendevole, di misericordia, di perdono reciproco, imitando Dio che in Cristo ci ha perdonato . Ancora. Propone di essere imitatori di Dio e a camminare nella carità, imitando Cristo che ci ha amati e ha dato se stesso per noi, essendosi donato a Dio Padre in sacrifico di soave odore.
Nel giorno del nostro Battesimo, giorno di liberazione e di Pasqua, abbiamo ricevuto lo Spirito di cui portiamo in noi l’impronta, il sigillo. Se allora non si vive secondo lo Spirito del Signore, nella carità, lontano da ogni malignità, malvagità, maldicenza, risentimento o peggio dall’odio, non si è coerenti ri-spetto all’amore di Cristo, che con il suo esempio ci indica un percorso da seguire, non si imita Dio Padre nella sua misericordia e non ci si ama « come Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi ». Una meta ardua quella che il Signore ci propone e che possiamo sforzarci di raggiungere con la forza del suo Spirito.
Vangelo: Gv 6,41-51.
I Giudei, credendo di conoscere Gesù come il figlio del falegname e conoscendone anche la madre, fanno fatica ad accettare le parole dette da Gesù: « Io sono il pane disceso dal cielo ». Gesù risponde alla loro mormorazione dicendo: « Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno ». Citando il detto profetico che “tutti saranno istruiti da Dio, continua dicendo: « Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna ». E affermando solennemente : “ Io sono il pane della vita”, invita ad accogliere « il Pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia », a differenza degli ebrei che hanno mangiato la manna e sono morti.
Se uno mangia di lui, Pane vivo disceso dal cielo vivrà in eterno e il pane che avrebbe dato è la sua carne per la vita del mondo. Come i Giudei, anche noi, oggi, non siamo facilmente docili ad accogliere la parola e la realtà di Cristo, pane di vita, e a farci guidare interiormente da Dio. Non ci lasciamo facilmente attrarre dal Padre e restiamo increduli di fronte a colui che il Padre ha mandato. Chi crede riceve Cristo « pane vivo disceso dal cielo », mangia la sua carne data in sacrificio per la vita del mondo e ha la caparra della vita eterna.
Avere fede è la prima condizione per prendere parte alla mensa del Signore e partecipare dell’Eucaristia degnamente, stabilendo così un’intimità con Gesù il cui mistero è quello di essere non solo uomo, ma soprattutto il Figlio di Dio,inviato dal Padre.
AVVISO PARROCCHIALE
POICHÈ IL 18 AGOSTO É DOMENICA, LA MEMORIA DI SANT'ELENA, SARÂ CELEBRATA
IL LUNEDÌ 19, ALLE ORE 18.30, PRESSO LA GROTTA DI SANT'ELENA ALLA ROTONDA.
Ultimo aggiornamento (Sabato 10 Agosto 2024 09:56)
GESÙ HA DETTO: " IO SONO IL PANE DELLA VITA".
4 AGOSTO – XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
GESÙ HA DETTO: " IO SONO IL PANE DELLA VITA".
Nella celebrazione della Eucaristia non basta offrire al Padre il sacrificio della croce, Gesù, vittima gradita a Dio, è necessario che anche faccia parte di questa offerta la nostra vita, che viene trasformata insieme come offerta perenne. I segni del sacrificio del Cristo devono diventare anche i nostri segni, perché ogni aspetto della vita porti le impronte dell’amore di Cristo. Anche il lavoro e le attività quotidiane, se svolti con spirito di carità e di fraternità verso i poveri e i sofferenti, come ha fatto Cristo, esprimeranno il nostro servizio verso tutti gli uomini. Così ci rivolgiamo al Padre nella preghiera iniziale: «O Dio, che affidi al lavoro dell’uomo le risorse del creato, fa’ che non manchi mai il pane nella mensa dei tuoi figli, e risveglia in noi il desiderio della tua parola. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: Es 16, 2-4.12-15.
Lungo il cammino del deserto gli Israeliti davanti a Mosè rimpiangono la pentola della carne e il pane che mangiavano a sazietà, mentre nel deserto rischiano la morte per la mancanza del cibo. Ma il Signore dice a Mosè:« Sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge … parla loro così: “ Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio” ». Così la sera le quaglie coprono l’accampamento; al mattino c’è uno strato di rugiada che, svanendo, lascia sulla superficie del deserto una cosa fine e granulosa che, vedendola, gli Israeliti si dicono l’un l’altro: « Che cos è? ». Mosè dice loro: « E’ il pane che il Signore vi ha dato in cibo ». Al popolo che mormora sì contro Mosè, ma è verso il Signore che è rivolta la lamentela, Dio dà il pane e la carne a sazietà, dimostrando che non abbandona il suo popolo, perché Egli è il Signore, loro Dio, l’unico che salva e che conduce quel popolo secondo un suo progetto. Quel pane è la prefigurazione di quello che verrà dato più tardi, quando dal cielo Dio avrebbe inviato il suo Figlio, Pane vivo disceso dal cielo, come ebbe a dire Gesù stesso.
Seconda Lettura: Ef 4, 17.20-24.
Paolo esorta e scongiura gli Efesini a non tenere più comportamenti pagani, perché hanno imparato a conoscere Cristo, se veramente gli hanno dato ascolto e sono stati istruiti nella verità di Gesù. Ancora. Ad « abbandonare l’uomo vecchio con la sua condotta di prima che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli », a rinnovarsi nello spirito e a rivestirsi « dell’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità ».
Chi ha fatto l’esperienza di Gesù e, come cristiano ha creduto in lui e si è rinnovato attraverso il Battesimo e i sacramenti, deve rompere con i comportamenti precedenti, propri dell’uomo carnale, complice del peccato e delle passioni ingannatrici. Rinnovato nell’intimo del proprio essere deve imitare Gesù, rivestendosi di una nuova umanità e vivendo ad immagine e in conformità a Cristo, deve farsi guidare dal suo Spirito. Gesù chiama i suoi discepoli a rompere definitivamente con il passato e ad avere una nuova mentalità, quella che corrisponde alla volontà del Padre.
Vangelo: Gv, 6,24-35.
Gesù, alla folla che gli chiede dopo averlo trovato al di la del mare, nei pressi di Cafàrnao, quando sia giunto in quel luogo, risponde dicendo:« In verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà, poiché il Padre Dio ha posto in lui il suo sigillo ». Avendo capito ciò che Gesù chiedeva loro gli dissero: « Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio ? ». E Gesù dice loro che l’opera di Dio è che essi credano in colui che il Padre ha mandato. Alla loro richiesta insistente: « Quali segni tu compi perché vediamo e crediamo? Quale opera fai? » e ricordando che i loro padri nel deserto avevano mangiato la manna, Gesù risponde: « In verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo ». Essi allora dicono: « Signore, dacci sempre questo pane ». Gesù risponde loro:« Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai !». Gesù afferma solennemente che Egli è il vero pane di Dio, e che quello di Mosè, la manna, lo prefigurava, perché ugualmente quelli che lo avevano mangiato erano morti. La persona di Gesù e non una cosa che si consuma è « Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo », il Figlio, che sacrifica se stesso per la salvezza del mondo. Il pane che Gesù dà, cioè tutto se stesso, Corpo e Sangue, è realtà che non perisce e preserva dal nostro deperimento e come Egli è vita eterna così anche chi mangia di lui ha la vita eterna. Solo colui che crede lo riceve e se ne appropria, per cui la fede è condizione indispensabile per realizzare questa comunione con Cristo, che alimenta la vita di Dio nell’ anima del credente in lui.
" AP'RI LA TUA MANO, SIGNORE, E SAZIA OGNI VIVENTE ".
28 LUGLIO – XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Partecipare al sacrificio dell’Eucaristia vuol dire celebrare il memoriale della passione, morte e resurrezione del Signore che, in virtù dello Spirito Santo, attualizza nella vita del credente il suo mistero di salvezza. Lo Spirito, che trasforma il pane e il vino nella presenza reale di Cristo, ci dà la possibilità di « condividere il pane disceso dal cielo » alla mensa del Signore. L’accento, ancora una volta in questa Eucaristia, è posto sulla Pasqua domenicale e, nella preghiera iniziale, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo, aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello Spirito ». Tutto ciò che è necessario alla vita quotidiana, davanti a questi doni, deve essere ricercato e usato saggiamente, senza che intralci la continua ricerca dei beni celesti. E qualora dovesse intralciare questa ricerca bisogna essere capaci di rinunziare a ciò che ci ostacola nel cammino verso il Regno.
Prima Lettura: 2 Re 4,42-44.
Nell’episodio narrato dal Libro dei Re, ad Eliseo fu portato dall’uomo venuto da Baal-Salisà, pane di primizie, « venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia ». Il profeta Eliseo disse al suo servitore di distribuirlo alla gente. Pur tuttavia davanti alla obiezione di questi che dice :« come posso mettere questo davanti a cento persone », la fede del profeta ottiene da Dio che i pani distribuiti bastino e ne avanzino. Eliseo si affida alla Parola del Signore e crede in lui: allora anche il poco pane si moltiplica e può sfamare tanta gente.
Seconda Lettura: Ef 4,1-6.
San Paolo esorta gli Efesini a comportarsi « in maniera degna della chiamata che hanno ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportando-si a vicenda nell’amore, avendo a cuore l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace ». Ancora. Li esorta ad essere un solo corpo e un solo spirito, poiché sono chiamati ad una sola speranza, a credere in un solo Signore, ad credere una sola fede e in un solo battesimo. Ma al fondamento di tutto vi è un solo Dio, Padre di tutti, che sta al di sopra di tutti ed opera ed è presente in tutti. E’ facile constatare quando sia difficile, arduo, ma urgente realizzare comportamenti che imitino quelli del Signore, attorno a cui bisogna vivere un’intima unità che deriva dal solo Dio Padre, in cui si crede, dal solo Signore e dal solo Spirito, realizzando un’unità di fede e di Battesimo. Così i cristiani formano un solo corpo, escludendo ogni divisione che comprometterebbe l’unità della Chiesa e smentirebbe il mistero di amore che ci costituisce una sola cosa.
Vangelo: Gv 6,1-15.
La moltiplicazione dei pani operata da Gesù sul monte vicino al lago di Tiberiade, per sfamare la grande folla che lo seguiva, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi, preannunzia ciò che compirà nell’ultima cena in cui darà un altro pane, il suo Corpo, per sfamare coloro che ricorrono a lui e sono affamati sia del suo insegnamento sia del suo Corpo, che è pane di vita eterna. Nella vicinanza della Pasqua, annota il Vangelo di oggi, Gesù compie questo gesto della moltiplicazione, mettendo alla prova i suoi discepoli e dicendo a Filippo: « Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare ? ». Alla risposta dell’apostolo che duecento denari di pane non sarebbero stati sufficienti neppure per darne un pezzetto a ciascuno e alla sconsolata constatazione di Andrea che dice : « C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente ?», Gesù ordina loro di far sedere quella folla di quasi cinquemila persone e, dopo aver reso grazie, prendendo i pani e i pesci li dà perché li distribuiscano alla folla. Dei pani e dei pesci non solo se ne saziano tutti, ma con i pezzi avanzati se ne riempiono dodici canestri. Alla vista del segno, la gente riconosce Gesù come « il vero profeta, colui che viene nel mondo ». Ma Gesù si ritira di nuovo sul monte, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re.
Davanti al numero di coloro dovevano essere sfamati anche noi avremmo espresso lo stesso stupore dell’apostolo Filippo e avremmo detto come Andrea di aver poco da condividere. Oggi, davanti alla fame materiale e spirituale della moltitudine degli uomini, anche noi, come allora, constatiamo l’impossibilità di poter soddisfare, con i mezzi limitati che abbiamo, i bisogni di una così grande moltitudine e poco confidiamo nella potenza e nell’amore di Dio. Come nel deserto l’ intervento di Dio fu provvidenziale per sfamare, dopo l’esodo, il popolo con la manna ed Eliseo con venti pani d’orzo sfamò più di cento persone, così Gesù, guida del nuovo popolo che egli pasce nella traversata della nuova Pasqua, con il gesto della moltiplicazione prelude e prepara il pane vero disceso dal cielo. Viene preannunziata l’Eucaristia che Gesù avrebbe istituito nella cena pasquale, donando se stesso in cibo, in abbondanza, al nuovo popolo della Chiesa. E’ lui il nuovo Mosè, il nuovo Eliseo, « davvero il profeta, colui che viene nel mondo », riconosciuto dalla folla.
SCELTI ED INVIATI PER IL REGNO DI DIO
14 LUGLIO – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
L’essere cristiani più che una etichetta ci impegna a vivere secondo lo stile di vita del Vangelo, seguendo Cristo che ci indica la via per condurre una vita secondo la sua mentalità. Si deve allora respingere ciò che è contrario a questo nome e seguire ciò che gli è conforme. Nella Orazione di questa domenica preghiamo Dio dicendo: « O Padre, che chiami tutti gli uomini ad essere tuoi figli in Cristo, concedi alla tua Chiesa di confidare solo nella forza dello Spirito per testimoniare a tutti le ricchezze della tua grazia. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ». Questa esigenza della testimonianza, con la forza dello Spiri- to, non si rende concreta solo parlandone o insistendovi nella Liturgia, ma vivendo concretamente questo stile di vita. La consistenza delle opere non sempre è adeguata alla insistenza con cui ne parliamo.
Prima Lettura: Am 7,12-15.
Il profeta Amos viene allontanato dal sacerdote Amasia da Betel, santuario del re, proibendogli di profetizzarvi e di andarlo a fare nella terra di Giuda. Ma Amos rispondendogli dice: « Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele ».
Il profeta che è mandato da Dio non parla di sua iniziativa, ma profetizza perché è Dio che lo chiama e lo sollecita. Non parla perché è gradito agli uditori, ma perché Dio gli affida il messaggio. Mentre Amasia, rappresentante ufficiale della categoria dei profeti, dice cose gradite al potere regale, Amos non è impedito da vincoli o impacci che lo legano al potere. Egli è investito direttamente da Dio per questa missione e la sua voce è libera di annunziare ad Israele le vie di Dio, che vuole realizzare la salvezza del suo popolo.
Seconda Lettura: Ef 1,3-14.
San Paolo agli Efesini ricorda che Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, « ci ha benedetti nel suo Figlio, chiamandoci, prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati dinanzi a lui nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel suo Figlio diletto » Nel sangue del suo Figlio noi abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati ed è stata riversata con abbondanza su di noi la sua grazia, con ogni intelligenza e sapienza. Così ci è stato fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo la sua benevolenza, volendo ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra.
Cristo Gesù è colui che ricapitola tutte le cose e le riassume in sé. Così ad immagine di Cristo è concepito l’uomo fin dall’eternità, destinato ad essere figlio adottivo, redento dal sangue di Cristo e chiamato a vivere in comunione d’amore con Dio. Il Padre, in Cristo, ci ha fatti anche eredi, predestinandoci a essere lode della sua gloria.
Dopo aver ascoltato la parola di verità, il Vangelo della salvezza e aver creduto in esso, dice ancora Paolo agli Efesini, essi hanno ricevuto il sigillo dello Spirito Santo promesso, come caparra della eredità che Dio promette, nell’attesa della completa redenzione, a quelli che Egli si è acquistato a lode della sua gloria. Il pensiero che ognuno è chiamato a raggiungere questo fine dovrebbe riempire di gioia il cuore anche in mezzo alle difficoltà di ogni giorno, farci aprire al ringraziamento a Dio e impegnarci a raggiungerlo per essere, in conformità a Cristo, nella risurrezione. Fin da ora, con lo Spirito, abbiamo la « caparra della nostra eredità », in attesa della completa redenzione.
Vangelo: Mc 6,7-13.
Gesù invia a due a due i suoi discepoli, da poveri e con un messaggio da annunziare, dà loro il potere di scacciare gli spiriti impuri ed li esorta a non portare con sé, per il viaggio, né pane, né sacca, né denaro, né due tuniche, ma solo il bastone e un paio di sandali.
Ancora: a rimanere nella casa dove entrano finché non se ne siano partiti di lì e, dove non sarebbero stati accolti né ascoltati, scuotere la polvere dai loro piedi come testimonianza per loro. « Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano i demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano ». I discepoli hanno da annunziare il regno di Dio e il Cristo che lo incarna con la sua presenza. Tale annunzio è un giudizio di condanna per coloro che avrebbero rigettato, allora come oggi, il Vangelo della salvezza, che non bisogna accoglierlo solo a parole, ma testimoniarlo nella concretezza della vita in tutta la sua quotidianità.
RINGRAZIAMO DIO, CHE ABBIAMO CONOSCIUTO.
7 LUGLIO - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nella orazione di oggi preghiamo dicendo:« O Padre, fonte della luce, vinci l’incredulità dei nostri cuori, perché riconosciamo la tua gloria nell’ umiliazione del tuo Figlio, e nella nostra debolezza sperimentiamo la potenza della sua risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Chiediamo al Padre di poter riconoscere in Gesù che si umilia, facendosi obbediente al Padre, la sua gloria e nelle nostre infermità possiamo essere sostenuti dalla speranza e della forza della sua risurrezione. Liberati dall’ oppressione della colpa, per la potenza della croce di Gesù, dobbiamo conformarci a lui crocifisso nella sua umiliazione, sgombrando il nostro cuore da tutto ciò che non ci rende poveri ed esultanti. Liberi dall’ attaccamento a noi stessi portiamo, anche in mezzo alle infermità umane, la testimonianza della gioia pasquale della risurrezione.
Prima Lettura: Ez 2,2-5.
Ezechiele è inviato da Dio a parlare agli israeliti che sono una genia di ribelli, perché si sono rivoltati contro il Signore, così come avevano fatto i loro padri fino ad allora. E’ mandato al popolo degli Israeliti divenuti « figli testardi e dal cuore indurito » e dovrà dire loro: « Ascoltino o non ascoltino - dal momento che sono una genia di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro ». E’ ardua la missione che il Signore affida al profeta, perché gli Israeliti sono ribelli e dai cuori induriti e non corrispondono alla fedeltà del Signore. La parola che il profeta annunzia se non viene ascoltata diventa non motivo di risurrezione ma di condanna. Non si rigetta o non si trascura invano la Parola di Dio.
Seconda Lettura: 2 Cor 12,7-10.
Paolo ai Corinzi scrive dicendo che egli, perché non si insuperbisca, ha nella sua carne un inviato di Satana che lo tormenta. Nelle sue sconfitte e umiliazioni egli non si lascia scoraggiare o deprimere. Di fronte alla sua preghiera al Signore perché lo liberi, la risposta di Dio è : « Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza ». Vantandosi poi volentieri delle sue debolezze e compiacendosi in esse, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo, è quando si sente debole che avverte la potenza, la grazia e la forza del Signore. Soffrire per Cristo, allora, anche nelle infermità umane, nelle incapacità e debolezze dell’uomo, lo si può perché Cristo ci assicura la sua grazia. E’ importante affidarsi a Dio con assoluta confidenza, Con lui riusciamo a vincere sempre sul male e a perseverare nel bene.
Vangelo: Mc 6,1-6.
Gesù, nella sinagoga di Nazaret, dopo aver letto la profezia di Isaia sul Messia e averla applicata a sé dicendo: « Oggi questa Scrittura si è realizzata ai vostri orecchi », ha scandalizzato gli uditori. I circostanti, stupiti del suo insegnamento, si chiedono donde gli vengano quelle cose, la sua sapienza e i prodigi attribuiti dal profeta al Messia. Lo conoscono come il figlio di Giuseppe il falegname, di Maria e fratello di Giacomo, Ioses, Giuda e Simone e non possono accettare che Egli le attribuisca a sé. Viene cacciato dalla sinagoga e Gesù amaramente dice loro: « Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua » e non vi compie nessun prodigio, restando anzi meravigliato della loro incredulità, « ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì ».
L’incredulità è un ostacolo per la salvezza perché l’opera del Cristo possa essere efficace nell’uomo. Senza la fede non avviene il miracolo di avvicinarsi a Cristo e accoglierlo. Quella incredulità di allora prefigura la nostra e di quanti non vogliono accogliere Gesù che si presenta nella normalità umana, senza prestigio, gloria o altro di strabiliante. Accettare la sua identità significa credere al di la delle sue apparenze umane. Non possiamo essere noi a porre le condizioni a Dio per il suo disegno di salvezza. Come gli apostoli allora che vedevano l’avvento del Messia come la liberazione politica, sociale e umana nei suoi gesti, anche oggi vorremmo un Cristo diverso e non di « passione e di croce » che scandalizza. Possiamo partecipare della salvezza da lui operata solo se si accetta il modo e lo stile che Dio ha deciso, per riportare l’uomo alla comunione con sé.