COME CRISTO ASCESO AL CIELO, ANCHE NOI SIAMO CHIAMATI A RAGGIUNGERE LA STESSA GLORIA.
12 MAGGIO - ASCENSIONE DEL SIGNORE
COME CRISTO ASCESO AL CIELO, ANCHE NOI SIAMO CHIAMATI A RAGGIUNGERE LA STESSA GLORIA.
La Chiesa oggi nel prefazio canta: « Gesù, vincitore della peccato e della morte, ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena speranza che dove è lui, capo e primogenito , saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria ». Ma dobbiamo tener presente, in ogni giorno della vita, che il Signore, con questa celebrazione, vuol dirci che egli ci attende nella sua stessa gloria. Gesù, con la sua umanità presso il Padre, già in qualche modo, ci ha portati con sé, perché egli è il Capo del corpo che siamo noi, salvati dalla sua morte e risurrezione e innastati in lui con il battesimo. Allora speriamo di poter conseguire la salvezza e la gloria eterna perché egli l’ha acquistata per sé e per noi. Nella nostra povera umanità il Signore non ci ha lasciati soli – canta ancora la Chiesa nel prefazio -: adesso ci è donata la grazia di Cristo che attende di maturare nella sua stessa gloria. Da lui che è il Mediatore siamo già legati con Dio.
Ma se lungo l’esistenza terrena siamo presi dal dubbio e avvertiamo lo smarrimento, nell’ ordinarietà e monotonia della nostra vita e di quella della Chiesa, dobbiamo nutrire la speranza che egli non ci ha abbandonato, perché la sua presenza ci accompagna nella missione nel mondo, assistiti costantemente dal suo Spirito che ci ha inviato. Dobbiamo allora attendere, con fiducia e operosità, il suo ritorno futuro, come dicono gli angeli nel momento in cui sale verso il cielo. Operosità vuol dire impegno a vivere in maniera degna per essere accolti nella sua gioia di Signore risorto.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia preghiamo dicendo: » Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria. Egli è Dio e vive regna con te «
Oppure: « Dio onnipotente, concedi che i nostri cuori dimorino nei cieli, dove noi crediamo che oggi è asceso il tuo Unigenito, nostro redentore. Egli è Dio, e vive e regna con te...»
Prima Lettura: At 1,1-11
Dopo che gli apostoli e gli altri discepoli sono stati confermati nella certezza della risurrezione di Gesù, di cui avevano dubitato in diverse circostanze e davanti al quale, dice Matteo, « quando essi lo videro, si prostrarono », egli è salito al cielo.Oggi Gesù, anche se non visto come in quei quaranta giorni, non abbandona né si allontana dalla nostra umanità: dalla destra del Padre Cristo invia lo Spirito che, ricevuto in pienezza dagli apostoli, li fortifica per la testimonianza che devono rendere al Risorto e li accompagna nella loro missione. Essi, aspettando la venuta gloriosa di Gesù, non devono rimanere inattivi né devono preoccuparsi di quando sarà la fine del mondo e il termine della storia. Devono continuare la missione che il Maestro ha loro assegnato: predicare la conversione e il perdono dei peccati perché gli uomini conseguano la salvezza. Sicuramente il Maestro tornerà, come dicono gli angeli. Durante questo tempo di attesa, la testimonianza di tutti coloro che credono in lui si manifesta specialmente nel continuare a compiere le opere del regno messianico, quelle della fede e della carità, che esprimono il desiderio di riunirsi al Signore.
Seconda Lettura: Ef 4,1-13.
Paolo, scrivendo agli Efesini, prigioniero del Signore, li esorta a corrispondere alla vocazione che hanno ricevuto. Devono, cioè, dar testimonianza di umiltà, dolcezza, magnanimità, sopportazione vicendevole nell’amore e, per mezzo della carità, conservare il vincolo della pace. Nell’unità di un solo spirito, di una sola speranza, di una sola comune vocazione nel Signore, i cristiani sono chiamati a vivere uniti, a testimoniare e vivere una sola fede, un solo battesimo, credere in un solo Dio, Padre di tutti, che opere in tutti e in tutti è presente. La Chiesa, i cui figli sono pellegrini su questa terra e che non sempre vivono secondo l’ideale del suo Signore, è costituita come comunità che, nel nome del Signore, accogliendo i peccatori pentiti, i quali pur zoppicando si sforzano di imitarlo, deve anche esortarli a vivere uniti e compiere ognuno il proprio ministero per la perfezione di ogni suo membro.
Così la Chiesa, pur nella sua fragilità e nelle sue ferite, può continuare a dare speranza agli uomini.
In essa e per suo mezzo, rispondendo alla grazia data, ognuno, « secondo la misura del dono di Cristo », deve trovare il proprio spazio di crescita umana e spirituale. Infatti, ascendendo al cielo, da cui era disceso, il Signore Gesù « ha distribuito doni agli uomini … e ha dato ad alcuni di essere apostoli,ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Dio » (Ef.4,11-13).
I diversi doni, di cui Cristo ha arricchito la Chiesa, sono finalizzati, quindi, all’edificazione del Corpo di Cristo e nessuno può appropriarsi il dono, ma deve solo riconoscerlo e metterlo a disposizione e per l’utilità di tutti. Bisogna, allora, mettere da parte la pigrizia, la superbia, l’orgoglio e avere consapevolezza che tutto ci è dato dal Signore per il bene della Chiesa.
Se la Chiesa del Signore, costituita santa, lungo la sua storia, sperimenta momenti e fatti che non l’hanno resa splendida Sposa di Cristo, registra anche pagine di testimonianza discreta e, oggi con frequenza, eroica di tanti martiri.
Gesù stesso, d’altra parte, lo aveva detto: « Sarete perseguitati, ma riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra » (At 1,8-9).
Vangelo: Mc 16,15-20.
Gesù accompagna dal cielo il ministero affidato agli apostoli e a tutta la Chiesa. Esso consiste nell’annunziare il Vangelo e nell’ introdurre nell’ esperienza della Pasqua, attraverso il battesimo, coloro che lo accolgono, come disse Gesù: « Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato ». Così, dopo che Gesù ascende al cielo allontanandosi da loro, essi partirono e predicarono dappertutto e il Signore agiva in loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano, come scacciare i demoni, parlare lingue nuove, prendere in mano serpenti, imporre le mani ai malati e guarirli. Accogliere o rifiutare il Vangelo significa accogliere o rifiutare la salvezza da lui operata. In questa opera di salvezza degli uomini, la Chiesa intera non è lasciata sola. Cristo l’accompagna con la presenza del suo Spirito, che con la sua forza può vincere il male, liberarla e guarirla.
SIAMO CREATI PER AMARE ALLA MANIERA DI DIO.
5 MAGGIO – VI DOMENICA DI PASQUA.
OGGI SI CELEBRA LA GIORNATA DI SENSIBILIZZAZIONE PER IL SOSTEGNO ECONOMICO
ALLA CHIESA CATTOLICA ATTRAVERSO LA FIRMA DELL'8X1000 NELLA DICHIARAZIONE
DEI REDDITI.
Il tempo pasquale è un inno alla pace e alla gioia, espresso con il grido gioioso dell’Alleluia (Lodate il Signore), per le meraviglie compiute da Dio nella redenzione, operata da Cristo, per la salvezza degli uomini. La gioia del cristiano, che però ugualmente conosce motivi di ansia e di tristezza, deriva dalla certezza che Dio ci ha liberati dal peccato, il quale è la vera causa della tristezza. Cristo Gesù, risorgendo, ci riporta a vivere la speranza che un giorno saremo con lui nella beatitudine e nella gloria, perché egli è andato a prepararci un posto nel cielo.
Ripensando allora a tutto ciò che Gesù ha detto e fatto, noi, immersi nel mistero pasquale di Cristo, rinnoviamo il motivo della nostra gioia. Se, come Gesù, usciamo dal nostro egoismo e sappiamo dare la vita per gli altri, allora la carità del donarsi si trasformerà in letizia qui in terra, e sarà il preludio di quella celeste. Per questo preghiamo dicendo: « O Padre, , che nel tuo Figlio ci hai chiamati amici, rinnova i prodigi del tuo Spirito, perché, amando come Gesù ci ha amati, gustiamo la pienezza della gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: At 10,25-26; 34-35.44-48.
San Pietro a Cornelio, che gli si prostra ai piedi per rendergli omaggio, dice umilmente: « Alzati: anch’io sono un uomo! ». Riconosce così che davanti a Dio, il quale non fa preferenze di persone, tutti siamo sue creature e « accoglie chi lo teme e pratica la giustizia a qualunque nazione appartenga ».
Avviene allora per coloro che sono in casa di Cornelio, che pure è ancora un pagano, la Pentecoste, poiché « lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola ». La cosa stupisce i fedeli circoncisi ebrei venuti con Pietro, essendosi effuso anche su quei pagani lo Spirito del Signore, che li fa parlare in altre lingue e glorificare Dio.
Da ciò Pietro comprende che tutti gli uomini, anche i non ebrei, sono chiamati a ricevere il Battesimo, a ricevere lo Spirito, la buona Novella, perché amati da Dio: così Pietro ordina che tutti siano battezzati nel nome di Gesù Cristo.
Così nella Chiesa, anche se si è ministri, si è rappresentanti del Signore e nessuno può sostituirsi a Lui. Nessuno può vantarsi di avere dei diritti o meriti. Come fratelli in Cristo, tutti siamo chiamati alla vita eterna e a lodare e cantare le meraviglie della misericordia di Dio.
Seconda Lettura: 1Gv 4,7-10.
San Giovanni, ancora una volta, ci ricorda che dobbiamo amarci gli uni gli altri, perché chiunque ama è stato generato da Dio e ha in sé la facoltà di conoscere Dio. Se non si ama, allora, non si conosce Dio, che rimane un estraneo per chi non ama. Non i libri, né l’intelligenza o l’acutezza della mente bastano per conoscerlo, è necessario l’amore e la carità del cuore. Se si riconosce che Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui, allora accogliamo l’amore che Dio ci ha manifestato e dato. E’ stato Dio ad amarci per primo e « ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati ».
L’amore del Padre è arrivato ad un gesto estremo nella missione affidata al Figlio che, morendo in croce, lascia sconcertati e attoniti, come dice l’inno di Pasqua: « Gli angeli guardano attoniti il supplizio della croce, da cui l’innocente e il reo salgono insieme al trionfo ». L’amore e la misericordia di Dio confondono la superbia e l’alterigia dell’uomo.
Vangelo: Gv 15,9-17.
Per Gesù il donare la vita è la più alta espressione dell’amore per chi si dice di amare. Egli ha dato la sua vita e non poteva fare di più. Al suo amore si risponde amandolo a nostra volta, anche se non possiamo raggiunge l’intensità di questo suo amore. Egli ci ha amati come il Padre ha amato lui e chiede, a chi accetta di amarlo, di rimanere nel suo amore. La prova del rimanere in questo amore è l’osservanza dei comandamenti, come ha fatto Gesù nei confronti del Padre. Il Signore Gesù, che ci ha scelti, ci chiama amici non servi e ci fa conoscere ciò che ha udito dal Padre. Ci dice che siamo suoi amici se facciamo ciò che egli ci comanda, cioè se ci amiamo gli uni gli altri, non a parole, ma con la vita. Questo è certamente arduo e rischioso, perché se il modello dell’amore fraterno è il suo amore per noi, la carità va dimostrata fino all’eroismo. La forza per realizzare tale amore ci viene dall’Eucaristia, da cui attingiamo « vita e fortezza », per avere il coraggio di amare. Amandoci vicendevolmente, come lui ha amato noi, attingiamo dall’amore del Signore la gioia divina e piena, otteniamo dal Padre ciò che gli chiediamo nel suo nome e portiamo frutti che rimangono.
Ultimo aggiornamento (Sabato 04 Maggio 2024 10:25)
DELLA VIGNA DEL SIGNORE FACCIAMO PARTE TUTTI COLORO CHE COL BATTESIMO SIAMO UNITI A LUI!
28 APRILE - V DOMENICA DI PASQUA
DELLA VIGNA DEL SIGNORE FACCIAMO PARTE TUTTI COLORO CHE COL BATTESIMO SIAMO UNITI A LUI.
La Chiesa, oggi, nella liturgia inizia la sua lode a Dio invitando i fedeli a cantare con gioia un canto nuovo, perché il Signore ha compiuto prodigi essendo stati liberati dal potere di Satana e dal peccato e, nel suo Figlio, morto e risorto per noi, il Padre ci ha riconciliati con sé, dandoci l’adozione a figli e rendendoci eredi delle vita eterna.
Siamo divenuti nuovi, « primizia di una nuova umanità », che in Cristo si edifica come nazione santa, sacerdozio regale, tempio santo della gloria di Dio. Questa realtà la si avverte attraverso la fede, che deve maturare nella testimonianza delle opere, le quali sono espressione dell’amore riversato nei nostri cuori dallo Spirito del risorto. Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di questa domenica diciamo: « O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vite vera, confermaci nel tuo Spirito, perché, amandoci gli uni gli altri, diventiamo primizie di un’umanità nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: At 9,26-31.
La Chiesa primitiva, dopo i primi anni di persecuzione da parte delle autorità giudaiche, gode di una relativa pace che le consente di annunziare il messaggio di Cristo e di crescere di numero, nel timore del Signore e con il conforto dello Spirito. Altre tribolazioni le attendono ma, forte dello Spirito che il Padre invia, la comunità del Signore testimonierà la sua fedeltà a lui. Lo Spirito rende efficace la testimonianza dei discepoli, certi come sono della presenza del Signore tra loro. Lo Spirito illumina, guida, rinvigorisce la fede che viene testimoniata con gioia. Paolo, che in Damasco già aveva predicato Cristo, dopo la presentazione che Bàrnaba fa di lui alla comunità, viene accolto dagli apostoli in Gerusalemme e può predicare apertamente nel nome del Signore, tanto da rischiare la vita.
Seconda Lettura: 1 Gv 3,18-24.
Giovanni invita i cristiani a testimoniare l’amore del Signore non a parole o con la lingua, ma con i fatti e nella verità. L’amore reciproco è poi la prova che conferma la fede nel Signore. Non basta parlare o credere, è necessario dimostrare praticamente l’amore ai fratelli. Allora siamo nella verità e il nostro cuore non ha nulla da rimproverarsi, perché Dio, che è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa, ci rassicura nell’intimo.
Se osserviamo i suoi comandamenti, facendo quello che è gradito a Dio e il nostro cuore non ci rimprovera nulla, allora possiamo nutrire la fiducia che qualunque cosa gli chiediamo la riceveremo. Ecco in che cosa consiste l’essenziale per l’apostolo Giovanni: credere nel nome del Figlio di Dio, Gesù Cristo, e amarci gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Rimaniamo nell’amore di Dio ed egli rimane in noi se osserviamo i suoi comandamenti: questo è possibile per lo Spirito che il Signore ci ha dato.
Vangelo: Gv 15, 1-8.
Anche oggi Gesù, attraverso una similitudine, vuole farci comprendere quale rapporto si instaura tra noi e lui con il battesimo: siamo uniti intimamente a lui che dice di essere « la Vite e noi i tralci ». Il Padre suo, che è l’agricoltore, taglia qualunque tralcio che non porta frutto e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto. Rimanere sempre uniti al lui significa alimentare la vita divina ricevuta con il battesimo, essere fecondi portando i frutti propri della vitalità divina. E come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non è unito alla vite, così è anche per noi se non rimaniamo uniti a lui: senza di lui non possiamo fare nulla. Se rimaniamo uniti a lui e la sua parola, ci assicura ancora Gesù, rimane in noi, possiamo chiedere al Padre ciò che vogliamo, (poiché chiederemo certamente solo il bene! ), e saremo esauditi. Portando frutti secondo Gesù e vivendo da fedeli suoi discepoli glorificheremo Dio come ha fatto Gesù, in cui il Padre si è sempre compiaciuto.
L’Eucaristia che in maniera particolare ci fa essere uniti a Cristo, non deve essere solo ricevuta, deve diventare comunione di vita con lui e farci vivere la fecondità dell’amore per Dio e per i fratelli.
LA VOCE DI CRISTO, BUON PASTORE, CONTINUA A CHIAMARCI.
21 APRILE – IV DOMENICA DI PASQUA.
Gesù oggi si presenta a noi come il buon Pastore e noi formiamo il suo gregge. Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « O Dio nostro Padre, che in Cristo buon pastore ti prendi cura delle nostre infermità, donaci di ascoltare oggi la sua voce, perché, riuniti in un solo gregge, gustiamo la gioia di essere tuoi figli. Per il nostro Signore Gesù Cristo…, ».
In Cristo risorto, aderendo alla salvezza da lui operata, come pecorelle del suo gregge, siamo chiamati a costituire un’ unica famiglia e a vivere nella gioia della figliolanza divina. Dobbiamo seguire Cristo Pastore con sapienza e costanza, riconoscere la sua voce e lasciarci guidare, nelle vicende della vita e tra le insidie del mondo, da lui. Egli ci conduce alle sorgenti della « vera vita » che viene alimentata dalla sua parola, dai suoi sacramenti e soprattutto dall’Eucaristia, suo Corpo e Sangue e nostro cibo. Gli uomini, dispersi e frammentati tra loro, in lui possono ritrovare l’unità di una « sola famiglia». Questa unità può aversi non solo perché è « dono di Dio », ma anche perché « ognuno è chiamato a superare e a vincere i motivi di divisione che ci sono tra gli uomini ».
Prima Lettura: At 4,8-12.
Pietro, davanti al sinedrio, interrogato riguardo alla guarigione di un uomo infermo, apertamente risponde dicendo che è nel nome di Gesù, il Nazareno, che essi avevano crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, che quell’ uomo sta innanzi a loro risanato. Così testimonia che non è tanto per un suo potere personale che quell’ uomo storpio è stato guarito dalla sua infermità, quanto per la potenza del nome di Gesù. E la guarigione è segno della salvezza che, in Gesù crocifisso e risorto, Salvatore degli uomini, raggiunge l’uomo nella sua integralità. Colui che essi avevano rigettato e scartato come uomo inutile per la vita dell’umanità, invece è divenuto « pietra angolare » dell’ edificio di una nuova umanità. Se l’uomo vuole prescindere da lui, della sua opera divina, si attuerebbero le parole del Salmo che recita: « Se non è Dio a costruire la casa, invano si affaticano i costruttori ». E Pietro ancora dice: « In nessun altro c’è salvezza, non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati ».
Seconda Lettura: 1 Gv 3,1-2.
San Giovanni ci ricorda che noi, amati da Dio, nel suo Figlio, siamo divenuti realmente suoi figli e non in modo fittizio. E poiché il mondo non ha conosciuto Dio, non conosce neanche coloro che da lui sono generati. In virtù della grazia che Dio dona siamo suoi figli, anche se esteriormente non appare ancora tutta la dignità divina che ci è donata: anche se portiamo ancora i segni della nostra vita terrena, tra i limiti e le sofferenze, siamo chiamati, « quando egli si sarà manifestato, ad essere simili a Dio, perché lo vedremo così come egli è ».
Vangelo: Gv 10,11-18.
Gesù è il buon Pastore, che dona la sua vita per le sue pecore. Non è un mercenario che abbandona le pecore che non gli appartengono, fuggendo di fronte ai pericoli. Egli conosce le sue pecore singolarmente, ponendo un rapporto unico con ognuna di esse, e queste lo riconoscono, perché ascoltano la sua voce, lo seguono e per ciascuna di esse fa dono della sua vita liberamente, senza costrizione. Il Padre lo ama perché dona la sua vita da se stesso nella sua morte e con la sua risurrezione ha il potere di riprendersela. Gesù dice di avere anche altre pecore che non provengono dall’ ovile di Israele, ed anche queste egli deve guidare. Questo rapporto di donare la vita e riprenderla, oggi, lo riscontriamo nell’ Eucaristia, dove soprattutto Cristo ci offre il suo amore e istituisce la nostra comunione di vita con lui.
Ultimo aggiornamento (Sabato 20 Aprile 2024 10:29)
I CRISTIANI COME TESTIMONI DEL SIGNORE RISORTO.
14 APRILE – TERZA DOMENICA DI PASQUA.
Cristo risorto è presente nella sua Chiesa, soprattutto con l’Eucaristia e con i sacramenti pasquali, con cui comunica ai credenti la salvezza. Nella Eucaristia riconosciamo il Signore crocifisso e risorto che ci accompagna, come comunità di fratelli, lungo il cammino dell’esistenza terrena, cosi come con i discepoli di Emmaus. La comunità del Signore, raccogliendosi per lo spezzare il pane, pone il segno della nuova umanità, pacificata nell’ amore, e nella pace, che il Cristo dona agli uomini, divenuti suoi fratelli, per i quali si è offerto come vittima di espiazione dei loro peccati. Come figli di Dio e del Signore dobbiamo allora vivere con la carità del risorto.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « O Padre, che nella gloriosa morte del suo Figlio, hai posto il fondamento della riconciliazione e della pace, apri i nostri occhi all’intelligenza delle Scritture, perché diventiamo i testimoni dell’umanità nuova, pacificata nel tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo... ».
Prima Lettura: At 3.13-15.17-19.
San Pietro ricorda agli israeliti come il Dio dei loro padri ha glorificato il suo servo Gesù, che essi avevano consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo e, facendolo uccidere, essi non hanno accolto il Santo e il Giusto, autore della vita. Dio, però, l’ha risuscitato dai morti, e lui e gli altri discepoli ne sono testimoni. Pur non essendo tenero con i suoi connazionali, Pietro dice ancora che, avendo essi agito per ignoranza, Dio ha ugualmente compiuto ciò che era stato preannunziato dai profeti, che il Cristo doveva soffrire, e li esorta a convertirsi e cambiare vita, per poter avere così cancellati i peccati: Cristo Gesù, quindi, è divenuto sorgente di salvezza per tutti gli uomini e anche per loro. Nessuna colpa davanti a Dio è irreparabile, dopo che Gesù è morto per espiare le nostre colpe ed è risorto. Bisogna solo accostarsi a lui con la volontà di convertirsi e vivere, accogliendo la gratuità del perdono di Dio, nella nuova realtà in cui ci ha posti il Figlio, secondo la sua modalità di rapportarsi con Dio Padre.
Seconda Lettura: 1 Gv 2,1-5.
San Giovanni ci ricorda che, se anche ricadessimo nella colpa, poiché Cristo Gesù è vittima di espiazione dei peccati nostri e di quelli di tutti gli uomini, non dobbiamo scoraggiarci neppure di fronte alle colpe più gravi, perché abbiamo presso il Padre un Paràclito, un avvocato che intercede continuamente per noi. Ci ricorda ancora che sappiamo di aver conosciuto Dio e di essere suoi figli se osserviamo i suoi comandamenti. Lo si conosce se lo si ama e si vive secondo la sua volontà: quando mettiamo in pratica la parola di Dio il nostro amore per lui è veramente perfetto e non mentiamo.
Vangelo: Lc 24,35-48.
Dopo le varie apparizioni di Gesù del primo giorno e la testimonianza dei due discepoli di Emmaus, che avevano riconosciuto il Signore nello spezzare il pane, ancora i discepoli sono dubbiosi sull’ evento della sua risurrezione. Per vincere la loro resistenza e far acquistare la certezza in lui risorto, egli riappare, augura loro la pace, ma essi sono ancora sconvolti e pieni di paura, perché credono di aver visto un fantasma. Li rincuora, dice loro di non essere titubanti. Per allontanare i loro dubbi ed essere certi li esorta a guardare le sue mani e i suoi piedi, a toccarlo perché un fantasma non ha carne né ossa come li ha lui. Poiché ancora non credono per la gioia ed sono pieni di stupore, chiede se hanno qualcosa da mangiare; gli offrono una porzione di pesce e del pane arrostito che mangia con loro.
Ripete ancora ad essi, come ai due di Emmaus, che in lui dovevano compiersi le cose scritte nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi e, spiegando le Scritture, apre loro la mente alla comprensione di ciò che lo riguarda:« il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi sarete testimoni ».
Così tutto quello che fino ad allora era rimasto precluso sulla sua di Gesù diviene certezza fondata, conforme alle Scritture. Ed è sempre Cristo che anche a noi apre la mente a comprenderle, perché capirle vuol dire incontrare il Signore nel suo mistero di passione, morte e di risurrezione: solo accogliendolo nella fede possiamo entrare nella salvezza che tale mistero produce nel credente. Di tale mistero il discepolo allora ne può dare piena testimonianza proclamandolo, celebrandolo e con formandovi la vita.