





LA PAZIENZA MISERICORDIOSA DI DIO CI CHIAMA A CONVERSIONE.
23 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo nella sua parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro ed espressione della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio: espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella Colletta di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « Ci sostengano sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; perché la tua parola, seme e lievito del regno, fruttifichi in noi e ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova ».
Prima Lettura: Sap 12,13.16-19.
Il libro della Sapienza, oggi, ci dice che non c’è Dio fuori di lui che si prende cura delle cose create, perché debba difendersi dall’accusa di essere giudice ingiusto. Poiché Dio è padrone di tutte le cose ed è indulgente, la sua forza è principio della giustizia e la mostra « quando non si crede alla pienezza del suo potere »ed egli rigetta « l’insolenza di coloro che pur la conoscono».
Poiché, ancora, può tutto, egli giudica con mitezza e ci governa con indulgenza. Così agendo, Dio insegna «come il giusto deve amare gli uomini » e dà ai suoi figli « la buona speranza, che, dopo i peccati » concede il perdono.
Mentre tra gli uomini possiamo constatare la protervia del potere, unito alla violenza e al dominio, nei confronti degli altri uomini, Dio esercita la sua forza e potenza, in maniera diversa, con giustizia e pazienza, perché altrimenti chi potrebbe resistergli. Ma se Egli esercita, nei nostri confronti, la sua infinita pazienza e misericordia, perché ci attende nonostante i nostri fallimenti, applica anche per ognuno di noi la sua giustizia.
A questo modo di agire si deve conformare il nostro comportamento, specie quando vorremmo un intervento più preciso e puntuale nel reprimere il male da parte di Dio o della giustizia degli uomini. Questa maniera di fare di Dio deve infonderci la speranza che Dio non abbandona le sue creature e ci assicura che « dopo i peccati » dà sempre la possibilità di pentirsi. Occorre molta pazienza e fiducia, che accompagnano i nostri sentimenti e le nostre inquietudini. D’altra parte, non dimentichiamo che è anche detto che Dio « rigetta l’insolenza ».
Seconda Lettura: Rm 8,26-27.
San Paolo, scrivendo ai Romani, li esorta ad avere sempre fiducia in Dio, poiché lo Spirito del Signore ci soccorre nella nostre debolezze e, non sapendo pregare come si conviene, lo stesso Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili. Colui, poi, che scruta i cuori conosce cosa desidera lo Spirito, poiché « egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio ».
Se crediamo veramente che in noi abita lo Spirito Santo e ciò non è solo una certezza più o meno astratta, ma che realmente è in noi, prega dentro di noi e ci suggerisce le intenzioni nella preghiera, dobbiamo solo lasciarci guidare da lui, che ci conforma nella volontà di Dio.
Vangelo: Mt 13,24-43.
La Parola del Vangelo della Liturgia di oggi ci presenta diverse parabole, che mettono in rapporto due realtà, il Regno di Dio, con al sua potenza e forza, e il male che vuole contrastare l’espandersi del bene e della realtà del Regno.
Nella campo del regno dei cieli è seminato il buon seme della Parola di Dio ma, mentre i servi dormono, il nemico vi semina la zizzania. Lo spuntar di entrambi allarma i servi del padrone che gli chiedono di estirpare la zizzania. Ma il padrone, constatando che un nemico aveva gettato la zizzania, dice loro: « “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece mettetelo nel mio granaio”».
Nel piccolo seme di senape, che seminato nel campo cresce e diventa arbusto e gli uccelli vi fanno il nido, Gesù esprime la capacità che ha il regno dei cieli che, da piccola realtà iniziale, diventa capace di accogliere tutti coloro che vogliono parteciparvi. Inoltre, come il lievito, mescolato dalla donna nella farina, la lievita e fermenta tutta, così il regno dei cieli permea e trasforma tutti coloro che lo accolgono.
Parlando Gesù in parabole attua la profezia che dice: « Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo ».
Gesù, spiegando la parabola della zizzania ai discepoli, dice che il Figlio dell’uomo è il seminatore del buon grano e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e chi l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e gli angeli i mietitori, a cui verrà detto alla fine di raccogliere la zizzania e bruciarla, cioè di raccogliere dal regno « tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità che saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. I giusti risplenderanno, invece, come il sole nel Regno del Padre loro ». Conclude Gesù dicendo: « Chi ha orecchi, ascolti! ».
La zizzania.
Così, nei primordi dell’annunzio del Regno, molti pensarono che esso si sarebbe realizzato nell'’immediato, ma il passare delle generazioni e dei secoli hanno smorzato l’entusiasmo iniziale e ci è resi conto che lavorare per l’avvento del Regno di Dio non è facile, perché bisogna resistere nelle tentazione, tra le persecuzioni e gli scandali derivanti da comportamenti di infedeltà dei peccatori all’ interno della Chiesa stessa.
A parte il seme che cade lungo la strada ed è beccato, quello che cade in terreno sassoso e secca, tra il buon seme della sua Parola, seminato dal Signore nel suo campo, come nella parabola del Vangelo di oggi, spunta anche la zizzania. Non è stato certo solo nella Chiesa delle origini che si è faticato per non perdere la tensione verso il Regno, ma anche oggi i cristiani devono affrontare le varie resistenze che si oppongono alla realizzazione del Regno di Dio.
Ma tutto il tempo della storia è tempo di misericordia di Dio, perché gli uomini si convertano. La libertà, di cui Dio ha dotato l’uomo, può trascinarlo nelle sue quotidiane scelte di vita, a tradurre gli ideali di bene e le sue capacità, le sue ispirazioni, la sua Parola, seminate nel suo cuore, da buon grano in zizzania. Per ognuno la propria vita è tempo per imparare a discernere il bene e il male, non quello di giudicare il buono e il malvagio. La parabola ci insegna che questo è il tempo della misericordia, della pazienza e del non peccare di presunzione, volendo chiedere a Dio di affrettare il suo giudizio, per estirpare il male.
La parabola della zizzania ci invita, nel nostro oggi, a prendere posizione a favore del Regno di Dio, ad averlo nelle nostre scelte e nei nostri desideri con l’ampio orizzonte di Dio, trovando in esso il senso del nostro agire.
Le altre parabole, quella del granellino di senape e del lievito, se fanno risaltare la sproporzione tra la piccolezza del seme e la grandezza del realizzarsi finale del Regno di Dio, devono anche farcelo concepire non come un avvenimento clamoroso, invadente, che subito s’imponga. Il Vangelo cresce a poco a poco, con una forza interna, capace di permeare tutta la massa dell’umanità nelle varie epoche di vita degli uomini, qualora questi mostrassero la disponibilità ad accoglierlo nella propria vita. E’ perciò necessario che il seme muoia per poter crescere rigoglioso. Si deve credere, quindi, alla sua forza interna, simile – dice Gesù – a quella del granellino di senape, dagli inizi insignificanti: la croce di Cristo e la sua morte umana, realtà piccole e deboli, hanno espresso la potenza di Dio per l’inizio e l’incremento del Regno.
Il lievito solo sciogliendosi e confondendosi con la farina può farla fermentare, non certo il restare separati e distinti.
La piccolezza del seme e la commistione tra lievito e farina, realtà piccole, producono un effetto grandioso: frutto di una operatività che sfugge all’uomo, che dovrebbe saper vivere realizzando il bene anche in mezzo alle resistenze, alle contraddizioni, alle difficoltà e alle incompiutezze.
La tentazione di accelerare i tempi per il giudizio, che certo ci sarà, ma che è nel tempo e nelle mani di Dio e non nostri, significa non voler accettare l’interiorizzazione delle leggi del Regno, che sono la piccolezza, la commistione di puro e impuro.
Tre insegnamenti dalla pagina del Vangelo che leggiamo.
- Dio non interviene subito nella storia dell’uomo.
- E’ paziente. Aspetta. Ma alla fine il male sarà strappato ed eliminato.
- Non dobbiamo lasciarci sconvolgere dalla presenza del male nel mondo; dobbiamo sopportarlo ed avere fiducia insieme nella giustizia e nella misericordia del Signore. « I figli del Maligno », « quelli che commettono iniquità » non avranno riuscita. Occorre fare il bene con serenità e con la certezza che « i giusti splenderanno ».
Se nella vita degli uomini una medesima realtà può essere vissuta in maniera diversa a seconda delle capacità di ognuno, ma anche per le finalità che poniamo nel nostro agire, nel pensare, sognare in grande e, di conseguenza, operare per partecipare ad un grande progetto non significa illudersi. Se i grandi orizzonti, anche un po’ visionari, danno un senso al nostro agire concreto, bisogna, però, mettere in conto le difficoltà che si incontreranno lungo il cammino: far fronte allo smarrimento che può essere causato dalla derisione della gente, affrontare il disincanto di coloro che non condividono il nostro orizzonte, l’assenza di risultati immediati, ecc. Si raggiungono le grandi mete imparando a superare le difficoltà, le deviazioni, le contraddizioni che si incontrano lungo il cammino: esse si raggiungono con fatica e un percorso accidentato può far facilmente scoraggiare.
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GESÙ É IL DIVINO SEMINATORE CHE SPARGE LA SUA PAROLA NEL NOME DEL PADRE TRA GLI UOMINI.
16 LUGLIO-XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO(A).
GESÙ É IL DIVINO SEMINATORE CHE SPARGE LA SUA PAROLA NEL NOME DEL PADRE TRA GLI UOMINI.
La testimonianza concreta del Vangelo da parte dei discepoli di Gesù.
L’essere cristiani, più che una etichetta, ci impegna a vivere secondo lo stile di vita del Vangelo, seguendo Cristo che ci indica la via per condurre una vita secondo la sua mentalità. Si deve allora respingere ciò che è contrario a questo nome e seguire ciò che gli è conforme. Questa esigenza della testimonianza, con la forza dello Spirito, non si rende concreta solo parlandone o insistendovi nella Liturgia, ma vivendo concretamente questo stile di vita. La consistenza delle opere non sempre è adeguata alla insistenza con cui ne parliamo.
L’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, è stato dotato della libertà. Ma ci domandiamo: quale uso fa l’uomo della sua libertà nel suo rapporto con il Creatore? L’uomo può accogliere o rifiutare il dialogo e la parola con cui Dio lo interpella, anche se ciò è avvenuto attraverso il suo stesso Figlio, venuto tra noi. A seconda della disponibilità o indisponibilità dell’uomo, la Parola di Dio può portare il suo frutto nel cuore di chi l’accoglie: il seme è gettato, ma potrebbe andare disperso.
Nel Vangelo di oggi, la parabola del Buon Seminatore, se nella prima parte è messo in risalto il lavoro del seminatore, che sparge il seme, nella seconda parte viene sottolineato quale frutto matura nelle varie situazioni del terreno in cui il seme è sparso.
Nella Orazione di questa domenica preghiamo Dio dicendo: « O Padre, che continui a seminare la tua parola nei solchi dell’umanità, accresci in noi, con la potenza del tuo Spirito, la disponibilità ad accogliere il Vangelo, per portare frutti di giustizia e di pace. ».
Prima Lettura: Is 55,10-11
Isaia descrive la Parola di Dio come la pioggia e la neve, che scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, fecondata e fatta germogliare, così da dare il seme a chi semina e il pane a chi lo mangia. La parola del Signore esce dalla sua bocca e non ritorna al Signore senza frutto e senza aver operato ciò che egli desidera e per cui l’ha mandata. Questa parola ha in sé la potenza di operare ciò che Dio vuole, al di là di tutto ciò che l’uomo vi oppone o la ostacola. Se da una parte è necessaria l’accoglienza di essa e il viverla, realizzando ciò che Dio desidera, dall’altra bisogna nutrire la speranza che Dio compie ciò per cui l’ha mandata al di là di quelli che possono essere gli ostacoli che essa incontra nel cuore degli uomini.
Seconda Lettura: Rm 8,18-23
San Paolo, partendo dalla convinzione che le sofferenze della vita presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata, scrive ai Romani dicendo che tutta la creazione attende ardentemente ed è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio, perché Dio, per suo volere, l’ha sottoposta nella caducità, nella speranza che tutta sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà dei figli di Dio, alla maniera del Cristo risorto. E come questa creazione è paragonata ad una donna che attende, nelle doglie del parto, di dare al mondo una nuova vita, così anche coloro che possiedono le primizie dello Spirito di Cristo gemono interiormente aspettando l’adozione a figli e la redenzione del proprio corpo. Pur essendo già redenti si è ancora sottoposti alla caducità che ci procura tribolazioni, sofferenze di varia natura, che servono a purificarci e avere gradatamente la vita nuova dei figli di Dio. Lo Spirito che già agisce in noi ci libera, qui nel tempo della nostra vita, dal peccato, ma quando rinasceremo per il cielo, anche questo nostro corpo, unitamente al nostro spirito, godrà della gloria dei figli di Dio, divenendo conformi al Cristo risorto. L’accoglienza delle sofferenze, delle tribolazioni e delle rinunzie, nelle scelte della vita quotidiana per la realizzazione del vero bene, se ci fanno partecipare alla sofferenze di Cristo, in quanto sue membra, ci danno il germe della risurrezione
Vangelo: Mt 11,1-23
Gesù, seduto su una barca in riva al mare, racconta alla folla la parabola del seminatore, per farci comprendere come dobbiamo disporre il nostro cuore affinché la parola annunziata da Lui, (Parola del Padre venuto dal cielo), come l’acqua che discende dal cielo), venendo in noi, possa portare frutto e realizzare nel cuore dell’uomo la salvezza. Come il seme caduto nei diversi posti, lungo la strada dove viene beccato dagli uccelli, nel terreno sassoso dove non ha la possibilità di germogliare e avere profonde radici, in un terreno pieno di rovi che lo soffocano o nel terreno buono dove da frutto in varia misura del cento, del sessanta o del trenta, così, nel nostro cuore, a seconda delle condizioni in cui ci troviamo, questa parola può essere derubata; se ascoltata superficialmente e, pur accolta con gioia, non ponendo radici consistenti, le tribolazioni o le persecuzioni la fanno morire; può essere soffocata da preoccupazioni del mondo o dalla seduzione della ricchezza e non dare quindi frutto; può infine portare frutto più o memo abbondante, se la Parola trova buone condizioni interiori nel nostro cuore.
Tutti gli ascoltatori, a cui Gesù si rivolge annunziando la lieta novella del Regno, comprendono il significato della parabola, se agli apostoli Gesù ne spiega il significato?
Gesù, rispondendo ai suoi discepoli che gli chiedono perché parli alle folle in parabole, dice che mentre a loro è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, alle folle invece no, perché « guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono…», attuandosi cosi la profezia di Isaia che dice: « Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca ».
Così dice ancora ai discepoli che sono beati i loro occhi perché vedono e i loro orecchi perché ascoltano ciò che i profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che essi guardano, ma non lo videro, e ascoltare ciò che essi ascoltano, ma non lo udirono.
La Parola di Dio così come il seme può subire diverse vicissitudini. Essa realizza ciò per cui viene detta, solamente se il cuore di chi l’ascolta è disposto ad accoglierla generosamente. Se la sua accoglienza è incerta, disimpegnata, dubbiosa, incostante, non piena e libera, non può produrre gli effetti che vuole realizzare. Ascoltare, comprendere e produrre: è questo l’impegno che ogni uomo deve porre davanti all’annunzio della Parola di Dio.
Trascurare questo annunzio, averne paura significa soggiacere alla condanna di chi vuole ostinarsi nel male. Quello che Gesù disse allora agli Ebrei vale anche per la Chiesa di ieri e di oggi, per la comunità cristiana e per ognuno.
Gesù, che è il seminatore, nel narrare la parabola, ci permette di contemplarne il significato nella sua persona e nella predicazione che egli fa. Anche a noi Gesù ripete: « Chi ha orecchi, ascolti ». Cristo, nel nome del Padre, per sua libera iniziativa, semina la Parola del Regno che è dono elargito all’uomo, Parola rivolta a tutti senza distinzione di sorta.
Sembra, però, che l’opera della semina sia quasi fallimentare, se si pensa che solo nella quarta tipologia di terreno il seme porta frutto, mentre nelle altre tipologie il seme, pur spuntando, viene impedito nel suo sviluppo dalle situazioni del terreno e non per difetto del seme, che è sempre buono e capace di produrre.
Nei cuori degli uomini i quattro tipi di terreno non si trovano cosi nettamente connotati. Spesso il cuore di ognuno è un misto dei quattro tipi, o contemporaneamente o in tempi diversi. Fare in modo che il proprio cuore diventi terreno produttivo senza compromessi è il compito affidato a ciascuno, durante il cammino di purificazione lungo la propria esistenza. Siamo chiamati nel percorso della nostra vita spirituale ad evitare che il nostro cuore si indurisca, evitare che pur “sentendo non ascoltiamo, pur vedendo non vediamo e non comprendiamo”. E’ la lotta contro il Maligno che ruba la Parola; contro l’incostanza che non resiste alle tribolazioni; contro “le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza”. Saremo allora produttivi se faremo, con la grazia di Dio e la forza dello Spirito, germogliare il seme che ci è stato donato e lo faremo fruttare nella vita di fede e nella vita di orazione, anche dopo una inesausta lotta contro tutto ciò che vi si oppone.
ALLA SCUOLA DEL MAESTRO
9 LUGLIO – XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nella preghiera della colletta di oggi chiediamo al Signore dicendo: «O Dio, che ti riveli ai piccoli e doni ai poveri l’eredità del tuo regno, rendici miti e umili di cuore, a imitazione del Cristo tuo Figlio, perché, portando con lui il giogo soave della croce, annunziamo al mondo la gioia che viene da te ». La gioia che viene dal Signore, che si rinnova con la grazia che Dio ci dona nella domenica, pasqua settimanale della Chiesa, ci fa essere capaci di imitare Gesù, essere poveri, liberi esultanti anche nel portare la croce e di annunziarla a tutti.
La condizione di questa gioia è che dobbiamo essere « liberi dall’oppressione della colpa », dal giogo del peccato che, facendoci chiudere nel nostro egoismo, ci immiserisce sempre più. « Il giogo soave della croce », che ci sgombra il cuore, ci fa imitare Cristo nella sua « umiliazione », e quindi ci rende disponibili, proprio perché non saremo più attaccati a noi stessi, a portare « in ogni ambiente di vita la parola d’amore e di pace », il Vangelo che è annunzio ed esperienza di gioia pasquale.
Le letture della liturgia di oggi ci parlano di un Messia umile. Secondo le parole del profeta Zaccaria egli si manifesta al mondo cavalcando un asino. E’ Gesù il Messia, mite ed umile di cuore annunziato dal profeta, che chiama a sé gli affaticati e porta la salvezza del Padre.
Prima Lettura: Zc 9,9-10.
Il profeta Zaccaria invita la figlia di Sion, la figlia di Gerusalemme, ad esultare e giubilare, annunziando che il suo re, giusto e vittorioso, umile, cavalcante un asino, viene a lei. Egli farà sparire la guerra, l’arco di guerra sarà spezzato e verrà annunziata la pace alle nazioni. Il suo dominio sarà esteso fino ai confini della terra.
Non nella prepotenza o con le armi ma nella giustizia e nella pace si realizzerà la vittoria di Colui che Dio manda in Gerusalemme, poiché sarà un re mite ed umile, senza segni che appartengono alla mentalità terrena. La sua non sarà una regalità mondana, come l’aspettava Israele, saranno la mitezza, l’umiltà, la giustizia e la pace a trasformare gli uomini..
Sarà Gesù di Nazaret, che entra in Gerusalemme con questi segni, cavalcando un puledro, a realizzare questa profezia di Zaccaria e a portare la pace, la giustizia e la regalità di Dio, che non sono di questo mondo come dice Gesù a Pilato.
Seconda Lettura: Rm 8,9.11-13.
San Paolo scrive ai Romani, che essendo diventati figli di Dio attraverso il battesimo, animati dal suo Spirito appartengono a Cristo e non sono più sotto il dominio della carne, e li esorta a vivere secondo lo Spirito di Dio che abita in loro.« E se lo Spirito di Dio » continua « che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita an- che ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi ». Dunque, conclude, che non sono più debitori verso la carne per vivere secondo i desideri carnali che conducono alla morte, ma mediante lo Spirito devono far morire le opere della carne per avere la vita divina in loro.
L’appartenenza a Cristo dell’uomo, rinato dallo Spirito di Dio, gli assicura la risurrezione del suo corpo mortale a condizione che egli faccia vivere in lui le opere dello Spirito di Cristo. Liberato dal potere della carne, con la grazia che Dio gli offre, l’uomo può, dunque, vivere la vita divina e attendere, nella speranza, la risurrezione finale che lo introdurrà nella realtà eterna di Dio. Tutta la condotta del cristiano deve manifestare questa novità di vita secondo lo Spirito di Dio, attraverso i frutti dello Spirito che sono amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, come scrive ancora san Paolo ai Galati. Far morire le opere della carne non vuol dire far morire la vita nella sua corporeità fisica, ma quella vita di male che conduce alla morte spirituale.
L’uomo di carne è inteso, secondo il pensiero di san Paolo, non come corpo o nella sessualità, ma in tutta la sua realtà di fragilità, di debolezza, di condizione di schiavitù sotto il potere del peccato e in quanto si oppone a Dio, alla sua azione e alla sua signoria.
Il dominio della carne si manifesta quando la superbia, l’orgoglio, peccati difficili da riconoscere e più pericolosi, possono rivestirsi esteriormente di devozione e inducono l’uomo a ridurre Dio ad oggetto del proprio pensiero, manipolandolo, possedendolo e dominandolo, pervertendo così ledimensio-ni più nobili dell’animo umano.
L’uomo spirituale invece che è abitato dallo Spirito di Cristo, è colui che vive nel regno della grazia, che vive unito a Cristo, gli appartiene e Il Signore gli assicura la risurrezione con lui. La condotta del cristiano deve rivelare la presenza in lui dell’azione dello Spirito di Cristo e manifestare l’assoluta novità del suo modo di vivere.
Vangelo: Mt 11,25-30.
Gesù, nel brano del Vangelo di oggi, ringrazia e loda il Padre celeste perché, nella sua benevolenza, ha deciso di nascondere ai sapienti e ai dotti della terra i misteri del regno dei cieli, mentre li ha rivelati ai piccoli. Avendo il Padre dato a lui tutto, dice Gesù, nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui questi lo rivela.
Gesù ancora esorta tutti coloro che sono stanchi ed oppressi ad andare a lui per trovare ristoro; a prendere su di sé il suo « giogo » che è dolce e il suo « pe- so » leggero e ad imparare da lui che è mite ed umile di cuore, se si vuole trovare ristoro nella propria vita.
Nella relazione con Dio l’uomo spirituale riconosce che tutto gli viene per grazia e, nel percepire la sproporzione della gratuità, diventa cosciente del dono di sé che Dio, immeritatamente, gli offre.
In un contesto di rifiuto della rivelazione che Gesù fa e delle sue opere, la fede dei piccoli, degli umili, più che essere conquista deve essere libera risposta dell’uomo alla Parola che lo raggiunge, lo interpella e lo coinvolge e non orgogliosa presunzione di sapere su Dio, che si rivela ai semplici, ai piccoli e agli umili nella « sua benevolenza »(Mt11,26).
Chi è superbamente gonfio di sé, nei propri pregiudizi, nella propria bravura e nella propria illusoria giustizia, non riesce a comprendere il mistero di Gesù e della sua unità col Padre. Non riesce a conoscerlo e ad amarlo. La rivelazione di Gesù è concessa come grazia « ai piccoli », agli umili, aperti alla Parola di Dio. Questi, affidandosi a Cristo nei loro affanni, nella loro situazione di dolore, di disagio, di rifiuto da parte dei potenti, di prova, trovano serenità e pace.Nella ricerca teologica o nell’accogliere la rivelazione di Dio da parte di qualunque credente, è necessario un atteggiamento di umiltà, la consapevolezza della propria piccolezza in ragione della sproporzione che vi è fra lui e Dio. Il Vangelo non è un giogo che schiaccia, ma un sollievo per chi lo viva con sincerità e coerenza.
ALLA SCUOLA DEL MAESTRO
9 LUGLIO – XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nella preghiera della colletta di oggi chiediamo al Signore dicendo: «O Dio, che ti riveli ai piccoli e doni ai poveri l’eredità del tuo regno, rendici miti e umili di cuore, a imitazione del Cristo tuo Figlio, perché, portando con lui il giogo soave della croce, annunziamo al mondo la gioia che viene da te ». La gioia che viene dal Signore, che si rinnova con la grazia che Dio ci dona nella domenica, pasqua settimanale della Chiesa, ci fa essere capaci di imitare Gesù, essere poveri, liberi esultanti anche nel portare la croce e di annunziarla a tutti.
La condizione di questa gioia è che dobbiamo essere « liberi dall’oppressione della colpa », dal giogo del peccato che, facendoci chiudere nel nostro egoismo, ci immiserisce sempre più. « Il giogo soave della croce », che ci sgombra il cuore, ci fa imitare Cristo nella sua « umiliazione », e quindi ci rende disponibili, proprio perché non saremo più attaccati a noi stessi, a portare « in ogni ambiente di vita la parola d’amore e di pace », il Vangelo che è annunzio ed esperienza di gioia pasquale.
Le letture della liturgia di oggi ci parlano di un Messia umile. Secondo le parole del profeta Zaccaria egli si manifesta al mondo cavalcando un asino. E’ Gesù il Messia, mite ed umile di cuore annunziato dal profeta, che chiama a sé gli affaticati e porta la salvezza del Padre.
Prima Lettura: Zc 9,9-10.
Il profeta Zaccaria invita la figlia di Sion, la figlia di Gerusalemme, ad esultare e giubilare, annunziando che il suo re, giusto e vittorioso, umile, cavalcante un asino, viene a lei. Egli farà sparire la guerra, l’arco di guerra sarà spezzato e verrà annunziata la pace alle nazioni. Il suo dominio sarà esteso fino ai confini della terra.
Non nella prepotenza o con le armi ma nella giustizia e nella pace si realizzerà la vittoria di Colui che Dio manda in Gerusalemme, poiché sarà un re mite ed umile, senza segni che appartengono alla mentalità terrena. La sua non sarà una regalità mondana, come l’aspettava Israele, saranno la mitezza, l’umiltà, la giustizia e la pace a trasformare gli uomini..
Sarà Gesù di Nazaret, che entra in Gerusalemme con questi segni, cavalcando un puledro, a realizzare questa profezia di Zaccaria e a portare la pace, la giustizia e la regalità di Dio, che non sono di questo mondo come dice Gesù a Pilato.
Seconda Lettura: Rm 8,9.11-13.
San Paolo scrive ai Romani, che essendo diventati figli di Dio attraverso il battesimo, animati dal suo Spirito appartengono a Cristo e non sono più sotto il dominio della carne, e li esorta a vivere secondo lo Spirito di Dio che abita in loro.« E se lo Spirito di Dio » continua « che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita an- che ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi ». Dunque, conclude, che non sono più debitori verso la carne per vivere secondo i desideri carnali che conducono alla morte, ma mediante lo Spirito devono far morire le opere della carne per avere la vita divina in loro.
L’appartenenza a Cristo dell’uomo, rinato dallo Spirito di Dio, gli assicura la risurrezione del suo corpo mortale a condizione che egli faccia vivere in lui le opere dello Spirito di Cristo. Liberato dal potere della carne, con la grazia che Dio gli offre, l’uomo può, dunque, vivere la vita divina e attendere, nella speranza, la risurrezione finale che lo introdurrà nella realtà eterna di Dio. Tutta la condotta del cristiano deve manifestare questa novità di vita secondo lo Spirito di Dio, attraverso i frutti dello Spirito che sono amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, come scrive ancora san Paolo ai Galati. Far morire le opere della carne non vuol dire far morire la vita nella sua corporeità fisica, ma quella vita di male che conduce alla morte spirituale.
L’uomo di carne è inteso, secondo il pensiero di san Paolo, non come corpo o nella sessualità, ma in tutta la sua realtà di fragilità, di debolezza, di condizione di schiavitù sotto il potere del peccato e in quanto si oppone a Dio, alla sua azione e alla sua signoria.
Il dominio della carne si manifesta quando la superbia, l’orgoglio, peccati difficili da riconoscere e più pericolosi, possono rivestirsi esteriormente di devozione e inducono l’uomo a ridurre Dio ad oggetto del proprio pensiero, manipolandolo, possedendolo e dominandolo, pervertendo così ledimensio-ni più nobili dell’animo umano.
L’uomo spirituale invece che è abitato dallo Spirito di Cristo, è colui che vive nel regno della grazia, che vive unito a Cristo, gli appartiene e Il Signore gli assicura la risurrezione con lui. La condotta del cristiano deve rivelare la presenza in lui dell’azione dello Spirito di Cristo e manifestare l’assoluta novità del suo modo di vivere.
Vangelo: Mt 11,25-30.
Gesù, nel brano del Vangelo di oggi, ringrazia e loda il Padre celeste perché, nella sua benevolenza, ha deciso di nascondere ai sapienti e ai dotti della terra i misteri del regno dei cieli, mentre li ha rivelati ai piccoli. Avendo il Padre dato a lui tutto, dice Gesù, nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui questi lo rivela.
Gesù ancora esorta tutti coloro che sono stanchi ed oppressi ad andare a lui per trovare ristoro; a prendere su di sé il suo « giogo » che è dolce e il suo « pe- so » leggero e ad imparare da lui che è mite ed umile di cuore, se si vuole trovare ristoro nella propria vita.
Nella relazione con Dio l’uomo spirituale riconosce che tutto gli viene per grazia e, nel percepire la sproporzione della gratuità, diventa cosciente del dono di sé che Dio, immeritatamente, gli offre.
In un contesto di rifiuto della rivelazione che Gesù fa e delle sue opere, la fede dei piccoli, degli umili, più che essere conquista deve essere libera risposta dell’uomo alla Parola che lo raggiunge, lo interpella e lo coinvolge e non orgogliosa presunzione di sapere su Dio, che si rivela ai semplici, ai piccoli e agli umili nella « sua benevolenza »(Mt11,26).
Chi è superbamente gonfio di sé, nei propri pregiudizi, nella propria bravura e nella propria illusoria giustizia, non riesce a comprendere il mistero di Gesù e della sua unità col Padre. Non riesce a conoscerlo e ad amarlo. La rivelazione di Gesù è concessa come grazia « ai piccoli », agli umili, aperti alla Parola di Dio. Questi, affidandosi a Cristo nei loro affanni, nella loro situazione di dolore, di disagio, di rifiuto da parte dei potenti, di prova, trovano serenità e pace.Nella ricerca teologica o nell’accogliere la rivelazione di Dio da parte di qualunque credente, è necessario un atteggiamento di umiltà, la consapevolezza della propria piccolezza in ragione della sproporzione che vi è fra lui e Dio. Il Vangelo non è un giogo che schiaccia, ma un sollievo per chi lo viva con sincerità e coerenza.
ALLA SCUOLA DEL MAESTRO
9 LUGLIO – XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nella preghiera della colletta di oggi chiediamo al Signore dicendo: «O Dio, che ti riveli ai piccoli e doni ai poveri l’eredità del tuo regno, rendici miti e umili di cuore, a imitazione del Cristo tuo Figlio, perché, portando con lui il giogo soave della croce, annunziamo al mondo la gioia che viene da te ». La gioia che viene dal Signore, che si rinnova con la grazia che Dio ci dona nella domenica, pasqua settimanale della Chiesa, ci fa essere capaci di imitare Gesù, essere poveri, liberi esultanti anche nel portare la croce e di annunziarla a tutti.
La condizione di questa gioia è che dobbiamo essere « liberi dall’oppressione della colpa », dal giogo del peccato che, facendoci chiudere nel nostro egoismo, ci immiserisce sempre più. « Il giogo soave della croce », che ci sgombra il cuore, ci fa imitare Cristo nella sua « umiliazione », e quindi ci rende disponibili, proprio perché non saremo più attaccati a noi stessi, a portare « in ogni ambiente di vita la parola d’amore e di pace », il Vangelo che è annunzio ed esperienza di gioia pasquale.
Le letture della liturgia di oggi ci parlano di un Messia umile. Secondo le parole del profeta Zaccaria egli si manifesta al mondo cavalcando un asino. E’ Gesù il Messia, mite ed umile di cuore annunziato dal profeta, che chiama a sé gli affaticati e porta la salvezza del Padre.
Prima Lettura: Zc 9,9-10.
Il profeta Zaccaria invita la figlia di Sion, la figlia di Gerusalemme, ad esultare e giubilare, annunziando che il suo re, giusto e vittorioso, umile, cavalcante un asino, viene a lei. Egli farà sparire la guerra, l’arco di guerra sarà spezzato e verrà annunziata la pace alle nazioni. Il suo dominio sarà esteso fino ai confini della terra.
Non nella prepotenza o con le armi ma nella giustizia e nella pace si realizzerà la vittoria di Colui che Dio manda in Gerusalemme, poiché sarà un re mite ed umile, senza segni che appartengono alla mentalità terrena. La sua non sarà una regalità mondana, come l’aspettava Israele, saranno la mitezza, l’umiltà, la giustizia e la pace a trasformare gli uomini..
Sarà Gesù di Nazaret, che entra in Gerusalemme con questi segni, cavalcando un puledro, a realizzare questa profezia di Zaccaria e a portare la pace, la giustizia e la regalità di Dio, che non sono di questo mondo come dice Gesù a Pilato.
Seconda Lettura: Rm 8,9.11-13.
San Paolo scrive ai Romani, che essendo diventati figli di Dio attraverso il battesimo, animati dal suo Spirito appartengono a Cristo e non sono più sotto il dominio della carne, e li esorta a vivere secondo lo Spirito di Dio che abita in loro.« E se lo Spirito di Dio » continua « che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita an- che ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi ». Dunque, conclude, che non sono più debitori verso la carne per vivere secondo i desideri carnali che conducono alla morte, ma mediante lo Spirito devono far morire le opere della carne per avere la vita divina in loro.
L’appartenenza a Cristo dell’uomo, rinato dallo Spirito di Dio, gli assicura la risurrezione del suo corpo mortale a condizione che egli faccia vivere in lui le opere dello Spirito di Cristo. Liberato dal potere della carne, con la grazia che Dio gli offre, l’uomo può, dunque, vivere la vita divina e attendere, nella speranza, la risurrezione finale che lo introdurrà nella realtà eterna di Dio. Tutta la condotta del cristiano deve manifestare questa novità di vita secondo lo Spirito di Dio, attraverso i frutti dello Spirito che sono amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, come scrive ancora san Paolo ai Galati. Far morire le opere della carne non vuol dire far morire la vita nella sua corporeità fisica, ma quella vita di male che conduce alla morte spirituale.
L’uomo di carne è inteso, secondo il pensiero di san Paolo, non come corpo o nella sessualità, ma in tutta la sua realtà di fragilità, di debolezza, di condizione di schiavitù sotto il potere del peccato e in quanto si oppone a Dio, alla sua azione e alla sua signoria.
Il dominio della carne si manifesta quando la superbia, l’orgoglio, peccati difficili da riconoscere e più pericolosi, possono rivestirsi esteriormente di devozione e inducono l’uomo a ridurre Dio ad oggetto del proprio pensiero, manipolandolo, possedendolo e dominandolo, pervertendo così ledimensio-ni più nobili dell’animo umano.
L’uomo spirituale invece che è abitato dallo Spirito di Cristo, è colui che vive nel regno della grazia, che vive unito a Cristo, gli appartiene e Il Signore gli assicura la risurrezione con lui. La condotta del cristiano deve rivelare la presenza in lui dell’azione dello Spirito di Cristo e manifestare l’assoluta novità del suo modo di vivere.
Vangelo: Mt 11,25-30.
Gesù, nel brano del Vangelo di oggi, ringrazia e loda il Padre celeste perché, nella sua benevolenza, ha deciso di nascondere ai sapienti e ai dotti della terra i misteri del regno dei cieli, mentre li ha rivelati ai piccoli. Avendo il Padre dato a lui tutto, dice Gesù, nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui questi lo rivela.
Gesù ancora esorta tutti coloro che sono stanchi ed oppressi ad andare a lui per trovare ristoro; a prendere su di sé il suo « giogo » che è dolce e il suo « pe- so » leggero e ad imparare da lui che è mite ed umile di cuore, se si vuole trovare ristoro nella propria vita.
Nella relazione con Dio l’uomo spirituale riconosce che tutto gli viene per grazia e, nel percepire la sproporzione della gratuità, diventa cosciente del dono di sé che Dio, immeritatamente, gli offre.
In un contesto di rifiuto della rivelazione che Gesù fa e delle sue opere, la fede dei piccoli, degli umili, più che essere conquista deve essere libera risposta dell’uomo alla Parola che lo raggiunge, lo interpella e lo coinvolge e non orgogliosa presunzione di sapere su Dio, che si rivela ai semplici, ai piccoli e agli umili nella « sua benevolenza »(Mt11,26).
Chi è superbamente gonfio di sé, nei propri pregiudizi, nella propria bravura e nella propria illusoria giustizia, non riesce a comprendere il mistero di Gesù e della sua unità col Padre. Non riesce a conoscerlo e ad amarlo. La rivelazione di Gesù è concessa come grazia « ai piccoli », agli umili, aperti alla Parola di Dio. Questi, affidandosi a Cristo nei loro affanni, nella loro situazione di dolore, di disagio, di rifiuto da parte dei potenti, di prova, trovano serenità e pace.Nella ricerca teologica o nell’accogliere la rivelazione di Dio da parte di qualunque credente, è necessario un atteggiamento di umiltà, la consapevolezza della propria piccolezza in ragione della sproporzione che vi è fra lui e Dio. Il Vangelo non è un giogo che schiaccia, ma un sollievo per chi lo viva con sincerità e coerenza.