IL SIGNORE E' RIFUGIO DEGLI UMILI
6 LUGLIO – XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
« Donaci una rinnovata gioia pasquale »: è la preghiera di una colletta di oggi E infatti questa gioia che si rinnova è la grazia propria della domenica, pasqua settimanale della Chiesa.
Ma deve essere chiara la condizione di questa gioia: dobbiamo essere « liberi dall’oppressione della colpa », da quel giogo del peccato che ci chiude in noi e ci immiserisce sempre più. Tutto diverso è invece « il giogo soave della croce », che ci sgombra il cuore, ci rende « poveri, liberi ed esultanti », a imitazione di Cristo nella sua « umiliazione », e quindi disponibili proprio perché non più attaccati a noi stessi, a portare « in ogni ambiente di vita la parola d’amore e di pace », il Vangelo che è annunzio ed esperienza di gioia pasquale.
Le letture della liturgia di oggi ci parlano di un Messia umile. Secondo le parole del profeta Zaccaria egli si manifesta al mondo cavalcando un asino. E’ Gesù il Messia mite ed umile di cuore annunziato dal profeta che chiama a sé gli affaticati e porta la salvezza del Padre.
Prima Lettura: Zc 9,9-10.
La vittoria del Signore non è nella prepotenza, ma nella giustizia. Alla sua mite ed umile venuta scompaiono i segni e gli strumenti della guerra. I valori terreni sono capovolti: non contano le sicurezze della regalità mondana. Si trovano a valere l’umiltà e la giustizia.
Il re con queste prerogative è il Messia, e sarà Gesù di Nazaret , nel suo ingresso in Gerusalemme, a realizzare questa profezia e a essere motivo di gioia grande. Infatti porterà il Vangelo, annunzio e grazia gioiosa di liberazione.
Seconda Lettura: Rm 8,9.11-13.
La carne e lo Spirito: sono due mondi antitetici.
Il primo è l’uomo di carne, intesa non solo come « corpo » o « sessualità », ma in tutta la sua realtà di fragilità, di debolezza, di condizione di schiavitù sotto il potere del peccato e in quanto si oppone a Dio, alla sua azione e alla sua signoria.
Il dominio della carne si manifesta quando la superbia, l’orgoglio, peccati difficili da riconoscere e più pericolosi, possono rivestirsi esteriormente di devozione e inducono l’uomo a ridurre Dio ad oggetto del proprio pensiero, manipolandolo, possedendolo e dominandolo, pervertendo così le dimensioni più nobili dell’animo umano.
Il secondo è invece l’uomo spirituale, che vive nel regno della grazia, animato dallo Spirito, che inabita in lui e che lo unisce, lo fa appartenere a Cristo e gli assicura la risurrezione con lui.
Nella relazione con Dio l’uomo spirituale riconosce che tutto gli viene per grazia e, nel percepire la sproporzione della gratuità, diventa cosciente del dono di sé che Dio, immeritatamente, gli offre.
In un contesto di rifiuto della rivelazione che Gesù fa e delle sue opere, la fede dei piccoli, degli umili, più che essere conquista deve essere libera risposta dell’uomo alla Parola che lo raggiunge, lo interpella e lo coinvolge e non orgogliosa presunzione di sapere su Dio, che nella sua benevolenza, si rivela ai piccoli e agli umili: « Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza »(Mt11,26).
La condotta del cristiano deve rivelare la presenza in lui dell’azione dello Spirito di Cristo e manifestare l’assoluta novità del suo modo di vivere.
Egli fa « morire le opere del corpo »: non certo la sua realtà corporea e fisica, ma quella che è mossa dal male. Carne qui per Paolo e tutto ciò che si oppone a Cristo, al Vangelo, allo Spirito Santo.
Vangelo: Mt 11,25-30.
Chi è superbamente ingolfato in se stesso, nei propri pregiudizi, nella propria bravura e nella propria illusoria giustizia, non riesce a comprendere il mistero di Gesù. Non riesce a conoscerlo e ad amarlo. La rivelazione di Gesù è concessa come grazia « ai piccoli », agli umili, aperti alla Parola di Dio. Questi, affidandosi a Cristo nei loro affanni, nella loro situazione di dolore, di disagio, di rifiuto da parte dei potenti, di prova, trovano serenità e pace.
Nella ricerca teologica o nell’accogliere la rivelazione di Dio da parte di qualunque credente, è necessario un atteggiamento di umiltà, la consapevolezza della propria piccolezza in ragione della sproporzione che vi è fra lui e Dio.
Il Vangelo non è un giogo che schiaccia, ma un sollievo per chi lo viva con sincerità e coerenza.
Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
29 Giugno – Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Pietro e Paolo sono come i due apostoli emblematici e tra coloro che sono stati chiamati, per il ruolo fondamentale che hanno avuto nella Chiesa delle origini e nella storia della Chiesa universale, le hanno dato « le primizie della fede cristiana ».
Noi crediamo secondo il credo apostolico, ricevendo la loro testimonianza e le loro certezze, che sono sempre attuali nella Chiesa, ne formano la tradizione vivente. Ma osserviamo che Pietro e Paolo non furono testimoni di parole, ma a Cristo hanno consacrato la loro vita nel martirio, nel quale sono stati accomunati. La nostra fede deve essere apostolica anche per questa imitazione della vita e dell’esperienza degli apostoli.
I loro doni furono diversi, ma identica fu la passione e il loro fervore per Cristo e la dedizione per la sua Chiesa.
« Con doni diversi – proclama il prefazione – hanno edificato la Chiesa » e oggi, la stessa Chiesa, che li celebra con un’unica solennità, poiché uniti « in gioiosa fraternità » sono « Associati nella venerazione del popolo cristiano e condividono la stessa corona di gloria », prosegue la fede del pescatore di Galilea in Gesù e « Figlio del Dio vivente », cioè la confessione di Pietro, e il magistero di Paolo, che illuminò « le profondità del mistero » di Cristo. Entrambi, pur con le loro differenze culturali, per la storia personale e le vicende affrontate, per le animate polemiche riportate nel Nuovo Testamento, ( differenze che sono ricchezze per una più profonda azione missionaria, ma che devono essere conciliate dalla carità), partecipano all’annunzio del Vangelo.
La professione della fede in contrasto con l’idolatria.
La professione di fede di Pietro, che Gesù è « il Cristo e il Figlio del Dio vivente », riportata dal Vangelo ed espressa a Cesarea di Filippo, (territorio pagano lontano da Gerusalemme, abitato dagli Erodiani, opportunisti e asserviti al potere dei più forti, con l’idolatria del potere e con tutto il corollario di malefatte della famiglia degli erodiani), è significativa, dopo che Gesù ha posto ai discepoli alcune domande capitali: « La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? » (Mt 16,13); e ancora : « Voi chi dite che io sia? » ( Mt 16,15). Gli apostoli, al di là di quello che dice la gente, che egli è Giovanni il Battista, Elia, Geremia o qualche profeta ( tutti personaggi biblici collegati a Gesù ), non colgono della persona di Gesù il mistero e l’identità, realtà che, se possono essere compresi nel contesto della Scrittura, eccedono rispetto alle risposte date.
Oggi il Vangelo, come agli apostoli e a Pietro, anche a noi chiede chi sia Gesù per noi. Ognuno deve dare la propria risposta personale, che non vuol dire solo sapere ciò che dice il Catechismo di Gesù o inventarsi una nuova dottrina, ma partecipare interiormente e personalmente alla
Fede della Chiesa. Richiede un di più esistenziale che, se vuole la conoscenza della dottrina, ci chiede una più profonda e decisa adesione alla fede.
Il segno della nostra fedeltà agli apostoli è messo in luce nella preghiera dopo la comunione, dove chiediamo « di perseverare nella frazione del pane e nella dottrina degli apostoli, per formare nel vincolo della carità un cuor solo e un’anima sola ».
La fede come relazione vitale.
La fede, se comporta la conoscenza dei contenuti, è soprattutto un’ esperienza vitale. Come ogni relazione che non è mai statica, stabile, immutabile, ma è viva e si incarna in persone in carne e sangue, così tutti i credenti nel Signore, pur nelle differenze, devono esprimere la stessa fede, come Pietro e Paolo, che « con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa »( Prefazio).
Prima Lettura: At 12,1-11.
Per Pietro in carcere prega tutta la Chiesa, consapevole di ciò che Pietro significa per lei. L’apostolo perseguitato sta sperimentando che cosa vuol dire seguire il Signore ed essere pastore del suo gregge. Ma sente anche la forza liberatrice di Gesù, che lo restituirà alla comunità cristiana.
Seconda Lettura: 2 Tm 4,6-8.17-18.
Per Paolo, che è alla fine della sua vita, la fede è stata un’esperienza esaltante che lo ha accompagnato dal momento in cui Cristo lo ha chiamato sulla via di Damasco. Da uno sguardo retrospettivo essa gli appare una battaglia, una corsa, un impegno fedelmente assunto: « Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno » ( 2Tm 4,6-8). La sua fiducia totale è nel Signore, che darà la corona a lui e a tutti quelli che ne attendono la venuta con amore. La ricompensa che Paolo attende sembrerebbe una magra consolazione, ma è l’essenziale per ogni credente e, giunti alla fine della propria vita, per ognuno può essere più che sufficiente.
Vangelo: Mt 16, 13-19.
Per la perspicacia della sua professione di fede in Gesù, Messia, Figlio di Dio, Pietro viene eletto fondamento della Chiesa, sovraintendente che decide autorevolmente a nome di Cristo. Dietro di lui è Cristo stesso che opera, al quale la Chiesa appartiene. Gesù dice infatti « la mia Chiesa ».
Ultimo aggiornamento (Sabato 28 Giugno 2014 19:22)
Solennità del Corpo e Sangue di Gesù.
22 Giugno – Solennità del Corpo e Sangue di Gesù.
Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall' Egitto, averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore, come comunità, non può dimenticare la sua dimensione comunitaria, in cui la fede è vissuta e celebrata, specie nella Eucaristia, che è il « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto. Memoriale vuol dire non un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore. Celebrando l’Eucaristia noi offriamo il sacrificio della nuova alleanza, ripresentiamo l’immolazione della croce, dove Gesù s’è offerto, Agnello senza macchia. L’altare è anche la mensa della sua cena: vi attingiamo il cibo per il « viaggio della nostra vita », in attesa di essere ammessi al convito del regno eterno.
All’ altare ci riconosciamo fratelli, uniti in « assemblea festosa » a rendere grazie a Dio, che nel sangue di Cristo ci ha creato come suo popolo, legato nella medesima fede e dall’ identica unità e carità, rappresentate nell’ unico pane e nell’ unico calice. Nell’ Eucaristia riceviamo lo Spirito che scaturisce dal Corpo di Cristo e la purificazione di ogni colpa.
Tutto questo deve farci fugare i rischi di considerare la comunità in termini psicologici, o ridurla come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, per colmare situazioni compensatorie nelle proprie fragilità: una tale comunità rischierebbe di produrre un gruppo di immaturi che cercano un ovattamento alla vita; oppure percepire la comunità in termini sociologici, perché l’affermazione conciliare sulla Chiesa, come « popolo di Dio », è da intendersi in maniera teologica non sociologica, costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Infine bisogna evitare un ultimo rischio che è quello di considerare la Comunità come aggregazione per eventi o iniziative di tipo organizzativo, con poco dispendio di energie e con scarsa intensità di comunione spirituale.
Non si può parlare di comunità senza parlare di « comunione », come relazione spirituale e di amore fraterno, che lega sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti. La comunione trova il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo, e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo la prerogativa testé esposta realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che rimane dopo la celebrazione della Messa è presenza reale di Cristo, che avvera la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo del tabernacolo va la nostra adorazione e il nostro culto.
Prima Lettura: Dt 8,2-3. 14-16.
Nell’ arduo cammino del deserto, Dio non ha lasciato mancare al suo popolo il nutrimento. Provato dalla fame, quel popolo fu sostenuto da un cibo singolare, la manna, segno della provvidenza potente e amorosa di Dio.
Così come fu provvidenziale l’acqua straordinariamente sgorgata dalla roccia arida e dura. Veramente Dio non abbandona mai nessun uomo, fosse il più umile e piccolo. In particolare è vicino alla sua Chiesa con la provvidenza dell’Eucaristia.
Seconda Lettura: 1 Cor 10,16-17.
Prendendo parte al calice entriamo in comunione con il Sangue di Cristo; e spezzando e mangiando il pane eucaristico assumiamo il Corpo reale di Gesù. Dunque non si tratta di puri simboli, che accennano da lontano a Gesù: « L’Eucaristia è il Signore, che dona la sua vita per noi; in essa noi lo riceviamo veramente ». Ma l’Apostolo Paolo mette in particolare in luce una conseguenza: se unico è il pane che spezziamo, se unico, quindi, è il Corpo di Gesù, allora noi siamo intimamente uniti, gli uni agli altri.
Siamo molti: ognuno con la propria personalità, la propria fisionomia esteriore e interiore, la propria storia e il proprio temperamento, e tuttavia formiamo come un solo corpo. Non siamo reciprocamente estranei, ma intimamente uniti. Per questo ci dobbiamo amare. E’ il frutto e l’impegno dell’Eucaristia.
Vangelo: Gv 6,51-58.
La comunità del Signore si caratterizza per la comunione che i credenti in lui pongono attorno alla sua presenza, reale e non simbolica, nell’Eucaristia. Le sue parole, come leggiamo nel Vangelo di questa solennità: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui », ci dicono che l’assimilazione della carne e del sangue di Cristo, rendono presente Gesù nel credente e viceversa. Certo le parole “mangiare ” e “ bere ” non sono da intendersi in senso naturalistico, ma vanno intese in senso sacramentale, in quanto mangiare il pane e bere il vino, che per la potenza dello Spirito di Dio, sono trasformati nel Corpo e Sangue di Cristo, rendono presente in noi il Cristo-Dio, e sono “ segni efficaci ”, che compiono ciò che dicono. La partecipazione a questi segni sacramentali è partecipazione da parte nostra agli effetti della passione e al dono della pienezza della vita che Gesù ci comunica.
Adesso il pane che ci nutre, come credenti e come figli di Dio, è la carne, quindi la persona, di Cristo, il quale si offre per noi. Entriamo infatti in profonda comunione con il Corpo e il Sangue di Gesù. Solo così abbiamo la vita, quella vera, che non si logora e che non è destinata ad esaurirsi e a spegnersi. L’Eucaristia ci dona la vita stessa del Padre e del Figlio, Gesù. Grazie all’ Eucaristia e alla vita che in essa riceviamo, a differenza degli antichi ebrei, saremo sottratti all’ esperienza della morte, perché, sostenuti da questo nutrimento lungo il cammino terreno, possiamo giungere alla “ terra promessa ” del Regno celeste. Nell’ Eucaristia già riceviamo il germe della risurrezione e conformazione al Signore che ha vinto la morte. Concludendo, solo dalla comunione con Cristo viene la vera comunione nella comunità che le permette di essere, nell’ og- gi, profezia e annunzio del Regno futuro. Tutto il resto può rendere visibile la comunione nella comunità, ma se manca il centro, cioè Cristo, la Chiesa fallisce lo scopo per cui il Signore l’ha posto nel mondo.
Solennità della Santissima Trinità: Dio incontra l'uomo.
15 Giugno – Solennità della SANTISSIMA TRINITA’
Quello della SS. Trinità è il primo mistero principale della fede cristiana, rivelatoci da Dio. Noi professiamo la fede in un Dio uno e unico, in Tre Persone uguali e distinte, ma non separate. La Teologia cristiana, accogliendo la rivelazione che Dio ha fatto, ha cercato lungo i secoli di indagarne il mistero usando le categorie epistemologiche-conoscitive di ogni epoca, pur sapendo che, come scrive san Agostino nel libro "De Trinitate", vedendo sulla spiaggia del mare di Tegaste un bambino che con un cucchiaio tenta di svuotare il mare trasportandone l’ acqua in una buca, un mistero così grande non può essere pienamente compreso da una mente umana finita e limitata, nel senso di una limitatezza come coscienza delle proprie possibilità e impossibilità.
Alla Santissima Trinità – al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo – è sempre rivolta la nostra preghiera e il nostro rendimento di grazie. Non si tratta di un mistero astratto e lontano. Al contrario: ne possiamo parlare, e vi dedichiamo una festa tutta particolare, proprio perché questo mistero si è fatto vicino. E’ un mistero di relazione, di amore, comunione e intimità fra le tre Persone. La SS. Trinità è un Dio che costantemente si dona all’ uomo rendendolo partecipe di questa relazione, fino al punto di comunicarsi a lui. Il mistero di Dio si è aperto quando ci è stato inviato come nostro redentore Gesù, il Figlio stesso di Dio e quando ci è stato elargito « lo Spirito Santo d’amore », che ci ha riconciliato e santificato. Allora ci è stato rivelato « il mistero della vita di Dio ». La Trinità Santissima se sfugge alla nostra comprensione, tuttavia inabita in noi, è un’esperienza: un’esperienza ancora velata, ma « nella pazienza e nella speranza » siamo incamminati e tesi verso la « piena conoscenza » di Dio « amore e vita ».
Prima Lettura: Es 34,4-6.8-9
Il nostro Dio è un Dio per noi, per la nostra salvezza, Dio di misericordia, « ricco di amore ». Nella rivelazione che Dio fa di sé per la seconda volta a Mosè ridona le tavole della Legge, poiché una prima volta il popolo aveva deviato dalla fedeltà agli impegni dell’alleanza, quando si era dato all’ idolatria, prostrandosi in adorazione davanti al vitello d’oro, fatto da Aronne, e attribuendo ad esso l’opera della liberazione dall’ Egitto. Nonostante questa infedeltà, Dio, per intercessione di Mosè, perdona al suo popolo perché è « il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ ira e ricco di amore e di fedeltà » ( Es 34,6).
Ma Mosè sente Dio vicino e pieno di grazia, perché è un Dio che cammina in mezzo al suo popolo, che perdona le sue colpe,« anche se è di dura cervice ». Mosè davanti a Dio riconosce il peccato di tutto il popolo e chiede che lo scelga e lo tratti come suo possesso. Questa presenza divina raggiungerà la sua pienezza quando a camminare in mezzo a noi sarà lo stesso Figlio di Dio; quando all’ umanità, dal Padre e dal Figlio, sarà inviato come Dono lo Spirito Santo. Allora potremo capire la misura della pietà e della vicinanza di Dio: Trinità Santissima rivelata e comunicata agli uomini.
Seconda Lettura: 2 Cor 13,11-13
Nel saluto di Paolo – il saluto tipicamente cristiano – sono proclamate le Tre Persone divine della Santissima Trinità: il Signore Gesù, il Padre, lo Spirito Santo. Ma non come astratta enunciazione: del Figlio è ricordata la grazia che ci è elargita, del Padre è sottolineato l’amore, dello Spirito Santo la comunione. La Santissima Trinità si è dunque aperta nel suo mistero e si è trasmessa a noi con la venuta del Figlio, che ci ha redenti mediante il dono dello Spirito. Più che a riflettere per capire, siamo chiamati ad accogliere per amare, dal momento che le Tre Persone Santissime sono in viva relazione con noi, fino a dimorare nel cuore di chi è in grazia.
Vangelo: Gv 3,16-18.
Del dono di Dio all’ uomo ci parla Gesù nel suo colloquio con Nicodemo a cui svela il progetto di salvezza del Padre, che per sua iniziativa d’amore sovrabbondante, generoso e oblativo, manda il suo Figlio, consegnato per la salvezza del mondo. Questo mondo a volte si oppone a Dio, lo contrasta e rifiuta il suo amore, mentre altre volte, riconoscendo l’uomo il proprio stato di prostrazione, lo ricerca e si rivolge a lui. Nell’ insegnamento e nella rivelazione che Gesù fa di Dio il mondo è oggetto dell’amore di Dio che lo cerca e lo attira al suo amore.
Così abbiamo saputo di avere un Padre quando ci è stato inviato da Dio il Figlio Unigenito per la salvezza del mondo, la cui missione, frutto di questa iniziativa del Padre, è assunta e condivisa da Gesù perché potessimo avere la vita di Dio in noi. A questa iniziativa di Dio deve corrispondere da parte nostra l’accoglienza nella fede di questo Dono del Padre, nel quale riceviamo la salvezza; la fede nelle parole, nelle opere e nei gesti di Gesù; la fede come affidamento e fondamento della conoscenza del mistero di Dio. Il mistero del Padre e del Figlio appare così non come lontana e difficile verità, ma come partecipazione nostra alla vita di Dio. Né manca lo Spirito Santo, poiché la vita di Dio, portataci dal Figlio, viene in noi grazie allo Spirito Santo: e infatti noi nasciamo di nuovo, dall’ alto, per virtù dello Spirito, la Terza Persona della Santissima Trinità.
Lo Spirito vi renderà testomoni.
8 Giugno – Domenica di Pentecoste.
Lo Spirito vi renderà miei testimoni.
In questa solennità, che porta a compimento il mistero pasquale, per i credenti e per tutti coloro che lo accolgono, si realizza ciò che Gesù promise nell’ultima Cena, assicurandoci che non ci avrebbe lasciati soli, ma che avrebbe, salito al Padre, inviato Il Consolatore, lo Spirito di verità. Lo Spirito, in questa liturgia, ci invita a vedere l’opera di Dio nel mondo e ci illumina, esorta e ci da la forza di corrispondere al suo amore, portando ad una maggiore pienezza il cammino di fede. Questo giorno ricorda e attualizza, in ogni tempo e latitudine, la Pentecoste, il tempo nuovo della Chiesa, che accoglie lo Spirito e i suoi benefici effetti nella sua vita.
Così la Chiesa, corpo di Cristo, è sostenuta ed è fatta crescere dallo Spirito, meritato da Gesù in croce e inviato da lui risorto nel giorno di Pentecoste. Dove c’è lo Spirito là è presente il Signore e la comunità della nuova alleanza, a cui sono aggregati tutti i popoli; là è in atto il mistero pasquale. Come afferma il prefazio: « Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo ». In ogni sacramento agisce lo Spirito Santo. Ma lo Spirito è destinato ad inabitare dentro di noi come alito di vita, a essere il suggerimento e l’impulso alle nostre azioni.
Dobbiamo essere accesi dal fuoco di questo Spirito, che si alimenta ad ogni comunione col Corpo e Sangue del Signore, e che si rivela nella « carità ardente » di cui parla l’orazione sulle offerte della Messa vespertina. E’ così che lo Spirito rinnova il prodigio dell’unità che raccoglie gli uomini dispersi e che trasforma qualitativamente le nostre azioni, facendotjci agire secondo la volontà di Dio. E’ allora che egli ci consola nell’intimo.
Quando si parla della vita « spirituale » si intende una vita che abbia come maestro e come suggeritore lo Spirito Santo, che ridesterà i nostri corpi per la risurrezione. Non è una cosa complicata o eccezionale lasciarci condurre da lui. Dev’essere il fatto semplice e sereno – e pure tanto straordinario – di ogni giorno.
Ancora. Il significato dell’evento di Pentecoste è riassunto dalla colletta della Messa:« O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo ». E’ lo Spirito Santo che anima la comunità cristiana, che porta e rende efficace il Vangelo di Gesù Cristo, che ci inizia alla conoscenza del suo mistero. E’ lo Spirito che ci fa crescere nelle opere di giustizia , quelle che si compiono per la sua ispirazione ed energia dopo che ci ha rinnovato il cuore e lo ha reso giusto. La solennità di oggi – che conclude quel lungo e meraviglioso tempo pasquale che ci ha intrattenuto a meditare ed approfondire il mistero della morte e risurrezione del Signore – ci offre la prospettiva secondo la quale ormai dobbiamo vivere, ogni giorno dell’anno liturgico, l’impronta della morte e risurrezione del Signore, della vita nuova sorta dallo Spirito che ci conduce, ci fa agire e ci prepara alla conformità con il Signore risorto.
Prima Lettura: At 2,1-11.
I discepoli di Gesù sono stati obbedienti. Hanno atteso lo Spirito Santo promesso, che appare nel segno del fuoco e della parola: « apparvero lingue come di fuoco ». Venuto lo Spirito incomincia l’evangelizzazione , l'annunzio delle « grandi opere di Dio », che si riassumono nell’avvenimento della morte e della risurrezione di Gesù. Ciò che sorprende è che ognuno sente la gioiosa proclamazione nella propria lingua, pur essendo dei Galilei a parlare. L’insolenza della torre di Babele e il castigo della confusione sono vinti con la proclamazione del Vangelo. La fede, pur volgendosi a popoli, lingue, tradizioni diverse, crea l’unità, perché tutti sono chiamati a diventare figli di Dio. E’ il tema del prefazio: « la confusione che la superbia aveva portato tra gli uomini è ricomposta in unità dallo Spirito Santo ». Esaminiamoci se siamo cooperatori di unità o se invece fomentiamo la discordia; se, rompendo il cerchio che ci chiude in noi stessi, sappiamo uscire verso gli altri e quindi creare comunione.
Seconda Lettura: 1 Cor 12,3-7.12-13.
San Paolo descrive quali sono le funzioni dello Spirito Santo. La prima, e fondamentale, è che, sotto la sua azione, noi possiamo riconoscere che Gesù di Nazaret è il Signore, il Figlio di Dio risorto e glorioso. Lo Spirito Santo ci disvela l’intimo mistero di Cristo. Dall’unico Spirito poi derivano i vari carismi, i diversi doni della Chiesa: diversi come espressione ma tutti aventi, con la stessa origine, l’identico fine di edificare la comunità cristiana. L’apostolo quindi offre alla Chiesa i criteri per riconoscerli in ogni situazione: nessuno li possiede tutti, ma ciascuno ne possiede qualcuno. Il criterio più importante è che sono doni dati non perché servano alla nostra vanagloria, ma al « bene comune »: se edificano e fanno crescere la comunità sono dallo Spirito, come avviene delle diverse membra del corpo, con le svariate funzioni, tutte destinate al benessere del corpo; se invece dividono, frazionano, creano partiti e gruppi di pressione, se smembrano la comunità, non sono dallo Spirito. Non bisogna farsi affascinare troppo dai carismi più evidenti, perché possono esserci carismi grandi e importanti nell’ordinarietà della vita e che spesso vengono sottovalutati. Determinante è quello della fede: « nessuno può dire: “ Gesù è il Signore ”, se non sotto l’azione dello Spirito »( 1 Cor 12,3).
Con il Battesimo nell’identico Spirito formiamo « un corpo solo », dove le distinzioni sono secondarie.
Questa considerazione di san Paolo ci spinge a collaborare con generosità e con gratuità nella comunità cui apparteniamo, non guardando all’interesse o al ricavo personale come unico scopo del nostro lavoro; a mettere volentieri in comune i doni che Dio ci ha fatto; e a far contenti gli altri. Sono infiniti i modi con cui possiamo vivere la dimensione comunitaria della fede e della esperienza cristiana.
Vangelo: Gv 20,19-23.
Secondo Giovanni la stessa sera di Pasqua Gesù risorto effonde sui discepoli lo Spirito Santo. Ormai Gesù era stato glorificato, e quindi aveva il potere di effondere il Dono di Dio per eccellenza, il « primo Dono » ai credenti.
Questa effusione pasquale dello Spirito sugli apostoli e il racconto della Pentecoste, pur essendo episodi diversi, realizzano la promessa fatta da Gesù nella Cena: di non lasciarli orfani e di inviare lo Spirito. E se l’episodio pasquale, a porte chiese, vuole, con il dono dello Spirito, far allontanare dagli apostoli la paura e l’incredulità, assicurando loro la presenza costante di Gesù nella loro vita e in quella della comunità, la Pentecoste, rende presente il Dono per tutti gli uomini, che così potranno essere radunati da ogni parte del mondo in unità, esprimendo la molteplicità dei linguaggi con cui sarebbe stato annunciato e testimoniato il Vangelo della salvezza universale, operata da Gesù e attuata, per il ministero della Chiesa, dallo Spirito del Signore.
Gesù, con il dono della pace pasquale, augurata ai discepoli mostrando le sue piaghe, vuole mostrare che la via della passione, assunzione del male che affligge l’uomo, e della risurrezione, sconfitta totale e definitiva di esso, è il percorso che deve essere seguito per conseguire la pace vera, quella che solo lui può dare e non come la dà il mondo.
Augurando per la seconda volta la pace ed effondendo lo Spirito, Gesù vuole consegnare alla Chiesa il principio per la remissione dei peccati: come conseguenza della sua vittoria sul male, donare la pienezza di ogni benedizione divina e il potere di perdonare i peccati, perché il male, i conflitti e le tribolazioni non possono rendere inefficace la salvezza, che è dono e nella quale riposa la speranza cristiana. La Chiesa, quindi, è servizio dello Spirito per il perdono. Potrà anche non rimettere i peccati, quando manchi la conversione del cuore, senza della quale la porta allo Spirito rimane chiusa.
Gesù, soffiando lo Spirito e richiamando l’azione creativa di Dio della Genesi, instaura nei discepoli e nel mondo una nuova creazione, inaugurata dalla sua risurrezione, di cui godono e fanno parte per grazia tutti coloro che credono. Con lo Spirito donato inizia, come continuazione della sua, anche la missione della Chiesa, che si esplica nell’annunzio del perdono di cui ha fatto esperienza. Questa missione inizia con la Pentecoste, nuova effusione dello Spirito, quando gli apostoli parlano varie lingue e tutti i presenti odono e comprendono il messaggio da loro annunziato: unico e uguale nei secoli ma esprimibile in modo che possano comprenderlo, perché destinato a tutti, anche se ognuno dovrà sentirselo dire in modo a lui comprensibile. Spetta poi agli evangelizzatori essere creativi ed esprimerlo con modi e formule adeguate ai tempi.
Molti sono i modi con cui possiamo invocare e ricevere lo Spirito del Signore, ma dall’Eucaristia – sacramento del Corpo di Cristo – continua in particolare a esserci dato lo Spirito di Gesù. Nell’orazione dopo la comunione chiederemo: « la partecipazione alla tua mensa, o Padre, ci comunichi il fervore dello Spirito ». Del resto è lo Spirito Santo che rende presente Gesù Cristo nell’Eucaristia.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Giugno 2014 17:31)