





La Pentecoste: Gesù dona lo Spirito.
19 Maggio - Domenica di Pentecoste.
Gesù dona lo Spirito per la vita della Chiesa.
Il racconto della Pentecoste degli Atti degli Apostoli segna l’inizio della Chiesa e della sua missione. Luca ci racconta quanto è accaduto e anche che ciò che è accaduto è una realtà che coinvolge la vita delle comunità di tutti i tempi. Lo Spirito del Signore, da quel momento operante nella Chiesa, fa sbocciare l’amore per Cristo nel cuore dei fedeli. Lo Spirito genera nei credenti la comunione con il Padre, come Gesù aveva detto: « Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui ». La Chiesa, oggi, è chiamata a collaborare con lo Spirito per rinnovare il mondo attraverso l’annuncio e la testimonianza di coloro che sanno di essere salvati.
Dalla Pentecoste una nuova e definitiva alleanza.
Nella Pentecoste, festa della mietitura, divenuta successivamente festa della rinnovata alleanza del Sinai tra Dio e il popolo d’Israele, discende lo Spirito Santo che Gesù invia dal Padre dando inizio a una nuova alleanza realizzata da Gesù tra Dio e l’umanità.
Questo avvenimento collocato nel giorno della Pentecoste ebraica, indica che la nuova alleanza, nel nuovo popolo di Dio, la Chiesa, fa superare ogni barriera etnica e religiosa: vi erano, infatti, a Gerusalemme uomini di ogni nazione, e tutti comprendono nella propria lingua nativa ciò che gli apostoli dicevano ripieni dello Spirito Santo. La lieta notizia è compresa da tutti e nuova è ormai la comunicazione tra gli uomini, diversa da quella derivante da Babele.
Lo Spirito effuso permette agli uomini di comunicare l’esperienza del Cristo risorto. Lo Spirito, più che fare ciò che spetta a noi fare o dirci cosa dobbiamo fare, ci dà la forza e la possibilità di operare quanto noi dobbiamo fare e operare. Nella Pentecoste avviene un incontro tra i testimoni di un avvenimento: gli apostoli e coloro che sono presenti a Gerusalemme: uomini in cerca della verità. Lo Spirito permette che tra gli apostoli e questi è possibile comunicare; che la verità del Cristo, morto e risorto per tutti, può raggiungerli e, pur essendo diversi, renderli uniti in un nuovo popolo. Pur mantenendo, allora, la propria identità, cultura e diversità, è possibile comunicare la realtà della lieta notizia e partecipare della salvezza. La diversità diventa così una ricchezza e una rinnovata possibilità di collaborazione e di incontro.
Una comunità missionaria.
Se nella Babele antica regnava la divisione tra gli uomini, i quali erano incapaci di comunicare tra loro, nella Pentecoste, tutti, pur rimanendo nella diversità che li caratterizza, sono riuniti nella stessa fede nello stesso Signore. Ogni qual volta un gruppo di uomini e di donne, di adulti e giovani, di bambini vecchi, sono riuniti per ascoltare la parola di Cristo risorto, resa presente e operante dalla potenza dello Spirito Santo, la Chiesa ricomincia in una aurora continua. La Pentecoste invita ogni comunità cristiana a mettersi in stato di missione verso tutti gli uomini. Lo Spirito Santo dà ai cristiani, spesso paurosi, la forza di essere testimoni trasformati e convinti, pronti a riprendere il cammino del Cristo per continuare la sua opera di salvezza e di perdono, annunciando così il mondo ha sempre nuovi orizzonti da raggiungere e che camminare e lavorare per rendere l’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Ef 4,13b).
Per la crescita di tutti.
Lo Spirito dispensa ad ognuno dei doni che bisogna mettere a disposizione di tutti per il bene di tutta quanta la Chiesa, nella logica e nello spirito del servizio, della disponibilità, dell’accoglienza. Non tutti possono parlare nello stesso tempo, per esempio, perché mancherebbe lo spazio per l’ascolto. Non possono esserci doni per la rivalità o per l’oscuramento degli altri doni: tutti devono concorre al bene di tutta quanta la Chiesa di Cristo. Ognuno non può ritenersi tutto il corpo, né un servizio può pretendere di ricapitolare in sé tutti gli altri servizi, perché altrimenti la vita della comunità sarebbe minacciata e verrebbe smentita la logica del servizio. Con la Pentecoste la comunità è chiamata ad essere missionaria: in essa ogni credente riceve il dono di manifestare lo Spirito per l’utilità comune.
Prima lettura: At 2,1-11.
I discepoli di Gesù sono stati obbedienti. Hanno atteso la venuta dello Spirito Santo promesso, che appare loro sotto forma di lingue di fuoco. Con la venuta dello Spirito comincia l’annunzio delle grandi opere di Dio, che si riassumono nell’avvenimento della morte e risurrezione di Gesù. Ciò che sorprende è che ognuno sente la gioiosa proclamazione nella propria lingua pur essendo dei Galilei a parlare. L’insolenza della torre di Babele e il castigo della confusione sono vinte con la proclamazione del Vangelo. La fede pur volgendosi a popoli, lingue, tradizioni diverse, crea l’unità, perché tutti sono chiamati a divenire figli di Dio. La confusione che la superbia aveva portato tra gli uomini è ricomposta n un ità dallo Spirito Santo. Esaminiamoci se siamo operatori di unità o se invece fomentiamo la discordia; se, rompendo il cerchio che ci chiude in noi stessi, sappiamo uscire versi gli altri e creare comunione.
Seconda Lettura: Rm 8,8-17.
Non siamo più degli schiavi, ma figli di Dio; e infatti lo chiamiamo «Abba », «Padre ». Figli di Dio diventiamo perché riceviamo lo Spirito di Cristo, lo Spirito che ci fa appartenere a lui. Da questo Spirito deriva il principio, la garanzia, il pegno della risurrezione. La morte alla fine della vita è vinta. Certo bisogna vivere adesso secondo lo Spirito, non secondo la forma o il modello che è ancora quello, dice Paolo, della carne, cioè dell’uomo implicato e convivente col peccato. Se poi siamo figli di Dio, siamo eredi insieme con Cristo. Ci aspetta la gloria. Tutto il resto quaggiù passa; nessuna eredità rimane e ci dà piena soddisfazione. Anche le nostre sofferenze allora vengono illuminate: sono quelle di Cristo in noi, motivo quindi di gloria futura.
Vangelo: Gc 14,15-16.23b-26.
Il segno dell’amore a Dio non sono le parole e i propositi, ma le opere. Ossia: l’osservanza della parola di Cristo. Chi pratica i comandamenti riceve il Paràclito, anzi inabitato il lui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che, in particolare, viene inviato come colui che apre l’intelligenza a comprendere e a trattenere le stesse parole del Signore. E’ lui che rende vivo e fa conservare in noi il Vangelo.
L'Ascensione del Signore.
12 Maggio – Ascensione del Signore.
Il destino nuovo dell’umanità salvata da Cristo.
Il Cristo risorto ascende glorioso al cielo e alla destra del Padre intercede per sempre per l’umanità salvata. Oggi la Parola di Dio ci invita a lodare il Padre perché in Gesù, suo Figlio, è stato portato a compimento pieno il cammino terreno di Gesù e così gli uomini salvati, divenuti in lui sue membra, possono guardare a lui che li ha preceduti nella gloria del cielo e possono sperare un giorno di raggiungerlo.
Il racconto dell’Ascensione di Cristo con il suo corpo è una dichiarazione di fede in Lui risorto. Tutto oggi ci parla dello splendore con cui si è conclusa la vicenda terrena di Gesù, dalla sua incarnazione fino al momento di un nuovo inizio di vita in un’altra fase della storia della salvezza: quella eterna.
Gli angeli invitano anche noi a guardare in alto.
L’Antico Testamento, nel suo linguaggio simbolico, esprime nel « guardare in alto » le realtà di carattere superiore, mentre nel « basso » sono poste le imperfezioni della morte e della malattia che appartengono al regno degli inferi. Nell’immaginario degli antichi tutto poteva essere diviso fra alto e basso. Il rapporto dell’incontro tra l’uomo e Dio, allora, è posto in un piano verticale. Per cui Dio, nel suo Figlio, scende dal cielo per incontrare l’uomo e questo, in Gesù che risale al cielo, ascende a Dio, a conclusione del suo cammino terreno.
La vita dell’uomo non può essere solo un cammino in avanti nelle realtà terrene di progresso umano di benessere e tecnologico-scientifico, egli è chiamato a compiere anche un cammino verso l’alto, verso la piena realizzazione della sua vita, così come è avvenuto per Cristo, uomo perfetto, venuto a portare a perfezione piena l’umanità. L’Ascensione e la sua celebrazione, allora, come diceva san Leone Magno, ci ricorda e rinnova in noi la « speranza del nostro corpo » che per la potenza di Dio, nella risurrezione finale, sarà trasformato alla maniera di quello del Cristo risorto e glorioso. Il cristiano in questo evento vi trova la garanzia della vittoria sulla morte, il suo finale riscatto. L’elevazione, che l’uomo ricorda di Cristo, non è solo promessa di risurrezione per lui, è anche invito a compiere un cammino verso l’alto nella vita spirituale e nella comunione con Dio, realtà che saranno piene nella risurrezione finale.
Il vivere secondo lo Spirito di Dio, che san Paolo ci esorta a fare, non solo è «nascere dall’alto », ma anche camminare nello Spirito, accogliere e corrispondere come figli all’amore del Padre. Nella vita dello Spirito il credente fa l’esperienza del distacco dalle cose terrene, materiali, per ascendere a quelle di carattere spirituale; è chiamato a vivere nella speranza della risurrezione e a proiettarsi verso la gloria futura.
La vita nello Spirito, però, non può diventare per il cristiano un modo per alienarsi dagli impegni umani, terreni, sociali del- la sua vita quotidiana, che, anzi, questi devono, con la forza derivante da Dio, essere vissuti con maggiore impegno e pienezza, così da annunziare l’ « uomo nuovo » che Gesù ha re- staurato nella storia.
Se lo sguardo è verso l’alto, l’impegno è a camminare verso le realtà celesti.
Con l’Ascensione al cielo Gesù non si allontana dalla nostra umanità, ma questa va interpretata come una nuova presenza del Risorto, mediante il suo Spirito, nella Chiesa e tra gli uomini. Se da una parte i discepoli vedono Gesù ascendere al cielo, nel contempo sono invitati a continuare la sua missione nel mondo. I discepoli, dicono gli angeli, non devono adagiarsi a guardare colui che ascende, ma, piuttosto devono mettersi a continuare l’opera del loro Signore per le strade del mondo: « Perché, uomini di Galilea, state a guardare il cielo? ».
Guardare al cielo non significa essere inoperosi fino alla venuta del Cristo, perché bisogna attenderlo nell’impegno della testimonianza e nella sollecitudine della carità verso i fratelli.
Missione e profezia.
Se dall’Ascensione del Signore inizia la missionarietà della Chiesa, allora, illuminati dalla Parola di Dio, bisogna non solo rimotivare la chiamata a continuare la sua opera, ma anche a innovare lo slancio di nuove iniziative e progetti pastorali.
I cristiani, oggi, sono chiamati non tanto, e solo, a far di più o meglio, ma a sentire, guidati dallo Spirito di Cristo, a chiedersi quale sia il miglior servizio da rendere ai fratelli. Oggi, essi sono chiamati ad avere una chiara conoscenza della Verità di Cristo, ad essere missionari capaci di guardare più lontano di quello che lo sguardo comune può cogliere, ad interpretare gli avvenimenti alla luce di Dio, di saper comunicare lo splendore dei tempi ultimi, a cui oggi poco si pensa. Essere missionari e testimoni di Cristo vuol dire rendersi partecipi della storia, assumendo anche le proprie responsabilità politiche degli stati e delle loro istituzioni.
Prima Lettura: At 1,1-11.
Dopo che nei discepoli, durante i quaranta giorni dalla risurrezione, la fede nel Signore risorto ha preso sicura consistenza, Gesù sale al cielo. Non è un abbandono o una lontananza da loro, perché Cristo dalla destra del Padre, invia sui fedeli lo Spirito promesso ed essi, ricevendolo in pienezza, sono fortificati per rendergli testimonianza anche coraggiosa. E lo stesso Spirito che accompagna i discepoli nella loro missione. Essi infatti non devono restare inattivi aspettando la venuta gloriosa di Gesù. Non devono preoccuparsi di quando sarà la fine del mondo e il termine della storia. Durante poi questo tempo di attesa la testimonianza si manifesta specialmente nelle opere di fede e della carità, che esprimono il desiderio di riunirsi al Signore.
Seconda Lettura : Eb 9,24-28; 10,19-23,
Grazie al sangue di Gesù noi abbiamo aperta la via del cielo. Passiamo attraverso lui, « via nuova e vivente ». Da qui la nostra fiducia, la fortezza nella professione della fede, la fermezza della nostra speranza. E’ necessario un cuore sincero, purificato dall’acqua del battesimo. Nella vita, pur in mezzo alle preoccupazioni, non veniamo meno nella nostra certezza nella presenza di Gesù in mezzo ai suoi, e che, alla destra del Padre, intercede per noi.
Vangelo : Lc 24,46-53.
Lo Spirito del Signore nella Comunita di fede.
5 Maggio – 6a Domenica di Pasqua
Lo Spirito del Signore nella Comunità di fede.
La Comunità cristiana nata dalla Pasqua del Signore è una Comunità in cammino, in cui abita lo Spirito Santo che guida la Chiesa perché ricordi e comprenda nella fede la Parola di Gesù, così da rendere presente nella storia la salvezza del Signore.
Se nell’Apocalisse la Chiesa è presentata come realtà celeste, essa è però incarnata nella storia, e per questo la novità del cristianesimo deve essere adattata a tutte le situazioni pastorali concrete. Così è sempre lo Spirito che guidare la Chiesa: come avveniva nelle vicende delle comunità apostoliche così deve avvenire nelle situazioni presenti della storia della Chiesa.
La Comunità convocata dal Risorto.
La comunità, convocata dal Signore risorto è chiamata ad annunciare la lieta notizia della sua risurrezione. Col tempo, però, la Comunità deve affrontare le problematiche che si presentano concretamente e, nella lettura dagli Atti degli Apostoli, deve fare una scelta decisiva: davanti al problema suscitato da alcuni credenti venuti dalla Giudea i quali insegnavano che era necessaria la circoncisione per potersi salvare, Paolo e Barnaba furono inviati a Gerusalemme per discutere di tale questione con gli Apostoli. La Chiesa per essere comunità universale come avrebbe potuto proporre il Vangelo di Gesù alle culture e ai contesti religiosi diversi presenti nel mondo di allora e di sempre? L’assemblea riunita a Gerusalemme, dopo l’arrivo di Paolo e Barnaba, illuminata dallo Spirito del Signore dà la sua direzione di comportamento riguardo a quella questione.
Il problema teologico riguardante la possibilità di partecipare della salvezza ai numerosi pagani che aderivano alla fede senza ricevere la circoncisione e quindi far parte del popolo di Israele, è risolto perchè Dio ha dato lo Spirito Santo agli incirconcisi e « ha purificato con la fede i loro cuori » senza fare « fare alcuna distinzione ». D’altra parte opporsi a questa scelta fatta dallo Spirito avrebbe significato « tentare Dio » cioè mancare di fiducia nella sua scelta. Così Giacomo per permettere una coabitazione pacifica tra i giudeo-cristiani e fratelli di origine pagana, chiede a questi di rispettare alcuni divieti come « astenersi dalle contaminazioni degli idoli e dalla fornicazione, dalle carni di animali soffocati e dal sangue ».
Tutte le componenti della Comunità: gli Apostoli, gli anziani, l’assemblea a Gerusalemme nella scelta attuata vuole salvaguardare , da una parte, l’universalità del Vangelo e, dall’altra, l’unità della Chiesa. Il discernimento è attribuito alla Spirito Santo, che si è fatto presente attraverso il dialogo lungo e difficile: « E’ parso bene allo Spirito Santo e a noi » ( At 15,28).
La comunità in cammino verso la Gerusalemme celeste.
L’Apocalisse ci descrive, nella seconda lettura, la Gerusalemme celeste risplendente della gloria di Dio, fondata su basamenti che portano i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. in essa Dio e l’Agnello sono il tempio e la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello. La città non è fondata sulla legge ma sul Vangelo di Cristo. Le porte della città, aperte in ogni direzione indicano apertura e accoglienza perfetta.
Gesù, nel Vangelo di questa Domenica, offre delle indicazioni per vivere in pienezza la vita nuova nel cammino verso la Gerusalemme celeste. L’amore verso di Lui è presentato come il tempio in cui dimora la Trinità, che è l’esperienza nella propria vita della pienezza descritta nell’Apocalisse. Dopo la risurrezione il credente e la comunità possono fare affidamento sulla presenza dello Spirito Consolatore che ad essi « insegnerà ogni cosa e ricorderà tutto ciò che Gesù ha detto » e darà loro la forza di rendergli testimonianza. Li aiuterà a discernere in profondità le situazioni in cui potranno trovarsi. La comunità, anche se a volte esperimenta conflittualità al suo interno, potrà vivere nella pace se ci si amerà tra i suoi membri e si farà guidare dal suo Spirito, che convincerà i credenti della validità della via seguita da Gesù. Tutto questo è possibile se ci si mette in ascolto e memoria creativa delle parole di Gesù e si vigila per discernere ciò che viene dallo Spirito da ciò che è semplice proposta umana.
Prima Lettura: At 15,1-2.22-29.
Non sono più necessarie le pratiche imposte dalla legge di Mosè, come la circoncisione. Ci potranno essere ancora alcune norme da osservare per un po’ di tempo per non creare dissapori; ma ormai, con Gesù Cristo , la grande pratica sarà la carità, che ha come suo principio il dono dello Spirito Santo, quindi la grazia e la vita divina. La condotta cristiana ha dei comandamenti precisi, ma soprattutto bisogna che sia animata dalla novità dello Spirito, che rinnova l’intimo dei cuori.
Paolo e Barnaba hanno rischiato la loro vita per il nome di Gesù: Tutti lo devono fare, e singolarmente i vescovi e i sacerdoti, dediti come missione di vita al Vangelo e alla edificazione della comunità.
Gli Apostoli dicono « E’ parso bene, allo Spirito Santo e a noi ». Essi si sentono organi e strumenti dello Spirito. Non dei padroni, ma dei dipendenti. Noi ringraziamo il Signore che ha dato alla Gerarchia il dono dello Spirito Santo, così che come guida della comunità, della sua fede, della sua condotta, non può sbagliare, anche se essa può presentarsi con dei difetti umani e comuni.
Seconda Lettura : Ap 21,10-14.22-23.
Nella Gerusalemme celeste i segni esterni del culto, i templi, i sacramenti, i libri sacri, non sono più necessari. Essi sono necessari nella fase della Chiesa terrestre. In cielo Dio stesso e il Signore Gesù saranno immediatamente visibili e noi entreremo in comunione con loro senza mediazione di segni.
Ma già da adesso, quando celebriamo la liturgia, apriamo il libro delle Scritture, la nostra intenzione e il nostro desiderio è di raggiungere personalmente il Signore.
Vangelo : Gv 14,23-29.
In chi mette in pratica la Parola di Dio vengono ad abitare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Di conseguenza i discepoli di Gesù non devono lasciarsi prendere dall’ansia. Devono avere il cuore colmo della pace che il Signore ha promesso e ha donato. Innanzitutto principio e motivo di pace è lo Spirito, chiamato da Gesù « il Paràclito », il consolatore inviato a noi per i meriti e l’autorità di Cristo. Lo Spirito richiama alla memoria le parole di Gesù e introduce a capirle e a gustarle.
Il cristiano vive l’intimità dello Spirito: in tal modo è congiunto col Signore ed è portato alla comunione di vita del Padre.
Il cammino pasquale della Comunità.
28 Aprile – 5a Domenica di Pasqua.
Il cammino pasquale della Comunità,
Se vogliamo capire chi è Gesù, quale identità di Dio egli ci rivela, possiamo comprendere tutto questo attraverso la contemplazione del Crocifisso, che è la massima espressione con cui Dio ci ha amato, perché non ha risparmiato neppure il suo unico Figlio, in quanto lo ha dato per tutti noi. Se Dio, in Cristo Gesù, ci ha amati sino alla fine, l’amore autentico dell’uomo verso Dio lo ha manifestato Gesù, che ha avuto una fiducia totale nel Padre da spendersi completamente per noi).
L’amore di Gesù per noi ci è stato manifestato in un dono totale che egli ci ha fatto fino a farsi crocifiggere per noi. Quello di Dio, in Gesù, non è un amore del tento-quanto, ma è un dono totalmente gratuito e basta. Nella croce il cristiano trova il modello della sua risposta di amore a Dio, perché la croce gli manifesta quanto Gesù lo ha amato: si è donato fino alla follia, sebbene incompreso e abbandonato anche dai suoi intimi. Il suo dono incondizionato apre il cammino verso la reciprocità dell’amore da parte dell’uomo. La comunità cristiana nasce perché il Crocifisso è risorto e, mediante il suo Spirito, convoca coloro che si lasciano trafiggere il cuore dopo il racconto che Pietro fa degli eventi di Gesù. Quella di Cristo è l’unica strada che i cristiani devono seguire per realizzare una profonda reciprocità di amore con il loro Signore.
La Comunità si consolida
Se Domenica scorsa la Parola di Dio ci ricordava la sua efficacia nel portare i suoi frutti a tempo e a modo propri, nonostante il rifiuto che l’uomo può opporre, nella lettura degli Atti di oggi, attraverso le azioni di Paolo e Barnaba, che ritornano, attraversano,raggiungono, scendono, arrivano…non solo ci viene descritta la loro azione missionaria, ma ci viene detto della Parola che essa è una realtà dinamica che raggiunge gli uomini nella loro vita concreta.
Paolo e Barnaba, dopo aver fondato le comunità in alcune città, vi ritornano per « confermare i discepoli, esortarli a restare saldi nella fede », cioè a consolidare le Comunità del Signore essendo esse ancora comunità giovani e da poco fondate. In queste si viveva il paradosso del Regno di Dio inau-gurato da Gesù, regno che registra anche opposizioni interne alle stesse comunità: in esse è viva la tentazione di pensare che la presenza del Regno elimini le prove e le difficoltà della vita. Le tribolazioni invece sono presenti, in questa esistenza terrena, come normali prove che i discepoli del Signore devono affrontare e superare quotidianamente così da restare saldi nella fede lungo il cammino della vita verso il Regno promesso.
L’esistenza e la vita del cristiano è, allora, sempre sotto il segno della certezza che il Regno opera anche in maniere nascosta, come il lievito, ma vi è contemporaneamente la tentazione di credere che la potenza del Vangelo scavalchi la storia concreta è anche presente.
Affinché le Comunità possano perseverare e consolidarsi nella fede i due missionari costituiscono alcuni anziani, che, se è il tentativo di strutturare le comunità, dall’altra le dovranno guidare per non deviare dalla retta fede. Su di essi impongono le mani e li affidano alla protezione del Signore.
Così la loro vita e la loro azione devono appartenere esclusivamente al Signore ( nel loro servizio di capi essi devono essere sottoposti al Signore e porsi al servizio dei fratelli ). Inoltre, viene espressa la convinzione che la vera guida delle comunità resta sempre in definitiva il Signore. Vi è espressa la logica che nelle Comunità cristiane più che quella del potere, deve regnare quella del servizio come aveva detto Gesù, che era venuto per servire e non per essere servito. Questa del servizio dovrebbe distinguere le comunità cristiane da ogni altra organizzazione umana e sociale.
La comunione tra le Chiese.
Nel ritornare ad Antiochia Paolo e Barnaba raccontano « tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro ». E’ un fatto importante della missione che il missionario che è stato mandato, ritornando racconti la sua esperienza e ciò che la grazia di Dio opera negli uomini per mezzo loro. La narrazione della missione diviene cosi esaltazione dell’opera di Dio, delle grandi e mevigliose cose che Dio compie nella storia e non l’esaltazione degli sforzi compiuti dai credenti. I discepoli, ci narra Luca nel Vangelo, inviati da Gesù, ritornando raccontano pieni di gioia che anche i demoni si sottomettono a loro nel suo nome. Se si raccontano le opere dei missionari è per narrare ciò che Dio compie non ciò che l’uomo opera, perché quello che è accaduto è un dono di Dio e, poiché è dono, esso deve diventare lode a Dio e condivisione. Inoltre ciò che Dio compie in un luogo deve diventare un insegnamento per tutti ed edificazione della comunità che deve aprirsi alla presenza attiva di Dio. L’esaltazione della propria opera non sarebbe” la lieta notizia” ma solo celebrazione della propria vanità.
Prima lettura : At 14,21-27.
Paolo e Barnaba esortano i discepoli del Signore a « restare saldi nella fede ». Non mancano le tribolazioni che la possono mettere alla prova e in pericolo. Ma le sofferenze sono necessarie per entrare nel Regno di Dio. Le comunità fondate sono affidate agli anziani perché essi svolgano un servizio verso la comunità del Signore. Chi presiede non sostituisce il Signore Gesù, ma lo rende come visibile. Una Chiesa c’è e vive in virtù della grazia che sola genera la santità. Essa non è visibile, ma opera nell’intimo dei cuori.
Seconda Lettura : Ap 21,1-5.
La nostra vita non ci è data per viverla sempre su questa terra ma il Signore ci darà un nuovo cielo e una nuova terra. Verrà la santa Gerusalemme dove Dio sarà in intima comunione con gli uomini, dove ogni sofferenza scomparirà e passerà ogni lutto. E’ questo un ideale lontano, un sogno? Nient’affatto. Attraverso l’immagine del cielo e della terra nuova, delle cose di prima che passano e delle altre che sono fatte, ci viene detto che una nuova condizione ci attende, di cui non abbiamo ancora esperienza ma che svrà la pienezza della redenzione: la risurrezione di tutti in Cristo per essere partecipi della vita eterna.
Vangelo: Gv 13, 31-33.34-35.
Il vangelo ci parla della glorificazione di Gesù da parte del Padre, che viene così glorificato dal Figlio per la sofferenza e la croce che egli accetterà come compimento della sua volontà. Per l’uomo la croce è fallimento e ignominia: per il Signore e secondo il disegno di Dio essa è glorificazione. Con la croce Cristo redime il mondo: essa è strumento e passaggio per la risurrezione. Il comandamento nuovo che Gesù dà ai suoi discepoli è segno di appartenenza a Cristo e deve essere distintivo di coloro che vogliono seguirlo. Non possiamo non amarci dopo che Gesù sulla croce ci ha amato. E questo av-viene come risultato della comunione a quell’amore di Gesù che è presente e condiviso nell’ Eucaristia.
Dio ci fa dono della vita eterna.
21 Aprile – 4a Domenica di Pasqua
Dio ci fa dono nel suo Figlio della vita eterna.
Nella Parola di Dio di questa domenica il tema è la promessa della Vita eterna. Per tutti gli uomini, senza distinzione, vi è l’annuncio della risurrezione quale dono di speranza. Gli apostoli portano questo annuncio a tutte le genti e nel libro dell’Apocalisse ( 2a lettura) ci viene presentato il progetto di Dio per la storia: un’immensa moltitudine di quelli che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello è radunata davanti al trono di Dio e dell’Agnello. Il Pastore che ha dato la vita terrena per le sue pecore le ha unite per sempre a sé donando loro la vita eterna.
L’eternità, allora, possiamo immaginarla come l’unità in Dio di tutte le genti nella pace e nella luce della Verità di Dio. Questo futuro in Dio e il riconoscimento del dono della vita eterna di cui Dio ci fa partecipi caratterizzano ancora troppo poco la vita della Chiesa. Sperimentiamo, forse, con molta facilità il sentirsi legati a tradizioni e certezze del passato, piuttosto che sentirsi impegnati nello sperimentare linguaggi nuovi della fede, o nuovi cammini di testimonianza. L’essere aperti alla novità del Vangelo dovrebbe orientare le comunità cristiane verso la realizzazione di un mondo nuovo e rinnovato con la prospettiva dell’eternità. La Parola di Dio, oggi, ci preannuncia quale è il destino dei battezzati e li impegna a vivere attivamente e a costruire un mondo rinnovato nell’amore, preludio e anticipazione di quello futuro dell’eternità.
Rifiuto e accoglienza del messaggio di Cristo risorto.
Se la predicazione del messaggio di Cristo, da parte di Paolo e Barnaba, suscita l’accoglienza entusiasta dei pagati che se ne rallegrano da una parte, dall’altra vi è la gelosia e la reazione violenta dei giudei tanto da cacciarli dal loro territorio. Così i lontani accolgono l’annuncio e i vicini lo rifiutano.
La Parola di Dio che viene annunciata da Paolo e Barnaba convoca la folla, è glorificata dai pagani e si diffonde in tutta la regione. La Parola ha una tale forza in sé che porta frutti secondo una sua logica interna: questa indica il senso dell’apertura ai pagani, che come dice il profeta Isaia, è « luce » per tutte le genti e portatrice di « salvezza fino all’estremità della terra » (Is 49,6). L’annuncio della Parola del Vangelo , per il nuovo Testamento, ha una priorità da mantenere: deve essere prima portato al popolo eletto, depositario delle promesse di Dio, perché, accettando il Messia e mettendosi al suo servizio, esso potrà essere « luce delle genti » chiamandole a condividere a loro volta la salvezza realizzata da Dio. Di fronte al rifiuto, però, gli apostoli si rivolgono a quelli a cui questo messaggio deve essere ugualmente rivolto, affinché il disegno salvifico di Dio si compia per tutte le genti. L’apertura ai pagani, portando loro l’annuncio della salvezza, diventa la realizzazione del comando di Gesù di andare in tutto il mondo e di predicare a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati e di battezzarli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così la storia e l’opera di Gesù continua nella storia e nell’opera della Chiesa. Il compito di essere luce del mondo e salvezza dei pagani è passato ora in mano agli apostoli e a coloro a cui lo trasmetteranno: alla Chiesa tutta, ai discepoli che nella fedeltà a quell’annuncio continueranno l’opera di Gesù. Né d’altra parte le difficoltà e le persecuzioni spaventa-no i cristiani o arrestano la corsa della Parola di Dio: questa trae la sua forza e l’efficacia non tanto dall’accoglienza di coloro a cui è rivolta, ma essa è feconda in se stessa se la si accoglie con cuore pronto e sincero.
La fedeltà di Dio.
Il Vangelo ci offre la stessa prospettiva: coloro che accolgono la parola di Gesù sono da lui definiti con la similitudine del gregge, di cui Egli è il buon Pastore. Come il rapporto tra il pastore e il gregge è vissuto dal primo con fedeltà e amore, tanto da dare la sua vita per il secondo per difenderlo, e dal gregge a sua volta deve esserci l’ascolto e la sequela, così è da parte di Cristo e dei cristiani. Come il pastore è dalla parte delle pecore e queste non devono temere nulla, così Cristo « dà la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla sua mano ».
L’efficacia della Parola, la certezza che Dio accompagna l’agire dei credenti nonostante tutte le smentite e le avversità, la certezza di una storia che avrà la sua pienezza sotto il se- gno della benedizione di Dio devono farci superare qualsiasi titubanza nell’affidarci alla logica evangelica e nel vivere la nostra fedeltà a Cristo.
Prima Lettura: At 13,14.43-52.
C’è chi respinge la salvezza e chi invece l’accoglie, chi si chiude e chi si apre alla luce; chi bestemmia e chi è pieno di gratitutine e di gioia. Vediamo di stare con i secondi, di rallegrarci per essere cristiani e discepoli del Signore; di riflettere anche al dono che ci viene fatto, impegnandoci a « perseverare nella grazia di Dio ». Non è sufficiente aver ricevuto all’inizio la sal-vezza; occorre perseguire, vincendo le tentazioni della stanchezza e della mediocrità di fronte agli ostacoli nell’essere cristiano coerenti. Voler essere fedeli costa non poco, Ma Cristo per redimerci è morto in croce.
Seconda lettura: Ap 7,9.14-17.
Gesù è insieme agnello e pastore: agnello nel cui sangue sono lavate le colpe; pastore, alla cui guida si giunge alle « fonti del-le acqua della vita ». Giovanni apre uno squarcio sulla vita celeste: vi ritrova i martiri passati dalla tribolazione, puri dal peccato e ormai nella gioiosa comunione con Cristo. Tutti sia-mo chiamati a rendere monda la nostra vita, a essere fedeli a Cristo nella prova, a vivere la speranza ossia l’incrollabile certezza che alla sofferenza, alla passione, seguirà la consolazione. Così tutti siamo chiamati a questa gloriosa comunione.
Non c’è distinzione di razza o di lingua. Cristo è redentore e Signore universale. Intanto attingiamo alle acque della vita con i sacramenti e in particolare con l’Eucaristia, dove abbiamo il Sangue che lava e lo Spirito che disseta.
Vangelo Gv 10,27-30
Gesù chiama gli uomini alla salvezza: li conosce profondamente e dona per loro la sua vita. E’ il modo singolare con cui egli è pastore. Un legame profondo li unisce a lui e alla tenacia del suo legame nessuno li può strappare. Questa presenza del Cristo tra gli uomini, questa sua carità, rispondono al progetto di Dio che affida a Gesù l’umanità da redimere attraverso quest’intima unione. Ma Cristo, che ricevendola dal Padre lo proclama « più grande di tutti », è « una cosa sola » con il Padre , è lo stesso Dio. Questa appartenenza a Cristo e questa forza del vincolo di carità che a lui ci stringe sono il fondamento dell’abbandono e la ragione per cui non ci lasciamo disarmare da nessun evento e da nessuna disavventura.