COMMENORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI
2 Novembre – Commemorazione di tutti i fedeli defunti.
La preghiera e la comunione con i fratelli defunti.
Quando un padre, una madre, un familiare, un parente, un amico ci lascia definitivamente con la morte, al di là della sofferenza per la loro perdita, sappiamo che con il passar del tempo nulla cambia. Il vuoto lasciato rimane, perché nulla può restituirci le persone care, con loro affetti, gesti e sguardi d’amore, le loro tenerezza, la loro presenza vigile ecc. Spesso, davanti a morti premature o catastrofi naturali, rimangono i nostri interrogativi su questi eventi tristi e dolorosi. La domanda che sgorga dalle nostre labbra è: « Che senso ha un tale evento? ». La vita e la morte sono realtà davanti alle quali ogni giorno dobbiamo fare i conti.
Il mistero della morte illuminato dalla parola di Dio.
Davanti alla drammatica realtà della morte né le parole umane né le consolazioni che ci vengono offerte da parenti, amici o conoscenti sono sufficienti. Solo la Parola di Dio può darci una risposta che, pur non risolvendo il problema nella sua emotività, diede ai sapienti d’Israele il profondo convincimento che, oltre la morte, l’uomo deve attendere la salvezza che Dio dà. Il libro della Sapienza afferma con solennità: « Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà ». Questa certezza si fonda sulla fede in Jahvè, nella esperienza della fedeltà di Dio che non abbandona chi crede e spera in Lui.
E Isaia preannunzia le promesse di Dio, il quale « preparerà un banchetto per tutti i popoli ed eliminerà la morte per sempre… » e « farà nuove tutte le cose » (Ap ).
Per noi Cristiani, la risurrezione di Cristo, che non muore più e preannunzia la nostra risurrezione e la vita eterna che vivremo in Dio, testimonia che la morte non è l’esito finale della nostra esistenza, ma solo un passaggio. Paolo davanti alla realtà della morte esclama:« Dov’è o morte il tuo pungiglione ? Dov’è o morte la tua vittoria ?». Con la sua morte e risurrezione Gesù ha aperto il passaggio da questo mondo all'atro per tutti gli uomini, dando a tutti noi la possibilità di avere acces-so alla vita divina ed eterna in Dio.
Questa nostra fede non cancella né elimina gli aspetti misteriosi e dolorosi della morte, né la sofferenza del distacco dai cari che essa comporta, ma ci apre alla speranza e alla certezza che esiste una vita, un incontro per noi e per i nostri cari nella realtà dell’esistenza divina, con Dio e tra noi.
Dopo la morte si attua la vera nascita dell’uomo.
Secondo la Parola di Dio, per il cristiano, la morte è una nuova nascita: come l’uomo con la nascita viene espulso dal grembo per la vita terrena, così, attraverso la morte, egli viene espulso da questa vita terrena per una nuova vita, per una esistenza trasformata e misteriosa, che verrà vissuta in Dio. Questa nuova esistenza, che non è vissuta nel tempo e nello spazio, di cui non ne abbiamo esperienza, ci spaventa e incute timore. E’ il mondo di Dio con la sua pienezza di vita che darà piena soddisfazione all’uomo: nella risurrezione finale anche il nostro corpo, risorto, vi parteciperà senza più avvertire la sua dimensione corruttibile, ed esso non sarà più un limite nei rapporti con gli altri e con Dio.
La nostra vita non ci è tolta, ma trasformata. Il non morire sarebbe per l’uomo il non giungere mai alla sua piena realizzazione.
Nella morte cadono tutti i limiti della condizione terrena e si è liberi, in maniera definitiva, dalle nostre esperienze terrene, per ritrovare la nostra esistenza nella completa esperienza spirituale di Dio.
Per i credenti in Cristo, la nostra morte non è la fine, ma il fine con cui raggiungiamo la meta di una vita giunta nella sua pienezza. Il distacco dal mondo creato con la morte non è una disgrazia, ma una uscita dalla vita biologica e terrena, pur personale, per una esistenza che raggiunge la sua pienezza.
Con la celebrazione odierna celebriamo la nostra vita in Dio.
Dio realizza il suo progetto di vita e di beatitudine che ci promette rendendoci partecipi della sua divinità e della dimensione incantevole del suo amore: tutto ciò è dono gratuito di Dio, che ne dispone la modalità e i tempi. Tutto ciò che di bene, con la sua grazia e aiuto, noi siamo stati capaci di realizzare anche solo parzialmente, aprendoci al suo amore e all’amore verso gli altri, per la sua bontà, Dio lo porta a compimento, perché nulla è stato costruito invano, nessun gesto d’amore va perduto.
Tutto ciò che di bene nella vita terrena era provvisorio, davanti a lui che giudicherà la nostra esistenza, diventerà definitivo, e ciò avverrà quando egli dividerà le vite realizzate, per averlo riconosciuto e aiutato nei fratelli, da quelle fallite, perché non lo hanno né riconosciuto né amato negli altri.
La morte, che ci svela la provvisorietà dell’esistenza terrena in cui nulla è possibile vivere pienamente, ci apre una prospettiva in cui viene recuperato il bene compiuto per essere reintegrato nella dimensione infinita ed eterna di Dio. La preghiera per i nostri morti vuole impetrare da Dio che tutti coloro che sono stati a « Lui graditi », come dice San Paolo, per la sua bontà e purificati dalla sua misericordia, siano ammessi a contemplare il suo volto e a vivere nella piena comunione dei Santi, realtà a cui anche noi aspiriamo dopo questo esilio terreno.
Viviamo, quindi, questa commemorazione dei fratelli defunti non con la nostalgia di chi li pensa perduti per sempre, ma con la speranza di chi li crede viventi in Cristo, destinati alla risurrezione gloriosa con lui.
Oggi richiamiamo la morte nella luce della Pasqua di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione, fondamento della nostra speranza. Oggi affidiamo i nostri fratelli defunti alla misericordia di Colui che è morto in croce per la remissione dei peccati e per la nostra riconciliazione al Padre. Ma questo ricordo dei morti deve essere anche ammonimento salutare per noi che ancora viviamo: la vita passa in fretta, e le opere buone vanno compiute adesso. Poi viene il giudizio di Dio e, secondo la nostra condotta, ci verrà dato il premio o il castigo.
Prima Lettura: Sap 3,1-9.
La morte dei giusti non è tragedia senza scampo, dissoluzione per sempre: Dio li sostiene, li fa entrare nella sua pace e nella vita immortale. Le loro sofferenze, irrise dagli increduli, cono una prova che li purifica e che, sopportata con speranza, sarà motivo di gloria. C’ è in questo della sapienza la speranza di quanti vivono e muoiono nel Signore.
Seconda Lettura : Ap 21,1-5.6.7.
Attraverso l’immagine del cielo e della terra nuovi, delle cose di prima che passano e delle altre che sono fatte, sentiamo che una condizione nuova ci attende, di cui non abbiamo esperienza, ma che sarà la piena salvezza. E’ la condizione di quanti risorgeranno con Cristo per la vita eterna.
Vangelo: Mt 5,1-12
Gesù promulga, come un nuovo Mosè, la Legge nuova, che si apre con le Beatitudini. Esse sono la situazione di gioia per quanti si dispongono nello spirito del Vangelo, e quindi fanno la scelta della povertà, della mitezza, della giustizia, della misericordia, della purezza, della pace e che, pur nella sofferenza, non cessano di sperare e di essere fedeli.
Le Beatitudini sono l’antitesi dello spirito del mondo, rovesciano le attese e le valutazioni terrene.
Ultimo aggiornamento (Venerdì 12 Dicembre 2014 08:47)
SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI
La festa di tutti i santi si è diffusa nell’Europa latina nel secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi, anche a Roma, fin dal secolo IX.
Un’unica festa per tutti i Santi, ossia la Chiesa gloriosa, intima-
mente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi
è una festa di speranza: « l’assemblea festosa dei nostri fratel-
li » rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo
di Dio; ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la
santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordi-
narie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.
I Santi ci sono « amici e modelli di vita » ci dice san Bernardo e
noi dobbiamo desidera di raggiungere la loro compagnia, poi-
ci attendono e desiderano la nostra salvezza: la loro preziosa
presenza ci protegge e ci incoraggia.
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Nella vita di ogni giorno ci accorgiamo della fragilità, dei momenti di insuccesso, delle negatività che costellano la nostra vita, dei nostri limiti: tutte queste cose ci fanno sembrare la vita non riuscita.
Ma allora cosa rende questa vita riuscita? Siamo o possiamo essere migliori di quello che pensiamo di essere? Dobbiamo rassegnarci ai nostri fallimenti, ai difetti e ai vuoti della nostra esistenza? Possiamo sperare in una vita migliore per noi e per tutti solo per questa terra o
possiamo pensare e credere che, al di là di tutto questo, ci attende una esistenza in cui si trovano tutti coloro che oggi celebriamo: cioè i Santi, sia coloro che onoriamo nel calendario e sia quelli che hanno vissuto la loro esistenza nella fedeltà al Signore, in cui hanno creduto, pur nel nascondimento e con una testimonianza silenziosa?
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Il punto centrale della fede cristiana sta nella certezza di fede che la nostra vita e la sua riuscita dipendono da Dio. In varie esperienze religiose si pensa che si possa giungere ad una , se pur imprecisata, pienezza di vita e di pace attraverso un cammino di ascesi e di meditazione.
In alcune concezioni filosofiche di vita si pensa che attraverso uno sforzo di perfezione etica, che gli uomini possono imporsi, individualemte o comunitariamente, è possibile raggiungere una pienezza di vita, almeno nel cammino finale dell’umanità. Si pensa poi, ancora, da parte di altri, che le negatività dell’esistenza possono superarsi con la rassegnazione e che in ultimo arriverà il premio e la consolazione.
Nella religione ebraica, fondata sulla alleanza tra Dio e il popolo, Dio è colui davanti al quale si prova timore, riverenza e rispetto. Dio stesso comunica all’uomo la santità, chiedendogli di essere santo perché Lui è santo. E si raggiunge la santità con l’osservanza della Legge e le pratiche di purificazione e di religione, ma che spesso, come rimproverava Gesù al suo tempo ai farisei, erano vissute con mediocrità e esteriorità. Nella predicazione profetica veniva inculcato il convincimento che la santità e la riuscita della vita sarebbero state donate da Dio.
Con la venuta di Gesù, che porta lo Spirito di santità e lo comunica con la sua morte in croce, gli uomini che ha redenti vengono santificati. Ma con tutto il suo agire, con la sua parola egli manifestò la santità e la pienezza di vita: perdonò i peccati, guarì i malati e donò se stesso, amandoli fino alla fine. Egli, il Signore, il Santo e il giusto, invitò gli uomini ad essere santi come è santo il Padre dei cieli, e così partecipare pienamente alla vita divina, alla vita eterna che siamo chiamati a vivere in Lui. Poiché Dio è Santo, la pienezza di vita consiste nella santità donata da Dio, comunicata dallo Spirito nella morte e risurrezione del Cristo.
Chi sono i Santi che oggi onoriamo e ricordiamo?
San Paolo chiama « Santi di Dio » tutti coloro che battezzati e cresimati sono stati inseriti come membra del Corpo Mistico di Cristo. La nostra santità è una vocazione che non sempre viviamo pienamente per ora, ma siamo santi perché abbiamo la possibilità di vivere, con i doni e le qualità che Dio ha posto in noi, pienamente la comunione col Padre, attraverso il Figlio Gesù, nello Spirito del Padre e del Figlio.
Gesù nelle Beatitudini annuncia questo dono gratuito di Dio fatto a tutti, specialmente a coloro che non hanno nulla su cui possono contare ( poveri in spirito, afflitti, miti, ricercatori di pace e di giustizia ecc.). Dio è colui che è causa della nostra beatitudine e santità. Così, per dono suo, noi possiamo considerare la nostra vita riuscita, pur essendo, a volte, nella povertà, nelle sofferenze, nelle afflizioni e in ultimo anche nelle persecuzioni sofferte per il nome di Cristo.
Lungo la storia della Chiesa, in alcuni è riconosciuta una santità che può essere additata a modello per tutti, perché essi hanno dato disponibilità piena all’amore di Dio e alla dedizione ai poveri, sofferen-ti, emarginati. Questi sono ricordati nel calendario cristiano: quante madri di famiglia, persone consacrate a Dio nelle varie istituzioni, giovani e uomini di varie condizioni sociali, martiri per la fede, ecc.
Quando viene dichiarato « beato » o « santo » qualcuno, lo si fa per additarlo ad esempio e modello di vita per tutti coloro che sono in cammino di santità su questa terra. La vita di santità di questi fratelli è confermato esplicitamente dalla testimonianza concorde di coloro che li hanno conosciuti e sono stati raggiunti dalla loro luce di santità, attraverso segni, virtù, e miracoli che questi santi hanno impetrato da Dio.
Cammino di santità per tutti.
Come possiamo rispondere alla chiamata alla santità che Dio ci fa? Lasciandoci riempire e guidare dallo Spirito Santo attraverso la preghiera, i sacramenti e le opere di testimonianza nella carità, la giustizia,ecc
Così Cristo, attraverso la sua morte e risurrezione, agisce in noi, nell’oggi della nostra vita, e ci santifica. Facendoci coinvolgere dall’iniziativa di Dio, vivendo i sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, attuando le opere di misericordia verso i poveri, i sofferenti, gli ultimi, operando per la pace, la giustizia e la misericordia, vivendo con purità di cuore la nostra apertura a Dio e confidando in lui, nei momenti della persecuzione a causa della giustizia e del suo regno, noi operiamo nella fedeltà al Signore e viviamo un cammino fecondo di santità. Vivremo questo itinerario operando il bene, conducendo la nostra esistenza nella gioia, nella pace della coscienza e nella speranza che, nonostante tutto, Dio ci salverà; e se pur manca qualcosa alla nostra perfezione egli la colmerà e ci renderà conformi al suo Figlio, rendendoci santi come è santo lui. Il suo ultimo atto d’amore per noi sarà il sigillo definitivo alla nostra vita, che si concluderà con la nostra salvezza eterna.
Prima Lettura: Ap 7,2.4-9.14.
La moltitudine immensa che sta dinanzi all’Agnello in candide vesti e con la palma tra le mani rappresenta gli eletti, che, grazie al suo sangue, sono stati purificati e gli sono stati fedeli nella prova. Sono i battezzati, che portano il sigillo dell’appartenenza a Dio, ai quali nulla può fare del male.
Seconda Lettura: 1 Gv 3,1-3.
Partecipiamo alla gioiosa constatazione di san Giovanni: Dio ha avuto per noi un amore impensabile, al punto che non siamo solo di nome ma di fatto figli suoi. E lo siamo gia d’adesso, in virtù della vita divina, la grazia, che ci unisce a lui, anche se al’’esterno ancora non appare tutta la nostra dignità, anche se portiamo ancora i segni del nostro legame alla terra, anche se non mancano limiti e sofferenze. Però siamo in attesa della manifestazione completa del nostro essere, quando si rivelerà e si attuerà la conformità completa a Dio e quindi a Cristo, e vedremo Dio non più attraverso il velo delle cose create, delle immagini e delle parole, ma viso a viso. Questo è già avvenuto per i santi, che oggi festeggiamo.
Vangelo: Mt 5,1-12.
Gesù promulga, come un nuovo Mosè, la Legge nuova, che si apre con le Beatitudini. Esse sonla situazione di gioia per quanti si dispongono nello spirito del Vangelo, e quindi fanno la scelta della povertà, della mitezza, della giustizia, della misericordia, della purezza, della pace e che, pur nella sofferenza, non cessano di sperare e di essere fedeli.
Le Beatitudini sono l’antitesi dello spirito del mondo, rovesciano le attese e le valutazioni terrene.
Ultimo aggiornamento (Venerdì 12 Dicembre 2014 09:15)
L'amore a Dio e l'amore al prossimo.
26 Ottobre – XXX Domenica del Tempo Ordinario.
L’amore per Dio e l’amore per il prossimo.
Nell’ Eucaristia, banchetto eucaristico, con la fede noi crediamo che Cristo Gesù, nel pane e nel vino, si rende presente con il Corpo e Sangue, perché l’effusione da parte del Padre dello Spirito Santo invocato e le parole di Gesù ci danno fondamento e assicurazione che nei segni eucaristici egli ci ha dato tutto se stesso realmente, Corpo, Sangue, anima e divinità. e non solo significativamente.
Gesù, sacerdote, che si dà come cibo e si offre sacrificando la sua vita per noi, ci manifesta la tenerezza dell’amore del Padre e il dono gratuito dell’amore che dobbiamo, a nostra volta, vivere secondo lo spirito del Signore.
Nell’Eucaristia, ancora, possiamo con la fede sperimentare la misericordia del Padre che, nel suo Figlio Gesù, ci dona il perdono, ci riaccoglie con il figlio e alimenta così la nostra vita divina. Se non viviamo con questa fede, la celebrazione domenicale sarebbe per noi senza efficacia e monotona, fatta di soli nostri gesti, e non attingeremmo al dono che il Padre celeste ci fa: quello di essere trasformati nel suo Figlio.
Nella Colletta iniziale di questa domenica chiediamo al Padre celeste, egli che « fa tutto per amore ed è la più sicura difesa dei deboli e dei poveri», che ci dia un « cuore libero dagli idoli per servire lui solo e amare i fratelli », secondo lo Spirito di Gesù. Nella concretezza deve essere amato Dio, allontanandoci dai vari idoli che ci forgiamo lungo la nostra vita per servire solo lui, e il prossimo a cui, come ci dice il libro dell’Esodo, nella prima lettura, dobbiamo manifestare l’amore con azioni concrete, con scelte e predilezioni che siano espressioni di fraternità e di condivisione.
Prima Lettura: Es 22,20-26.
Il Signore al suo popolo chiede di avere verso il forestiero, la vedova, l’orfano, l’ indigente atteggiamenti ispirati alla pietà e all’ aiuto verso il prossimo, verso cui non bisogna esercitare né oppressione di vario genere o ridurre in schiavitù qualcuno, essendo tutti forestieri in questo mondo, né usura, imponendo interessi per un prestito o trattenere pegni, come il mantello di un povero, poiché esso è l’unica coperta che usa per coprirsi la notte. Il Signore ascolta ogni grido che queste persone rivolgono a Lui. Bontà, attenzione verso i più deboli, guardarsi dallo sfruttare i più poveri e diseredati, non approfittando di essi e della loro indigenza, difendere la loro dignità violata, denunciando ogni forma di criminalità, è ciò che Dio desidera dal suo popolo e dai suoi figli.
Seconda Lettura: 1 Ts 1,5-10.
San Paolo chiede ai Tessalonicesi di imitarlo così come si è comportato lui tra loro, secondo il su esempio e quello del Signore, avendo ascoltato e accolto la Parola, pur tra tante prove, e con la gioia dello Spirito Santo sono diventati modello per i credenti della Macedonia e dell’Acaia.
Essi, così, convertendosi, hanno cambiato la loro vita, credendo in Dio e alla sua Parola, servendolo e nutrendo la speranza di incontrare il Signore risorto. Accogliere la Parola di Dio con gioia anche in mezzo alle tribolazioni ed esserne testimoni gioiosi non è sempre facile; allontanarsi dai tanti idoli che ci andiamo costruendo (divertimenti ossessivi, attività e hobbies di vario genere…) per servire il Dio vivo e vero è certamente segno di una vera conversione al Signore.
Vangelo: Mt 22, 34-40.
Gesù, rispondendo ai farisei, dottori della legge mosaica, che gli chiedono quale è il più grande comandamento, risponde : « “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”» e vi aggiunge un secondo comandamento uguale al primo: « “ Amerai il prossimo tuo come te stesso” ». L’amore, dunque, per Gesù è la sintesi della Scrittura e tutta la legge e i profeti sono compendiati nell’ amore. L’amore a Dio, innanzitutto, e l’amore al prossimo sono come due binari su cui dobbiamo far muovere tutta la nostra vita. Dall’amore a Dio, se lo si vive veramente, deriva l’amore al prossimo, includendo ogni rapporto di amore e benevolenza non solo a livello coniugale, familiare e parentale, ma anche a livello sociale, aprendo il nostro cuore verso tutti, vicini e lontani, manifestando loro una carità concreta che si dimostra attraverso opere di fraternità e di aiuto. Gesù per primo ha realizzato questa duplice direzione dell’amore e nella croce vi è l’espressione più alta del suo amore al Padre, di cui ha compiuto fino in fondo la volontà realizzando il progetto di salvezza dell’uomo, e agli uomini, avendo messo tutta la sua vita come dono per la loro salvezza e redenzione.
Nel realizzare da parte del cristiano l’esempio mirabile di Gesù, egli umanizza mirabilmente se stesso. Un unico amore viene realizzato sia che sia rivolto a Dio sia che sia rivolto al prossimo. San Vincenzo de’ Paoli era solito dire che "sospendere la preghiera che si sta facendo per soccorrere il prossimo è ugual-
mente servire Dio". Se l’amore è pur un comandamento, un precetto morale deve essere accolto e vissuto liberamente, perché l’uomo, credente o meno, lo avverte nella profondità del suo essere e, praticandolo, realizza autenticamente la sua umanità. Il comandamento a Dio e al prossimo è nuovo, come lo ha dato Gesù ai suoi discepoli, se lo si vive alla maniera di Gesù, animati dallo Spirito del Padre e del Figlio.
Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio!
19 OTTOBRE – XXIX Domenica del Tempo Ordinario.
Nella storia dell’uomo il rapporto tra la sua libertà e la signoria di Dio è un poblema che attraversa tutte le generazioni e varie sono state le posizioni che ha assunto, perché se, da una parte, l’uomo non è uno strumento nelle mani di Dio, avendolo questi dotato di libertà, dall’ altra, il cristiano, guardando a Cristo, non può esiliare Dio dalla storia. Dio, fonte di ogni bene, a tutti gli uomini chiede di realizzare l’attuazione del bene e ne dà anche la forza, ma ad essi spetta di aderirvi accogliendolo liberamente. L’attuazione del progetto salvifico di Dio può subire interruzioni, progredire o regredire drammaticamente a seconda delle scelte che l’uomo liberamente pone in riferimento a tale attuazione ed è il peccato dell’uomo, che consiste nel rifiuto più o meno consapevole di collaborare con questo progetto, che ritarda la realizzazione della signoria di Dio nella storia.
L’obbedienza a Dio delle libere volontà degli uomini, anche quelle di coloro che svolgono il ruolo dell’autorità, deve condurre gli uomini ad agire in funzione del bene di tutti, secondo lo Spirito del Figlio di Dio, cosicché, ci fa pregare oggi la liturgia nella colletta, « tutta l’umanità intera riconosca Lui solo come unico vero Dio » . Il modello, quindi, che l’uomo dovrebbe seguire è l’obbedienza a Dio secondo lo Spirito di Gesù suo Figlio che, sacrificando la sua vita sulla croce, ha fatto la volontà del Padre e, in questa sua obbedienza, ha racchiuso tutti noi, se vogliamo partecipare della salvezza.
L’Eucaristia che celebriamo, oltre che attuare per noi tutte le volte che ne facciamo memoria quel sacrificio, ci è data come cibo e sostegno per imitare l’obbedienza del Figlio e così acconsentire al disegno di Dio in tutta la nostra vita, anche quando il cammino si fa arduo, faticoso ed esigente.
Essa è alimento alla nostra vita di figli di Dio. Da essa scaturisce anche l’impegno ad operare a favore dei fratelli, come Gesù, che è venuto per servire e non per essere servito o dominare, ma per donarsi ai fratelli.
Prima Lettura: Is 45,1.4-6.
Nell’ oracolo di Isaia viene riaffermata dal profeta la supremazia di Dio: « Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio ». E’ Dio che ha eletto Ciro, prendendolo per la sua destra, chiamandolo per nome, dandogli un titolo, rendendolo pronto all’ azione e liberatore , benché questi non lo conosca, per realizzare la sua volontà verso Giacobbe, suo servo, e Israele suo eletto, e far conoscere la sua potenza dall’ oriente all’ occidente, poiché « non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, e non ce n’è altri ». Ciro, che con il suo editto ridarà la libertà all’ esule Israele, sarà lo strumento a servizio nelle mani di Dio per compiere il disegno divino. Da ciò deve derivare la fiducia dell’uomo in Dio e noi, nonostante tutte le apparenze e le difficoltà in cui versiamo, non dobbiamo perdere la fiducia nel Dio vivo: nessun proposito di uomini o necessità può rendere vana o compromettere l’opera di Dio, poiché è in suo potere realizzare la sua volontà e come dice il detto di Bossuet:" Dio scrive dritto anche sopra le righe storte degli uomini".
Seconda Lettura: I Ts 1,1-5b.
Paolo scrivendo ai Tessalonicesi augura loro la pace e, ricordandoli nella preghiera, rende grazie a Dio « per l’operosità della loro fede, la fatica della loro carità e la fermezza e costanza della loro speranza nel Signore Gesù ». Tutto questo Paolo lo ritiene non tanto opera sua quanto della potenza di Dio e della forza dello Spirito Santo, che suscita nel cuore degli uomini l’agire e l’operare e l’adesione di ognuno alla sua volontà, perché tutte le forze e le componenti che costituiscono la comunità operino a beneficio di questa, per un servizio generoso ai fratelli, secondo il volere di Dio.
Vangelo: Mt 22,15-21.
Gesù, nel dialogo con i farisei che gli chiedono astutamente se « è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare », non vuole tanto elaborare una teoria politica o economica e, rispondendo con la solita franchezza, riesce a sorprendere gli interlocutori e a schivare la loro insidia di coglierlo in fallo.
Dopo essersi fatto mostrare la moneta che riporta l’ immagine di Cesare, egli non risponde né con un “sì ”, che l’avrebbe fatto apparire nemico del popolo oppresso, né con un “no ”, che l’avrebbe reso un sovversivo verso l’autorità imperante. Gesù dichiara, pur riconoscendo il debito da dare a Cesare, il quale con il tributo richiesto ottiene quanto gli compete per realizzare un governo, pur sempre limitato e desacralizzato, a beneficio di tutti, che va dato a Dio quello che è di Dio, a cui tutto appartiene. Così Gesù se depoliticizza l’immagine di Dio, che non può essere usato come strumento di potere, chiede agli uomini di accogliere il Vangelo che egli proclama e, poiché spetta solo a Dio il giudizio sul loro agire , in riferimento ad esso, essi devono adeguare il loro comportamento in tutto il resto. Se il cristiano, da una parte, è cittadino di questa terra, per cui non può non partecipare alla vita sociale e politica degli uomini, dall’ altra, concependo la storia come un cammino verso il Regno dei cieli, deve impegnarsi per realizzare il progetto di Dio che, dall'insegna- mento e dalla vicenda di Gesù, è diventato un impegno pregante per i suoi discepoli. Nelle situazioni di conflitto tra l’autorità di Cesare e le esigenze del Vangelo deve subentrare la mediazione della coscienza, che ci fa assumere la responsabilità personale delle proprie scelte. Pur non essendovi in questione la laicità dello stato, per il cristiano si pone la tensione costante del “come ” egli deve porsi, da credente, all' interno delle istituzioni, dando a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare, limitando questi se pretende di sostituirsi a Dio, e limitando coloro che in nome di Dio volessero porsi al posto dell’autorità di Cesare.
Il Signore si prende cura della sua "vigna".
5 OTTOBRE – XXVII Domenica del Tempo Ordinario.
Il Signore si prende cura della sua “vigna”.
Nella preghiera iniziale della Eucaristia di questa domenica ci rivolgiamo al Padre celeste perché « vegli incessantemente sulla Chiesa, che non abbandoni la vigna che egli ha piantato e che la coltivi e la arricchisca di scelti germogli, perché innestata in Cristo » che è la vera vite, cosicché porti abbondanti frutti di vita eterna. Così Dio nella sua misericordia non solo perdona agli uomini le loro colpe ma anche li arricchisce delle sue grazie e dei suoi doni. Dio esaudisce le nostre suppliche al di là di ogni nostro desiderio, di ogni merito e ogni aspettativa. Bisogna, allora, pregare con fede che, pur se piccola, è molto efficace.
Prima Lettura: Is 5,1-7.
Il popolo d’ Israele rappresenta la vigna del Signore. Egli la cura con amore, la protegge, la dissoda e vi pianta viti pregiate, la dota di una torre, di un tino e di tutto ciò che è necessario perché possa produrre buon vino. La risposta però a tanto amore da parte del suo popolo è una continua infedeltà all’alleanza, per cui invece della giustizia e della rettitudine crescono in essa « spargimento di sangue e oppressione dei poveri », cioè essa produce acini acerbi. Il Signore si attendeva che producesse uva dopo tutto quello che aveva fatto alla sua vigna. Anche da noi, popolo della nuova alleanza, innestati in Cristo, il Signore si attende frutti abbondanti, perché ci coltiva con la sua parola, che illumina il nostro operare, ci nutre con il Corpo e il Sangue del suo Figlio, ci sostiene con la forza del suo Spirito e ci colma di tutti i beni, doni e carismi, che servono perché possiamo portare molto frutto. Ma la nostra risposta non è, a volte, come quella di Israele? Come aveva Dio intenzione di fare con il suo popolo che, cioè, avrebbe tolto alla sua “vigna” ogni protezione, l’ avrebbe trasformata in pascolo, rendendola un deserto e luogo selvatico dove vi crescono rovi e pruni, non potrebbe fare lo stesso anche con noi? Il Signore non si aspetta, come era per il popolo d’Israele, anche da noi opere di giustizia e non di oppressione e diseguaglianze, di pace e non di divisioni e guerre fratricide, di benevolenza e non di odio? La storia potrebbe ripetersi anche con noi, per il nostro modo di vivere opulento e infedele in contrasto con l’amore infinito da parte di Dio per noi, poiché, spesso, siamo ingrati e ribelli ai suoi insegnamenti, ai suoi comandamenti?
Seconda Lettura: Fil 4,6-9.
In questo brano, Paolo, con per i Fiippesi, esorta anche noi ad abbandonarci a Dio, senza angustie, angosce o agitazioni, a presentare a lui le nostre suppliche, le nostre richieste e i nostri ringraziamenti con preghiera umile e filiale, fiduciosi che la pace di Dio ci custodirà nell’intimo del cuore e della mente, al di là delle nostre aspettative, nel suo Figlio Gesù. Ma da parte nostra è necessario che ricerchiamo e sia nei nostri pensieri tutto ciò « che è vero, che è nobile, quello che è giusto, che è puro, quello che è amabile, quelle che è onorato, ciò che è virtù e merita lode » e che le cose che il Signore ci fa conoscere, comprendere e vedere testimoniate da coloro che gli sono fedeli, siano messe in pratica da tutti quelli che vogliono seguirlo nella fedeltà e nell’amore. E’ un programma quello che, oggi, l’apostolo ci propone, per essere la « vigna del Signore, che si aspetta frutti abbondanti di fedeltà, di giustizia e di amore ».
Vangelo: Mt 21, 33-43.
Nella parabola della vigna del Vangelo di oggi, Gesù riprende tutto quello che il profeta Isaia aveva cantato di Dio in riferimento al suo popolo, di come l’aveva curato e amato. La vigna, cioè Israele, era stata affidata alla cura di vignaioli, sacerdoti, profeti e suoi inviati, che però non l’hanno coltivato e nella loro infedeltà, rendendosi indegni dell’elezione divina, hanno fatto i loro interessi e non hanno dato i frutti che Dio, padrone della vigna, si attendeva.
Anzi, bastonando alcuni profeti e uccidendone altri, cioè coloro che Dio mandava, e infine uccidendo il suo stesso Figlio, di cui non hanno avuto riguardo, si sono resi indegni del regno loro promesso, il quale sarebbe stato loro tolto e dato ad un « nuovo popolo che lo farà fruttificare », dice Gesù. Questo popolo nuovo è quello che è costituito nella nuova alleanza che Dio stipula con l’umanità rinnovata dal sacrificio del Cristo e nel suo Sangue.
Quella del rapporto tra Dio e Israele, ma anche tra Dio e i credenti, è una storia di ribellione e di rigetto del progetto di Dio, di cui neanche noi siamo a volte indenni, poiché in questa nuova realtà, dopo essere stati innestati in Cristo, edificati in lui pietra angolare, ciascuno di noi dovrebbe ma, a volte, non porta effettivamente frutto secondo il desiderio e il volere di Dio.