L'attesa del Signore come tempo per convertirci a Lui.
7 DICEMBRE - IIa DOMENICA D’AVVENTO.
L’uomo, dopo la colpa originale, non è stato abbandonato a se stesso, nella propria condizione di peccato, ma l’amore di Dio ha ridato all’ uomo la vita divina. Nel Natale noi ricordiamo e rinnoviamo la memoria della nascita di Gesù, che ci ha riportato nella condizione di essere in comunione con il Padre celeste. L’evento che ci apprestiamo a celebrare deve invogliarci a purificare il cuore e imparare a vivere con la « la sapienza che viene dall’ alto ».
Se manca questa disponibilità interiore, la festa del Natale sarebbe ancora una volta una occasione sprecata dietro la ricerca di situazioni più o meno estranee al vero senso del nostro coinvolgimento al mistero del Cristo, che si fa uomo per fare un meraviglioso scambio tra la nostra natura assunta da lui e la sua vita divina ridonata a noi.
Il Natale, allora, deve porci nella ricerca dei beni celesti. E Gesù, che nasce tra noi è il più grande bene che può venirci dall’ alto: è Dio che si fa piccolo per noi.
Nella preghiera della Colletta, chiediamo a Dio, che, agli uomini pellegrini nel tempo, nell’ attesa della terra e dei cieli nuovi, egli parli al loro cuore, « perché in purezza di fede e santità di vita possiamo camminare verso il giorno in cui manifesterà pienamente la gloria del suo nome ».
Prima Lettura: Is 40, 1-5.9-11.
Al popolo in esilio a Babilonia Dio annunzia per bocca del profeta che la tribolazione che lo affligge è compiuta, la sua pena è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati, la liberazione e il ritorno alla patria sono prossimi. Ma deve essere preparata nel deserto la via per la venuta del Signore, ogni ostacolo deve essere eliminato : « Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini la vedranno ». Con forza il profeta deve annunziare in Sion e alle città di Giuda la lieta notizia: « Ecco il vostro Dio! Ecco il Signore Dio viene con potenza … Ecco egli ha con sé il premio e la ricompensa lo precede. Come un pastore fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnelli sul petto e conduce dolcemente le pecore madri ». Anche noi siamo in esilio e in schiavitù per i nostri peccati e la sua venuta per gli uomini è motivo di gioia, perché da lui siamo liberati e radunati come un gregge attorno al Cristo. Il Natale ripete allora la grande gioia che l’ angelo augurò ai pastori: « vi annunzio una grande gioia, oggi è nato per voi un Salvatore: Cristo Signore ». Ma se rimaniamo nei peccati questo lieto annunzio non trova risonanza nei nostri cuori.
Seconda Lettura: 2 Pt 3,8-14.
L’apostolo Pietro esorta i cristiani, ricordando che il Signore verrà e non ritarda a compiere la sua promessa e, nella sua magnanimità, non vuole che nessuno si perda ma che tutti abbiano modo di pentirsi, a vivere « la propria vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno del Signore … noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia. Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia ».
Gli anni della nostra vita, per quanto possano sembrare molti, sono davanti a Dio come un soffio. Quasi non ce ne accorgiamo quando tutto è sereno mentre, nei momenti delle tribolazioni, invece, sembra che non passino mai. Per Dio, che è l’eterno presente, la sua venuta per noi è d’improvviso, come ci dice Gesù. Non lasciamo passare invano i giorni che egli ci concede nella sua magnanimità e pazienza, perché vuol darci il modo di pentirci e di non perderci. Non leghiamo troppo il nostro cuore, come se fossero eterne, alle cose terrene passeggere e che si consumano in un istante alla fine della nostra esistenza terrena. Dio ci prepara una stabile dimora nei cieli e che noi dobbiamo aspettare, vivendo, come ci dice san Pietro, nella santità della condotta e secondo la giustizia di Dio, senza colpa e senza macchia.
Vangelo: Mc 1,1-8.
Giovanni il Battista, profeta e precursore, annunzia la prossima venuta di Gesù nel deserto della Giudea e invita, con il suo esempio e la parola, i giudei a preparare il loro cuore per accoglierlo. In questo tempo di Avvento anche per noi risuona la sua voce che invita a « Preparare la via del Signore e raddrizzare i suoi sentieri », a cambiare la nostra mentalità, perché Gesù in questo Natale nasca nei nostri cuori. Se la nostra condotta di vita sarà più conforme a quella di Gesù, umile e povero, a quella di Giovanni testimone penitente, più caritatevole verso i fratelli, in cui Gesù si identifica, più dedita alla preghiera e scevra da egoismi e da superbia, allora il Natale sarà veramente una tappa della nostra vita in cui la pace che Gesù, principe della pace, ci porta, sarà l’esperienza più bella che potremo vivere nella nostra esistenza. Lasciamoci coinvolgere dallo spirito di Cristo e il mondo allora avrà cieli nuovi e terra nuova fin da questa terra.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Dicembre 2014 20:08)
L'ATTESA DEL SIGNORE CHE VIENE.
30 NOVEMBRE – PRIMA DOMENICA d’AVVENTO.
L’attesa del Signore che viene è segno e sacramento di salvezza.
Con l’Avvento inizia per la Chiesa il nuovo anno liturgico. I cristiano riprendono a meditare i misteri, i gesti della vita del Signore, dall’attesa alla nascita, alla vita pubblica, alla passione, morte e risurrezione e al tempo della Chiesa dalla Pentecoste alla fine dei tempi (Parusia).
Questi misteri del Signore non sono lontani nel tempo, sepolti nel passato. Quello che il Signore ha compiuto, il suo valore, la grazia della salvezza rimane ancora. Nella celebrazione liturgica dei misteri del Signore deve crescere in noi la nostra conformità a Cristo, Signore del tempo, il quale non tramonta e, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, celebrata di domenica in domenica, vi attingiamo la grazia della salvezza per vivere secondo il progetto che il Padre ha realizzato per mezzo del suo Figlio.
L’Avvento è il tempo dell’attesa del Signore che viene nel Natale, per cui dobbiamo prepararci spiritualmente alla sua venuta. Riascoltando la parola dei profeti che ci preannunzia questa venuta, riviviamo la speranza dei giusti; la fede di coloro che hanno accolto l’invito del Battista a preparare il cuore ad accogliere colui che sarebbe stato più grande di lui, di cui era precursore; ci uniamo a Maria e Giuseppe, chiamati da Dio Padre ad accogliere il suo Figlio, mandato, nel suo immenso amore per gli uomini, a redimerci da peccato, renderci suoi figli donandoci con la grazia la vita divina: bisogna, allora, liberare i nostri cuori dagli ostacoli che si frappongono alla sua venuta.
Il Signore, nato umile e povero a Betlemme, viene in noi continuamente tutte le volte che apriamo il nostro cuore al suo amore, alla sua Parola, ai suoi gesti sacramentali. Ma in questo tempo dell’Avvento rendiamoci più attenti, vigilanti, per non lasciar passare invano questo tempo in cui il Signore bussa alla porta dei nostri cuori e ci invita a rimanere con lui. Nella preghiera più intensa, vigile e attenta saremo più pronti ad accogliere il Signore che viene e ci offre la sua amicizia.
In queste prime domeniche, la liturgia ancora ci fa ripensare alla venuta di Gesù come giudice che varrà alla fine dei tempi quando la storia sarà conclusa, il cammino della Chiesa giungerà alla meta e la speranza del premio eterno cesserà. Ma poiché per ognuno di noi l’incontro con Cristo avviene nel momento della nostra morte, viviamo in questo nostro tempo non praticando scelte sbagliate. Scuotiamoci dal nostro torpore, accogliamo l’invito dell’Apostolo Paolo a svegliarci dal sonno, a riprendere il cammino di fedeltà, con le lampade della fede, della speranza e della carità accese e con il vivo desiderio di incontrarlo, così da non farci sorprendere impreparati.
Prima Lettura: Is 63,16-17.19; 64,2-7.
Il profeta Isaia rivolge al Signore l’implorazione affinché Egli, che è Padre si chiama Redentore del suo popolo, scenda, squarci i cieli e non lo lasci più vagare lontano dalle sue vie né che si indurisca il suo cuore. Il profeta rievoca ancora le gesta compiute dal Signore per il suo popolo, ma soprattutto che egli abbia fatto tanto per chi confida in lui, che vada incontro a coloro che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle sue vie. Riconosce che il Signore è adirato per le colpe commesse, per essere stati ribelli, per essere divenuti come cosa impura non avendo praticato la giustizia e non avere invocato il suo nome. A questa supplica accorata, Dio, che ha nascosto il suo volto e messo il popolo in balia delle sue iniquità, risponde con il sorprendente dono del suo Figlio, che si fa uomo. E tutto ciò fa Dio non per i nostri meriti ma, essendo nostro Padre e noi, “argilla”, opera delle sue mani, per un dono d’amore e di grazia, riconciliandoci con sé e riportandoci a vivere in comunione con lui.
Seconda Lettura: 1 Cor 1, 3-9.
San Paolo scrivendo ai Corinzi, dopo aver augurato pace e grazia da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo, ringrazia Dio perché li ha « arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e della conoscenza ». Ed essendo stati stabili e saldi nella testimonianza della fede e poiché ad essi non manca nessun carisma fino alla manifestazione del Signore, chiede a Dio che li renda fino alla fine irreprensibili.
Poiché in Cristo tutto il Padre ci ha donato, tutti dobbiamo vivere e conservare fedelmente l’amore e i doni da lui elargiti, mettendo in pratica il Vangelo, così da essere trovati irreprensibili nel giorno in cui il Signore verrà a giudicarci.
Vangelo: Mc 13,33-37.
Gesù esorta tutti coloro che vogliono essere suoi discepoli ad essere fedeli e operosi, come i servi che il padrone di casa ha lasciato, affidando ad ognuno un compito da assolvere con diligenza e impegno e al portiere quello di vegliare fino al suo ritorno. Non sapendo i servi né il giorno e né l’ora in cui il padrone improvvisamente ritornerà, essi devono vegliare per non essere trovati addormentati. Dalle parole del Signore, che affida od ognuno dei compiti per la realizzazione del Regno di Dio, dobbiamo accogliere il suo pressante monito con cui si conclude la parabola odierna: « Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate! », ovvero: « Tenetevi pronti! ».
A V V E N T O 2014
Nell’attesa del Signore Gesù che nasce nel Natale per noi disponiamo i nostri cuori ad accoglierlo degnamente nella preghiera, nella sua Parola, nei santi misteri della fede e nella carità fraterna e operosa verso i fratelli nei quali egli si identifica.
Eccovi alcune proposte emerse nel Consiglio Pastorale Parrocchiale:
1) “AVVENTO IN COMUNITA’:
NOVENA DELL’IMMACOLATA: 29 Nov.-7 Dic. – ore 18.30
Durante i giorni feriali, nella Santa Messa vivremo una breve riflessione
sulla Parola di Dio del giorno, e dal 16 al 24 Dicembre, sarà celebrata
la Novena del Natale, alle ore 18.30.
2) “NATALE NELLE NOSTRE FAMIGLIE ”:
Le famiglie che vogliono partecipare alla iniziativa, realizzando il presepe
in casa con il possibile coinvolgimento dei membri della famiglia, saranno
visitate, in uno dei giorni che saranno indicati entro la Festa dell’Immaco-
lata, da alcuni adulti, così da celebrare la Novena, con preghiere e canti
natalizi, auspicando la possibile presenza di parenti, amici, vicini.
L’Ora dell’incontro sarà concordato con le famiglie interessate.
Alla fine sarà dato al Presepe, che sarà giudicato per il suo aspetto artisti-
co più significativo, un riconoscimento simbolico, e agli altri un piccolo pen-
siero natalizio.
3) “ NATALE CON I FRATELLI AMMALATI ”:
Le famiglie in cui si trovano fratelli o sorelle ammalati, nei giorni preceden-
ti il Natale o dopo, se è gradito e dietro previo appuntamento, verranno
visitati da adulti per un momento di preghiera e per un gesto di fraterna
vicinanza.
4) “NATALE DI FRATERNITA’ E DI GENEROSITA’ ”:
Durante tutto l’Avvento e il Natale, apriamo il nostro cuore alla Carità e
alle famiglie in necessità che sono tra noi deponendo davanti al Presepe,
nelle celebrazioni domenicali, i nostri doni in natura o in qualunque modo
ognuno riterrà di essere presente.
SOLENNITA' DI CRISTO RE DELL'UNIVERSO.
23 Novembre – SOLENNITA’ DI GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO.
Dio si prende cura del suo gregge, della nostra umanità
(Giornata Nazionale di sensibilizzazione per il sostentamento del clero)
Gesù, davanti a Ponzio Pilato che gli ha chiesto se fosse re, rispose di esserlo, ma il suo regno e la sua regalità non erano di questo mondo. Gesù esercita,quindi,la sua regalità in maniera silenziosa e misteriosa, ogni giorno,nei cuori di coloro che hanno accolto la sua liberazione dal peccato e vivono nella sua stessa obbedienza a Dio, sottomessi alla sua regalità. Egli è Re di tutti gli uomini, universale, perché, con il suo sacrificio sulla croce, ci ha "ricomprati", cioè redenti, non con il sangue di capri o di vitelli, ma con il suo stesso sangue, sparso per la nostra salvezza. Come vittima di pace si è offerto sull’altare della croce in sacrificio per riconciliarci con il Padre celeste nello Spirito. Per questo Cristo risorto che ha rinnovato, per volere del Padre, tutte le cose è costituito Signore e Re dell’universo.
Nelle vicende della storia degli uomini, spesso tormentate da sofferenze e tribolazioni varie, questo regno di amore e di pace, di gioia e di giustizia non si avverte facilmente e, agli occhi di tanti, anche di molti cristiani, sembra che sia assente, ma è presente e lo realizzano, anche nel silenzio e nel nascon-dimento, coloro che lo vivono nella giustizia e nella carità, nella donazione della vita per gli altri, servendoli con dedizione evangelica ad imitazione di Gesù. Il Padre ha posto il suo Figlio, unico pastore di tutti gli uomini, recita la Colletta di questa solennità, per costruire il suo regno d’amore nelle tormentate vicende della storia e « alimentare in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, perché tu, o Padre, sia tutto in tutti ».
Prima Lettura: Ez 34,11-12.15-17.
Il profeta Ezechiele, nel brano che la liturgia ci fa riflettere oggi, nella figura del pastore e in ciò che egli compie per le sue pecore, vede l’opera di Dio per il suo popolo. Come il pastore cerca le sue pecore, vigila ed è premuroso verso il suo gregge, passa in rassegna le sue pecore, così fa Dio con gli uomini, mandando il suo Figlio a riunire i figli di Dio dispersi nel perseguire le vie del male: « Io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine ». Dio stesso, come il pastore, conduce gli uomini con la sua Parola, ricerca la pecora perduta e riconduce all’ ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura la malata, ha cura della grassa e della forte e tutte pascerà con giustizia. Inoltre: « A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri ». Dio quindi agisce con gli uomini con giustizia e amore, per cui, più che vivere nell’ angoscia o nel timore del suo giudizio, dovremmo avere un senso di pace profonda, confidando nel suo amore, nella sua misericordia, ricordando che Dio non vuole, come dice altrove lo stesso profeta, la morte del peccatore, ma che si converte e viva.
Seconda Lettura: 1Cor 15,20-26.28.
San Paolo, in questo brano, mette in parallelo la disobbedienza di Adamo, che ha condotto tutti gli uomini al peccato e alla morte, e l’obbedienza di Gesù, che conduce tutti coloro che credono in lui ad una vita nuova e alla risurrezione. Gesù risorto, quindi, è la primizia di coloro che essendo morti, quando Egli verrà, risorgeranno. E a conclusione di questa storia di salvezza, operata da Cristo a favore degli uomini, « il Figlio consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza ». Così la morte sarà vinta per sempre. Tutto sarà sottoposto alla signoria di Cristo e, infine, lui stesso con il regno di Dio, instaurato nel cuore degli uomini e nella creazione, sarà sottomesso al Padre. Ma a chi allude Paolo, quando dice : « E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi, compresa la morte? ». Certo allude ai demoni e a coloro che ostinatamente lo hanno rifiutato non accogliendolo.
Vangelo: Mt 25,31-46.
La parabola del Giudizio universale del Vangelo ci richiama alla mente e alla nostra riflessione quello che avverrà alla fine dei tempi, « quando il Figlio dell’ uomo verrà nella gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui saranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra ». In questo giudizio, Cristo, il Figlio dell’Uomo, rivelerà la sua signoria, che nella storia rimane velata, pur essendo già all’ opera. L’esame del giudizio che egli farà agli uomini verterà su ciò che avre-mo fatto o non fatto, durante i nostri giorni terreni, ai fratelli poveri, ai piccoli, ai deboli e agli emarginati in cui egli si identifica. Saremo, quindi, giudicati sulla carità dimostrata concretamente e nella verità di opere ordinarie, semplici, sia a livello materiale che spirituale.
Egli ci giudicherà, come fatti a lui, sulla generosità e l’interesse che abbiamo avuto per gli altri. Di conseguenza, a coloro che lo hanno riconosciuto e amato davanti agli uomini, cioè ai “ giusti ”, egli darà di partecipare alla “ vita eterna”, mentre toccherà la maledizione, l’esclusione e la lontananza da questa vita, nel “ supplizio eterno ”, per coloro che non lo hanno riconosciuto e amato nei suoi fratelli.
In maniera semplice possiamo sapere quale sarà la materia del giudizio su cui saremo giudicati e verso quale realtà futura ci incamminiamo continuamente nei nostri giorni terreni. Gesù con questa parabola vuol farci comprendere che si è oggi uniti con lui nell'amore e lo si sarà nella sua gloria se siamo oggi solidali con i fratelli, perché in essi egli vuole essere riconosciuto e amato: chiudendo il cuore e la nostra carità ai fratelli, li chiudiamo anche al Signore Gesù.
Dio affida alle mani dell'uomo i doni della sua Provvidenza.
16 Novembre - XXXIII DOMENICA del Tempo Ordinario
Dio affida alle mani deli’uomo i doni della sua Provvidenza.
Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia di questa Domenica chiediamo a Dio, che affida alle « mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della sua grazia », di fare in modo che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della sua Provvidenza, rendendoci « sempre operosi e vigilanti in attesa del suo ritorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli e così entrare nella gioia del suo regno».
Domandiamo a Dio che l’offerta del Corpo e Sangue del Signore, con la grazia di servirlo quindi con fedeltà e amore, ci faccia fruttare i doni che egli nella sua bontà ci dona, perché così, come i servi della parabola del Vangelo di oggi, possiamo essere introdotti, essendo stati servi buoni e fedeli, nella gioia del suo regno. L’Eucaristia, allora, da cui attingiamo la forza di essere « operosi nella carità » e la pazienza, con cui affrontiamo le prove delle vicende liete e tristi della vita, nell’attesa del suo avvento, ci prepara a godere il frutto « dell’eternità beata ».
Prima Lettura: Prv 31,10-.13.19,20-23.30.
Il Libro dei Proverbi, nella lettura che oggi riflettiamo, fa le lodi della donna forte, il cui valore la rende superiore alle perle, perché teme Dio, in lei può confidare il cuore del marito, a cui dà felicità e non dispiaceri, è dedita alla casa lavorando volentieri lana e lino con le sue mani, è previdente e generosa verso il misero e il povero, e non tanto per il suo fascino o per la sua fugace bellezza fisica, a cui, purtroppo, oggi si tiene tanto. Con tutto ciò la Scrittura non vuole porre la donna in una condizione di inferiorità rispetto all’uomo, perché Dio, creando « l’UOMO, a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina li creò », quindi in pari dignità e con gli stessi diritti e doveri, anche se con ruoli diversi in vari aspetti della vita.
Seconda Lettura: 1 Ts 5,1-6.
La Parola di Dio di queste ultime domeniche dell’anno liturgico ci esorta a guardare al giorno del giudizio in cui il Signore verrà d’improvviso, come un ladro di notte: agli eventi futuri, cioè escatologici, di cui non possiamo fare né calcoli né illusioni, mentre invece è importante prepararsi, facendo fruttare i doni di Dio, vigilando e vivendo con sobrietà per non essere appesantiti nel sonno dello spirito da vari adagiamenti, per non essere sorpresi nel giorno in cui il Signore, certo, verrà per introdurci nella sua luce e nella gioia del suo regno.
La vita terrena dei cristiani, così come di tutti gli uomini, è da considerarsi vigilia di “una esistenza diversa” o vigilia del “nulla”? Attesa operosa per il bene proprio e dell’intera umanità in vista di un traguardo in Dio o esistenza senza senso per sé e per gli altri? Se diciamo di amare il Signore, dice un padre della Chiesa, non dobbiamo aver paura della sua venuta, perché, diversamente, che razza di amore sarebbe il nostro? Allora perché non impegnarci a vivere con cuore attento e attività operosa, con il vivo desiderio di incontrare il Signore che viene, anche se non ne conosciamo il momento e l’ora? L’atteggiamento vigilante non deve farci perdere l’attenzione e la consapevolezza della nostra vita e della storia.
Vangelo: Mt 25,14-30.
La parabola del Vangelo ci esorta a riflettere sui doni che Dio ci dà, per collaborare al suo progetto di salvezza, e su come li abbiamo fatto fruttare per realizzare la nostra esistenza, non solo a nostro beneficio ma anche per gli altri. Nel giudizio finale ognuno dovrà rispondere personalmente dell’impegno posto durante la vita a rendere tutti i doni di Dio, pochi o molti che siano, non solo la propria vita e le doti personali ma anche quelli comunitari, sociali e ambientali, i doni di grazia, fruttuosi per sé e i fratelli, mettendoli continuamente in gioco valorizzandoli. Possiamo anche seppellirli o rifiutarli non capendo così il significato che essi hanno per noi e gli altri, come ha fatto il servo pigro e infingardo. La fedeltà e la laboriosità devono, invece, contraddistinguere l’agire del credente e di ogni uomo di buona volontà, perché, volenti o nolenti, dobbiamo rendere conto a Colui che ce l’ha dati da amministrare. Per il buon uso di essi, possiamo attendere il plauso di Dio e la sua accoglienza nella gioia del suo regno. Certamente la pigrizia, la negligenza colpevole o l’atteggiamento del servo, che ha sotterrato il talento e lo ha restituito al padrone con insolenza accusatoria, non possono essere premiati. Gesù ci esorta, dunque, a prendere, nel presente della nostra vita, l’impegno per il Regno di Dio, con fedeltà creativa al suo insegnamento, se vogliamo nel futuro partecipare alla gioia della comunione con Lui nella gloria.
CRISTO GESU'. TEMPIO DEL DIO VIVENTE:FESTA DELLA DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE.
9 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Cristo Gesù, tempio del Dio vivente.
In questa Domenica la Chiesa celebra la Festa della Dedicazione della BASILICA LATERANENSE, cioè la Basilica Cattedrale della Chiesa di Roma, ritenuta madre di tutte le Chiese di Roma e del mondo, eretta da Costantino nel 314-315 d.C. e sede del Papa, in quanto vescovo di Roma e successore di Pietro, la roccia della Chiesa, a cui Gesù affidò il compito di « confermare nella fede i suoi fratelli ».
Nella preghiera iniziale chiediamo al Padre celeste, lui « che prepara il tempio della sua gloria con pietre vive e scelte, di effondere sulla Chiesa il suo santo Spirito, perché edifichi il popolo dei credenti, che formerà la Gerusalemme del cielo »
Questa festa della Dedicazione, celebrata in tutto il mondo cattolico di rito romano e ambrosiano, vuole esprimere la comunione di fede con questa « Chiesa madre ».
Prima Lettura : Ez 47,1-2.8.9.12.
Ezechiele, nella sua visione profetica descritta nella Prima Lettura, vede scaturire dal tempio acque salubri, che danno vita a sorgenti perenni. Questo tempio sarebbe un’immagine del nuovo tempio del Corpo di Cristo, da cui sgorga lo Spirito che sarebbe stato effuso sui credenti in lui e che avrebbe ridato vita nuova e feconda all’ umanità. E come le acque della visione dove giungevano, risanavano, così lo Spirito del Padre e del Figlio avrebbe ridato vitalità nuova ai credenti, purificando e risanando le anime, che avrebbero prodotto frutti abbondanti di grazia e di bene.
Seconda Lettura: 1 Cor 3,9-11.16-17.
San Paolo scrive ai Corinzi dicendo che il nuovo e vero tempio non è formato da pietre materiali in edificio esteriore, ma dai credenti in Cristo, che in lui, pietra viva e angolare, sarebbero stati edificati, come anche san Pietro scrive ai cristiani. Questi, dallo Spirito Santo che inabita in loro, sono resi tempio vivente del Cristo, su cui edificare la propria esistenza se non si vuole andare in rovina, coma la casa della parabola fondata sulla sabbia. La santità di questo tempio spirituale, costituito su Cristo dai credenti, è garantita dalla santità di Dio, dalla loro adesione di fede a Lui e dalla testimonianza delle opere buone che continuano l’opera del regno del Signore.
Vangelo : Gv 2,13-22.
Nel Vangelo di questa festa, Gesù ribadisce che il vero culto a Dio non è legato tanto ad un edificio materiale quanto al culto che sale dai cuori purificati, in spirito e verità, come disse alla samaritana. Riafferma davanti ai Giudei, soprattutto, prendendo lo spunto dal tempio materiale, ridotto ad un luogo di mercato, distruggendo il quale « io in tre giorni lo farò risorgere », (intendendo il suo corpo, come annota l’evangelista Giovanni ), che sarà il suo Corpo risorto il nuovo tempio, la sua persona ricolma dello Spirito. La lode e l’adorazione che allora dovrà essere rivolta al Padre deve avvenire in comunione con lo zelo religioso di Gesù, che nell’Eucaristia, sacramento pasquale del suo sacrificio al Padre, trova la sua massima espressione e la nostra sacramentale e reale partecipazione.
Nel banchetto eucaristico, in cui celebriamo il mistero della passione e risurrezione di Cristo, attualizziamo questo evento che è unico, del passato, ma che lo Spirito del Padre e del Figlio ci rendono presente nel nostro oggi, ma vi dobbiamo partecipare con fede.
La partecipazione non può essere passiva, ma assumiamo con impegno il Corpo e Sangue che il Signore ha offerto nella passione per la nostra salvezza. Alla passione è seguita la risurrezione, per cui noi, nell’Eucaristia e da essa, attingiamo la « speranza della gloria », a cui parteciperemo in quanto il Corpo e il Sangue di Gesù sono caparra dei beni futuri.