Dio parla agli uomini per mezzo dei profeti e soprattutto con il suo Figlio.
3 LUGLIO - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nella orazione di oggi preghiamo dicendo:« O Dio, che nella vocazione battesimale ci chiami ad essere pienamente disponibili all’annunzio del tuo regno, donaci il coraggio apostolico e la libertà evangelica, perché rendiamo presente in ogni ambiente di vita la tua parola di amore e di pace ».
Chiediamo al Padre di poter riconoscere in Gesù che si umilia, facendosi obbediente al Padre, la sua gloria e nelle nostre infermità possiamo essere sostenuti dalla speranza e della forza della sua risurrezione. Liberati dall’oppressione della colpa, per la potenza della croce di Gesù, dobbiamo conformarci a lui crocifisso nella sua umiliazione, sgombrando il nostro cuore da tutto ciò che non ci rende poveri ed esultanti. Liberi dall’attaccamento a noi stessi portiamo, anche in mezzo alle infermità e debolezze umane, la testimonianza della gioia pasquale della risurrezione.
Prima Lettura: Is 66,10-14.
Il Signore per bocca del profeta invita gli esiliati in Babilonia a rallegrarsi, esultare e sfavillare di gioia per Gerusalemme. Potranno così essere allattati, saziarsi al suo seno delle sue consolazioni, succhiare e deliziarsi della sua gloria, perché il Signore, dice il profeta, farà scorrere verso di essa, come un fiume, la pace e la gloria delle genti. « Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati ». Saranno a Gerusalemme consolati dal Signore, come una madre consola il suo figlio, vedranno il Signore, il loro cuore gioirà e le loro ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi.
Il Signore, per mezzo del profeta, annunzia quindi un’era nuova di pace, di consolazione, perché cesserà l’esilio e vi sarà la liberazione: Dio che conduce la storia di Israele non è bloccato da nessuna forza umana, ma la parola del profeta, al di là dell’evento storico dell’esilio, presagisce la venuta del Messia, di Cristo, il liberatore.
Seconda Lettura: Gal 6,14-18.
Paolo scrive ai Gàlati dicendo che per lui non vi altro vanto che nella croce di Cristo, per mezzo della quale il mondo per lui è stato crocifisso e lui per il mondo. Nella morte e risurrezione del Signore gli uomini possono diventare nuove creature, perché non conta più la circoncisione o la non circoncisione. Così sia per quelli che credono nella morte redentrice del Signore, sia su tutto l’Israele di Dio sia pace e misericordia. Augurando ai Galati, infine, che la grazia del Signore Gesù sia con il loro spirito, dice che nessuno, sia dei connazionali sia dei pagani, può dargli fastidio, perché egli porta nel suo corpo le stigmate di Gesù Cristo.
L’essere nuove creature in Cristo crocifisso significa confidare solo sulla grazia che è sgorgata dalla sua morte e non nei propri meriti e virtù. Ad imitazione di Gesù, il cristiano, come diceva Paolo di sé, è un crocifisso: la salvezza dell’uomo, realizzazione della regalità di Dio, passa attraverso la croce, perché da essa viene la pace, la riconciliazione dell’umanità con Dio e l’abbondanza della sua misericordia. Nella vita, imitando Cristo, dobbiamo portare anche noi le « stigmate di Gesù », nella fedeltà al Vangelo e alle opere compiute in conformità alla volontà di Dio.
Vangelo: Lc 10,1-12.17-20.
Gesù, inviando avanti a sé a due a due i discepoli dove stava per recarsi, diceva: « La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe !». Li manda come agnelli in mezzo ai lupi e non devono portare né borsa, né sacca, né sandali e non devono fermarsi a salutare nessuno. Entrando nelle case devono augurare la pace, che, se sarà accolta, scenderà in esse perché vi saranno figli della pace.
Se accolti, dovranno restare nelle case mangiando e bevendo di quello che si ha perché si ha diritto alla ricompensa. Devono, ancora, nelle città dove vengono accolti, guarire i malati e annunziare che è “Vicino a voi il regno di Dio”. Nelle città dove non si sarà accolti, bisogna scuotere la povere che si attaccata ai loro piedi, dicendo: « Sappiate, però, che il regno di Dio è vicino », perché nel giorno del giudizio, Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città, perché in essa non sono stati fatti i segni che sono oggi compiuti da Gesù. Di ritorno, i settantadue dicono al Signore: « Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome ». E Gesù:« Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi! Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli ».
Poiché il Regno di Dio, la redenzione è vicina, Gesù invia i discepoli ad annunziare al mondo la pace, la consolazione. Le caratteristiche che accompagnano il discepolo devono essere la povertà, la fiducia, l’austerità, facendo affidamento sulla forza di Cristo che libera dalle malattie e preoccupato solo di annunziare la salvezza. Chi non accogliesse o rifiutasse questo annunzio di salvezza incorrerebbe nella condanna, perché si rifiuterebbe la grazia e il giudizio di Dio incomberebbe su di lui, che sarebbe trattato più duramente degli abitanti di Sodoma, in cui non sono stati compiuti i segni che sono stati compiuti da Cristo e dai suoi discepoli.
LA CHIAMATA DI DIO ALLA MISSIONE PER IL REGNO.
26 GIUGNO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il Signore, nella liturgia della Domenica, continua a portare a compimento l’opera della redenzione e della liberazione degli uomini dalle tenebre del male e del peccato. Donandoci lo Spirito Santo, con la sua luce della verità, ci libera dal nostro egoismo e con la grazia del Cristo, povero e crocifisso, addolcisce le nostre asprezze con la dolcezza e la forza del suo amore.
Verificare ogni giorno questo cammino di santità è certo un compito a cui siano chiamati, ma dobbiamo ritenerlo un dono di grazia elargito dal Signore, dono che non dobbiamo mettere in dubbio di fronte all’esperienza di ogni giorno, in cui i sentimenti sono diversi da quelli che il Signore ci chiede.
Così non dobbiamo avvilirci né scoraggiarci e, convinti della continuità del suo aiuto, dobbiamo camminare nella via della santità con serenità e costanza.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Padre celeste dicendo:« O Dio, che ci chiami a celebrare i tuoi santi misteri, sostieni la nostra libertà con la forza e la dolcezza del tuo amore, perché non venga meno la nostra fedeltà a Cristo nel generoso servizio dei fratelli ».
Prima Lettura: 1 Re 19,16.19-21.
Il profeta Elia riceve dal Signore l’ordine di ungere Eliseo, figlio di Safat, come profeta al suo posto. Partito, Elia trova Eliseo che con dodici paia di buoi ara i suoi campi e, passandogli vicino, gli getta il suo mantello. Eliseo, allora, lasciando i suoi buoi e correndo dietro a Elia, gli dice: « Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò ». Ed Elia a lui: « Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto di te ». Eliseo prende un paia di buoi, li uccide, fa cuocere la loro carne e la dà al popolo, perché la mangi, poi segue Elia ed si mette al suo servizio.
E’ una vera e propria investitura profetica quella che Eliseo riceve da Elia per ordine di Dio. Questo cambiamento di vita lo fa distaccare dalla sua famiglia e dalla sua vita di prima. Così, entrando al servizio di Elia, si pone al servizio della parola di Dio, che vuol dire obbedire a lui ed essere pronti a compiere qualsiasi genere di sacrificio o rinunzia che Dio chiede.
Seconda Lettura: Gal 5,1.13-18.
Paolo dice ai Galati che, essendo stati liberati da Cristo, non devono farsi ridurre di nuovo in schiavitù. Chiamati alla libertà, questa non deve diventare un pretesto per la carne. Mediante l’amore si entra al servizio gli uni degli altri, perché pienezza della legge infatti è il precetto : « Amerai il prossimo tuo come te stesso ». E, qualora dovessero mordersi e divorarsi a vicenda, non devono distruggersi del tutto gli uni gli altri. Li esorta quindi a camminare secondo lo Spirito e a non soddisfare le opere della carne, la quale ha desideri contrari allo Spirito, poiché queste cose si oppongono a vicenda. Se ci si lascia guidare dallo Spirito non si è più sotto la legge. Il cristiano, per la fede in Gesù, morto e risorto, è reso libero da ogni vincolo di legge mosaica e deve seguire solo l’unico precetto dell’amore, che consiste nell’essere animato dallo Spirito di Cristo. Così la sua condotta non può essere più asservita agli impulsi e ai desideri della carne, dell’uomo vecchio che non è stato ancora redento dalla grazia di Cristo. Lo Spirito del Padre e del Figlio, cioè la carità di Dio, elargito al credente, deve essere l’unica guida del suo agire. Infine, ironicamente, Paolo dice ai Galati, che qualora si abbiano contese, risentimenti, aggressività vicendevole, per le debolezze umane, non può superarsi il limite di un atteggiamento che distrugga il fratello, perché allora si rischierebbe di essere al di là della propria dignità di discepoli del Signore e di creature di Dio e si ricadrebbe sotto la schiavitù della carne. San Giovanni scrive che chi odia il proprio fratello è omicida.
Vangelo: Lc 9,51-62.
Avvicinandosi i giorni in cui sarebbe stato condannato ed elevato in alto, Gesù si avvia verso Gerusalemme e invia dei messaggeri verso un villaggio samaritano per preparargli l’ingresso. Ma viene rifiutato, perché egli è in cammino verso Gerusalemme. Giacomo e Giovanni, allora, gli dicono: « Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? ». Ma mentre Gesù, rimproverandoli, si avvia verso un altro villaggio, un tale gli dice: « Ti seguirò dovunque tu vada ». E Gesù gli risponde: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo ». Ad un altro a cui Gesù dice: « Seguimi », e questi gli chiede: « Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre », Gesù replica: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio ».
Infine, ad un altro ancora che gli dice: « Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi conceda da quelli di casa mia », Gesù risponde: « Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio ». Ai due discepoli che invocano il castigo per coloro che lo rifiutano, Gesù replica che non spetta a loro giudicare e condannare, perché invocare il castigo non è secondo il suo spirito, perché tutti siamo oggetto della misericordia e della pazienza di Dio. Ad altri Gesù chiede prontezza e decisività per seguirlo ed essere suoi discepoli, senza lasciarsi condizionare dalla nostalgia dei legami di vario genere. Neanche l’impulso nel seguire il Signore può essere buon consigliere, perché il seguirlo è una via difficile, di disagio, di povertà e di rinunzie: si richiede un forte vincolo d’amore a Cristo e passione per annunziare il Regno di Dio.
Ultimo aggiornamento (Sabato 25 Giugno 2016 21:24)
Gesù, colui che hanno trafitto, riconcilia l'umanità con il Padre celeste.
19 GIUGNO - XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nella memoria della Pasqua del Signore celebriamo il suo sacrificio di espiazione in cui Gesù si è offerto per riconciliare l’umanità con il Padre celeste. L’Eucaristia ci rende partecipi di questa riparazione, poiché la nostra vita, segnata dal peccato, ha continuo bisogno di riconciliazione e di riparazione, in quanto molte cose, come la ricerca del successo, la nostra superbia ed esaltazione, i cedimenti davanti alle esigenze del Vangelo, sono realtà che esigono purificazione. Nell’Eucaristia oltre a questa espiazione e alla fedeltà per confessare la nostra fede, troviamo e sono condivise anche la lode innalzata da Gesù che si immola sulla croce, l’adorazione e il ringraziamento al Padre celeste.
Nel giorno del Signore la nostra lode deve sgorgare dal cuore in maniera più intensa e prolungata, alimentata dalla Parola di Dio che ci dà testimonianza della salvezza che Gesù ha operato e continua a renderla presente nella nostra storia, come con i due discepoli di Emmaus.
Nella preghiera iniziale della Colletta diciamo a Dio: « Fa’ di noi, o Padre, i fedeli discepoli di quella sapienza che ha il suo maestro e la sua cattedra nel Cristo innalzato sulla croce, perché impariamo a vincere le tentazioni e le paure che sorgono da noi e dal mondo, per camminare sulla via del calvario verso la vera vita ».
Prima Lettura: Zc 12,10-11.13,1.
Per mezzo del profeta Zaccaria il Signore promette che riverserà sulla casa di David e su Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione, poiché guarderanno a lui, colui che hanno trafitto. Di lui ne faranno lamento come per un figlio unico e lo piangeranno come per il primogenito e grande sarà in Gerusalemme il lamento. Vi sarà in quel giorno, per la casa di David per Gerusalemme, una sorgente zampillante per lavare il peccato e le impurità. Colui che è trafitto appare come vittima, che diviene motivo di pentimento e di salvezza e viene effuso anche lo Spirito. Il trafitto è Colui da cui proviene lo Spirito di grazia e di consolazione, che rigenera il cuore e salva. Davanti a Cristo crocifisso ci si batte il petto e si esprime il pentimento per il peccato. Oggi, in cui il senso del peccato va quasi scomparendo, più che le considerazioni sociologiche o la constatazione delle ingiustizie sociali, bisogna guardare al Cristo crocifisso, morto per noi, che ci ha meritato lo Spirito Santo che ci rigenera e ci riconcilia con Dio.
Seconda Lettura: Gal 3, 26-29.
San Paolo ricorda ai Gàlati che, essendo stati battezzati in Cristo mediante la fede in lui e divenuti figli di Dio, si sono rivestiti di Cristo. Tra coloro, quindi, che sono in Cristo non vi è più nessuna distinzione di nazionalità, di sesso, di condizione sociale, ma tutti sono uno in lui. Poiché, allora, si appartiene a Cristo, per la fede, si è discendenza di Abramo e di conseguenza si è anche eredi della promessa fatta da Dio al patriarca.
Per mezzo della fede si diviene figli di Dio perché ci si affida abbandonandosi totalmente a lui, che con la sua grazia ci giustifica. Questo avviene nel Battesimo in cui il credente in Gesù Cristo imita la sua morte e di essa ne riceve i benefici, rivestendosi di lui. Se il rito del Battesimo è semplice, grande è la realtà che esso produce nel credente: perché dal lavacro battesimale, per la presenza dello Spirito di Dio, ci viene elargita la vita divina, che ci assimila a lui divenendo sua immagine vivente, diventiamo figli di Abramo secondo la promessa divina e infine ogni divisione o steccato scompare tra coloro che sono divenuti figli. Siamo fatti «uno in Cristo Gesù », figli di Dio, fratelli e membri di un unico corpo, di cui Gesù è il capo. Da ciò deriva l’impegno dell’amore reciproco, come fine e tentativo di ogni giorno da perseguire, anche se non mancano per la debolezza umana le mancanze e le sconfitte, che non devono avvilire. Così attraverso l’amore del prossimo rendiamo visibile l’amore che diciamo di avere per Dio.
Vangelo: Lc 9,18-24.
Gesù, mentre è in un luogo solitario a pregare, ai discepoli che erano con lui chiede: « Le folle, chi dicono che io sia?». Dopo che essi riferiscono ciò che gente dice di lui, che sia Giovanni il Battista, Elia o un profeta, Gesù chiede: « Ma voi, chi dite che io sia? ». Pietro allora risponde: « Il Cristo di Dio ». E Gesù, dopo aver proibito loro di riferirlo ad alcuno, aggiunge: « Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno ». A tutti poi diceva che se qualcuno voleva andare dietro a lui avrebbe dovuto rinnegare se stesso, prendere la propria croce ogni giorno e seguirlo. Chi avesse voluto salvare la propria vita, l’avrebbe perduta, ma chi l’avesse perduta per causa sua, l’avrebbe salvata. Le folle, dunque, dopo tutto quello che avevano sperimentato di Gesù, non sono in grado ancora di scoprire il mistero di Gesù. Pietro lo proclama « il Cristo di Dio », cioè il Messia. Ma ciò avviene perché è stato il Padre a rivelarglielo, come gli dice Gesù stesso: non sono state le sue forze ma il dono della luce divina. Gesù allora annunzia che il Figlio dell’uomo, con cui si identifica, ha dinanzi la passione, la morte e la risurrezione: il mistero della salvezza che si realizza sulla croce, ma che Pietro e ogni uomo non comprende. Eppure in esso, nella follia della croce, come dice Paolo, si rivela la sapienza e la potenza di Dio che salva. E non solo Gesù ma ogni credente in lui deve incamminarsi per la stessa via, ogni giorno, portando la propria croce dietro a lui. Imitare Gesù nella cammino della croce è la strada che porta alla vita piena, che sa morire per portare frutto, perdita che è guadagno e promessa di risurrezione in Dio, come lo è per Gesù risorto.
LA MISERICORDIA DEL PADRE, MANIFESTACI IN CRISTO GESU'.
12 GIUGNO – XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO..
Nell’Eucaristia, memoriale del Signore, noi rendiamo grazie a Dio per i suoi benefici con l’offerta del pane e del vino, che saranno trasformati dallo Spirito Santo nel Corpo e Sangue di Cristo. Questi doni trasformati diventano Sacramento che ci unisce a Cristo e viene edificata la Chiesa nell’unità e nella pace. L’unione a Cristo diventa più piena quando, come lui, viviamo nella osservanza della volontà di Dio, quando rendiamo la nostra vita, non solo nelle intenzioni ma anche le scelte quotidiane, in coerenza con la fede.Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di oggi chiediamo al Padre celeste: « O Dio, che non ti stanchi mai di usarci misericordia, donaci un cuore penitente e fedele che sappia corrispondere al tuo amore di Padre, perché diffondiamo lungo le strade del mondo il messaggio evangelico di riconciliazione e di pace». I cristiani, come popolo profetico e sacerdotale, attingono dalla Eucaristia, nel giorno del Signore, la capacità e il gusto di continuare l’opera di Cristo, facendosi annunciatori e testimoni del Vangelo ediffondendo nel mondo la Parola che riconcilia con Dio e tra noi e crea la pace.
Prima Lettura: 2 Sam12,7-10.13.
Per mezzo del profeta Natan, Dio rimprovera Davide che, dopo averlo unto re d’ Israele e liberato dalle mani di Saul, dato la sua casa e messo nelle sue braccia le donne del suo padrone, dato la casa di Israele e di Giuda e avrebbe ancora aggiunto altro, ha disprezzato la parola del Signore facendo ciò che è male ai suoi occhi, poiché ha fatto colpire Uria l’Ittìta per mano degli Ammoniti e preso in moglie la sua moglie. Per questo gli viene preannunziato che la spada non si allontanerà mai dalla sua casa. Davide, allora, riconoscendo il suo peccato, dice a Natan: « Ho peccato contro il Signore! ». E Natan: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai ». Davide, senza mezzi termini, viene ripreso per i suoi peccati di omicidio e di adulterio, viene inflessibilmente condannato. Ma la misericordia di Dio, dal momento che il re riconosce il suo peccato, che non è un peccato sociologico, pur trattandosi di omicidio e adulterio, ma un’offesa grave a Dio e se ne pente, è più grande del peccato. Nell’uomo è presente Dio e ogni peccato è mancanza di fedeltà a lui.
Per amore, all’uomo pentito del male compiuto, Dio rimette il peccato e, in ogni Eucaristia, Cristo crocifisso che versa il suo sangue, « per la remissione dei peccati », è il segno di tale perdono. Ma dal perdono deve sgorgare una vita nuova e, consapevoli di essere riconciliati, bisogna risorgere alla mentalità di Dio, che rende « Beato l’uomo a cui è tolta la colpa ».
Seconda Lettura: Gal 2,16.19-21.
San Paolo scrive ai Galati dicendo che, poiché l’uomo è giustificato per mezzo della fede in Cristo Gesù e non per le opere della Legge, egli e i credenti hanno creduto in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in lui: per le opere della Legge non viene giustificato nessuno. Egli si dichiara morto alla Legge affinché viva in Dio e, poiché è stato crocifisso con Cristo, non è più lui che vive ma Cristo vive in lui. La vita che egli vive nel corpo, la vive nella fede del Figlio di Dio, da cui si sente amato e, poiché Cristo si è consegnato per lui e per tutti gli uomini, non vuole rendere vana la grazia di Dio: perché se la giustificazione all’uomo viene dalla Legge, Cristo è morto invano.
La salvezza viene allora dalla fede e dalla comunione che viviamo con Cristo crocifisso, per cui si entra in intimità viva e reale con lui. Poiché così facciamo vivere lui in noi possiamo dire come l’apostolo, che non siamo più noi che viviamo, ma Cristo vive in noi. Per la comunione con Cristo, che nella morte si è consegnato a noi con un gesto di’amore, siamo risorti alla vita di figli di Dio e per questa unione siamo giustificati. Se, trascurando la morte di Gesù, l’uomo dovesse pensare di redimersi da sé, renderebbe vano il sacrificio di Gesù: non dobbiamo, allora, mai distogliere il nostro sguardo dalla croce se vogliamo essere giustificati e salvati. Le opere, compiute da credenti con la risposta di fede a Dio e che ci rendono a lui graditi, devono essere una conseguenza di questa giustizia che viene, come dono gratuito, dal Signore.
Vangelo: Lc 7,36-8,3.
Il Vangelo di Luca, oggi, ci fa riflettere su Gesù, che invitato da Simone il fariseo a mangiare da lui, viene onorato da una donna, peccatrice di quella città, la quale « Stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, comincia a bagnarli di lacrime, poi li asciuga con i suoi capelli, li bacia e li cosparge di profumo ».
Poiché il fariseo, vedendo tale gesto, pensa che se Gesù fosse un vero profeta saprebbe che razza di donna è colei che lo tocca, Gesù si rivolge a Simone dicendogli: « Simone ho da dirti qualcosa ». Volendo il fariseo ascoltarlo gli dice: « Di’ pure, maestro ». E Gesù, raccontando di un padrone che a due debitori, i quali gli devono, uno cinquecento denari e l‘altro cinquanta, e non hanno di che restituire i denari, condona il loro debito, domanda a Simone<: « Chi di loro dunque lo amerà di più ?». Poiché, risponde Simone, certamente lo amerà di più colui a cui è stato molto condonato, Gesù gli riconosce che ha giudicato bene e, volgendosi verso la donna, dice a Simone: « Vedi questa donna? Sono entrato a casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi … Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco ». Rivolto poi alla donna le dice: « I tuoi peccati sono perdonati ». Ma poiché tra i commensali cominciarono a dire l’un l’altro::«Chi è costui che perdona anche i peccati ?», Gesù si rivolge alla donna e le dice: « La tua fede ti ha salvata; va’ in pace ». La fede e l’amore della donna, i suoi gesti d‘affetto verso Gesù parlano del suo affidamento sincero a lui che le rivolge parole rassicuranti e, perdonando i suoi peccati, manifesta ancora una volta, come per il paralitico guarito, la sua origine e autorità divina. Il fariseo Simone e i suoi ospiti, sicuri di sé non possono capire il perdono, perché non sono coscienti delle loro colpe e non avvertono minimamente la loro condizione di peccatori. Di conseguenza non possono godere della grazia del perdono concessa alla donna pentita, perché il loro cuore è chiuso all’amore. La presunzione di sentirci e ritenerci giusti non ci fa avvertire il bisogno della misericordia di Dio.
Ultimo aggiornamento (Sabato 11 Giugno 2016 20:59)
Gesù, ridonando la vita al giovane di Nain, preannunzia che Egli è la risurrezione e la vita.
5 GIUGNO – X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In ogni domenica, quando ci raduniamo per la preghiera eucaristica, il Signore diventa per noi sorgente di ogni bene, poiché siamo invitati alla mensa che Dio prepara per i suoi figli, non per i nostri meriti, essendo spesso noi peccatori, ma per un dono del suo immenso amore. Dio non solo ci accoglie ma ci dona anche la forza del suo Spirito, che ci sostiene nella speranza pur tra le prove della vita quotidiana.
Dall’incontro domenicale con il Signore riparte tutta la nostra settimana, con le sue difficoltà, tentazioni, per cui nella preghiera chiediamo che con le armi della fede, della speranza e della carità, possiamo vincere le tentazioni del maligno.
Nella Colletta iniziale diciamo: « O Dio, consolatore degli afflitti, tu illumini il mistero del dolore e della morte con la speranza che splende sul volto del Cristo; fa’ che nelle prove del nostro cammino restiamo intimamente uniti alla passione del tuo Figlio, perché si riveli in noi la potenza della sua resurrezione ».
Prima Lettura: 1 Re 17, 17-24.
Poiché il figlio della vedova di Sarepta, che aveva ospitato Elia, si era ammalato gravemente cessando di respirare, ella chiamò il profeta e gli disse: « Che cosa c’è tra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio? ». Il profeta prendendogli il figlio dal seno lo portò nella stanza superiore della casa e dopo averlo steso sul letto, così pregò: « Signore, mio Dio, vuoi far del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio? ». E stendendosi tre volte sul bambino invocò il Signore, perché facesse ritornare la vita al corpo del bambino. Poiché il Signore ascoltò la sua preghiera e quello ritornò a vivere, lo portò giù dalla stanza superiore e lo restituì alla madre, dicendole: « Guarda! Tuo figlio vive ». Allora la donna riconobbe che Elia era un uomo di Dio e che la parola del Signore sulla sua bocca era verità Per quello che il Signore ha compiuto conferma il profeta Elia nella sua missione: infaticabile e perseguitato annunziatore del vero Dio di fronte ai falsi profeti di Baal. Gesù un giorno, dopo la sua risurrezione, tornerà personalmente a vita nuova divenendo, per quanti accolgono la sua parola e la sua testimonianza di Figlio di Dio, principio e primizia di risurrezione. Gesù, come avviene per il figlio della vedova di Naim, si avvicinerà a noi e ci risveglierà dalla morte, sia da quella spirituale liberandoci dal peccato, che da quella del corpo, quando tutta quanta la creazione, liberata dalla corruzione della caducità, sarà trasformata alla maniera del Cristo risorto: così saremo risaliti dalla vita degli inferi e rivivremo in Dio.
Seconda Lettura: Gal 1,11-19,
Ai Gàlati Paolo ricorda che il Vangelo da lui annunziato non è modellato né lo ha imparato dagli uomini, ma lo ha ricevuto per rivelazione diretta di Gesù; che era stato sostenitore accanito delle tradizioni dei padri e che, con la sua condotta precedente di persecutore feroce, aveva devastato la Chiesa di Dio con accanimento maggiore dei suoi coetanei e connazionali. Scrive che da quando Dio lo ha scelto e chiamato fin dal seno materno e con la sua grazia si compiacque di rivelare suo Figlio, egli ha iniziato ad annunziarlo in mezzo ai pagani, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme per confrontarsi con coloro che erano apostoli prima di lui, recandosi prima in Arabia e poi a Damasco. Solo dopo tre anni è salito a Gerusalemme per conoscere Cefa e, stando presso di lui per quindici giorni, poté confrontarsi con lui. Degli altri apostoli, vide solo Giacomo, il fratello del Signore. L’accoglienza della Parola di Dio e la rivelazione del Vangelo di Gesù Cristo significa per noi oggi entrare nella relazione di amore del Signore che ci ama immensamente, avendoci scelti per sua grazia e non per nostri meriti.
Vangelo: Lc 7,11-17.
La pericope evangelica, oggi, ci racconta di Gesù, che mentre entra nella città di Nain, con i discepoli e grande folla, vede portare alla tomba un morto, figlio unico di una donna rimasta vedova, accompagnata da molta gente. Preso da compassione per lei, Gesù le disse: « Non piangere! ». Avvicinatosi, toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi rivoltosi verso il morto disse: « Ra-gazzo, dico a te, alzati! ». Il morto si mise seduto, cominciò a parlare e lo consegnò alla madre, mentre tutti, presi da timore, glorificavano Dio dicendo che un grande profeta era sorto tra loro e che Dio aveva visitato il suo popolo.
Così la fama di lui si diffuse per tutta la Giudea e nella regione circostante. Gesù, preso da compassione per quella povera donna vedova, con la sua autorevolezza richiama il ragazzo alla vita e l’evento richiama il miracolo di Elia, che preannunziava il tempo messianico della risurrezione. Il gesto compiuto da Gesù è, nell’espressione della gente, un riconoscimento che Dio non ha dimenticato il suo popolo, anche se ancora non si è pienamente disvelato l’opera di Gesù di Nazaret che, come Messia e Dio, sarà fonte della vita perché, vincendo la morte e risorgendo, diviene primizia e causa di risurrezione per tutta l’umanità. Gli apostoli e i credenti ne prenderanno coscienza quando Gesù risorgerà da morte, anticipando così la consapevolezza che tutti siamo chiamati ad essere partecipi della sua risurrezione alla fine dei tempi.
Ultimo aggiornamento (Domenica 05 Giugno 2016 08:18)