La testimonianza del profeta nell'annunzio del Vangelo.
31 GENNAIO – IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nell’incontro che i cristiani, come popolo di Dio, viviamo la Domenica, accettando la salvezza che Dio Padre ha disposto nel suo Figlio, esprimiamo la nostra adesione a Lui e l’impegno a portare con coraggio l’annunzio missionario del Vangelo al mondo. Nella adorazione del Signore, nella professione della nostra fede, vissute con l’intimità del nostro cuore e con tutta la nostra anima e con l’Eucaristia a cui ci accostiamo, riceviamo la forza e il coraggio di una testimonianza che realizza con parole e opere l’annunzio della salvezza.
Nella preghiera della colletta preghiamo dicendo: « O Dio, che nel profeta accolto dai pagani e rifiutato in patria manifesti il dramma dell’umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa’ che nella tua Chiesa non venga meno il coraggio dell’annunzio missionario del Vangelo ».
Prima Lettura: Ger 1,4-5.17-19.
Il profeta Geremia, nel brano di oggi, per la parola che il Signore gli rivolge, ci da testimonianza della missione profetica, a cui il Signore lo ha chiamato e stabilito, avendolo conosciuto prima che venisse formato nel grembo materno e consacrato prima di venire alla luce. La missione profetica lo impegna ad adempiere, cinto con la veste ai fianchi, simbolo della forza che riceve dal Signore, a dire a coloro a cui è mandato tutto quello che il Signore gli pone sulle labbra.
Nel profeta consacrato e inviato vi è la forza di Dio, per cui , anche dinanzi alle difficoltà, egli non può deprimersi o temere. La certezza che Dio l’accompagna lo sostiene nella sua missione. Anche gli apostoli e coloro che sono chiamati a essere messaggeri di Dio e partecipano del ministero di Cristo, sostenuti dalla forza che viene da Dio, devono adempiere alla missione che Egli affida. Il Signore se invia ad adempiere una missione, dà anche l’energia per portarla a compimento. I santi sono riusciti a compiere opere da farli sembrare folli agli occhi umani.
Secondo Lettura: 1 Cor 12,31-13,13.
San Paolo ai Corinzi, ai quali espone quali carismi e doni possiamo ricevere da Dio: parlare le lingue, avere il dono della profezia, conoscere i misteri e tutta la conoscenza, possedere tanta fede da trasportare le montagne, dare in cibo tutti i propri beni o consegnare il proprio corpo per essere bruciato, ecc. dice che tutti questi carismi non valgono nulla se non si ha la carità. Questa è la via più sublime che bisogna percorrere se si vuole essere fedeli al Signore.
Passa poi ad enumerare le caratteriste della carità, che deve essere magnanime, non invidiosa, che non si vanta né si gonfia d’orgoglio, è rispettosa, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode delle ingiustizie, ma si rallegra della verità. E mentre tutti i carismi, insieme con la fede e la speranza, non ci saranno più nella vita futura del cielo, rimarrà solo la carità, quando verrà ciò che è perfetto. Paragona poi questa vita terrena come quando si è bambini, quando si ragiona da bambini. Divenuti adulti, tutto ciò che è da bambini viene meno, perché quando saremo adulti, cioè perfetti in Dio, lo vedremo faccia a faccia, non più in modo confuso e come in uno specchio. Allora conosceremo perfettamente, come noi siamo conosciuti perfettamente.
Conclude dicendo che ora « rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità: ma la più grande di tutte è la carità ». Quando manca la carità tutto quello che si fa, non ha alcun valore, anche se sono cose strepitose e mirabolanti. La fede, che trasporta le montagne, la condivisione dei beni distribuiti ai poveri, pur anche il martirio che ci fa sperare l’ottenimento delle promesse, ecc. tutto vale poca cosa senza la carità, che si manifesta come magnanimità, gratuità, sopportazione, misericordia, umiltà, fiducia, mitezza, ecc.
Vangelo: Lc 4,21-30.
Nella sinagoga di Nazaret, dopo la lettura della profezia di Isaia sul Messia fatta da Gesù, conclusasi con le parole : « Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato », Egli aveva meravigliato i suoi concittadini « per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca ». Ma poiché essi, conoscendolo come il figlio di Giuseppe, probabilmente gli hanno chiesto di compiere a Nazaret ciò che aveva fatto altrove, Gesù aggiunse: « In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria ». Citando, inoltre, l’esempio della straniera vedova di Sarepta, scelta da Dio tra le vedove di Israele per aiutare Elia, e di Naaman il Siro, guarito dalla lebbra per l’intervento del profeta Eliseo rispetto ai molti lebbrosi presenti in Israele, « tutti – risentendosi per quelle parole - nella sinagoga si riempirono di sdegno, si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù ». Ma Gesù passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Per l’incredulità e lo scetticismo degli abitanti di Nazaret Gesù non compie nessun miracolo: in essi manca la fede e, credendo di sapere chi è Gesù, il figlio di Giuseppe, chiudono il loro cuore ad accoglierlo come l’inviato di Dio, cioè come il Cristo. La reazione violenta avuta verso di lui rappresenta il rifiuto di Israele e di tutta l’umanità ad accogliere la prospettiva universale della salvezza che egli è venuto a realizzare: è difficile per la logica umana accettare che un Dio possa essersi fatto uomo, nella semplicità e povertà di Betlemme e nell’ignominia della croce, per essere accolto come Salvatore. Bisogna accogliere il mistero del Figlio di Dio attraverso l’umanità di Cristo: Egli è qualcosa di più di un grande uomo, di un rappresentante esemplare dell’umanità, a cui è possibile anche opporgli un rifiuto. E forse lì dove non è stato ancora annunziato troverebbe un’accoglienza più gioiosa e più coerente. La sua presenza, come rileva il vecchio Simeone: « Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, … affinché siano svelati i pensieri di molti cuori », esprime una presenza che mette in crisi e pone l’uomo nella scelta di accoglierlo o rifiutarlo.
Gesù, il Cristo è venuto per realizzare l'unità dell'umanità riconciliata col Padre.
24 GENNAIO – III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
La Domenica, giorno del Signore, la Chiesa vive la gioia che le viene dall'incontro con il suo Signore, che è sorgente inesauribile di vita, perché con la sua Parola e con il suo Corpo e il suo Sangue, la nutre. Noi gli offriamo ciò che Dio nella sua provvidenza ci dà, i semplici doni del pane e del vino, che dalla potenza dello Spirito invocato, diventano sacramento di salvezza e nutrimento spirituale che alimenta la vita di amore e di comunione con Dio e i fratelli. Prendendo parte a questo convito la gioia della Chiesa diventa perfetta, se traduciamo questo incontro con il Signore nella vita, la quale diventa « segno di speranza e di salvezza per noi e per l’umanità ».
Nella colletta iniziale preghiamo Dio dicendo:« O Padre, tu hai mandato ilo Cristo, re e profeta, ad annunziare ai poveri il lieto messaggio del tuo regno, fa’ che la sua parola che oggi risuona nella Chiesa, ci edifichi in un corpo solo e ci renda strumento di liberazione e di salvezza ».
Prima Lettura : Ne 8,2-4.6,8-10.
Dopo il ritorno dall’esilio, il sacerdote Esdra, davanti al popolo riunito, uomini, donne e quelli che erano in grado di capire, portò il libro della Legge, e da una tribuna di legno, posta nella piazza davanti alla porta delle Acque, venne letto e spiegato, per capirne il senso, dai leviti, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno. Prima di iniziare la lettura, Esdra: « Benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo, alzando le mani, rispose: “Amen, amen “; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore ».
Neemia, Esdra e i leviti rivolgendosi al popolo dissero: « Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete! », perché il popolo piangeva nell’ascoltare la lettura. Neemia invitò il popolo a far festa, mangiare carni grasse, bere vini dolci e a condividere porzioni di cibo con coloro che non avevano nulla di preparato: bisognava far festa e non essere rattristati, perché « la gioia del Signore è la vostra forza », disse.
Dall’ ascolto della parola del Signore il popolo riprende l’impegno a vivere nella fedeltà al Signore e Dio rinnova la sua alleanza, ridonando la sua grazia e la sua amicizia. Il popolo risponde con il suo « Amen! », esprimendo la sua volontà nel praticare il « Libro della Legge », comandi e leggi dati da Dio per camminare nel bene davanti a Lui.
Seconda Lettura : 1Cor 12,12-30.
San Paolo, partendo dall’ unità del corpo, costituito da capo e da molteplici membra, esorta i Corinzi, ad essere anch’ essi uniti a Cristo, capo di un corpo di cui i discepoli sono membra, Giudei o Greci, schiavi o liberi, essendo stati battezzati mediante un solo Spirito e dissetati da un solo Spirito. Così tutte le membra non possono vivere e agire ognuno per conto proprio e non sentirsi uniti a tutto il corpo: ogni membro, dunque, pur essendo distinto dalle altre membra, deve essere e operare in armonia con il capo e con tutti gli altri. « Le membra che sembrano più deboli, poi, sono le più necessarie, e le parti del corpo che riteniamo meno onorabili le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno ».
Dio, dice Paolo, come nel corpo ha conferito maggiore onore a ciò non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma le varie membra abbiano cura le une delle altre: soffrire se un membro soffre, gioire con chi è onorato, così siete voi, in quanto corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Nella Chiesa, conclude Paolo, poiché Dio ha posto « in primo luogo alcuni come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli,quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare le varie lingue », ognuno deve svolgere il proprio ruolo a beneficio di tutto il Corpo di Cristo, che è la sua Chiesa.
Le diversità nella Chiesa, come motivo di antitesi e dissenso non possono caratterizzare la sua vita. La diversa condizione sociale o la provenienza non contano più in una comunità in cui: « Tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito ».
Ancora: la collaborazione fruttuosa tra le varie membra della Chiesa, Corpo di Cristo, deve essere perseguita con costanza, impegno e generosa carità.
Le varie grazie o le funzioni diverse non possono essere ritenute per fini egoistici, ma come un corpo ha bisogno dell’apporto di tutte le membra, così deve essere nella Chiesa: ogni attività deve svolgersi per il bene di tutta quanta la comunità dei credenti, ogni membro con la sua funzione specifica.
Mettiamo in comune i doni di Dio e le mansioni che ognuno è chiamato a svolgere? Accogliamo con gratitudine e umiltà i doni e le grazie degli altri? Facciamo prevalere, a volte, il nostro orgoglio e le nostre. più o meno larvate, invidie? Sono situazioni di cui dovremmo prendere coscienza per camminare insieme per rendere idonei i fratelli a realizzare la perfezione di Cristo nella Chiesa e nell’umanità.
Vangelo: Lc 1,1-4;4,14-21.
L’evangelista Luca, dopo aver premesso che molti prima di lui hanno raccontato con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti tra loro, da quelli che furono fin da principio testimoni oculari e ministri della Parola, anch’ egli, dopo aver fatto accurate ricerche, ha deciso di scrivere un racconto ordinato per Teòfilo, perché si renda conto della solidità degli insegnamenti ricevuti, riguardo a Gesù, che ripieno della potenza dello Spirito, ritornato in Galilea, dove la sua fama si diffondeva, insegnava nelle sinagoghe e tutti gli rendevano lode.
Gesù, continua Luca, a Nazaret dove era cresciuto, nella sinagoga, di sabato, come era solito, aprendo il rotolo del profeta Isaia che gli fu dato, trovò il brano dove era scritto: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore ». Consegnato il volume, sedette. Poiché, però, gli occhi di tutti gli astanti erano fissi sopra di lui, Gesù disse, tanto da scandalizzarli: « Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato ». Gesù, avendone consapevolezza, ricolmo dello Spirito, dice agli ascoltatori che egli è il Servo di Dio di cui parla il profeta, venuto a realizzare quell’annunzio di salvezza, avverando quella Scrittura attraverso i suoi miracoli e la sua parola. Così con lui si inaugura « l’anno di grazia del Signore ». Oggi, come allora, Gesù chiede di accoglierlo come colui che è venuto come segno visibile di Dio Padre, mandato quale Parola, fatta carne, per ristabilire la comunione dell’umanità con il Padre e realizzare il suo progetto di salvezza, riconciliandola con Lui.
A Cana di Galilea Gesù cambia l'acqua in vino e i suoi discepoli credono in lui.
17 GENNAIO – II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nel giorno del Signore ci raccogliamo per celebrare il memoriale del Signore, cioè la Cena, in cui si dona come cibo di vita, e il suo sacrificio, offerto per la nostra salvezza. Tutto questo non è un ricordo vago o un simbolo, ma è una celebrazione del memoriale in cui « si compie l’opera della redenzione », operata dal Signore una volta per tutte, e partecipata, nel nostro oggi, a noi. E’ questo memoriale presente nella verità del Corpo e del Sangue di Cristo, che divengono convito della Chiesa, popolo della nuova alleanza, costituita nel suo sangue. Ogni domenica dunque incontriamo Cristo nella liturgia e i fratelli. Con il dono dello Spirito ci viene riconfermata la grazia del Battesimo e nell’ascolto della Parola siamo riconfermiamo nella nostra adesione al Signore.
Nella preghiera della Colletta diciamo:« O Dio, che nell’ora della croce hai chiamato l’umanità a unirsi in Cristo, sposo e Signore, fa’ che in questo convito domenicale la santa Chiesa sperimenti la forza trasformante del suo amore, e pregusti nella speranza la gioia delle nozze eterne ».
Prima Lettura. Is 62,1-5.
Il profeta canta l’amore che Dio ha per Sion e per Gerusalemme finché sorga la sua giustizia e la salvezza del Signore non risplenda come lampada. Le genti, allora, e i re della terra vedranno questa giustizia e la gloria del Signore risplendere in essa, che sarà una magnifica corona nella mano del Signore e un diadema regale nella palma di Dio. Non sarà chiamata più « Abbandonata », né la sua terra sarà più detta « Devastata». Verrà chiamata con il nome nuovo che la bocca del Signore indicherà: « Mia Gioia e la sua terra Sposata », perché il Signore troverà in essa la sua delizia e la sua terra avrà uno sposo. Come un giovane sposa una vergine e come gioisce lo sposo per la sposa, così Dio gioirà per Gerusalemme. Il Signore, dunque, non lascerà più abbandonata, per le sue colpe e le sue infedeltà, Gerusalemme perché l’amore del Signore si compiacerà del suo popolo. Con esso Dio stabilirà un vincolo sponsale, che diventerà perfetto e indissolubile quando l’umanità sarà congiunta con Gesù, il Figlio di Dio, che darà come Sposo la sia vita per la Chiesa, sua sposa. Questo amore sponsale è il nuovo vincolo che lega nel matrimonio un uomo e una donna, i quali, nel loro volersi bene e nel donarsi vicendevolmente, imitano l’amore di Cristo per sua Chiesa, la quale risponde con fedeltà e gratitudine.
Seconda Lettura : 1 Cor 12,4-11.
San Paolo scrive ai Corinzi dicendo che, vi è un solo Dio, che opera tutto in tutti secondo le diverse attività degli uomini; un solo Spirito che distribuisce diversi carismi e un solo Signore che affida la diversità dei ministeri. Lo Spirito poi si manifesta, elargendo, ad uno il linguaggio della sapienza o il lin-guaggio della conoscenza ad un altro; quello della fede ad uno e il dono delle guarigioni ad un altro; così pure ad altri elargisce il potere dei miracoli, o il dono della profezia, o del discernimento degli spiriti o il dono delle lingue. Ma tutti questi doni sono distribuiti, così come egli vuole, dall’unico e medesimo Spirito perché siamo a beneficio e per l’utilità di tutti, per il bene comune. Lo Spirito del Signore fa vivere allora in comunione tutti i membri del Corpo mistico di Cristo con i vari doni e grazie. Non sono dati per alimentare la nostra vanità o per soddisfare le nostre ambizioni e per farci sentire superiori agli altri o per accampare pretese. Lì dove riusciamo con la forza del Spirito del Signore, siamo chiamati a sviluppare questi doni e metterli al servizio dei fratelli.
Vangelo : Gv 2,1-11.
Il Vangelo oggi di san Giovanni ci porta a contemplare l’episodio delle nozze di Cana di Galilea, dove Gesù è invitato insieme a Maria, sua Madre e ai discepoli. Maria, accortasi che manca il vino in quella festa di nozze, si rivolge al Gesù dicendogli: « Non hanno vino ». E Gesù le risponde: « Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora ». Ma Maria, rivoltasi ai servitori, dice: « Qualsiasi cosa vi dica, fatela ». Per ordine di Gesù quelli riempiono di acqua le giare li presenti e dopo dice loro: « Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto ». Quando costui assaggia l’acqua diventata vino, non sapendo da dove venga, ma lo sanno i servitori, chiama lo sposo e gli dice meravigliato: « Tutti mettono a tavola il vino buono all’inizio e, quando si è bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora ».
Questo è il primo dei segni compiuti da Gesù con cui manifesta la sua gloria e i suoi discepoli credono in lui. La presenza di Gesù alle nozze di Cana prefigura la sua presenza nel sacramento del matrimonio cristiano in cui l’amore umano è elevato e santificato. L’acqua cambiata in vino sta a significare che con l’apparizione di Gesù l’acqua dell’ Antico Testamento e delle realtà umane vengono elevate ad una dignità divina. Il vino nuovo di Cristo sostituisce ciò che di antiquato vi è nelle realtà umane e religiose, poiché, come dice Gesù, non si mette vino nuovo in otri vecchi, ma vino nuovo in otri nuovi. Ancora. La presenza materna, attenta e vigile di Maria, che sollecita il suo Figlio a compiere quel miracolo indica la sua premurosa presenza nell’opera della Chiesa e di tutti noi, quali membra della comunità del suo Figlio. Ma Maria è anche modello vigile, nelle nostre famiglie, per le mamme che con la loro materna presenza sollecitano la nostra adesione al Signore.
FESTA DEL BATTESIMO DI GESU'.
10 GENNAIO – FESTA DEL BATTESIMO DI GESU’
Tra i misteri della vita di Cristo, la festa del Battesimo di Gesù riveste una un’ importanza singolare, perché conclude il Tempo del Natale e dà inizio al Tempo Ordinario. Nella Liturgia commemoriamo questo evento della vita del Signore con solennità. Se si continua a riflettere sul mistero dell’in-carnazione di Cristo da una parte, dall’ altra si inizia a ripensare la vita adulta di Gesù che, dopo il Battesimo al Giordano, dà inizio alla sua missione.
Nel Battesimo il Padre rivela e manifesta, in una nuova epifania, che in Gesù riconosce il Figlio amato, il Cristo, il Messia inviato ai poveri e con lo Spirito che si posa in lui, in forma corporea di colomba, Gesù viene consacrato sacerdote, profeta e re.
Gesù è la Parola, che il profeta Isaia annunzia. Parola che, uscita dalla bocca del Padre celeste, feconda la terra e, dopo aver realizzato l’opera per cui è stata mandata, cioè portare la salvezza a tutti gli uomini, ritornerà a Lui.
Un tempo la liturgia celebrava l’adorazione dei Magi, il miracolo a Cana e il Battesimo in un'unica celebrazione, avendo questi tre eventi, in vario modo, come contenuto la manifestazione di Gesù.
Nella manifestazione che il Padre fa del Figlio, Gesù manifesta da parte sua la solidarietà con gli uomini, iniziata con l’incarnazione.
Così siamo introdotti, in questa celebrazione, nel mistero di Cristo, vero uomo che, portando su di sé i peccati degli uomini, viene a salvarci e, in quanto vero Dio, ci libera dalla colpa, ci dona lo Spirito rendendoci figli di Dio, rigenerati nel lavacro del Battesimo e « rinnovati interiormente a sua immagine».
Il dono dello Spirito Santo e il nostro divenire Figli di Dio sono i doni del Battesimo cristiano, di cui oggi facciamo memoria.
Is 401-5.9-11. (Anno C)
Il profeta, nel nome di Dio, annunzia a Gerusalemme la consolazione che le viene poiché la sua tribolazione è compiuta e la sua colpa è scontata, perché dalla mano del Signore ha ricevuto il doppio per tutti i suoi peccati.
La voce che grida nel deserto invita a preparare la via al Signore, a togliere ogni ostacolo alla rivelazione della gloria del Signore, che potrà essere vista da ogni uomo. Il messaggero deve annunziare liete notizie a Sion, annunziare liete notizie a Gerusalemme e, alzando la voce, annunziare alle città di Giuda: « Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnelli sul petto e conduce dolcemente le pecore madri». Con l’avvento del Messia, manifestato dopo il Battesimo al Giordano dallo Spirito che discende su di lui e dalla voce del Padre che lo proclama come Figlio prediletto, siamo invitati a rallegrarci e a consolarci, perché è finita la schiavitù dell’uomo dal peccato, che viene perdonato e così possiamo ritornare all’amore del Padre. Questo è l’annunzio di Gesù che predica la conversione dal peccato e l’adesione al regno di Dio. Annunzio che anche la Chiesa, nel nome del suo Signore, deve far giungere non solo a Gerusalemme, ma in tutto il mondo e ad ogni uomo.
Tt 2,11-14;3,4-7.
San Paolo ricorda a Tito che la grazia di Dio apportatrice di salvezza a tutti gli uomini ci insegna a rinnegare « l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione del nostro Dio e salvatore, Gesù Cristo nella gloria », il quale, dando se stesso in sacrificio per riscattarci dalle nostre iniquità, ha formato un popolo puro che gli appartenga e zelante per le opere buone. Questa salvezza ci è data come puro dono di Dio, per la sua bontà, il suo amore, la sua misericordia e non per le opere giuste da noi compiute, poiché ci ha rigenerati e rinnovati nello Spirito Santo, effuso in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro. Così, giustificati per questa grazia, siamo diventati, nella speranza, eredi della vita eterna. Nel celebrare il Battesimo di Gesù, che nell’umiltà si abbassa dando inizio al suo sacrificio di obbedienza al Padre che di lui si compiace, ripensiamo al nostro battesimo nello Spirito Santo, che ci ha fatto nuove creature. Rinnoviamo allora il nostro impegno a vivere da figli di Dio nella santità ad imitazione di Gesù e ad allontanarci sempre più da ogni forma di peccato.
Lc3,15-16.21-22.
Nel tempo in cui Giovanni battezza al Giordano e tutti sono in attesa e si domandano in cuor loro se non sia il Messia atteso, cioè il Cristo, egli risponde: « Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco»
Ecco che su Gesù, ricevuto il battesimo, mentre sta in preghiera, discende lo Spirito Santo, in forma corporea di colomba e si ode una voce dal cielo: « Tu sei il Figlio mio, l’amato in te ho posto il mio compiacimento ».
Il Padre celeste proclama che Gesù è il suo Figlio, l’amato, che in preghiera manifesta la sua disponibilità a compiere il disegno di salvezza. Anche in noi, dopo il battesimo, la nostra preghiera diventa disponibilità e abbandono di figli alla volontà di Dio, che ascolta le nostre domande con tenerezza di Padre, di cui quella terrena dei padri è un piccolo segno e pallida immagine.
A noi spetta ascoltare il Figlio Gesù, l’amato, e imitarlo con amore di figli.
EPIFANIA DEL SIGNORE GESU' ALLE GENTI.
6 Gennaio – Epifania del Signore alle genti.
Mentre nel Natale abbiamo contemplato, come dice Isaia, Cristo, luce che risplende nelle tenebre, in cui è immersa l’umanità, dalla quale Gesù assume la carne umana, con tutta la sua fragilità e debolezza, eccetto il peccato, nell’Epifania, festa di luce, che traspare e guida a Gesù, Dio continua a rivelarsi, sempre nella debolezza e nella fragilità di bambino, nato nel nascondimento, e con lo splendore di una stella attrae a Betlemme genti lontane. Così san Paolo esprime il significato dell’Epifania : « Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa ». I Magi, guidati dalla stella e desiderosi di vedere ciò che essa preannunciava, messisi in cammino, giungono a Gerusalemme e chiedono, lì dove pensano possa essere nato un re, ad Erode: « Dove è nato il re dei Giudei? ». A Gerusalemme, dove avrebbe dovuto essere maggiormente viva l'attesa del "Messia", i sommi sacerdoti e gli scribi, radunati da Erode, ricordando le profezie, indicano che da Betlemme, piccolo capoluogo della Giudea, doveva « u- uscire un capo che sarebbe stato il pastore del popolo Israele ».
Così i Magi vengono indirizzati a Betlemme. Usciti da Gerusalemme, dove la stella che li precedeva non era vista, riappare loro e si ferma sul luogo dove « entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono e gli offrirono i doni: oro, incenso e mirra » (Mt 2,11), riconoscendolo come Re, Dio e Redentore.
Alla fine del loro viaggio, nella ricerca della verità, desiderosi di conoscere l'evento indicato dalla stella, incontrano il Signore nella debolezza della carne: l'umanità nella sua dimensione di fragilità, nella sua vulnerabilità alla sofferenza e al dolore. Essi riconoscono Dio nella carne, perché è in questo che Dio condivide la povertà umana, che si rivela e nasconde la sua divinità: questo è il mistero dell'incarnazione di Dio.
I Magi modello della Chiesa
I MAGI sono le primizie della Chiesa, formata da uomini di tutti i popoli, sono il simbolo di tutti gli uomini, che vanno a trovare il Signore, Cristo Gesù, il Salvatore, guidati dalla luce della fede e lo adorano.
Essi, che hanno affrontato le fatiche e i pericoli di un lungo viaggio, sia fisico che interiore di ricerca della verità divina, esprimono così il percorso paradigmatico della fede di ogni uomo. La stella, verità dell’uomo, è un segno che va ricercato e obbedito, e pone l’uomo nella fatica della ricerca della verità.
La fede non è ancora la visione delle realtà che crediamo. I nostri occhi ancora sono come velati; ma la fede è già una luce che illumina l’anima. L’incredulo si trova ancora nelle tenebre.
Gesù che nasce tra noi provoca sentimenti opposti, azioni antitetiche. Infatti alcuni dei prossimi al Messia non lo riconoscono. La sua nascita produce anche turbamento, come in Erode, il nuovo persecutore, come lo fu il faraone, che opprimeva Israele nei suoi primogeniti.
Oggi preghiamo perché la fede divenga sempre più ferma e luminosa, perché non ci accada mai la sventura di perderla; perché tutti gli uomini l’abbiano in dono, così da accogliere il mistero della salvezza, che è lo stesso Figlio di Dio, in tutto solidale con noi, annunziato a tutte le genti.
Prima Lettura: Is 60, 1-6.
La gloria del Signore brilla in Gerusalemme: il profeta la vede come il luogo verso cui tutti i popoli convergono per lodare Dio e offrirgli « oro e incenso ». La venuta dei Magi porta a compimento la visione esaltante di Isaia, poiché essi, e con loro le nazioni della terra, riconoscono in Gesù il loro Re.
Seconda Lettura: Ef 3,2-3.5-6.
Paolo ricorda agli Efesini che nella carne condivisa da Dio in Gesù si attua e manifesta il suo piano di salvezza. Per mezzo del mistero dell'incarnazione tutti gli uomini sono chiamati a far parte della Chiesa nella fede e ad essere partecipi della salvezza.
Sia gli Ebrei, eletti per primi, sia i pagani, venuti dopo, sono chiamati alla fede in Cristo e alla condivisione dell’eredità eterna con lui. La salvezza è universale: e infatti la Chiesa è detta « una e cattolica ». In essa non c’è distinzione di razza: il Vangelo è predicato a tutte le genti, perché formino una medesima Chiesa. Questo ci porta a due considerazioni: la prima, che dobbiamo sentire la vocazione missionaria e, anche se personalmente non siamo in missione. il nostro aiuto è dato dalla preghiera, dai sacrifici, dalla collaborazione, fatta anche di offerte, e i missionari sono là a rappresentarci. La seconda considerazione è questa: dobbiamo evitare le divisioni, in contrasti tra noi, visto che siamo partecipi della stessa grazia e della stessa promessa di Cristo. Facciamoci nel nostro ambiente missionari di concordia.
Vangelo: Mt 2,1-12.
Quale contrasto tra l’indifferenza e l’ignoranza somma dei sommi sacerdoti e degli scribi, tra la sospettosa ostilità di Erode e l’ardente e gioiosa domanda dei Magi: « Dov’ è colui che è nato, il re dei Giudei ? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo!». Vengono i lontani , e i vicini non si accorgono che è nato il Salvatore. Ai primi è data la felicità di incontrarlo e di adorarlo; i secondi o non sono toccati dall’avvenimento o, peggio, cercano di soffocarlo. Dobbiamo pensare che abbiamo vicino il Signore, quasi a due passi, vicino alle nostre case, nella Eucaristia, e il cuore rimane freddo, pigro, senza interesse. La vera fede dà gioia, fervore e desiderio di incontrare il Signore, come i Magi, capaci di affrontare qualche sacrificio per lui.