VENERDI' SANTO: IN PASSIONE DOMINI
25 MARZO – Venerdi’ Santo « In PASSIONE DOMINI»
Commemoriamo nel Venerdì Santo la morte del Signore. Lo vediamo come il Servo; su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati gli uomini.
Oggi è il giorno dell’immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale.
Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell’adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo.
Siamo sempre sotto la croce. Non c’è momento, non c’è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.
Prima Lettura: Is 52,13-53.12.
Dal « Servo di Dio «, « schiacciato per le nostre iniquità », e dalla sua intercessione per i peccatori, ci viene la liberazione e il perdono. Questo servo misterioso porta già in sé i segni e le vicende della passione e del dolore di Cristo, per mezzo del quale sarà compiuta « la volontà del Signore », cioè il piano di redenzione del genere umano.
Seconda Lettura: Eb 4,14-16; 5,7-9.
Non dobbiamo trascurare l’aspetto doloroso della nostra redenzione, cioè la sofferenza e il sacrificio del Figlio di Dio sulla croce, la sua consegna al Padre, la sua obbedienza e preghiera che Dio ha ascoltato, richiamandolo dalla morte con la risurrezione. Per questa obbedienza, che ce lo ha reso intimamente socio e partecipe della nostra umanità, il suo sacrificio è stato gradito e noi siamo stati salvati. Dobbiamo essere in comunione con l’obbedienza di Gesù: questo vuol dire fare la volontà di Dio.
L’intercessione di Cristo continua, ed è garanzia della sua fedeltà a noi, ed è aiuto per la nostra risposta a lui.
Vangelo: Gv 18,1-19.42.
Gesù compie la sua passione nell’affidamento totale al Padre, nella piena libertà del suo dono. E’ lasciato solo, tradito, rinnegato: è « l’uomo solo » che muore « per il popolo ». E tuttavia appare nella sua regalità. I segni di essa, presi per irrisione dai soldati e dagli altri, ne sono l’indice profetico e misterioso. Ma per capirlo bisogna essere dalla parte della Verità, bisogna entrare nel disegno di Dio.
« Io sono re » dice Gesù « Chiunque è dalla Verità, ascolta la mia voce ». Noi incontriamo Cristo e ne siamo redenti a questa condizione. Pilato con la sua cieca e pavida viltà non si trova da questa parte e lo consegna. Lo consegniamo ogni volta che pecchiamo, che preferiamo la menzogna.
Emerge nella passione la lucidità, la determinazione di Cristo. Egli non è uno offuscato e spezzato. In quel momento è tutta la Scrittura che si compie in lui, ed egli è consapevole. Ascoltiamo le sua parole, e accogliamo il suo testamento. Ci lascia la Madre sua, Maria; e proclama la sua sete: è la sete che ha dell’amore del Padre e degli uomini.
E’ l’agnello vero pasquale; la fonte dell’acqua e del sangue, dello Spirito che disseta, e del sacrifico che redime. E’ il trafitto che attrae lo sguardo e il desiderio dei popoli. Sul Calvario avvengono le vicende in Gesù che interessano la storia di tutto il mondo, di ogni tempo: la storia della nostra comunità che sta celebrando la Pasqua, della nostra anima che una volta ancora riceve la grazia di questa contemplazione e dei suoi frutti. L’avvenimento è passato, ma il suo segno, la sua grazia, la sua efficacia, rimangono.
TRIDUO PASQUALE: GIOVEDI' SANTO: IN CENA DOMINI
24 MARZO - GIOVEDI’ SANTO
Nel Triduo pasquale, in cui celebriamo il mistero della morte e risurrezione, il primo grande incontro di questo evento del mistero pasquale è l’ultima Cena, l’istituzione dell’Eucaristia.
L’Eucaristia è il sacramento della passione e della morte di Gesù, che egli lascia ai discepoli prima di consegnarsi ai suoi carnefici, per rendere la sua presenza nel tempo della sua assenza. La celebrazione della Cena è un dono che ancora oggi accompagna la vita della Chiesa ed è un impegno di vita per coloro che si pongono alla sua sequela. Nel banchetto del pane e del vino i discepoli faranno memoria del Signore ed entreranno in comunione con il suo Corpo e con il suo Sangue.
Nell’Eucaristia Gesù rende presente e disponibile la sua carità, il suo consegnarsi per noi. In essa egli ha affidato « alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore ». Quello che egli fa è all’opposto di ciò che compie Giuda. Questi lo vende, come fosse una cosa; Gesù invece si offre, come « vittima di salvezza ». Restiamo stupefatti e partecipi di questa umiltà di Cristo, che ci purifica dalle colpe, che si mette ai nostri piedi, che continua a lavarci la coscienza, che ci insegna a prendere l’ultimo posto, che genera ala nostra fraternità. Soprattutto questa sera sentiamo di formare, « qui riuniti, un solo corpo », perché Cristo ci ha raccolti. « Via le lotte maligne, via le liti, e regni in mezzo a noi Cristo Dio ».
Prima Lettura: Es 12,1-8.11-14.
Nello sfondo della Pasqua ebraica, in cui Israele deve mangiare l’agnello e con il sangue, a protezione, tingere gli stupiti delle case, segno e memoriale del passaggio di Dio e della liberazione, si colloca la celebrazione dell’Ultima Cena di Gesù. Intuiamo immediatamente che si tratta di un simbolo dell’Agnello di Dio, Gesù, che, immolato, toglie i peccati del mondo e muore sulla croce come l’agnello pasquale vero, nel cui sangue siamo liberati dal peccato. Ogni volta che riceviamo l’Eucaristia rinnoviamo la Pasqua, la manducazione del vero agnello immolato sulla croce.
Seconda Lettura: 1 Cor 11,23-26.
La Chiesa di Corinto aveva perso il senso dell’Eucaristia. Paolo allora rintraccia l’immagine originale del banchetto cristiano. Esso è la Cena del Signore, risale all’iniziativa e all’invenzione di Cristo, che all’Ultima Cena nel segno del pane e del vino consegna il suo Corpo e il suo Sangue, cioè il sacrificio di se stesso. Non vi si può prendere parte in qualche modo, ma con il proposito di entrare in comunione viva con la passione e la morte di Gesù per risorgere con lui.
Vangelo: Gv 13,1-15.
Per l’evangelista Giovanni, nella celebrazione della « Festa di Pasqua », Gesù vuole celebrare una Pasqua diversa da quella ebraica « sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre », accogliendo liberamente la volontà del Padre e offrendo, nella sua passione e morte, la vita per amore degli uomini. Nel contesto della sua Passione, che ha per contraltare l’istituzione dell’Eucaristia, raccontata dai Sinottici a questo punto della vita di Gesù, è la chiave per comprendere il gesto che Giovanni, nel vangelo di oggi, racconta: l’umile gesto della lavanda dei piedi che Gesù fa ai discepoli. Egli « avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine »: e il segno di questo amore estremo, illimitato, è il dono che egli fa di se stesso. E’ la sua vita resa usufruibile per i suoi. La lavanda dei piedi è come il simbolo di questa donazione: Gesù è venuto per servire. L’amore non è vero se non serve. Gesù sa di essere « il Signore e il Maestro », ma non per questo eserciterà la potenza ma porterà al massimo l’amore.
C’è un richiamo all’interno del vangelo di Giovanni: sulla croce, morendo Gesù dice: « Tutto è compiuto». Usa la stessa parola che, posta in questi due momenti dell’ultima Cena e della croce, dice la qualità dell’amore. Questo estremo amore si esprime con il gesto del deporre le vesti e cingersi il panno. Del gesto Gesù dice due cose: « Se non ti laverò i piedi non avrai parte »; e : « Vi ho dato un esempio, infatti, perché come ho fatto io, facciate anche voi ». Il gesto di Gesù ci interroga. L’estremo limite dell’amore dice povertà radicale, umiltà, servizio. Povertà ben espressa dall’Eucaristia. Dietro quella povera forma, la gloria del Risorto. Il sacramento più caro alla Chiesa, così estremamente debole.
Resistenze all’amore; amore divinizzante.
Il povero gesto di Gesù, così denso di significato, non è compreso neppure da Pietro. Un amore così radicale, che cerca la comunione muove subito delle resistenze. Pietro, come noi, è resistente alla radicalità di una tale gratuità. Vi possono essere diverse cause di resistenza. Per accettare un tale amore bisogna riconoscersi peccatori salvati, allontanando ogni presunzione di auto salvarsi. Bisogna abbandonarsi alla salvezza offerta gratuitamente da Dio che cerca la comunione con noi. Ecco che l’Eucaristia è sacramento della presenza di Cristo nella sua Chiesa e della comunione di chi crede in lui. Il gesto ancora ci convoca a fare come Gesù, ad consegnarci ai nostri fratelli e al mondo. L’esempio di Gesù allora più che dare un imperativo morale vuole fare di noi, nel nostro amore radicale, altri Cristo. E’ un gesto allora divinizzante, perché dove « c’è carità e amore, qui c’è Dio ».
Questa sera – nel « memoriale », nel « rito perenne », di cui ci parla la prima lettura dell’Esodo, e che per noi è ormai l’Eucaristia – possiamo più intensamente misurare la carità che ci ha redento e che dobbiamo attestare.
Il rito della lavanda dei piedi è ricco di significato profetico: è la norma della vita interiore della Chiesa ( la carità), una testimonianza di fede. E’ rendere presente Dio, è la nostra beatitudine. Ci riporta al gesto umile di Gesù, che proclama il primato di chi serve il prossimo, non di chi lo domina. In questo gesto Gesù prefigura la sua passione, che è un servire e un dare la vita per la redenzione degli uomini. Gesù che lava i piedi ai discepoli richiama anche l’Eucaristia, dove prosegue il servizio di amore; richiama insieme la purezza di cuore per prendervi parte, e infine il sacramento del Battesimo, che lava e rende commensali di Cristo
Domenica delle Palme: Gesù entra a Gerusalemme
20 MARZO – DOMENICA DELLE PALME.
Con la domenica delle Palme – l’ingresso di Gesù in Gerusalemme – si apre la Settimana Santa, la principale di tutto l’anno liturgico. Essa è la più ricca delle memorie dei misteri della redenzione: la passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione del Signore. La comunità cristiana è chiamata a raccogliersi frequentemente:
- per l’ascolto della Parola di Dio, che rievoca, dalla Bibbia, i grandi momenti della nostra salvezza;
- per la preghiera, risposta riconoscente e piena di lode ai gesti della misericordia divina;
- per la celebrazione dell’Eucaristia, che è il sacramento dove ritroviamo, nei segni del pane e del vino, ii Corpo di Gesù offerto per noi e il suo sangue effuso per la remissione dei peccati;
- per la solenne adorazione della croce del Venerdì Santo;
- per la solenne Veglia di Pasqua.
Gesù, condividendo la nostra fragilità umana, attraverso la sua umiliazione, il dolore, la sofferenza e la sua passione, ci ha insegnato a superare questi limiti, accogliendo la volontà salvifica di Dio nell’obbedienza della croce e confidando nella forza che viene da Lui e non nelle nostre forze.
Sono giorni di passione della Chiesa, che rivive in sé i dolori di Cristo; giorni di raccoglimento e di silenzio, nella meditazione del disegno sorprendente e stupendo del Figlio di Dio che ci ha amati fino a morire in croce; giorni di speranza, perché il Male è stato vinto definitivamente e alla morte si è sostituita la risurrezione; giorni, quindi, di serenità e di gioia, via via che scopriamo la forza della carità che ci ha riscattato e della vita nuova che esce dal sepolcro di Gesù, inizio e germe di vita risorta per tutti gli uomini.
In questa domenica delle Palme, che è come varcare una soglia, dal clima della quaresima a quello più intimo e solenne della Settimana Santa, ripercorriamo spiritualmente l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. per entrare poi nel Triduo pasquale, in sintonia col mistero della Morte e Risurrezione del Signore.
Riviviamo gli eventi della salvezza facendo esperienza della grazia ricevuta già una volta nel battesimo; riscopriamo il significato della passione del giusto innocente, per continuare a fare tesoro dei meriti salvifici di Cristo, evitando che il ripercorrere gli eventi della passione ci coinvolga solo superficialmente.
Quello celebrato in questa domenica è un evento glorioso per Cristo, acclamato come il re d’Israele, che viene nel nome del Signore. Ma, insieme, questa gloria e regalità di Cristo è solo preannunciata: Egli deve prima passare attraverso la passione. Con questa domenica si apre la Settimana Santa in cui Gesù apparirà come il Servo umiliato fino alla morte, preannunziato da Isaia, che « consegnandosi a un’ingiusta condanna, porta il peso dei nostri peccati » e nella sua morte lava le nostre colpe.
La processione osannante di oggi, con i suoi canti e la sua festosità, non deve farci dimenticare che alla risurrezione non arriveremo per via diversa da quella che passa per il Calvario.« Chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione ».
Gesù entra in Gerusalemme non con la prepotenza ma con l’umile mitezza. Viene accolto festosamente. Ma non illudiamoci troppo: dopo pochi giorni non mancherà chi lo vorrà crocifisso. Gesù va accolto nel cuore e imitato nel suo doloroso cammino. Soltanto così non lo tradiremo mai. Egli entra come un re nella città santa, e il suo dono è la pace. Noi ci affatichiamo invano di ottenerla se non dominiamo i nostri istinti di prepotenza, se non riconosciamo in Gesù, che cavalca umilmente un puledro, lo stesso Figlio di Dio, venuto a riconciliarci con il Padre e tra noi.
La Settimana Santa ha per scopo la venerazione della Passione di Gesù Cristo dal suo ingresso messianico in Gerusalemme.
I giorni di questa Settimana, dal lunedì al giovedì, hanno la precedenza su tutte le altre celebrazioni.
Il Giovedì della Settimana Santa, al mattino, il vescovo, celebrando la Messa col suo presbiterio, benedice gli oli santi e fa sacro il crisma. I colori liturgici sono: rosso per la domenica delle Palme, viola per il lunedì, martedì, mercoledì, bianco per la Messa crismale.
Dio ci rende giusti per la fede che abbiamo in lui e se aderiamo alla sua volontà.
13 MARZO – V DOMENICA DI QUARESIMA.
Come membra vive del corpo di Cristo, vivendo nella comunione con il suo Corpo e Sangue, siamo inseriti in una relazione vitale con lui. Se anche non possiamo scampare dalla morte fisica, questa unione è però pegno di risurrezione. Ma si può giungere alla gloria della vita eterna solo se prima siamo partecipi della passione redentrice di Gesù. Egli ci invita a morire come lui, come il seme che muore e produce molto frutto. Dall’Eucaristia, ancora, ci viene la forza dello Spirito, che ci fa vivere come nuove creature, siamo resi partecipi del suo Corpo mistico e ci viene anticipata la caparra della gloria futura della vita celeste. Cristo nella vita terrena ci è di compagno e, come il buon samaritano, ha compassione della nostra miseria e perdona ogni nostra colpa.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia chiediamo al Padre: « Dio di bontà, che rinnovi tutte le cose, davanti a te sta la nostra miseria: tu che hai mandato il tuo Figlio unigenito non per condannare, ma per salvare il mondo, perdona ogni nostra colpa e fa’ che rifiorisca nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia ».
Prima Lettura Is 43,16-21.
Nel ricordo del passaggio nel Mar Rosso, in cui Dio aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo alle acqua e furono sommersi i cavalli con i loro carri, esercito ed eroi insieme, che giacciono morti e più non si rialzeranno, perché estinti, il Signore dice per bocca del profeta: « Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? ». Per la potenza del Signore avverranno cose nuove: nel deserto aprirà una strada, nella steppa immetterà fiumi e tutti, bestie selvatiche, sciacalli e strizzi glorificheranno il Signore, perché avrà fornito acqua per dissetare il suo popolo, che Egli ha plasmato per sé, popolo che lo celebrerà con le sue lodi.
Dio infatti con il suo intervento libererà il popolo dalla schiavitù di Babilonia, si renderà incessantemente presente in mezzo ad Israele e sarà fedele alle sue promesse. Questo sarà un nuovo esodo, una nuova creazione, per cui il passato non si ricorderà più. Un popolo nuovo darà lode a Dio. Con la Pasqua del Cristo avverrà una definitiva liberazione, un esodo che non si ripeterà più, perché sorgerà un popolo eletto che farà salire a Dio la celebrazione delle lodi. La Chiesa, Corpo mistico di Cristo, comunità di coloro che accolgono di far parte di questo popolo nuovo, eleverà con lui Capo la lode perenne a Dio.
Seconda Lettura: Fil 3,8-14.
San Paolo scrive ai Filippesi dicendo di ritenere, di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo, tutto ciò che ha vissuto prima di incontrarlo come spazzatura. Conoscendo Cristo ha ottenuto la vera giustizia, quella che viene dalla fede in lui, la giustizia che viene da Dio e non quella derivante dalla osservanza della Legge. E questo perché egli « possa conoscere il Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dei morti ». Ricorda loro che egli ancora non ha raggiunto la meta della perfezione, ma si sforza di conquistarla, essendo stato conquistato da Cristo. Dice che, dimentico del passato e proteso verso il futuro che gli sta di fronte, corre verso la meta, verso il premio che Dio ci chiama a ricevere, lassù nel cielo, in Cristo Gesù. La conoscenza di Gesù attraverso la sua parola, realizzata con la comunione e la esperienza con lui, vale per il cristiano più di tutto, onori, ricchezze, sicurezze, ecc. e anche della vita, fino a darla nel martirio, così come è avvenuto per Paolo, gli altri apostoli, i martiri. Paolo per « Gesù, suo Signore » si è staccato dalla vita precedente, dai legami e da tutto quello che prima stimava e amava, dalla sua esperienza come fariseo e israelita e dal valore delle opere compiute in nome di una giustizia legale. Gli importa solo di Cristo, che lo rende giusto, perché Dio è giusto, mediante la fede. Così Paolo indica a tutti coloro che accolgono Cristo il senso della vita cristiana, per camminare da risorti verso Cristo risorto.
Vangelo: Gv 8,1-11.
Gesù dopo aver trascorso la notte nel monte degli Ulivi, la mattina si reca nel tempio e si mette ad insegnare a tutto il popolo che si reca da lui. Gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, per metterlo alla prova e poterlo accusare, gli dicono: « Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Mosè nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici? ». Gesù, poiché si mette a scrivere per terra ed essi insistono nell’interrogarlo, risponde: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei ». Mentre riprende a scrivere per terra, quelli se ne vanno uno per uno, dal più giovane al più anziano. Rimasto solo con la donna, le dice: « Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? » Alla risposta della donna, Gesù replica:« Neanch’ io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più ».
Gesù non condanna la donna peccatrice che gli è stata portata davanti, per il giudizio, dalla malizia e ipocrisia degli scribi e farisei, i quali, vistisi interpellati nella loro coscienza riguardo ai loro peccati, non hanno il coraggio di lapidarla e si rifilano dal farlo. Gesù è venuto non per condannare il mondo ma per salvarlo, come dice a Nicodemo nel colloquio notturno avuto con lui. E‘ venuto per assolvere e offrire il perdono. Egli è venuto a prendere su di sé le iniquità e i peccati morendo in croce e offrire il perdono. Se da una parte, come dice Gesù alla donna, deve esserci il fermo proposito di non peccare da parte del peccatore, dall’altra bisogna avere illimitata confidenza in colui che è venuto, come medico, a cercare la pecorella smarrita, cioè l’intera umanità lontana da Dio. In questo tempo quaresimale, allora, tempo favorevole di grazia, possiamo attingere il perdono di Dio, meritatoci da Cristo, attraverso il ministero della Chiesa, nel sacramento della riconciliazione, e riprendere il cammino di rinnovamento spirituale che la Pasqua vuole farci realizzare nell’oggi della nostra vita, così da essere un giorno partecipi della Pasqua eterna nel cielo.
Il perdono e la misericordia di Dio per mezzo di Gesù, che ci ha riconciliato col Padre celeste.
6 MARZO – IV DOMENICA DI QUARESIMA
Nell’appressarsi della Pasqua affrettiamoci, con “ fede viva e generoso impegno ”, a vivere riconoscendo Gesù quale Figlio di Dio, che è mandato dal Padre perché gli uomini, come il figlio prodigo della parabola, possano ritrovare la strada di ritorno alla casa del Padre. Gesù è venuto per riconciliarci con il Padre celeste e poter riavere la dignità di figli di Dio.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, Padre buono e grande nel perdono, accogli nell’abbraccio del tuo amore tutti i figli che tornano a te con animo pentito, ricoprili delle splendide vesti di salvezza, perché possano gustare la tua gioia nella cena pasquale dell’Agnello ».
Prima Lettura: Gs 5,9.10-12.
Giunti a Galgala gli Israeliti celebrarono la Pasqua al quattordici del mese e il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, azzimi e frumento abbrustolito. Dal giorno seguente la manna cessò. Raggiunta la terra promessa, viene celebrata la Pasqua, memoriale della liberazione, che accompagnerà Israele lungo la sua storia. La Pasqua non sarà un semplice ricordo di un avvenimento di tanti anni fa, ma dovrà essere il segno che assicurava la presenza e la grazia del Signore. Quell’antico riscatto di liberazione è, pur sempre, per noi cristiani, inizio e immagine, come la terra di Canaan, della Pasqua di Cristo, che nel suo sangue ha liberato l’umanità dal peccato per introdurla nella Pasqua eterna del cielo: terra promessa definitiva in cui introdurrà l’umanità nella fase finale della storia di salvezza.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,17-21.
San Paolo, ai Corinzi, ricorda che, ormai, chi è in Cristo è una creatura nuova. Questo rinnovamento viene da Dio che ha riconciliato l’umanità con sé mediante Cristo e ha affidato agli apostoli il ministero della riconciliazione.
Dio così, riconciliando con sé il mondo, non imputa agli uomini le loro colpe e mediante la parola affidata agli apostoli rende questa riconciliazione salvifica nella vita degli uomini. Esorta ancora i Corinzi a lasciarsi riconciliare con Dio: «In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo; lasciatevi riconciliare con Dio », perché Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo ha fatto peccato in nostro favore e per lui noi siamo diventati giustizia di Dio.
Cristo è morto per noi per amore e noi dobbiamo rispondere a questo amore donando la nostra per lui. Viviamo in Cristo, morto e risorto, vivendo da « nuove creature », rigenerate dalla sua grazia, iniziamo un cammino nuovo di vita santa, abbandonando tutte le cose di peccato passate. Siamo riconciliati con Dio, ricevendo il perdono completamente gratuito suo e senza nostro merito, poiché è di Cristo il merito. Il Sacramento della Riconciliazione, in Quaresima, è certamente un’occasione per vivere intensamente la riconciliazione e attingere copiosamente il perdono di Dio, attraverso il ministero della Chiesa.
Vangelo: Lc 15,1-3.11-32.
Il Vangelo di questa Domenica, attraverso una delle pagine più belle, la parabola del figlio prodigo, ci fa riflettere e contemplare l’amore grande, misericordioso di Dio nel confronti del figlio minore, da una parte, che si allontana dalla casa del Padre, dal suo amore e, usando negativamente i suoi doni e i suoi benefici, si riduce in una condizione deplorevole e degradante, e verso il figlio maggiore, dall’altra, che non vuole riconoscere né accogliere il fratello che ritorna a casa e, pur facendogli presente, davanti alle sue lamentele, che di tutto lui poteva disporre di quello che era in casa, si rifiuta di entrare e partecipare alla festa che il padre ha preparato per il figlio ritrovato. E’ certo la parabola narrata da Gesù in riferimento ai peccatori e pubblicani che venivano rifiutati ed emarginati da coloro che si ritenevano giusti, scribi e farisei. Ma in essa, al di là del contesto storico di allora, dobbiamo vedere tutti gli uomini. Nel figlio minore sono prefigurati coloro che, come uomini usando negativamente i doni che Dio dà ad ognuno o nel contesto religioso di fede si allontanano dal Signore e riducono la loro dignità, come si era ridotto il Figlio prodigo, costretto per sopravvivere a pascolare i porci: per tutti costoro Dio aspetta che ritornino al suo amore, li accoglie nella sua misericordia e per loro prepara la festa. Nel figlio maggiore coloro che, pur non allontanandosi da Dio, nell’una o altra situazione di vita, di credenti o meno, non sanno vedere i doni che Dio dona, il bene che nella sua provvidenza elargisce e pensano che Dio non li tratti secondo i loro desideri, e per di più, non riconoscono il suo amore e non accettano di far festa per i fratelli che ritornano all’amore del Padre, Lontano da Dio l’uomo cerca la sua autonomia, credendo di realizzare meglio la vita. Ma la conclusione di questa esperienza può essere la fame, l’umiliazione, la vergogna, la solitudine. Solo quando l’uomo tocca il fondo del degrado nella sua dignità, ritorna alla memoria della dignità perduta, la coscienza si illumina e può riprende un cammino di ritorno. Ritornando a casa, il figlio della parabola dice al padre: « Padre ho peccato contro il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio ». Dio, come quel padre, attende con amore paterno l’uomo che ritorna a lui e non cessa di aspettare per riabilitarlo e restituirlo nella dignità filiale, rivestendolo « Col vestito più bello … mettendogli l’anello al dito e i sandali ai piedi » e preparandogli una festa, perché « Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ».L’atteggiamento di Dio indispettisce chi si crede giusto, chi non è capace di rallegrarsi con il cuore del Padre celeste, ritenendo di avere diritti per aver servito in casa per tanti anni e non aver disobbedito a Dio. Gesù così, accogliendo i peccatori, suscita stupore nei farisei che mormorano. Ma Gesù ha proclamato che: « Si fa più festa in cielo per un peccatore pentito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione ».