





LA CHIAMATA DI DIO ALLA MISSIONE PER IL REGNO.
26 GIUGNO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il Signore, nella liturgia della Domenica, continua a portare a compimento l’opera della redenzione e della liberazione degli uomini dalle tenebre del male e del peccato. Donandoci lo Spirito Santo, con la sua luce della verità, ci libera dal nostro egoismo e con la grazia del Cristo, povero e crocifisso, addolcisce le nostre asprezze con la dolcezza e la forza del suo amore.
Verificare ogni giorno questo cammino di santità è certo un compito a cui siano chiamati, ma dobbiamo ritenerlo un dono di grazia elargito dal Signore, dono che non dobbiamo mettere in dubbio di fronte all’esperienza di ogni giorno, in cui i sentimenti sono diversi da quelli che il Signore ci chiede.
Così non dobbiamo avvilirci né scoraggiarci e, convinti della continuità del suo aiuto, dobbiamo camminare nella via della santità con serenità e costanza.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Padre celeste dicendo:« O Dio, che ci chiami a celebrare i tuoi santi misteri, sostieni la nostra libertà con la forza e la dolcezza del tuo amore, perché non venga meno la nostra fedeltà a Cristo nel generoso servizio dei fratelli ».
Prima Lettura: 1 Re 19,16.19-21.
Il profeta Elia riceve dal Signore l’ordine di ungere Eliseo, figlio di Safat, come profeta al suo posto. Partito, Elia trova Eliseo che con dodici paia di buoi ara i suoi campi e, passandogli vicino, gli getta il suo mantello. Eliseo, allora, lasciando i suoi buoi e correndo dietro a Elia, gli dice: « Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò ». Ed Elia a lui: « Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto di te ». Eliseo prende un paia di buoi, li uccide, fa cuocere la loro carne e la dà al popolo, perché la mangi, poi segue Elia ed si mette al suo servizio.
E’ una vera e propria investitura profetica quella che Eliseo riceve da Elia per ordine di Dio. Questo cambiamento di vita lo fa distaccare dalla sua famiglia e dalla sua vita di prima. Così, entrando al servizio di Elia, si pone al servizio della parola di Dio, che vuol dire obbedire a lui ed essere pronti a compiere qualsiasi genere di sacrificio o rinunzia che Dio chiede.
Seconda Lettura: Gal 5,1.13-18.
Paolo dice ai Galati che, essendo stati liberati da Cristo, non devono farsi ridurre di nuovo in schiavitù. Chiamati alla libertà, questa non deve diventare un pretesto per la carne. Mediante l’amore si entra al servizio gli uni degli altri, perché pienezza della legge infatti è il precetto : « Amerai il prossimo tuo come te stesso ». E, qualora dovessero mordersi e divorarsi a vicenda, non devono distruggersi del tutto gli uni gli altri. Li esorta quindi a camminare secondo lo Spirito e a non soddisfare le opere della carne, la quale ha desideri contrari allo Spirito, poiché queste cose si oppongono a vicenda. Se ci si lascia guidare dallo Spirito non si è più sotto la legge. Il cristiano, per la fede in Gesù, morto e risorto, è reso libero da ogni vincolo di legge mosaica e deve seguire solo l’unico precetto dell’amore, che consiste nell’essere animato dallo Spirito di Cristo. Così la sua condotta non può essere più asservita agli impulsi e ai desideri della carne, dell’uomo vecchio che non è stato ancora redento dalla grazia di Cristo. Lo Spirito del Padre e del Figlio, cioè la carità di Dio, elargito al credente, deve essere l’unica guida del suo agire. Infine, ironicamente, Paolo dice ai Galati, che qualora si abbiano contese, risentimenti, aggressività vicendevole, per le debolezze umane, non può superarsi il limite di un atteggiamento che distrugga il fratello, perché allora si rischierebbe di essere al di là della propria dignità di discepoli del Signore e di creature di Dio e si ricadrebbe sotto la schiavitù della carne. San Giovanni scrive che chi odia il proprio fratello è omicida.
Vangelo: Lc 9,51-62.
Avvicinandosi i giorni in cui sarebbe stato condannato ed elevato in alto, Gesù si avvia verso Gerusalemme e invia dei messaggeri verso un villaggio samaritano per preparargli l’ingresso. Ma viene rifiutato, perché egli è in cammino verso Gerusalemme. Giacomo e Giovanni, allora, gli dicono: « Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? ». Ma mentre Gesù, rimproverandoli, si avvia verso un altro villaggio, un tale gli dice: « Ti seguirò dovunque tu vada ». E Gesù gli risponde: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo ». Ad un altro a cui Gesù dice: « Seguimi », e questi gli chiede: « Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre », Gesù replica: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio ».
Infine, ad un altro ancora che gli dice: « Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi conceda da quelli di casa mia », Gesù risponde: « Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio ». Ai due discepoli che invocano il castigo per coloro che lo rifiutano, Gesù replica che non spetta a loro giudicare e condannare, perché invocare il castigo non è secondo il suo spirito, perché tutti siamo oggetto della misericordia e della pazienza di Dio. Ad altri Gesù chiede prontezza e decisività per seguirlo ed essere suoi discepoli, senza lasciarsi condizionare dalla nostalgia dei legami di vario genere. Neanche l’impulso nel seguire il Signore può essere buon consigliere, perché il seguirlo è una via difficile, di disagio, di povertà e di rinunzie: si richiede un forte vincolo d’amore a Cristo e passione per annunziare il Regno di Dio.
Ultimo aggiornamento (Sabato 25 Giugno 2016 21:24)
Gesù, colui che hanno trafitto, riconcilia l'umanità con il Padre celeste.
19 GIUGNO - XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nella memoria della Pasqua del Signore celebriamo il suo sacrificio di espiazione in cui Gesù si è offerto per riconciliare l’umanità con il Padre celeste. L’Eucaristia ci rende partecipi di questa riparazione, poiché la nostra vita, segnata dal peccato, ha continuo bisogno di riconciliazione e di riparazione, in quanto molte cose, come la ricerca del successo, la nostra superbia ed esaltazione, i cedimenti davanti alle esigenze del Vangelo, sono realtà che esigono purificazione. Nell’Eucaristia oltre a questa espiazione e alla fedeltà per confessare la nostra fede, troviamo e sono condivise anche la lode innalzata da Gesù che si immola sulla croce, l’adorazione e il ringraziamento al Padre celeste.
Nel giorno del Signore la nostra lode deve sgorgare dal cuore in maniera più intensa e prolungata, alimentata dalla Parola di Dio che ci dà testimonianza della salvezza che Gesù ha operato e continua a renderla presente nella nostra storia, come con i due discepoli di Emmaus.
Nella preghiera iniziale della Colletta diciamo a Dio: « Fa’ di noi, o Padre, i fedeli discepoli di quella sapienza che ha il suo maestro e la sua cattedra nel Cristo innalzato sulla croce, perché impariamo a vincere le tentazioni e le paure che sorgono da noi e dal mondo, per camminare sulla via del calvario verso la vera vita ».
Prima Lettura: Zc 12,10-11.13,1.
Per mezzo del profeta Zaccaria il Signore promette che riverserà sulla casa di David e su Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione, poiché guarderanno a lui, colui che hanno trafitto. Di lui ne faranno lamento come per un figlio unico e lo piangeranno come per il primogenito e grande sarà in Gerusalemme il lamento. Vi sarà in quel giorno, per la casa di David per Gerusalemme, una sorgente zampillante per lavare il peccato e le impurità. Colui che è trafitto appare come vittima, che diviene motivo di pentimento e di salvezza e viene effuso anche lo Spirito. Il trafitto è Colui da cui proviene lo Spirito di grazia e di consolazione, che rigenera il cuore e salva. Davanti a Cristo crocifisso ci si batte il petto e si esprime il pentimento per il peccato. Oggi, in cui il senso del peccato va quasi scomparendo, più che le considerazioni sociologiche o la constatazione delle ingiustizie sociali, bisogna guardare al Cristo crocifisso, morto per noi, che ci ha meritato lo Spirito Santo che ci rigenera e ci riconcilia con Dio.
Seconda Lettura: Gal 3, 26-29.
San Paolo ricorda ai Gàlati che, essendo stati battezzati in Cristo mediante la fede in lui e divenuti figli di Dio, si sono rivestiti di Cristo. Tra coloro, quindi, che sono in Cristo non vi è più nessuna distinzione di nazionalità, di sesso, di condizione sociale, ma tutti sono uno in lui. Poiché, allora, si appartiene a Cristo, per la fede, si è discendenza di Abramo e di conseguenza si è anche eredi della promessa fatta da Dio al patriarca.
Per mezzo della fede si diviene figli di Dio perché ci si affida abbandonandosi totalmente a lui, che con la sua grazia ci giustifica. Questo avviene nel Battesimo in cui il credente in Gesù Cristo imita la sua morte e di essa ne riceve i benefici, rivestendosi di lui. Se il rito del Battesimo è semplice, grande è la realtà che esso produce nel credente: perché dal lavacro battesimale, per la presenza dello Spirito di Dio, ci viene elargita la vita divina, che ci assimila a lui divenendo sua immagine vivente, diventiamo figli di Abramo secondo la promessa divina e infine ogni divisione o steccato scompare tra coloro che sono divenuti figli. Siamo fatti «uno in Cristo Gesù », figli di Dio, fratelli e membri di un unico corpo, di cui Gesù è il capo. Da ciò deriva l’impegno dell’amore reciproco, come fine e tentativo di ogni giorno da perseguire, anche se non mancano per la debolezza umana le mancanze e le sconfitte, che non devono avvilire. Così attraverso l’amore del prossimo rendiamo visibile l’amore che diciamo di avere per Dio.
Vangelo: Lc 9,18-24.
Gesù, mentre è in un luogo solitario a pregare, ai discepoli che erano con lui chiede: « Le folle, chi dicono che io sia?». Dopo che essi riferiscono ciò che gente dice di lui, che sia Giovanni il Battista, Elia o un profeta, Gesù chiede: « Ma voi, chi dite che io sia? ». Pietro allora risponde: « Il Cristo di Dio ». E Gesù, dopo aver proibito loro di riferirlo ad alcuno, aggiunge: « Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno ». A tutti poi diceva che se qualcuno voleva andare dietro a lui avrebbe dovuto rinnegare se stesso, prendere la propria croce ogni giorno e seguirlo. Chi avesse voluto salvare la propria vita, l’avrebbe perduta, ma chi l’avesse perduta per causa sua, l’avrebbe salvata. Le folle, dunque, dopo tutto quello che avevano sperimentato di Gesù, non sono in grado ancora di scoprire il mistero di Gesù. Pietro lo proclama « il Cristo di Dio », cioè il Messia. Ma ciò avviene perché è stato il Padre a rivelarglielo, come gli dice Gesù stesso: non sono state le sue forze ma il dono della luce divina. Gesù allora annunzia che il Figlio dell’uomo, con cui si identifica, ha dinanzi la passione, la morte e la risurrezione: il mistero della salvezza che si realizza sulla croce, ma che Pietro e ogni uomo non comprende. Eppure in esso, nella follia della croce, come dice Paolo, si rivela la sapienza e la potenza di Dio che salva. E non solo Gesù ma ogni credente in lui deve incamminarsi per la stessa via, ogni giorno, portando la propria croce dietro a lui. Imitare Gesù nella cammino della croce è la strada che porta alla vita piena, che sa morire per portare frutto, perdita che è guadagno e promessa di risurrezione in Dio, come lo è per Gesù risorto.
LA MISERICORDIA DEL PADRE, MANIFESTACI IN CRISTO GESU'.
12 GIUGNO – XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO..
Nell’Eucaristia, memoriale del Signore, noi rendiamo grazie a Dio per i suoi benefici con l’offerta del pane e del vino, che saranno trasformati dallo Spirito Santo nel Corpo e Sangue di Cristo. Questi doni trasformati diventano Sacramento che ci unisce a Cristo e viene edificata la Chiesa nell’unità e nella pace. L’unione a Cristo diventa più piena quando, come lui, viviamo nella osservanza della volontà di Dio, quando rendiamo la nostra vita, non solo nelle intenzioni ma anche le scelte quotidiane, in coerenza con la fede.Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di oggi chiediamo al Padre celeste: « O Dio, che non ti stanchi mai di usarci misericordia, donaci un cuore penitente e fedele che sappia corrispondere al tuo amore di Padre, perché diffondiamo lungo le strade del mondo il messaggio evangelico di riconciliazione e di pace». I cristiani, come popolo profetico e sacerdotale, attingono dalla Eucaristia, nel giorno del Signore, la capacità e il gusto di continuare l’opera di Cristo, facendosi annunciatori e testimoni del Vangelo ediffondendo nel mondo la Parola che riconcilia con Dio e tra noi e crea la pace.
Prima Lettura: 2 Sam12,7-10.13.
Per mezzo del profeta Natan, Dio rimprovera Davide che, dopo averlo unto re d’ Israele e liberato dalle mani di Saul, dato la sua casa e messo nelle sue braccia le donne del suo padrone, dato la casa di Israele e di Giuda e avrebbe ancora aggiunto altro, ha disprezzato la parola del Signore facendo ciò che è male ai suoi occhi, poiché ha fatto colpire Uria l’Ittìta per mano degli Ammoniti e preso in moglie la sua moglie. Per questo gli viene preannunziato che la spada non si allontanerà mai dalla sua casa. Davide, allora, riconoscendo il suo peccato, dice a Natan: « Ho peccato contro il Signore! ». E Natan: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai ». Davide, senza mezzi termini, viene ripreso per i suoi peccati di omicidio e di adulterio, viene inflessibilmente condannato. Ma la misericordia di Dio, dal momento che il re riconosce il suo peccato, che non è un peccato sociologico, pur trattandosi di omicidio e adulterio, ma un’offesa grave a Dio e se ne pente, è più grande del peccato. Nell’uomo è presente Dio e ogni peccato è mancanza di fedeltà a lui.
Per amore, all’uomo pentito del male compiuto, Dio rimette il peccato e, in ogni Eucaristia, Cristo crocifisso che versa il suo sangue, « per la remissione dei peccati », è il segno di tale perdono. Ma dal perdono deve sgorgare una vita nuova e, consapevoli di essere riconciliati, bisogna risorgere alla mentalità di Dio, che rende « Beato l’uomo a cui è tolta la colpa ».
Seconda Lettura: Gal 2,16.19-21.
San Paolo scrive ai Galati dicendo che, poiché l’uomo è giustificato per mezzo della fede in Cristo Gesù e non per le opere della Legge, egli e i credenti hanno creduto in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in lui: per le opere della Legge non viene giustificato nessuno. Egli si dichiara morto alla Legge affinché viva in Dio e, poiché è stato crocifisso con Cristo, non è più lui che vive ma Cristo vive in lui. La vita che egli vive nel corpo, la vive nella fede del Figlio di Dio, da cui si sente amato e, poiché Cristo si è consegnato per lui e per tutti gli uomini, non vuole rendere vana la grazia di Dio: perché se la giustificazione all’uomo viene dalla Legge, Cristo è morto invano.
La salvezza viene allora dalla fede e dalla comunione che viviamo con Cristo crocifisso, per cui si entra in intimità viva e reale con lui. Poiché così facciamo vivere lui in noi possiamo dire come l’apostolo, che non siamo più noi che viviamo, ma Cristo vive in noi. Per la comunione con Cristo, che nella morte si è consegnato a noi con un gesto di’amore, siamo risorti alla vita di figli di Dio e per questa unione siamo giustificati. Se, trascurando la morte di Gesù, l’uomo dovesse pensare di redimersi da sé, renderebbe vano il sacrificio di Gesù: non dobbiamo, allora, mai distogliere il nostro sguardo dalla croce se vogliamo essere giustificati e salvati. Le opere, compiute da credenti con la risposta di fede a Dio e che ci rendono a lui graditi, devono essere una conseguenza di questa giustizia che viene, come dono gratuito, dal Signore.
Vangelo: Lc 7,36-8,3.
Il Vangelo di Luca, oggi, ci fa riflettere su Gesù, che invitato da Simone il fariseo a mangiare da lui, viene onorato da una donna, peccatrice di quella città, la quale « Stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, comincia a bagnarli di lacrime, poi li asciuga con i suoi capelli, li bacia e li cosparge di profumo ».
Poiché il fariseo, vedendo tale gesto, pensa che se Gesù fosse un vero profeta saprebbe che razza di donna è colei che lo tocca, Gesù si rivolge a Simone dicendogli: « Simone ho da dirti qualcosa ». Volendo il fariseo ascoltarlo gli dice: « Di’ pure, maestro ». E Gesù, raccontando di un padrone che a due debitori, i quali gli devono, uno cinquecento denari e l‘altro cinquanta, e non hanno di che restituire i denari, condona il loro debito, domanda a Simone<: « Chi di loro dunque lo amerà di più ?». Poiché, risponde Simone, certamente lo amerà di più colui a cui è stato molto condonato, Gesù gli riconosce che ha giudicato bene e, volgendosi verso la donna, dice a Simone: « Vedi questa donna? Sono entrato a casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi … Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco ». Rivolto poi alla donna le dice: « I tuoi peccati sono perdonati ». Ma poiché tra i commensali cominciarono a dire l’un l’altro::«Chi è costui che perdona anche i peccati ?», Gesù si rivolge alla donna e le dice: « La tua fede ti ha salvata; va’ in pace ». La fede e l’amore della donna, i suoi gesti d‘affetto verso Gesù parlano del suo affidamento sincero a lui che le rivolge parole rassicuranti e, perdonando i suoi peccati, manifesta ancora una volta, come per il paralitico guarito, la sua origine e autorità divina. Il fariseo Simone e i suoi ospiti, sicuri di sé non possono capire il perdono, perché non sono coscienti delle loro colpe e non avvertono minimamente la loro condizione di peccatori. Di conseguenza non possono godere della grazia del perdono concessa alla donna pentita, perché il loro cuore è chiuso all’amore. La presunzione di sentirci e ritenerci giusti non ci fa avvertire il bisogno della misericordia di Dio.
Ultimo aggiornamento (Sabato 11 Giugno 2016 20:59)
Gesù, ridonando la vita al giovane di Nain, preannunzia che Egli è la risurrezione e la vita.
5 GIUGNO – X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In ogni domenica, quando ci raduniamo per la preghiera eucaristica, il Signore diventa per noi sorgente di ogni bene, poiché siamo invitati alla mensa che Dio prepara per i suoi figli, non per i nostri meriti, essendo spesso noi peccatori, ma per un dono del suo immenso amore. Dio non solo ci accoglie ma ci dona anche la forza del suo Spirito, che ci sostiene nella speranza pur tra le prove della vita quotidiana.
Dall’incontro domenicale con il Signore riparte tutta la nostra settimana, con le sue difficoltà, tentazioni, per cui nella preghiera chiediamo che con le armi della fede, della speranza e della carità, possiamo vincere le tentazioni del maligno.
Nella Colletta iniziale diciamo: « O Dio, consolatore degli afflitti, tu illumini il mistero del dolore e della morte con la speranza che splende sul volto del Cristo; fa’ che nelle prove del nostro cammino restiamo intimamente uniti alla passione del tuo Figlio, perché si riveli in noi la potenza della sua resurrezione ».
Prima Lettura: 1 Re 17, 17-24.
Poiché il figlio della vedova di Sarepta, che aveva ospitato Elia, si era ammalato gravemente cessando di respirare, ella chiamò il profeta e gli disse: « Che cosa c’è tra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio? ». Il profeta prendendogli il figlio dal seno lo portò nella stanza superiore della casa e dopo averlo steso sul letto, così pregò: « Signore, mio Dio, vuoi far del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio? ». E stendendosi tre volte sul bambino invocò il Signore, perché facesse ritornare la vita al corpo del bambino. Poiché il Signore ascoltò la sua preghiera e quello ritornò a vivere, lo portò giù dalla stanza superiore e lo restituì alla madre, dicendole: « Guarda! Tuo figlio vive ». Allora la donna riconobbe che Elia era un uomo di Dio e che la parola del Signore sulla sua bocca era verità Per quello che il Signore ha compiuto conferma il profeta Elia nella sua missione: infaticabile e perseguitato annunziatore del vero Dio di fronte ai falsi profeti di Baal. Gesù un giorno, dopo la sua risurrezione, tornerà personalmente a vita nuova divenendo, per quanti accolgono la sua parola e la sua testimonianza di Figlio di Dio, principio e primizia di risurrezione. Gesù, come avviene per il figlio della vedova di Naim, si avvicinerà a noi e ci risveglierà dalla morte, sia da quella spirituale liberandoci dal peccato, che da quella del corpo, quando tutta quanta la creazione, liberata dalla corruzione della caducità, sarà trasformata alla maniera del Cristo risorto: così saremo risaliti dalla vita degli inferi e rivivremo in Dio.
Seconda Lettura: Gal 1,11-19,
Ai Gàlati Paolo ricorda che il Vangelo da lui annunziato non è modellato né lo ha imparato dagli uomini, ma lo ha ricevuto per rivelazione diretta di Gesù; che era stato sostenitore accanito delle tradizioni dei padri e che, con la sua condotta precedente di persecutore feroce, aveva devastato la Chiesa di Dio con accanimento maggiore dei suoi coetanei e connazionali. Scrive che da quando Dio lo ha scelto e chiamato fin dal seno materno e con la sua grazia si compiacque di rivelare suo Figlio, egli ha iniziato ad annunziarlo in mezzo ai pagani, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme per confrontarsi con coloro che erano apostoli prima di lui, recandosi prima in Arabia e poi a Damasco. Solo dopo tre anni è salito a Gerusalemme per conoscere Cefa e, stando presso di lui per quindici giorni, poté confrontarsi con lui. Degli altri apostoli, vide solo Giacomo, il fratello del Signore. L’accoglienza della Parola di Dio e la rivelazione del Vangelo di Gesù Cristo significa per noi oggi entrare nella relazione di amore del Signore che ci ama immensamente, avendoci scelti per sua grazia e non per nostri meriti.
Vangelo: Lc 7,11-17.
La pericope evangelica, oggi, ci racconta di Gesù, che mentre entra nella città di Nain, con i discepoli e grande folla, vede portare alla tomba un morto, figlio unico di una donna rimasta vedova, accompagnata da molta gente. Preso da compassione per lei, Gesù le disse: « Non piangere! ». Avvicinatosi, toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi rivoltosi verso il morto disse: « Ra-gazzo, dico a te, alzati! ». Il morto si mise seduto, cominciò a parlare e lo consegnò alla madre, mentre tutti, presi da timore, glorificavano Dio dicendo che un grande profeta era sorto tra loro e che Dio aveva visitato il suo popolo.
Così la fama di lui si diffuse per tutta la Giudea e nella regione circostante. Gesù, preso da compassione per quella povera donna vedova, con la sua autorevolezza richiama il ragazzo alla vita e l’evento richiama il miracolo di Elia, che preannunziava il tempo messianico della risurrezione. Il gesto compiuto da Gesù è, nell’espressione della gente, un riconoscimento che Dio non ha dimenticato il suo popolo, anche se ancora non si è pienamente disvelato l’opera di Gesù di Nazaret che, come Messia e Dio, sarà fonte della vita perché, vincendo la morte e risorgendo, diviene primizia e causa di risurrezione per tutta l’umanità. Gli apostoli e i credenti ne prenderanno coscienza quando Gesù risorgerà da morte, anticipando così la consapevolezza che tutti siamo chiamati ad essere partecipi della sua risurrezione alla fine dei tempi.
Ultimo aggiornamento (Domenica 05 Giugno 2016 08:18)
SOLENNITA' DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE.
29 MAGGIO- SOLENNITA’ DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE.
Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall'Egitto, averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore, come comunità, non può dimenticare la sua dimensione comunitaria, in cui la fede è vissuta e celebrata, specie nella Eucaristia, che è il « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto. Tale memoriale non è un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore, resa possibile dall’azione dello Spirito Santo che viene invocato. Nella celebrazione dell’Eucaristia noi offriamo il sacrificio della nuova alleanza, viene ripresentato il sacrificio della croce, dove Gesù, Agnello senza macchia, s’è offerto. Nell’altare che è anche la mensa della sua cena noi vi attingiamo il cibo che ci sostiene lungo il « viaggio della nostra vita », in attesa di essere partecipi del convito eterno del regno celeste.
Attorno all’altare, uniti in « assemblea festosa » a rendere grazie a Dio, ci riconosciamo fratelli, perché il Padre celeste, nel sangue di Cristo, ci ha rigenerati come fratelli e ci ha costituiti come suo popolo, legato nella medesima fede e dall’ identica unità e carità, rappresentate nell’ unico pane e nell’ unico calice. Noi riceviamo nell’ Eucaristia lo Spirito, che scaturisce dal Corpo di Cristo, e veniamo purificati da ogni colpa.
Tutto questo deve farci fugare i rischi di considerare la comunità in termini psicologici o ridurla come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, per colmare situazioni compensatorie nelle proprie fragilità: una tale comunità rischierebbe di produrre un gruppo di immaturi che cercano un ovattamento alla vita. Oppure percepire la comunità in termini sociologici, perché l’affermazione conciliare sulla Chiesa, come « popolo di Dio », è da intendersi in maniera teologica non sociologica, costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Infine bisogna evitare un ultimo rischio che è quello di considerare la Comunità come aggregazione per eventi o iniziative di tipo organizzativo, con poco dispendio di energie e con scarsa intensità di comunione spirituale.
Non si può parlare di comunità senza parlare di « comunione », come relazione spirituale e di amore fraterno, che lega sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti. La comunione trova il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo la prerogativa testé esposta realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che dovesse rimanere dopo la celebrazione della Messa è presenza reale di Cristo, che realizza la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo che è presente nel tabernacolo va quindi la nostra adorazione e il nostro culto.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Signore dicendo: « Dio Padre buono, che ci raduni in festosa assemblea per celebrare il sacramento pasquale del Corpo e Sangue del tuo Figlio, donaci il tuo Spirito, perché nella partecipazione al sommo bene di tutta la Chiesa, la nostra vita diventi un continuo rendimento di grazie, espressione perfetta della lode che sale a te da tutto il creato ».
Prima Lettura: Gn 14,18-20.
In questa prima lettura della Genesi viene ricordato il gesto fatto da Abramo di offrire la decima di tutto a Melchisedek, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, che offrì pane e lo benedisse dicendo: « Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
Melchisedek, figura misteriosa del Vecchio Testamento, che offre pane e vino a Dio, prefigura e preannunzia l’offerta che farà il vero Sommo Sacerdote, Cristo Gesù, a cui il Padre ha conferito, nel suo ingresso nel mondo, l’incarico di Sommo Sacerdote con queste parole: « Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek ». Cristo così, immolandosi sulla croce, offre se stesso come vittima e, nei segni del banchetto eucaristico, consegna il suo Corpo e il suo Sangue, in sua memoria.
Seconda Lettura: 1 Cor 11,21-26.
San Paolo, trasmettendo ai Corinti quello che ha ricevuto dal Signore, descrive ciò che fece Gesù nella notte in cui veniva tradito: « Prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, i memoria di me”», e conclude il racconto dicendo che ogni volta che essi mangiano questo pane e bevono al calice, essi annunziano la morte del Signore, finché egli venga.
Quando Gesù veniva tradito ha consegnato agli apostoli, che l’hanno tramandato alla comunità della Chiesa, l’Eucaristia, cioè ha dato il suo Corpo e il suo Sangue nei segni del pane e del vino, dando anche il comando di ripetere quel gesto in sua memoria. Celebrare l’Eucaristia, Cena del Signore, in ogni tempo e luogo, significa, nella fede, essere stati presenti in quella notte in cui il Signore si offre in sacrificio e si dà come cibo e bevanda di salvezza, e partecipare, così, della nuova ed eterna alleanza che Dio ha reso possibile nel sacrificio in croce del suo Figlio. Ancora. Paolo esorta i Corinti a partecipare degnamente all’Eucaristia, da cui deriva l’impegno a fare comunione con i fratelli di fede, perché fare la comunione e poi non vivere nell’amore dei fratelli sarebbe una gravissima incongruenza: l’Eucaristia è il Sacramento in cui l’amore di Dio, manifestato in Cristo, per opera dello Spirito Santo, deve permeare la vita dei discepoli sia nel versante di Dio che in quello dei fratelli.
Vangelo: Lc9,11b-17.
Gesù, dopo aver parlato del Regno di Dio e guarito dei malati, sul far della sera, i discepoli gli dicono di congedare la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne a cercare del cibo. Ma Egli risponde loro: «Voi stessi date loro da mangiare ».Poiché essi rispondono di aver solo cinque pani e due pesci, ben poca cosa per tutta quella folla, a meno che vadano a comprare viveri, Gesù dice agli apostoli: « Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa ». Quando sono tutti seduti, Gesù prende i pani e i pesci, alza gli occhi al cielo, recita su di essi la benedizione, li spezza e li da ai discepoli perché li distribuiscano alla folla ». Tutti ne mangiano a sazietà e ne raccolgono i pezzi avanzati in dodici ceste.
Gesù invita gli apostoli a dare loro da mangiare, ma essi avvertono che non possono sfamare tutta quella gente. Così Gesù moltiplica quei pochi pani e pesci e, dopo avere reso grazie, li spezza, li fa distribuire e tutti se ne saziano.
Con questo gesto Egli prelude all’Eucaristia, che avrebbe istituito nell’Ultima Cena e affidata al ministero degli apostoli e della Chiesa, con cui avrebbe alimentato la vita eterna come aveva detto: « Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna ». Il Signore così non ci lascia con la nostra fame di vita, poiché egli ci sazia con il dono di sé tramite il ministero dei sacerdoti, che continuano il servizio affidato agli apostoli, per la santificazione dei credenti in lui.
Ultimo aggiornamento (Domenica 29 Maggio 2016 09:15)