Vivere distaccati dai tesori terreni per seguire il Signore e raggiungere la vita eterna.
11 OTTOBRE – XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nell’Eucaristia che celebriamo noi, comunicando con il Corpo e Sangue di Gesù, ci alimentiamo alla stessa vita del Figlio di Dio. Più che di un rito esteriore o dell’assunzione dei simboli di Cristo, noi ci nutriamo del Corpo e del Sangue del Signore, della sua stessa Persona, realmente presente nel pane e nel vino, per opera dello Spirito Santo che viene invocato.
Dobbiamo allora prepararci degnamente a questo « banchetto della vita eterna ». Bisogna indossare l’abito nuziale, cioè essere nella grazia e nella carità di Dio e dei fratelli. E per questo, al Signore che scruta i pensieri e i sentimenti del cuore dell’uomo, prima di partecipare a questo banchetto, chiediamo perdono per le nostre colpe, per liberarci delle nostre ricchezze illusorie e poterci arricchire della sua presenza divina.
Nella preghiera della Colletta diciamo al Signore: « O Dio, nostro Padre, che scruti i sentimenti e i pensieri dell’uomo, non c’è creatura che possa nascondersi davanti a te; penetra nei nostri cuori con la spada della tua parola, perché alla luce della tua sapienza possiamo valutare le cose terrene ed eterne, e diventare liberi e poveri per il tuo regno ».
Prima Lettura: Sap 7,7-11.
La lettura dal Libro della Sapienza ci esorta a chiedere al Signore la prudenza e lo spirito della sapienza. Prudenza e sapienza che bisogna preferire davanti a onori, potere, ricchezze, perché più preziose delle gemme inestimabili. E bisogna amarle più « della salute e della bellezza », preferendole alla stessa luce, perché il loro splendore non tramonta. Anzi dalla sapienza provengono tutti i beni. Questa sapienza che viene da Dio è preferibile a quella ingannevole del mondo, che dice San Paolo, è stoltezza agli occhi di Dio. La Parola di Dio è fonte della vera sapienza e le cose e i beni del mondo perdono il loro valore al suo confronto. Con ciò non si devono demonizzare i beni terreni, materiali, che devono essere usati come mezzi e non come fini della propria vita, devono servire a beneficio di tutti e non solo a beneficio del proprio interesse egoistico. Possedere questa sapienza, che ci fa conoscere la volontà di Dio e lasciarsi guidare da essa, significa essere veramente saggi.
Seconda Lettura: Eb 4,12-13.
La Parola di Dio, ci dice la Lettera agli Ebrei, è più tagliente di una spada a doppio taglio, penetrante fino al punto di divisione dell’anima e dello Spirito, fin nelle parti più intime del nostro essere, perché essa conosce e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore degli uomini. Davanti a Dio nulla è possibile nascondere, perché ai suoi occhi tutto è manifesto, dovendo ognuno rendere conto a lui di tutta la nostra vita, delle opere compiute, sia in bene che in male, scrive san Paolo. La Parola di Dio è una voce che non possiamo eludere né restare indifferenti davanti ad essa. E’ un giudizio che ci penetra fin nelle profondità e scruta i nostri più intimi sentimenti. Sulla parola di Dio, non solo ogni uomo deve modellare la propria esistenza, essendo stati creati a sua immagine e somiglianza, ma soprattutto il cristiano, che è fatto oggetto della rivelazione di Dio, deve modellare la propria esistenza. Su Gesù Cristo, che è la Parola eterna del Padre, fatta carne, modello della nostra figliolanza divina, il cristiano deve verificare la propria vita, per conformarsi sempre di più alla sua.
Vangelo: Mc 10,17-30.
In questo brano del Vangelo di Marco, Gesù, ad un tale che gli si getta ai piedi e, rivolgendosi a lui, lo interroga: « Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna », risponde, dopo aver ribadito che solo Dio è buono, di osservare i comandamenti, che certo conosce: « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre ». Al che, quell’uomo risponde dicendo che, fin dalla sua giovinezza li ha osservati. Gesù allora, « lo fissò, lo amò e gli disse: “ Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi !” ». Ma quell’uomo, facendosi scuro in volto e rattristandosi, poiché possiede molti beni, se va!. Gesù, allora, volgendo intorno lo sguardo, dice ai discepoli : «Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio ! ».
Davanti allo sconcerto per queste parole, Gesù continua dicendo: « Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio ! E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio ». Essi, stupiti, allora dicono tra loro: « E chi può essere salvato ? ». Ma Gesù ribatte: « Impos- sibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio ».
A Pietro, che rivolgendosi a Gesù gli dice di aver lasciato tutto per seguirlo, egli risponde: « In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato case o fratelli o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case, fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà ».
Gesù, a quell’uomo che gli dice di aver osservato i comandamenti della legge antica e di desiderare di entrare nella vita eterna, chiede di accogliere, con generosità e distacco, Lui e il suo Vangelo, preferendolo ai beni e ai tesori terreni, a cui spesso sì è troppo legati e dai quali non è tanto facile liberarsi. Ci vuole coraggio a distaccarsene o, di più, a vendere tutto per mettersi alla sequela del Signore. A quel tale, come ad ognuno di noi, è brillato il volto nel desiderio di voler raggiungere la felicità della vita eterna, ma davanti alla richiesta di Gesù il suo volto si fa triste. Così Gesù ci mette in guardia dicendoci che le ricchezze di questo mondo sono un pericolo per l’anima. E’ possibile, allora, all’uomo entrare nella vita? Se è impossibile per l’uomo per la condizione in cui si trova, continuamente insidiato dal desiderio di possedere, non è impossibile a Dio, se ci affidiamo alla sua forza divina, come dice Gesù. Dio ci aiuta a seguire Gesù e il suo Vangelo, purché accogliamo sinceramente l’invito a rinnovarci con il suo perdono e la sua grazia e se desideriamo ardentemente, in futuro, entrare nella vita del Regno dei cieli. Seguire il Signore, anche se in mezzo alle persecuzioni, è fonte di ricchezza spirituale e gusto di una vita di gioia, arricchita già ora, cento volte tanto, di quelle realtà da cui ci si è distaccati.
Il Matrimonio nel piano creativo di Dio elevato da Cristo a Sacramento.
4 OTTOBRE – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nel giorno del Signore, la comunità cristiana, è riunita dal Padre attorno a Gesù Cristo, uniti dallo Spirito del Padre e del Figlio. Preghiamo non un Dio lontano, anonimo, ma ci rivolgiamo a Lui con la confidenza e la fiducia di figli. L’amore del Padre ci avvolge con la sua misericordia e ci dona le grazie che vanno al di la dei nostri desideri e dei nostri meriti.
Nella preghiera della Colletta ci rivolgiamo a Dio con queste parole: « Dio, che hai creato l’uomo e la donna, perché i due siano una vita sola, principio dell’armonia libera e necessaria che si realizza nell’amore; per opera del tuo Spirito riporta i figli di Adamo alla santità delle prime origini, e dona loro un cuore fedele perché nessun potere umano osi dividere ciò che tu stesso hai unito ».
Prima Lettura: Gn 2,18-24.
Dio, dopo aver creato l’uomo e vedendo che non era bene che l’uomo fosse solo, volle creare un aiuto che gli fosse simile, poiché nessuno degli esseri creati, animali selvatici, pesci, gli era simile. A questi esseri l’uomo impose nomi, ma egli in essi non trovò un aiuto che gli corrispondesse. « Così il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “ Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna , perché dall’uomo è stata tolta”. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno un’unica carne ». Dio, nel suo disegno creativo, volle che l’uomo e la donna fossero a costituire, in una sola carne, la realtà familiare, realizzando una vita sponsale fondata su un vincolo profondo, con pari dignità e riconoscimento reciproco in un’unica carne. Sta allora in questa volontà divina la bellezza e la grandezza del matrimonio: unione intima che Gesù riproporrà nel suo insegnamento, ribadendo che al principio non era come gli scribi e i farisei gli obiettavano per metterlo alla prova, citando Mosè, che aveva permesso al marito di poter ripudiare la propria moglie.
Seconda Lettura: Eb 2,9-11.
L’autore della Lettera agli Ebrei ci presenta Gesù che, fatto poco meno degli angeli, per la morte che ha sofferto, a vantaggio di tutti, è coronato di gloria. Così Dio, « per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose », ha reso perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza: infatti Colui che santifica e quelli che sono santificati provengono tutti da una stessa origine, rendendoli così fratelli. Per la croce e la sofferenza, sofferta a vantaggio di tutti, Gesù è giunto alla gloria, ponendo una profonda solidarietà e condivisione tra lui e noi. Con noi e per noi Gesù è divenuto solidale e, poiché abbiamo una stessa origine, non si vergogna di chiamarci fratelli, non gli siamo più estranei e veniamo fatti eredi e partecipi della sua stessa eredità. Egli intercede per noi presso il Padre, per cui possiamo accostarci con « Piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno »( Eb 4,16). Questo rapporto con Cristo è un’amicizia che va sempre rinnovata.
Vangelo: Mc 10,2-16.
Gesù, ribadendo che Dio, all’inizio, ha creato l’uomo, maschio e femmina li ha creati, e « Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto », ai discepoli che, a casa, di nuovo lo interrogano, dice: « Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio ». Così Gesù, oltre che richiamare il valore del Matrimonio come Dio lo ha predisposto, con la prerogativa della sua indissolubilità, in esso inscritta, rispetto al permesso di Mosè, che solo l’uomo può ripudiare la propria moglie, come gli obiettano i farisei, specifica che anche la moglie, qualora ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio contro di lui. Il divorzio, allora, come tolleranza, indica una china di decadenza del matrimonio, e per il discepolo di Gesù è una via che non dovrebbe percorrersi. Se ci si mette in ascolto della parola di Cristo, il divorzio appare, di conseguenza, in contrasto con il disegno posto da Dio per il matrimonio. E il discepolo di Cristo, che accoglie con la disponibilità di un bambino, con fiducia e senza riserve, il Regno di Dio, dovrà, certo, porre con atto libero e responsabile, con tutte le conseguenze che derivano, umanamente, socialmente, civilmente e religiosamente, la scelta d’amore matrimoniale e perseverare in un cammino di fedeltà, impegno, sacrificio, mutua donazione e di indissolubilità, così da imitare l’amore sponsale di Cristo per la Chiesa, che è precipua caratteristica della scelta di realizzare e vivere il Sacramento del Matrimonio.
La fraternità dei cristiani derivante dall'Eucaristia.
27 SETTEMBRE – XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
La domenica, siamo invitati da Dio, riuniti nel nome della Santa Trinità, a prendere parte al memoriale della passione del suo Figlio. Nella sua misericordia Dio manifesta la sua onnipotenza donandoci il suo perdono. Pur essendo noi peccatori, il Padre celeste ci accoglie e ci fa partecipi, come commensali, del banchetto eucaristico, in cui dona il suo Figlio, come cibo e bevanda di vita. Attorno a Cristo, assisi alla stessa mensa, non possiamo più ammettere ingiustizie, separazioni, discriminazioni, disprezzo per un qualunque fratello. Non possiamo sentirci tranquilli restando nel nostro egoismo e non condividendo la provvidenza di Dio con chi è nel bisogno. L’Eucaristia ci fa aprire verso i beni dell’eredità eterna che godremo con Cristo nel cielo, ma che già pregustiamo in questo convito domenicale. Da questa sorgen-te deriva per la Chiesa ogni benedizione.
Nella preghiera iniziale della Colletta diciamo: « O Dio, tu non privasti mai il tuo popolo della voce dei profeti; effondi il tuo Spirito sul nuovo Israele, perché ogni uomo sia ricco del tuo dono, e a tutti i popoli della terra siano annunziate le meraviglie del tuo amore ».
Prima Lettura: Nm 11,25-29.
Il Signore dona il suo spirito ai settanta anziani di Israele che profetizzano nel suo nome. Anche su Eldad e Medad, che sono tra gli iscritti, ma non sono andati alla tenda, viene effuso lo spirito, che li fa profetizzare nell’accampamento. A Mosè, che è informato da un giovane del fatto, Giosuè chiede di impedire ai due di continuare a profetizzare. Ma Mosè gli dice: « Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito ». Dio dispensa i suoi doni ad ognuno e non bisogna essere gelosi del doni degli altri, perché non siamo noi a stabilire e fissare il tempo, lo spazio e quali doni di grazia Dio debba dare ad ognuno.
Al contrario, quando vediamo un dono di Dio nel nostro fratello dobbiamo rallegrarcene e non essere invidiosi, perché in questo caso ricercheremmo noi stessi e non la gloria di Dio, il servizio al prossimo e il bene della Chiesa. Come Mosè, anche noi dobbiamo augurarci che Dio effonda il suo spirito di profezia su ogni uomo e pregare perché nessuno lo rifiuti o lo trascuri e invece si lasci trasportare dalla sua azione.
Seconda Lettura: Gc 5,1-6.
Anche nel nostro tempo, come allora, le parole forti e sferzanti della seconda lettura di oggi, tratta dalla Lettera di San Giacomo, interpellano, noi credenti e ogni uomo, a ripensare il rapporto che bisogna avere con le ricchezze che, se usate con egoismo e superbia, accumulate con latrocinio e ingiustizie, con sfruttamento e oppressione, rendono marcio il cuore.
L’oro, l’argento, gli abiti di lusso, i tesori accumulati per gli ultimi giorni, ecc. sono consumati dalle tarme e dalla ruggine, che si alzeranno ad accusare coloro che li avranno usati con atteggiamento egoistico e divoreranno le loro carni. E ancora: « Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage ». Come non ripensare in queste invettive la Parabola del ricco epulone?
Il linguaggio dell’apostolo non è raffinato, ammorbidito, soft, è rude e duro. Forte dell’insegnamento di Gesù, Giacomo ci ricorda che le ricchezze egoisticamente possedute si dissolveranno, non potremo portarle con noi dopo la nostra morte e saranno motivo di condanna nel giorno del giudizio.
Con ciò non si devono demonizzare i beni di questo mondo, che servono perché ogni uomo possa condurre una vita dignitosa e di cui nessuno deve essere privato, purché procurati con onestà, con lavoro e impegno diligente, usati con rispetto dei diritti degli altri, con generosa liberalità ed escludendo ogni forma di spreco. Le ricchezze possono insidiare il nostro cuore e, con attenzione, dobbiamo evitare che esse lo rendano schiavo, arido di sentimenti di fraternità e condivisione.
Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48.
Gesù, agli apostoli che volevano impedire ad uno di scacciare i demoni perché non li seguiva e non era uno di loro, dice: « Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompen- sa ». Prosegue dicendo che non bisogna scandalizzare nessuno, fosse anche il più piccolo di coloro che credono in lui. E’ meglio amputarsi di una mano, di un piede, privarsi di un occhio, se questi organi sono motivo di scandalo per i fratelli, che andare nella Geenna e nel suo fuoco inestinguibile con il nostro corpo integro e privarsi di entrare nel regno di Dio.
Gesù esorta a non lasciarsi prendere dell’invidia, dall’impulsività, dalla gelosia, ma avere uno spirito di longanimità, di accoglienza di coloro che hanno bisogno e vengono nel suo nome. Ammonisce severamente a non scandalizzare nessuno e a trattare con onore e rispetto i piccoli, gli umili, aiutandoli a crescere nella fede con il buon esempio, avendo per se stessi la capacità di sorvegliare sui propri gesti e sentimenti e vivere le scelte decisive della vita con la fedeltà al Vangelo.
Ultimo aggiornamento (Sabato 26 Settembre 2015 17:32)
Seguire come discepoli Cristo, portando la croce e il servizio fraterno.
20 SETTEMBRE -XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
In nostro incontro domenicale, nel giorno del Signore, rivela l’amore verso Dio, vissuto in unione con Cristo, nostro Capo e Signore, e verso il nostro prossimo. Questo amore è stato posto da Gesù a fondamento di tutta la legge. Nell’Eucaristia esprimiamo la nostra adorazione di figli a Dio, ricono-scendolo come unico Signore, riaffermiamo la nostra volontà di non sostituire niente a Lui e di rinnovare, nel giorno a lui dedicato, il nostro amore di figli e di fratelli. Mancando di questo amore, per Dio e i fratelli, è difficile vivere la domenica con una fraternità attiva e creativa, per cui la si sente come un obbligo gravoso, e non come lode a Dio e servizio evangelico. Diventa allora la Domenica una verifica e un modo per misurare l’autenticità della nostra fedeltà al Signore e della nostra fraterna carità verso il prossimo. Nell’incontro con Dio, i misteri che celebrano la salvezza, operata da Cristo, dovrebbero trasformare la nostra esistenza.
Preghiamo nella Colletta: « O Dio, Padre di tutti gli uomini, tu vuoi che gli ultimi siano i primi e fai di un fanciullo la misura del tuo regno; donaci la sapienza che viene dall’alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve ».
Prima Lettura: Sap 2,12.17-20.
La lettura dal Libro della Sapienza, oggi, ci descrive la congiura e le insidie che gli empi tramano contro il giusto, perché questi si oppone alle loro azioni e le sue parole sono di rimprovero per le colpe e le trasgressioni che fanno contro la legge e l’educazione da essi ricevuta. Mettendo il giusto alla prova, con violenze e tormenti, essi vogliono vedere se le sue parole sono vere. Vogliono conoscere la sua mitezza, saggiare il suo spirito di sopportazione e se è figlio di Dio questi gli verrà in aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Condannandolo con una morte infamante vogliono sperimentare se Dio gli verrà in soccorso, così come egli dice. Ma il giusto non si lascia scoraggiare, né si avvilisce e rimane fedele al suo Dio. In Cristo Gesù, il giusto, che non commise peccato, noi cristiani vediamo realizzata, in sommo grado, in riferimento alla sua passione, descritta dai Vangeli, questa persecuzione contro di lui da parte dell’umanità, che ha agito empiamente. Crocifiggendo Gesù, si è creduto di averlo eliminato per sempre, ma essendo Figlio di Dio, egli ha vinto la morte risorgendo ed è divenuto potenza di salvezza e primizia di risurrezione per questa nostra umanità. Gli empi, nella loro malvagità, perseguitano i giusti, li opprimono, ne irridono la fede e vogliono provare la loro pazienza.
Seconda Lettura: Gc 3,16-4,3.
San Giacomo continua la sua esortazione, invitando i credenti ad evitare gelosie e spirito di contese che ispirano le cattive azioni. Chi è invece animato dalla sapienza è pacifico, mite, arrendevole, pieno di misericordia, di buoni frutti, imparziale e sincero. Chi opera nella pace porta frutti di giustizia.
Così ricorda ancora che liti, contese e guerre sono causate dalle passioni degli uomini, che desiderano ma non riescono a possedere; uccidono, sono invidiosi, per cui ci si combatte e ci si fa guerra gli uni contro gli altri. Se si chiede, poiché si chiede male, non si ottiene, in quanto si chiede per soddisfare le passioni. Se gli uomini seguissero lo spirito della sapienza, iscritta da Dio nel profondo del loro essere, se si seguisse quella che Dio ha rivelato in vari modi e in ultimo con la sapienza incarnata, Cristo Gesù, gli uomini potrebbero vivere in fraternità e armonia. Ma la gelosia e l’invidia generano liti, aggressività, divisioni, disordini. E se anche i cristiani agiscono così smentiscono l’Eucaristia, sacramento che anima la Chiesa, la genera, ed è segno efficace di fraternità, se la si vive nello spirito del Signore che l’ha istituita.
Vangelo: Mc 9,30-37.
Nel Vangelo di oggi l’evangelista Marco ci presenta un secondo annunzio della passione che Gesù fa ai discepoli, non volendo però, ancora una volta, che alcuno lo sappia: « Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà ». Se il primo annunzio è giustificato per quello che i discepoli credono del Messia, cioè del Cristo, la cui attesa era pregna, maggiormente, di aspirazioni terrene, sociali, politiche, di libertà, questo nuovo annunzio è reiterato in funzione del fatto che Gesù, giunto a casa a Cafarnao, sedutosi e chiamati i Dodici, chiede loro: « Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ma poiché essi tacciono, avendo discusso su chi di loro fosse il più grande, Gesù continua dicendo: « Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti ». Prendendo un bambino e abbracciandolo dice ancora: « Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato ». I discepoli non capiscono il discorso di Gesù relativo alla sua passione. Restano ammutoliti perché anche i discepoli devono seguire la sua stessa strada. La modalità del seguire il Maestro, oltre che portare la croce dietro a lui, capovolge le precedenze, in quanto: il più grande è colui che si mette all’ultimo, colui che serve e, accogliendo un bambino, che non ha prestigio, si accoglie e riceve lui, Gesù in persona. Questa rivoluzione evangelica cambia il mondo e dall’Eucaristia che celebriamo bisogna ripartire con questo spirito di servizio da prestare verso tutti nelle varie circostanze della vita quotidiana.
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 10-11; CCL 41, 536-538)
Prepara la tua anima alla tentazione
Avete già sentito che cosa abbiano principalmente a cuore i pastori cattivi, considerate ora che cosa trascurino: « Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite» (Ez 34, 4), e quelle che erano sane le avete fatte perire, le avete ammazzate, trucidate. La pecora è soggetta a malattie, ha il cuore debole, cosicché facilmente potrà soccombere alla tentazione, se questa la trova indifesa, impreparata.
Il pastore negligente, quando scorge uno del suo gregge, non gli dice: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, sta’ saldo nella giustizia e nel timore, e preparati alla tentazione (cfr. Sir 2, 1). Chi parla così conforta chi è debole e lo rende saldo, perché egli, avendo abbracciato la fede, non speri nella prosperità di questo mondo. Se infatti gli verrà insegnato a sperare nella felicità del mondo, sarà rovinato dalla felicità stessa: al sopraggiungere delle avversità, rimarrà sconvolto o addirittura perirà, e perciò il pastore che così costruisce il fedele, lo costruisce sulla sabbia e non sulla roccia, che è Cristo (cfr. 1 Cor 10, 4). I cristiani, infatti, devono imitare le sofferenze di Cristo e non andare in cerca dei piaceri.
Il debole invece viene rinfrancato quando gli si predica: Aspettati pure le tentazioni di questo mondo, ma il Signore ti libererà da tutte, se il tuo cuore non si allontanerà da lui. Egli infatti proprio per confortare il tuo cuore venne a patire, venne a morire, venne ad essere coperto di sputi, venne ad es- sere coronato di spine, venne a subire gli insulti e, infine, venne a farsi inchiodare in croce. Tutto questo egli l’ha sofferto per te, e tu nulla. L’ha sofferto non per il suo vantaggio, ma per il tuo.
Ma che razza di pastori sono invece quelli che, temendo di offendere gli uditori, non solo non li preparano alle tentazioni future, ma anzi promettono loro la felicità di questo mondo, felicità che Dio non promise neppure al mondo stesso!
Egli predice che verranno sino alla fine sopra questo mondo dolori su dolori e tu vorresti che il cristiano ne sia esente? Proprio perché è cristiano soffrirà qualcosa di più in questo mondo!
Lo afferma l’Apostolo: «Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2 Tm 3, 12). Ora tu, pastore, che cerchi i tuoi interessi e non quelli di Cristo, permetti, bontà tua, a Cristo di dire: Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma tu per tuo conto ritieni di poter dire al fedele: Se vivrai piamente in Cristo, avrai abbondanza di ogni cosa. E se non hai figli, ne avrai e li nutrirai tutti e nessuno di essi ti morrà. È in questo modo che tu edifichi? Bada a ciò che fai, dove poni il fondamento! Tu poni sulla sabbia colui che stai cercando di edificare. Verrà la pioggia, strariperà il fiume, soffierà il vento, si abbatteranno su questa casa, ed essa cadrà e sarà grande la sua rovina.
Toglilo dalla sabbia, mettilo sulla roccia, abbia il suo fondamento in Cristo colui che vuoi far diventare cristiano. Fa’ che volga lo sguardo alle sofferenze immeritate del Cristo, che guardi a colui che, senza peccato, paga i debiti non suoi. Fa’ che creda alla Scrittura la quale dice: «Egli sferza chiunque riconosce come figlio» (Eb 12, 6). E allora o si prepari ad essere sferzato, o rinunzi ad essere accettato.
L'Eucaristia e la carità ai fratelli.
13 SETTEMBRE – XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nell’ Eucaristia, ricevendo il Corpo e il Sangue di Cristo, i cristiani entrano in comunione con lo Spirito Santo che lo rende presente nel pane e nel vino.
La potenza di Cristo e l’azione del suo Spirito trasforma non solo questi doni ma anche noi con i nostri sentimenti, le nostre tendenze e ci trasfigura in lui. E’ lo Spirito Santo che viene invocato nelle preghiere eucaristiche che trasforma i nostri semplici doni nel Cristo e raccoglie e forma anche la Chie- sa, unendola a lui in maniera intima.
L’assemblea liturgica, attraverso il perdono che viene chiesto, è rigenerata con un cuore nuovo dallo Spirito, che apre i credenti al pentimento e alla conversione, dando loro la forza di perdonare a loro volta e di dare la vita per salvarla, come fa Cristo. Il dono dello Spirito non è meritato da noi ma dall’in- tercessione del Signore Gesù, mediatore di grazia , che ci unisce a sé quando nel suo nome siamo riuniti per rendere grazie al Padre.
Nella preghiera della colletta diciamo a Dio: « O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita quando avremo il coraggio di perderla ».
Prima Lettura: Is 50,5-9.
Isaia preannunzia ciò che il Messia, il servo di Jahvéh sopporterà, non opponendo resistenza e presentando il dorso ai flagellatori, le sue guance a coloro che gli strappano la barba e non sottraendo la sua faccia agli sputi e agli insulti. Egli confida nell’aiuto di Dio che lo assiste, per cui non resta svergognato, poiché rende la sua faccia dura come pietra, sapendo che non resta confuso. Confidando nella vicinanza del Signore, che gli rende giustizia, egli è pronto a sfidare chi viene a contesa con lui, chi lo accusa e chi vorrebbe dichiararlo colpevole. Tutto quello che descrive il profeta lo vediamo realizzato nell’ avvenimento della passione di Cristo Signore, che soffre ed espia per tutti, compiendo il disegno della redenzione del mondo. Così anche noi siamo chiamati a non tirarci indietro, ribellandoci e imprecando, quando nella nostra vita siamo provati, ma a confidare in lui che ci è vicino, non ci abbandona e ci rende giustizia.
Seconda Lettura: Gc 2,14-18.
San Giacomo, ancora una volta, ci ricorda che non basta la sola fede per poter ottenere la salvezza. Questa deve essere avvalorata dalle opere. Per cui se uno dicesse al fratello o sorella che sono senza vestiti e sprovvisti di cibo quotidiano: « Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi », ma non si dà loro il necessario per il corpo, a che potrebbe servire? « Così anche la fede: - continua san Giacomo – se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta ».
Non si può dunque mostrare la fede se questa non è realizzata nelle opere. Chi realizza le opere che la fede chiede di vivere, attuando la carità senza ostentazione, mostra anche la fede che le anima. La carità cristiana e, potremmo anche dire, l’amore che ogni uomo dice di avere per il fratello devono produrre opere coerenti con tali principi di vita, perché, diversamente, sarebbero entrambi: parole vuote la filantropia di ogni uomo e non vera fede o credenza astratta quella del cristiano. La concretezza dell’amore in entrambi i casi è manifestata dalle opere della carità e dell’amore. Non bastano pratiche religiose o fedeltà all’Eucaristia o proclami filantropici per dare consistenza all’amore per il fratello, chiunque esso sia.
Vangelo: Mc 8,27-35.
Gesù, durante la sua missione, a Cesarea di Filippo, interroga i suoi discepoli per sapere da loro che cosa dica la gente di lui. Essi rispondono che alcuni lo ritengono Giovanni il Battista, altri Elia e altri uno dei profeti. Alla domanda di Gesù: « Ma voi, chi dite che io sia ?», Pietro risponde: « Tu sei il Cristo ». E Gesù ordina loro severamente di non parlare di lui a nessuno e annunzia però, apertamente, che « il Figlio dell’uomo dove soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere ». Pietro, allora, lo prende in disparte e lo rimprovera. Ma Gesù, voltandosi e guardando tutti i discepoli, apostrofa aspramente Pietro dicendogli: « Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini ». E alla folla e ai discepoli dice: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà ». Pietro a nome di tutti riconosce Gesù come il Cristo, così come gli aveva detto il fratello Andrea incontrandolo, dopo aver sentito Giovanni il Battista additare Gesù come l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo.
Certo Pietro non poteva immaginare quello che Gesù avrebbe sofferto: il rigetto da parte dei capi, sacerdoti e scribi, e la morte prima della risurrezione. E se davanti alla rivelazione di Gesù Pietro reagisce quasi con violenza, non meno decisa è la risposta di Gesù, che lo apostrofa come un Satana, perché lo distrarrebbe dal compiere la volontà del Padre celeste e dal suo disegno. Non solo il Cristo, ma ogni discepolo dovrà portare la propria croce dietro al Signore, fino a giungere a perdere la propria vita per lui e il Vangelo. Quella della Croce è la strada per salvare la propria vita, se la si vuole riavere nella gloria della risurrezione. E’ importante allora capire la croce e portarla con speranza.
Dalle «Omelie sul Vangelo di Matteo » di San Giovanni Crisostomo, vescovo.
Adorna il tempio, ma non trascurare i poveri.
Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in Chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità.
Colui che ha detto:« Questo è il mio corpo », confermando il fatto con la parola, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cfr. Mt 25,35) e ogni volta che non avete fatto queste cose ad uno dei più piccoli tra questi, non l’avete fatto neppure a me ( cfr. Mt 25,45). Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure, mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura.
Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l’onore più gradito che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi. Anche Pietro credeva di onorarlo impedendo a lui di lavargli i piedi. Questo non era onore, ma vera scortesia. Così anche tu rendigli quell’onore che egli ha comandato, fa’ che anche i poveri beneficino delle tue ricchezze. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro,
Con questo non intendo certo proibirvi di fare doni alla chiesa. No. Ma vi scongiuro di elargire, con questi e prima di questi, l’elemosina. Dio infatti accetta i doni alla sua casa terrena, ma gradisce molto di più il soccorso dato ai poveri.
Nel primo caso ne ricava vantaggio solo chi offre, nel secondo invece anche chi riceve. Là potrebbe essere occasione di ostentazione; qui invece è elemosina e amore. Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato, e solo in seguito orna l’altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice d’oro e non gli darai un bicchiere d’acqua? Che bisogno c’è di adornare con veli d’oro il suo altare, se poi, non gli offri il vestito necessario? Che guadagno ne ricava Egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d’oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe o piuttosto non si infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?
Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell’edificio sacro. Attacchi catene d’argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o meglio, perché questo sia fatto, prima di quello. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò mentre adorni l’ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questi è un tempio vivo più prezioso di quello.