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Il perdono e la misericordia di Dio per mezzo di Gesù, che ci ha riconciliato col Padre celeste.
6 MARZO – IV DOMENICA DI QUARESIMA
Nell’appressarsi della Pasqua affrettiamoci, con “ fede viva e generoso impegno ”, a vivere riconoscendo Gesù quale Figlio di Dio, che è mandato dal Padre perché gli uomini, come il figlio prodigo della parabola, possano ritrovare la strada di ritorno alla casa del Padre. Gesù è venuto per riconciliarci con il Padre celeste e poter riavere la dignità di figli di Dio.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, Padre buono e grande nel perdono, accogli nell’abbraccio del tuo amore tutti i figli che tornano a te con animo pentito, ricoprili delle splendide vesti di salvezza, perché possano gustare la tua gioia nella cena pasquale dell’Agnello ».
Prima Lettura: Gs 5,9.10-12.
Giunti a Galgala gli Israeliti celebrarono la Pasqua al quattordici del mese e il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, azzimi e frumento abbrustolito. Dal giorno seguente la manna cessò. Raggiunta la terra promessa, viene celebrata la Pasqua, memoriale della liberazione, che accompagnerà Israele lungo la sua storia. La Pasqua non sarà un semplice ricordo di un avvenimento di tanti anni fa, ma dovrà essere il segno che assicurava la presenza e la grazia del Signore. Quell’antico riscatto di liberazione è, pur sempre, per noi cristiani, inizio e immagine, come la terra di Canaan, della Pasqua di Cristo, che nel suo sangue ha liberato l’umanità dal peccato per introdurla nella Pasqua eterna del cielo: terra promessa definitiva in cui introdurrà l’umanità nella fase finale della storia di salvezza.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,17-21.
San Paolo, ai Corinzi, ricorda che, ormai, chi è in Cristo è una creatura nuova. Questo rinnovamento viene da Dio che ha riconciliato l’umanità con sé mediante Cristo e ha affidato agli apostoli il ministero della riconciliazione.
Dio così, riconciliando con sé il mondo, non imputa agli uomini le loro colpe e mediante la parola affidata agli apostoli rende questa riconciliazione salvifica nella vita degli uomini. Esorta ancora i Corinzi a lasciarsi riconciliare con Dio: «In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo; lasciatevi riconciliare con Dio », perché Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo ha fatto peccato in nostro favore e per lui noi siamo diventati giustizia di Dio.
Cristo è morto per noi per amore e noi dobbiamo rispondere a questo amore donando la nostra per lui. Viviamo in Cristo, morto e risorto, vivendo da « nuove creature », rigenerate dalla sua grazia, iniziamo un cammino nuovo di vita santa, abbandonando tutte le cose di peccato passate. Siamo riconciliati con Dio, ricevendo il perdono completamente gratuito suo e senza nostro merito, poiché è di Cristo il merito. Il Sacramento della Riconciliazione, in Quaresima, è certamente un’occasione per vivere intensamente la riconciliazione e attingere copiosamente il perdono di Dio, attraverso il ministero della Chiesa.
Vangelo: Lc 15,1-3.11-32.
Il Vangelo di questa Domenica, attraverso una delle pagine più belle, la parabola del figlio prodigo, ci fa riflettere e contemplare l’amore grande, misericordioso di Dio nel confronti del figlio minore, da una parte, che si allontana dalla casa del Padre, dal suo amore e, usando negativamente i suoi doni e i suoi benefici, si riduce in una condizione deplorevole e degradante, e verso il figlio maggiore, dall’altra, che non vuole riconoscere né accogliere il fratello che ritorna a casa e, pur facendogli presente, davanti alle sue lamentele, che di tutto lui poteva disporre di quello che era in casa, si rifiuta di entrare e partecipare alla festa che il padre ha preparato per il figlio ritrovato. E’ certo la parabola narrata da Gesù in riferimento ai peccatori e pubblicani che venivano rifiutati ed emarginati da coloro che si ritenevano giusti, scribi e farisei. Ma in essa, al di là del contesto storico di allora, dobbiamo vedere tutti gli uomini. Nel figlio minore sono prefigurati coloro che, come uomini usando negativamente i doni che Dio dà ad ognuno o nel contesto religioso di fede si allontanano dal Signore e riducono la loro dignità, come si era ridotto il Figlio prodigo, costretto per sopravvivere a pascolare i porci: per tutti costoro Dio aspetta che ritornino al suo amore, li accoglie nella sua misericordia e per loro prepara la festa. Nel figlio maggiore coloro che, pur non allontanandosi da Dio, nell’una o altra situazione di vita, di credenti o meno, non sanno vedere i doni che Dio dona, il bene che nella sua provvidenza elargisce e pensano che Dio non li tratti secondo i loro desideri, e per di più, non riconoscono il suo amore e non accettano di far festa per i fratelli che ritornano all’amore del Padre, Lontano da Dio l’uomo cerca la sua autonomia, credendo di realizzare meglio la vita. Ma la conclusione di questa esperienza può essere la fame, l’umiliazione, la vergogna, la solitudine. Solo quando l’uomo tocca il fondo del degrado nella sua dignità, ritorna alla memoria della dignità perduta, la coscienza si illumina e può riprende un cammino di ritorno. Ritornando a casa, il figlio della parabola dice al padre: « Padre ho peccato contro il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio ». Dio, come quel padre, attende con amore paterno l’uomo che ritorna a lui e non cessa di aspettare per riabilitarlo e restituirlo nella dignità filiale, rivestendolo « Col vestito più bello … mettendogli l’anello al dito e i sandali ai piedi » e preparandogli una festa, perché « Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ».L’atteggiamento di Dio indispettisce chi si crede giusto, chi non è capace di rallegrarsi con il cuore del Padre celeste, ritenendo di avere diritti per aver servito in casa per tanti anni e non aver disobbedito a Dio. Gesù così, accogliendo i peccatori, suscita stupore nei farisei che mormorano. Ma Gesù ha proclamato che: « Si fa più festa in cielo per un peccatore pentito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione ».
Gesù invita tutti alla conversione a Dio attraverso una fede intensa e l'amore agli uomini.
28 FEBBRAIO – III DOMENICA DI QUARESIMA
Dio, nella sua misericordia, non ci abbandona quando ci allontaniamo da lui e con il suo perdono ci riaccoglie nel suo abbraccio paterno. Gesù, attraverso la parabola del fico, piantato nella vigna, che non produce frutto e che il padrone del campo vorrebbe sradicare, ma accogliendo la richiesta del vignaiolo di permettere di zappargli attorno e concimarlo perché porti frutto, altrimenti, l’ avrebbe tagliato, vuol farci comprendere che il Padre celeste, padrone della nostra vita, è disposto a pazientare verso il peccatore, aspettando che ritorni al suo amore e porti frutti di bene. Gesù è il vignaiolo che Dio ha mandato nel mondo perché coltivi questa umanità che si è allontanata da lui e con la sua intercessione chiede di pazientare. Egli, come dice alla Samaritana, ci dona l’acqua del suo Spirito che ci rigenera e ci purifica. Alla nostra umanità riarsa egli dà « l’acqua viva della grazia », per mezzo della quale noi diventiamo « tempio vivo dell’amore di Dio ». In questo tempo di quaresima il cammino di ritorno a Dio, la nostra ripresa interiore della santità,la vittoria sulle tentazioni e il peccato, passa attraverso la preghiera, la penitenza, il digiuno e le opere di carità fraterna. Tutto questo che la liturgia ci ricorda deve tradursi nell’esperienza concreta della vita, per cui vincendo il nostro egoismo la « durezza del nostro cuore » viene infranta.
Nella Colletta di questa Domenica preghiamo dicendo:« Padre santo e misericordioso, che mai abbandoni i tuoi figli e riveli ad essi il tuo nome, infrangi la durezza della mente e del cuore, perché sappiamo cogliere con la semplicità dei fanciulli i tuoi insegnamenti, e portiamo frutti di vera e continua conversione ».
Prima Lettura: Es 3,1-8.13-15.
A Mosè, nel deserto, mentre con il gregge del suocero Ietro, è vicino al monte di Dio, l’Oreb, gli apparve l’angelo del Signore in una fiamma di fuoco in mezzo ad un roveto e, vedendo che esso non bruciava, si avvicinò, per osservare il « grande spettacolo: perché il roveto non brucia?».
Ma il Signore Dio, dal roveto, gli gridò:« Mosè, Mosè! ». Rispose: « Eccomi!». Riprese: « Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: « Io sono il Dio di tuo padre, il Dio si Abramo, di Isacco e di Giacobbe ». Mosè allora si coprì il volto per paura di guardare Dio.
Il Signore riprese a parlare dicendogli che avendo osservato la miseria del suo popolo in Egitto e udito il suo grido a causa delle sofferenze per la dura schiavitù, è sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e portarlo verso una terra « bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele ». Se Mosè, andando dal popolo in Egitto e dicendo che il Dio dei loro padri lo ha mandato a loro, essi gli chiederanno: « Qual è il suo nome?», cosa egli avrebbe dovuto rispondere?. Dio allora disse a Mosè di rispondere loro: « Io sono colui che sono!». E aggiunse: « Così dirai agli Israeliti: “ Io Sono mi ha mandato a voi”». Continuando a parlare Dio disse:« Dirai agli Israeliti: “ Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione ». Il Dio che appare a Mosè non è un idolo, ma il Signore della storia, il Dio che ha promesso ai Padri e a cui si accede con rispetto e con non facile confidenza. E’ un Dio vicino all’uomo e che ode la miseria del suo popolo che grida, tanto da scendere e decidere di liberarlo dalla dura schiavitù, perché egli è l’« Io sono colui che sono! », che nessun uomo può comprendere né dominare. Egli è il redentore, la guida, la sua sicurezza. Anche Gesù, dirà agli giudei nel Getsemani “ Io Sono”, ed essi stramazzeranno a terra, ci riferisce l’evangelista Giovanni.
Seconda Lettura: 1 Cor 10,1-6.10-12.
San Paolo ai Corinzi scrive che tutto quello che vissero i padri nel deserto, cioè, essere sotto la nube che li accompagnava, aver attraversato il mare, essere battezzati in Mosè, aver mangiato lo stesso cibo spirituale, bevuto la stessa bevanda spirituale: tutto scaturiva da una roccia spirituale che è il Cristo. Ma poiché la maggior parte di loro non è stata gradita a Dio e venne sterminata avendo desiderato cose cattive, così dice Paolo, essi sono un esempio per noi tutti, affinché non desideriamo anche noi cose cattive, e non mormoriamo come essi mormorarono, cadendo vittime dello sterminatore. Tutte queste cose sono accadute loro come esempio e sono state scritte per nostro ammonimento, affinché restiamo saldi nel Signore e ci guardiamo dal cadere vittime del tentatore. Come a motivo della diffidenza e della mormorazione che i padri vissero nel deserto, non avendo riconosciuto ciò che Dio aveva compiuto in loro favore, fu causa del loro non essere graditi a Lui, così la comunità di Corinto, per la ribellione e la mormorazione, la confidenza e la pretesa dei propri meriti è esposta alla infedeltà al dono del Vangelo e della grazia di Cristo, per cui senza una sincera conversione, come esorta Gesù nel Vangelo di oggi, nessun atto sacro e sacramentale può produrre in noi la salvezza che egli è venuto ad operare.
Vangelo: Lc 13,1-9.
Nel Vangelo, in riferimento al fatto che alcuni Galilei furono da Pilato uccisi durante un rito sacrificale, perché si erano macchiati di qualche crimine per cui il governatore comminò la morte, Gesù dice a coloro che lo stanno ascoltando che se non ci si converte al messaggio che egli annunzia, si perirebbe allo stesso modo di quelli. Così’, aggiunge ancora Gesù , come le vittime del crollo della torre di Silo sono state uccise per un fatto calamitoso senza loro colpa, anche tutti gli abitanti di Gerusalemme non sono meno colpevoli degli uni e degli altri. « No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo » egli aggiunge. Volendo spiegare il significato allora delle sue parole, attraverso la parabola dell’albero di fico piantato nella vigna e che non dà frutti, vuol dire a tutti che se non ci si converte a Dio, non si accoglie il suo Vangelo salvifico, se non si portano frutti di opere buone, opere di giustizia, per cui si è graditi al Signore, non si può partecipare della sua salvezza. Tutti abbiamo bisogno di vera conversione a Dio. Non c’è da illudersi e la rovina a cui potremmo andare incontro ci colpirebbe non solo negli aspetti materiali, ma anche nella sfera spirituale: rovina definitiva e totale, il fallimento dell’intera nostra vita; essere irrevocabilmente allontanati dalla comunione con Dio. Sarebbe la conseguenza della nostra sterilità spirituale, delle improduttività della nostra esistenza, sia nel versante di Dio, a cui non abbiamo creduto con la nostra adesione a Lui, sia nel versante degli uomini, verso i quali non abbiamo posto gesti di carità, di giustizia, di fraternità, non avendo portato frutti di bene né realizzato il disegno divino della volontà del Signore come ci indica Gesù. Oggi la liturgia della Parola del Vangelo ci dice che Egli è paziente, e che il Signore non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva, secondo l’esortazione e l’ammonimento rivolto all’uomo per mezzo del profeta Ezechiele.
La sequela di Gesù attraverso la croce per giungere alla risurrezione.
21 FEBBRAIO – II DOMENICA DI QUARESIMA
Nella trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, il Padre manifesta il suo Figlio, l’amato, e ci chiedere di aderire a lui e ascoltarlo. La nostra vita, allora, deve essere programmata sulla sua parola. Egli, apparso agli occhi degli apostoli con Mosè ed Elia, conclude così l’Antico Testamento con la sua legge e la profezia, e inizia una nuova realtà di vita, chiedendoci di assumere nella nostra vita il mistero della croce, sulla quale egli si è consegnato perché noi potessimo avere la remissione dei nostri peccati, e seguirlo portando anche noi la nostra croce dietro a lui, se vogliamo essere suoi discepoli. La sequela di Gesù è un cammino difficile che dobbiamo compiere nella fede e nella speranza, intravvedendo nella trasfigurazione di Gesù, che oggi la liturgia ci fa contemplare, un riverbero della gloria del Risorto, a cui devono pervenire tutti i discepoli, che seguiranno il Signore sulla via della croce.
Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia preghiamo dicendo: « Dio grande e fedele, che ti riveli a chi ti cerca con cuore sincero, rinsalda la nostra fede nel mistero della croce e donaci un cuore docile, perché nell’adesione amorosa alla tua volontà seguiamo come discepoli il Cristo tuo Figlio ».
Prima Lettura: Gn 15,5-12.17-18.
Ad Abramo Dio promette una lunga e numerosa discendenza dopo avergli fatto guardare il cielo e contare le stelle, se ci fosse riuscito. « Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia ». Promette anche di dargli il possesso della terra dove lo ha condotto. Alla richiesta di Abramo di sapere se ne avrà il possesso, Dio gli chiede di offrire un sacrificio di una giovenca, di una capra, un ariete, una tortora e una colomba, animali che egli divide in due parti collocandone ogni metà l’una di fronte all’altra, eccettuando di dividere gli uccelli. Poiché su questi cadaveri si avventarono gli uccelli rapaci, Abramo li scacciò. Ma al tramontar del sole un profondo torpore prese Abramo e un terrore e un’oscurità grande lo assalì. Quando, tramontato il sole e fattosi buio, un braciere fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi bruciandoli, il Signore « In quel giorno concluse quest’alleanza con Abram: “ Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate ».
Abramo aderendo al Signore è giustificato davanti a lui e, ponendo la vita alle sue dipendenze, entra in un rapporto di solidarietà e di comunione con Dio. Quello che Abramo fa con gli animali, il terrore che lo assale, il torpore da cui è preso, da una parte, esprimono il misterioso linguaggio del sacrificio e il fuoco che brucia le vittime, dall’altra, esprime la presenza di Dio che sancisce l’alleanza e la comunione con il patriarca, che si impegna ad essere fedele al Signore fino alla morte. Con Cristo, Dio, non più con vittime sacrificali, ma con il suo stesso Figlio, offerto e consumato nel sacrificio della croce, sancirà una nuova, eterna e indistruttibile alleanza con l’umanità. La salvezza e il possesso del regno dei cieli, terra promessa da Dio, dipendono sempre dalla fede e dall’affidamento, nella speranza, al Padre celeste.
Seconda Lettura: Fil 3,17-4,1.
San Paolo esorta i Filippesi e ripetutamente li scongiura « con le lacrime agli occhi », ad imitare lui e coloro che si comportano secondo il suo esempio e non quelli che si comportano da nemici della croce di Cristo. Incorrono nella perdizione coloro che si vantano e non si vergognano di aver fatto del loro ventre il proprio dio o pensano solo alle cose terrene. Quelli che hanno accolto Cristo sono diventati cittadini del cielo e aspettano che dal cielo venga Cristo, Signore e Salvatore, quando « trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose ». Infine li esorta, loro che sono sua « gioia e corona », a rimanere saldi nel Signore Gesù. Chi sono, secondo Paolo, i nemici della croce di Cristo? Sono coloro che passano l’esistenza dediti ad una « vita godereccia », materialistica, alla ricerca dei piaceri allegri, anche se peccaminosi. I cristiani, pur vivendo in questo mondo, devono pensare alla patria celeste, di cui sono divenuti cittadini e in cui li attende Cristo risorto, nella gloria, il quale , alla fine dei tempi verrà, per trasfigurarci e renderci come lui, anche nel nostro corpo mortale. Le fragilità, le debolezze, le pesantezze della materialità del nostro corpo e del nostro essere ancora mortale possono facilmente farci adagiare nella concupiscenza che ci fa inclini al male. Se pensiamo che già, fin da ora, c’è in noi il germe della risurrezione, depositatovi dallo Spirito del Signore, dall’Eucaristia e dai sacramenti, allora, dobbiamo vivere sempre più dediti alla vita divina, in cui dobbiamo crescere.
Vangelo: Lc 9,28-36.
Luca, in questo brano odierno, ci fa contemplare la visione della trasfigurazione avvenuta sul Tabor, dopo l’annunzio fatto da Gesù sul viaggio verso Gerusalemme e la sua imminente passione e morte ad opera degli scribi e dei farisei. Salito con Pietro, Giacomo e Giovanni, sul monte Tabor, mentre Gesù prega, il suo volto cambia d’aspetto, la sua veste diviene candida e sfolgorante e appaiono con lui nella gloria, Mosè ed Elia, che conversano con lui sull’esito che sta per compiersi a Gerusalemme. Pietro e gli altri due sono oppressi dal sonno, ma svegliandosi vedono la sua gloria e i due che stanno con lui. Nel momento in cui Gesù e i due si stanno separando, Pietro, estasiato, dice a Gesù: « Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia ». Mentre parla così una nube li copre e la paura li prende. Ma dalla nube una voce proclama: « Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo! ». Cessata la voce, Gesù rimane solo. Scendendo dal monte, Gesù intima loro di non riferire niente a nessuno di ciò che hanno visto.
Gesù, con la sua trasfigurazione, rivela il mistero della sua identità e della sua gloria, nel momento dell’intimità che egli vive con il Padre e in cui Dio lo manifesta come Figlio, l’eletto, che gli uomini devono ascoltare, poiché è Parola del Padre, rivelazione visibile del Padre, inviato per realizzare il progetto di salvezza e redenzione dell’umanità. I segni del volto luminoso e la veste candida simboleggiano questa realtà divina, che non lo sottrae alla passione e alla morte. Con Mosè ed Elia, rappresentanti della legge, il primo, e della profezia, il secondo, Gesù discorre del suo imminente esodo che avverrà a Gerusalemme. Se nella visione celestiale, Gesù è e sarà contemplato, qui sulla terra, nella realtà della sua passione e morte, Gesù, come Figlio, deve essere ascoltato e imitato.
Gesù, tentato da Satana nel deserto, ci insegna a resistere alle tentazioni.
14 FEBBRAIO – PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA.
La Quaresima, come segno sacramentale della nostra conversione, ci impegna a vivere i giorni e i riti che celebriamo rivedendo la nostra esistenza e ogni gesto di essa alla luce del Vangelo e dell’esempio del Signore. In questo tempo, favorevole in maniera particolare per la nostra salvezza, la Parola di Dio ci chiama a confrontarci con essa e, riconoscendo le situazione della vita poco conformi ad essa, ci invita a convertirci, a cambiare atteggiamenti e comportamenti, ad accostarci alla misericordia di Dio per attingervi, sinceramente pentiti, il suo perdono.
La Chiesa, forte della presenza dello Spirito Santo, come disse Gesù agli apostoli: « Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi », invita, quindi, in maniera particolare, i suoi figli, a vivere intensamente il cammino di conversione e di rinnovamento della vita, guardando al mistero pasquale di morte e di risurrezione del Signore Gesù. Il Padre celeste, infatti: « per riconciliare a sé in mondo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando agli apostoli la parola della riconciliazione … a Colui che non aveva conosciuto peccato, l’ha fatto peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare giustizia di Dio » ( 2Cor 5,19-21).
Nella Colletta di questa prima Domenica preghiamo dicendo: « Signore nostro Dio, ascolta la voce della Chiesa che t’invoca nel deserto del mondo e stendi la tua mano, perché nutriti con pane della tua parola e fortificati dal tuo Spirito, vinciamo con il digiuno e la preghiera le continue seduzioni del maligno ».
Prima Lettura: Dt 26, 4-10.
Il brano del Deuteronomio propone alla nostra contemplazione la preghiera che l’israelita faceva, deponendo sull’altare, per le mani del sacerdote, la cesta con i doni da offrire al Signore, ricordando la vicenda dell'antenato Giacobbe che, aramèo errante, sceso in Egitto da forestiero era diventato una nazione numerosa, grande e forte; come ivi maltrattati, umiliati e sottoposti a dura schiavitù i suoi padri avevano gridato al Signore, che aveva ascoltato la loro voce e visto la loro umiliazione, miseria e oppressione; li aveva fatti uscire con mano potente e braccio teso dall’Egitto con segni e prodigi, conducendoli lungo il deserto alla terra promessa che aveva giurato di dare: per tutti questi eventi passati e per i frutti della terra, doveva ringraziare il Signore, suo Dio, prostrandosi davanti a lu. La cesta delle primizie è un segno di ringraziamento riconoscente al Signore, per la liberazione dalla schiavitù, da una vita errabonda, e per averlo accompagnato, con i segni della sua potenza e del suo amore, durante il deserto fino alla terra promessa.
Seconda Lettura: Rm 10,8-11.
San Paolo ai Romani ripete quello che dice Mosè e che cioè la Parola è vicina all’ uomo credente, sulla sua bocca e nel suo cuore, cosi come la parola della fede che egli predica. Se dunque il cristiano proclama con la bocca che “ Gesu è il Signore” e “con il cuore crede che Dio lo ha risuscitato dai morti”, allora, sarà salvo. Con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca, facendo la professione di fede, per ottenere la salvezza. Chi crede nel Signore non resta deluso e tutti davanti all’unico Signore, ricco verso tutti quelli che invocano il suo nome, possono ottenere la salvezza.
Si è salvati per la fede che nutriamo nella morte e risurrezione del Signore, credendo fermamente in lui e aderendo ai suoi misteri pasquali. Credendo veramente nel Signore non si resta delusi e quella che Cristo offre è una salvezza offerta a tutti, senza distinzione di razza, ed è elargita con larghezza.
Vangelo: Lc 4,1-13.
Gesù, dopo il battesimo e pieno di Spirito Santo, per quaranta giorni nel deserto, digiunando e pregando, si prepara alla missione. Non mangiò nulla e alla fine ebbe fame. E’ tentato dal diavolo che vuole persuaderlo a cambiare la pietra in pane per sfamarsi. Ma Gesù gli rispose: « Sta scritto: “ Non di solo pane vivrà l’uomo”». Condotto in alto e mostrandogli in un istante tutti i regni della terra lo tentò dicendogli di dargli tutto se prostrato lo avrebbe adorato. E Gesù rispose: « Sta scritto: “ Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” ». Portato infine a Gerusalemme, sul punto più alto del tempio gli disse: « Se tu sei il Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “ Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “ Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra” ». Ma Gesù gli rispose: « E’ stato detto: “ Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Esaurita così ogni tentazione il diavolo si allontanò da lui.
Le prove e le tentazioni, che il Padre permette al suo Figlio, non sono in contrasto al disegno di Dio su di lui. Il Signore, forte del suo Spirito, non cede alle tentazioni, a differenza di quanto era avvenuto ad Israele nel deserto. Alimentato dalla Parola di Dio Gesù non si lascia incantare , né ingannare da tutte le lusinghe del diavolo, ma ribatte alle parole del diavolo tratte dalle Scritture, con altrettanta fedeltà alla Scrittura. Così seguirà la via della croce, della ignominia per dire il « sì » dell’adorazione del Padre. E infine non mette alla prova la potenza di Dio, che lo avrebbe dovuto soccorrere perché suo Figlio, con uno spettacolare e facile miracolo: Gesù accetterà di morire sulla croce e non essere graziato e miracolato. Le tentazioni e la vittoria di Cristo diventano così per noi il paradigma di quello in cui anche noi possiamo trovarci nella nostra vita quotidiana: interessarci solo di cose terrene, affamati come siamo di esse, e dimenticare di nutrirci del cibo della Parola di Dio e dell’Eucaristia con cui avere la forza per camminare nel deserto dell’esistenza; prostrarci davanti a tanti idoli, per i quali impieghiamo tempo e risorse e vita, dimenticando di adorare l’unico e vero Dio; evitare di inseguire la gloria, il successo, il potere per i nostri interesse e non per un servizio da rendere ai fratelli, come ha fatto il Signore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita per la salvezza di tutti.
Come lui, seguendo il suo esempio, con la forza dello Spirito, anche noi possiamo conseguire, in questo combattimento spirituale, la vittoria contro le insidie del maligno, come quella definitiva conseguita da Cristo sulla croce.
QUARESIMA: TEMPO FAVOREVOLE DI CONVERSIONE E DI PERDONO.
QUARESIMA 2016
Con il Mercoledì delle Ceneri inizia il periodo di quaranta giorni in preparazione alla Pasqua. Fin dal IV secolo, dal Concilio di Nicea,(325), un canone stabiliva un tempo di digiuno della durata di quaranta giorni che precedevano la Pasqua. San Girolamo, nel 384, in un suo scritto evidenzia che il digiuno, in questo periodo, di durata variabile, da tre settimane all’inizio fino a quaranta giorni in seguito, è la caratteristica propria di questa celebrazione. A Roma veniva celebrato questo periodo con le cele- brazioni stazionali, vissute dalla comunità romana insieme al papa, in chiese diverse, in vari giorni.
Iniziata come tempo di preparazione dei catecumeni ai sacramenti dell’ iniziazione, con il tempo divenne tempo penitenziale per coloro che dovevano praticare la penitenza pubblica per essere riammessi, nella notte di Pasqua nella comunione ecclesiale.
Sant’Ambrogio diceva che a Pasqua sono presenti due tipi di acque differenti: le acque del Battesimo e quelle delle lacrime della penitenza. Questo periodo di preparazione alla Pasqua, prevedeva a Roma sei settimane, e in seguito fu spostato l’inizio al mercoledì precedente queste settimane, in cui i penitenti pubblici erano rivestiti da un abito penitenziale e cosparsi di cenere. Vennero aggiunte, verso il VI secolo le domeniche di Settuagesima, Sessuagesima e Quinquagesima e verso la fine del IX secolo
si instaura l’imposizione delle ceneri a tutto il popolo, essendo venuta meno la penitenza pubblica.
Oggi la Quaresima inizia con il Mercoledì delle Ceneri e termina il Giovedì Santo. L’imposizione delle ceneri viene fatto o durante la celebrazione eucaristica o inserita nella celebrazione della Parola.
Dopo il Concilio viene recuperato il significato battesimale della quaresima, che con il tempo era stato adombrato. Battesimo, che viene ricordato o a cui ci si prepara, e la Penitenza, invogliando i fedeli all’ascolto più frequente della Parola di Dio, alla preghiera per disporsi così a celebrare il mistero pasquale. In un percorso catecumenale la Quaresima può considerarsi una vera e propria iniziazione sacramentale: « La liturgia quaresimale guida alla celebrazione del mistero pasquale, sia i catecumeni, attraverso i diversi gradi dell’iniziazione cristiana, sia i fedeli, per mezzo del ricordo del battesimo e della penitenza ». (NGALC,N.27). La Parola di Dio, le preghiere delle collette, dei prefazi tutto ruota attorno al mistero pasquale di morte e risurrezione del Signore e le implicazioni che esso ha nella vita di tutti i credenti in lui: una sequela del Signore, che impegna fino al dono totale di sé e che ci permettere di partecipare alla sua risurrezione nella gloria.
I racconti nelle Tentazioni e della Trasfigurazione vengono proclamati nella prima e seconda domenica in ogni ciclo liturgico, mentre nelle altri cicli vengono posti in evidenza l’itinerario sacramentale battesimale (nell’Anno A), cristocentrico-pasquale (nell’Anno B), penitenziale (nell’Anno C).
L’invito alla conversione, con una penitenza interna ed esterna, individuale e comunitaria, è continuamente rivolto a tutto il popolo di Dio nelle preghiere eucologiche, perché :« attraverso l’itinerario spirituale della Quaresima, i fedeli giungano completamente rinnovati a celebrare la Pasqua del tuo Figlio » e « Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua ». La conversione in quaresima è condizione indispensabile per partecipare pienamente al mistero pasquale di Cristo: essa è tempo sacramentale della nostra conversione.
Purificare la vita per amare il Signore e il prossimo.
Con l’imposizione delle Ceneri Incomincia il cammino della Quaresima, che ha per metà la Pasqua, in cui si rinnova la grazia della passione, della morte e della resurrezione del Signore. E’ un tempo di austerità, di penitenza, che vuol dire conversione, cambiamento « contro lo spirito del male»; un tempo di liberazione dal peccato, origine della morte, così che la nostra vita sia « rinnovata a immagine del Signore risorto ».
Il modello della Quaresima è Gesù Cristo nel deserto: la sua decisione nel rigettare le insidie dell’antico tentatore, il suo ascolto fedele della Parola di Dio e, per noi, la preghiera insieme all’elemosina e al digiuno sono l’espressione di questo cambiamento di vita nell’imitare il Signore in questo tempo sacro.
L’esperienza del digiuno non è una attenzione narcisistica di cura dimagrante che la società moderna propone, ma un’imitazione del Signore che nel deserto ha pregato e digiunato e ci ha insegnato a vivere con tutto il nostro essere, spirito e carne, nella ricerca e nell’amore di Dio, nell’avere fame di lui. La vita cristiana senza l’ascesi sarebbe solo fatto ideologico, costellato magari di buone intenzioni, ma senza coinvolgimento dell’intera persona. L’ascesi diventa palestra che vuol farci giungere a conoscere e amare Dio e a vivere, nella carità di Dio, liberandoci dall’egoismo, dal dominio incondizionato delle passioni, dal desiderio di possesso, l’amore al prossimo, per realizzare una comunione di condivisione e di fraternità con tutti coloro che sono nelle necessità spirituali e materiali.
Prima Lettura: Gl 2,12-18.
La quaresima è il tempo della conversione e del perdono. Certo tutti i giorni contengono l’invito e l’impegno per il ritorno al Signore « con tutto il cuore, con digiuni, con pianti ». Così come ogni tempo è ricco della misericordia e della benignità divina. Ma a partire da questo mercoledì , la Parola di Dio che « si muove a compassione » risuonerà più insistente, e anche salirà più fervida a Dio l’orazione, che è gemito e implorazione dei « sacerdoti , ministri del Signore » e di tutta la Chiesa con loro.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,20-6,2.
Paolo si considera ambasciatore di Cristo e collaboratore di Dio nel proclamare che è giunto, ed è presente adesso, il tempo della salvezza, cioè della riconciliazione con Dio. E’ la riconciliazione compiuta da Gesù stesso, l’innocente che Dio ha trattato da « peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio »: noi riceviamo la grazia della « giustizia di Dio », per i meriti del Signore.
Vangelo: Mt 6,1-6,16-18.
Le nostre opere di carità, le nostre preghiere, la nostra penitenza non devono essere proclamate all’esterno, perché siano ammirate e diventino morivo di lode per noi. Deve invece importare lo sguardo di Dio, che vede nel segreto, e la ricompensa che viene da lui. Diversamente, potremmo anche lavorare e impegnarci molto, ma sarebbe uno sciupio di tempo e di energie. In ogni azione buona, che compiamo non per vanità, ma per amore di Dio, c’è una dimensione di eternità, che non andrà mai perduta.
Le domeniche di questo tempo hanno sempre la precedenza anche sulle feste del Signore e su tutte le solennità. Le solennità che coincidono con queste domeniche si anticipano al sabato.
La sesta domenica, con la quale si comincia la Settimana santa, viene chiamata Domenica delle Palme,della passione del Signore.
Il Mercoledì delle Ceneri e il VENERDI’ SANTO sono giorni di digiuno e astinenza: digiuno per coloro che sono compresi tra i 18 e i 60 anni compiuti, ( si è dispensati per motivi di salute);astinenza dalle carni, per coloro che sono dai 14 in sù ( si è dispensati per motivi di salute). Anche i bambini possono essere abituati ad astenersi dalle carni in questo Tempo di Quaresima.
Tutti i VENERDI’ di Quaresima, si osservi l’astinenza dalle carni.
Si consiglia di meditare nei Venerdì di Quaresima la Passione di Gesù o eventualmente in altri giorni a seconda della propria disponibilità di tempo.