Confidare nella paternità e provvidenza di Dio.
26 FEBBRAIO – VIII Domenica del Tempo Ordinario.
Dio che ci conosce nell’intimo non ci abbandona mai.
Dio è sempre presente alla nostra vita e ci conosce nei desideri del nostro cuore. Ci accompagna in tutte le vicende della vita: il Signore è il sostegno sia nei momenti belli che oscuri. « E’ lui la nostra salvezza perché ci vuol bene » ci fa cantare l’antifona d’ ingresso della Liturgia di oggi. Bisogna avere fiducia nel suo amore, rimetterci al suo giudizio di misericordia e pensare che, per quanto ci allontaniamo da lui, il suo amore di Padre ci raggiunge sempre.
Capire allora l’Eucaristia significa che l’amore di Dio per noi, la sua provvidenza e la sua misericordia sono doni immensi. Infatti nell’Eucaristia riceviamo il Corpo e Sangue del suo Figlio e con essa iniziamo quel rapporto di comunione con lui mentre attendiamo e speriamo di pervenire alla « perfetta comunione nella vita eterna », riceviamo il pegno della gloria futura. Con questo segno della nuova ed eterna Alleanza la Chiesa può dedicarsi al servizio di Dio con serena fiducia..
Nella Colletta iniziale preghiamo diciamo: « Padre santo, che vedi e provvedi a tutte le creature, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché in mezzo alle fatiche e alle preoccupazioni di ogni giorno non ci lasciamo dominare dall’avidità e dall’egoismo, ma operiamo con piena fiducia per la libertà e la giustizia del tuo regno ».
Prima Lettura: Is 49, 14-15.
Il profeta Isaia ci ricorda che se anche nel mondo ci potesse essere persino una madre snaturata che si dimentichi del suo bambino, Dio, invece, non si dimentica dell’uomo, che è la sua creatura prediletta. Anche se a volte ci viene sulle labbra l’amara e insensata considerazione che Dio si è dimenticato di noi, e crediamo che ci metta alla prova con le tribolazioni: tutto questo è semplicemente assurdo, perché dice il Signore « Io non ti dimenticherò mai ».
Questa è una certezza che deve riempirci di gioia. Se anche il nostro prossimo non di rado ci trascura, dopo tante promesse, Dio non ci trascura mai. Nella incrollabile convinzione che Dio non si dimentica di noi, che ci è vicino, anche se non lo avvertiamo interiormente, e che ci ama immensamente come Dio sa amare, sta il segreto della pace interiore e di tutta la vita spirituale.
Seconda Lettura : 1 Cor 4,1-5.
San Paolo ricorda ai Corinzi che sia lui che gli altri apostoli devono considerarli « come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio » i quali, come si richiede ad amministratori risultare fedeli. Egli ritiene che poco gli importa di venire giudicato da un tribunale terreno, poiché non giudica neppure se stesso dicendo che « anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato ». Poiché è il Signore a giudicare li esorta a « non giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà ». Solo lui potrà svelare i segreti delle tenebre e manifestare le intenzioni dei cuori.
I vescovi, i sacerdoti, quelli che esercitano un ministero nella Chiesa, sono dei « Servi di Cristo », appunto dei « ministri », « dispensatori dei misteri di Dio ». In questo compito, però, occorre essere fedeli, nel trasmettere quanto hanno ricevuto.
I credenti più che fermarsi a loro devono, tramite il loro servizio, unirsi al Signore Gesù, che unicamente conta. Talora ci si ferma al ministro e si dimentica lui, che non ha difetti e a cui solo spetta giudicare: degli altri, per quanto si sforzino di progredire nella perfezione, non c’è da stupirsi che possano incorrere in colpe.
Poiché Paolo dice che il giudizio è dato solo da Gesù Cristo, che rende manifeste le intenzioni segrete dei cuori, noi dobbiamo tenere a mente, proclivi come siamo a giudicare, che non dobbiamo essere in ansia per i giudizi umani che toccano gli altri o noi. Non ce ne dobbiamo inquietare più di tanto.
Vangelo : Mt 6, 24-34.
Gesù rivolgendosi ai discepoli li pone davanti ad una scelta: o servire Dio o la ricchezza che, paragonata ad un padrone, può asservire a tal punto da contrastare l’amore per Dio. Il denaro è facile che lega il cuore, abbindola la nostra mente ed ogni energia della nostra vita se rappresenta l’unica preoccupazione della vita. Cristo ci mette in guardia di fronte all’affanno opprimente per il domani, per cui la preoccupazione per avere da mangiare e da vestirsi sia l’unica cosa che conta, da farci ritenere che Dio sia indifferente alle necessità dell’uomo..
Avere fiducia nella provvidenza di Dio non significa pigrizia. Gesù esorta a guardare gli uccelli del cielo che, pur non seminando, il Padre celeste nutre, perché l’uomo vale molto più di loro; a vedere i gigli dei campi che, pur non faticando né filando o tessendo, vestono con colori splendenti che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, aveva. Se Dio, continua Gesù, « veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede ? ». Dice ancora di non preoccuparsi del mangiare, del bere o del cosa indossare, come fanno i pagani, perché « il Padre celeste, infatti, sa che ne avete bisogno » Conclude dicendo che bisogna « cercare innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta », perché ad ogni giorno basta la sua pena. Dimenticare l’amore di Dio e del prossimo per accumulare ricchezze, può farci ritrovare alla fine con le mani vuote di opere buone e anche con la privazione di quei beni per i quali ci siamo affannati e che dovremo, se pur a malincuore, lasciare.
Il Vangelo di oggi ci spinge a ricercare la pacificazione interiore in noi stessi con le realtà terrene, necessarie alla esistenza nostra e a quella degli uomini, ad avere sollecitudine e responsabilità per il mondo.
(Prima di tutto il Regno di Dio.
Gesù ci invita a cercare il Regno di Dio, i suoi valori e nello stesso tempo avere fiducia nella sua Provvidenza, che, come agli uccelli fornisce il cibo e ai fiori dei campi la bellezza, non fa mancare agli uomini il necessario alla loro vita. Cercare il Regno di Dio e la sua giustizia non esclude l’impegno nel lavoro quotidiano per procurarsi il cibo, il vestito, la casa, purché queste cose o le ricchezze non diventino l’unico assillo dei nostri giorni, tanto da asservirsi ad esse e dimenticare il nostro rapporto con il Padre celeste. Dice infatti il Signore: “ Nessuno può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro …Non potete servire a Dio e la ricchezza ”.
Le sollecitazioni della vita ci spingono verso una esistenza frantumata nelle sue energie, interessi e nel nostro agire: con molta difficoltà la nostra ricerca spirituale trova un centro di unificazione tra aspetti terreni e materiali e interessi spirituali.
Gesù dicendoci ancora: « Non preoccupatevi … la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito ? » (Mt 6,25) non legittima il disimpegno, ma ci rassicura che, se ricerchiamo anche e soprattutto il Regno di Dio, il Padre celeste, che ci ha fatto dono della vita e del corpo, sarà sollecito nel donare, nella sua provvidenza, energie e impegno per procurarci il necessario.
In tale atteggiamento paterno di Dio verso di noi dobbiamo porre il centro della nostra esistenza, per cui in relazione a lui, al suo Regno, tutto assume un significato e un valore nuovo, vissuto nella prospettiva di un amore filiale verso il Padre. Tutto ciò che di bello e di buono c’è nel mondo ( cose, attività, relazioni, ecc… sarà allora illuminato da una nuova luce e da nulla saremo manipolati e posseduti. Confidando, ancorati, nella paternità di Dio nulla ci creerà ansia, affanno, ma tutto, nel nostro intimo, sarà pervaso dalla sua presenza rassicurante, perché la sua Provvidenza non abbandona la sua creatura mantenendola nella sua esistenza.
Pur tuttavia noi, nella nostra concretezza storica, rimaniamo responsabili della nostra vita, perché Dio donandoci la libertà ha voluto responsabilizzarci e ci ha fornito nell’intimo i valori del Regno (giustizia, uguaglianza, equità, fraternità, carità, ecc.) che motivano le nostre azioni di uomini, di fratelli e di figli di Dio ).
Nell'affidarsi all'amore di Dio e nell' amare il prossimo Dio ci rende giusti.
19 FEBBRAIO - VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)
La Domenica è il giorno in cui ascoltiamo la Parola di Dio che la liturgia proclama, e per questo siamo invitati ad essere presenti, puntuali e attenti. Ma questo non basta. Ponendo l’attenzione interiore alla voce dello Spirito, la lettura sacra risuona in noi. Occorre, allora, trovare in essa « ciò che è conforme alla volontà di Dio », per conoscere il disegno che Dio ha su di noi, per realizzarlo « nelle parole e nelle opere ». Gesù, in tutto questo ci è modello.
Nella seconda preghiera eucaristica proclamiamo: « per compiere la tua volontà (Padre santo) egli stese le braccia sulla croce ». L’Eucaristia che celebriamo ci riporta a questo atto di obbedienza di Gesù, in quanto siamo chiamati anche noi a continuare questa obbedienza. Nel Figlio, « spogliato e umiliato sulla croce », Dio ci ha rivelato « la forza dell’amore »: lì impariamo che cosa vuol dire amare Dio facendo la sua volontà e che cos’è « l’amore gratuito e universale». L’amore divino, che è gratuito ed esteso a tutti, diventa per noi il paradigma che dobbiamo realizzare nelle nostre relazioni d’amore verso amici e nemici, vicini e lontani. Questo amore anche se non potrà mai raggiungere l’intensità divina sarà nella stessa logica rivelata nella croce del Signore. Ma se questo non avviene la Parola ascoltata risuona invano.
Nella Colletta preghiamo dicendo: « O Dio, che nel tuo Figlio spogliato e umiliato sulla croce, hai rivelato la forza dell’amore, apri il nostro cuore al dono del tuo Spirito e spezza le catene della violenza e del- l’odio, perché nella vittoria del bene sul male testimoniamo il tuo vangelo di riconciliazione e di pace ».
Prima Lettura: Lv 19, 1-2.17-18.
Dio, per bocca di Mosè, dice al suo popolo di essere santo come lui è santo e quindi tutti coloro che appartengono al suo popolo non devono covare nel proprio cuore odio verso i fratelli, né vendicarsi, né serbare rancore verso i figli del proprio popolo, e, se è necessario, bisogna rimproverare apertamente il prossimo, per non caricarsi di un peccato per lui. Ma « amerai il tuo prossimo come te stesso ». Sono già principi evangelici, norme di comportamento per il cristiano. Ma sappiamo che non sono facili da mettere in pratica. L’Eucaristia ce ne dà la forza, perché in essa è presente la carità di Cristo per tutti gli uomini.
Seconda Lettura : 1 Cor 3,16-23.
Paolo ricorda ai Corinzi che, essendo tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in loro, non devono distruggersi vicendevolmente, perché il tempio che essi costituiscono è santo. Li esorta a non illudersi pensando di credersi sapienti con la mentalità del mondo e, poiché Dio reputa stoltezza la sapienza del mondo, si facciano «stolti » per questo mondo per diventare «sapienti » davanti a Dio. Sta scritto infatti: « Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia » e ancora « Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani ». Li esorta infine a non porre il loro vanto negli uomini, perché, sia Paolo, che Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente e il futuro è di loro ed essi sono di Cristo e Cristo è di Dio.
Nella teologia di Paolo è importante ritenere i credenti, che hanno lo Spirito di Cristo, che sono tempio di Dio, poiché in essi vi abita Dio. Il peccato è quindi una profanazione del tempio vivente che siamo noi. Ancora. Non dobbiamo vantarci della nostra sapienza, ma riporre in Dio tutti i motivi del nostro vanto. A Dio appartiene tutto e lui solo dobbiamo servire. Non gli deve essere preferita nessuna persona e nessuna cosa. Così come nulla deve intralciare il nostro rapporto con lui. Noi apparteniamo a Cristo e Cristo appartiene a Dio. Su questo si fonda la nostra libertà. Siamo solo servi di Dio.
Vangelo: Mt 5,38-48.
Gesù, parlando ai suoi discepoli, mette in confronto quello che era la mentalità corrente, come: “ Oc-chio per occhio e dente per dente “, e ciò che egli vuole dai suoi discepoli: di non opporsi al malvagio, di porgere l’altra guancia a colui che dà uno schiaffo, di dare anche il mantello a chi vuole la tunica e portare in tribunale, a fare due miglia con colui che vuole costringere a farne uno, a non voltare le spalle a chi chiede o desidera un prestito.
Se è stato detto: “ Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Gesù dice di amare i nemici e pregare per quelli che perseguitano, così da essere figli del Padre celeste che fa sorgere il sole sia sui giusti che sugli ingiusti. Se si “ amano quelli che ci amano “ quale ricompensa si potrebbe avere? Fanno la stessa cosa anche i pubblicani. E se si “dà il saluto soltanto ai propri fratelli “, che si fa di straordinario?. Lo fanno anche i pagani.
Esorta infine tutti ad essere perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste.Gesù quindi va oltre ciò che già era affermato nel Vecchio Testamento a proposito dell’amore al prossimo. Bisogna amare anche i propri nemici e questo comportamento distingue i suoi discepoli da chi non vuole esserlo. Si tratta di imitare la benevolenza che il Padre celeste ha per i giusti e gli ingiusti, per poter passare sopra tante cose e non ragionare con puntigliosa giustizia, perché diversamente non si potrebbe avere quella carità che ci fa avvicinare all’amore di Dio e il troppo rigore, che non tollera nulla, ci fa tradire le istanze profonde e divine del Vangelo rendendoci infedeli.
Essere discepoli di Gesù significa “ seguirlo, divenendo capaci come lui di saper perdonare anche ai propri nemici ” e di considerare fratelli da amare tutti coloro che incontriamo nel nostro cammino. La nostra vita non può prescindere dal realizzare l’amore al nostro prossimo come quello che dobbiamo avere per noi. Un appello concreto che ci interpella ogni giorno.
Tendere alla perfezione, per quanto sia possibile all’uomo con la forza dello Spirito di Dio, è un impegno che Gesù chiede a chi vuole essere suo discepolo.
Gesù è venuto a portare compimento alla Legge.
12 FEBBRAIO - VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(A)
La giustizia di Dio e l’amore al prossimo.
La Domenica, facendo memoria della Pasqua del Signore, che ci dona con il suo Spirito il suo Corpo e il suo Sangue, esprimiamo il nostro amore per lui.
Divenuti allora con lui una sola cosa, fondati su di lui «pietra angolare» per formare un solo «tempio », con cuore retto e sincero, dobbiamo anche ascoltare la sua Parola e scegliere di vivere liberamente, per una adesione di amore, mettendoci, fedeli alla sua volontà, a servizio del suo progetto.
La carità che, come ci insegna Gesù, ci fa superare l’osservanza formale della legge, richiede un’adesione interiore.
Nella Colletta della Messa di oggi preghiamo: « O Dio, che riveli la pienezza della legge nella giustizia nuova fondata sull’amore, fa’ che il popolo cristiano radunato per offrirti il sacrificio perfetto, sia coerente con le esigenze del Vangelo, e diventi per ogni uomo segno di riconciliazione e di pace ».
Prima Lettura: Sir 15,15-20.
Il Siracide invita tutti, con una scelta di libertà, ad osservare i comandamenti del Signore, i quali custodiranno chi ha fiducia nel Signore, che pone davanti agli uomini « la vita e la morte, il bene e il male ed ad ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà ». Il Signore, « forte e potente », vede ogni cosa e, conosce ogni opera degli uomini, « i suoi occhi sono su coloro che lo temono. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare ».
L’uomo, che Dio ha dotato di libertà, ha la capacità di scegliere ed essere responsabile delle proprie azioni e può, purtroppo, usare male questa meravigliosa facoltà usandola in modo sbagliato. L’uomo con l’aiuto della grazia di Cristo, dono del suo Spirito, è corroborato a scegliere il bene. Ogni scelta sbagliata, allora, più che esaltare la nostra libertà la rende più debole e, pur vedendo il male che dovremmo evitare, siamo spinti a compierlo. Se anche l’ambiente, la società, le situazioni, su cui scarichiamo le nostre responsabilità, influenzano le nostre scelte, di esse siamo, per la nostra parte, responsabili.
Seconda Lettura: 1 Cor 2,6-10.
San Paolo, scrivendo ai Corinti, esorta coloro che vogliono essere perfetti in Cristo a ricercare la sapienza divina che non è quella di questo mondo né dei dominatori di questo mondo. Il cristiano deve ricercare e parlare del mistero della sapienza di Dio, che è rimasta nascosta, ma stabilita prima dei secoli per la nostra gloria, e che nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla, perché altrimenti non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Citando le Scritture dice che ciò che occhio non ha visto, né orecchio ha udito e che mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Continua infine dicendo che Dio, agli apostoli e a lui, « le ha rivelate per mezzo lo Spirito », che conosce « bene ogni cosa, anche le profondità di Dio ».
Dio ha manifestato la sua sapienza attraverso la croce del suo Figlio, il quale, per la sua obbedienza al Padre, ha reso vana la sapienza del mondo e il potere dei dominatori di questo mondo. Ma per conoscere e accogliere la sapienza della croce e lo stile di Dio bisogna essere attratti dal Signore crocifisso come ha detto Gesù: « Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me »(Gv 12,32) e « Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me » ( Gv 14,6 ). L’umiltà e l’obbedienza a Dio, che ci fanno imitare Gesù, sono il segreto che hanno vissuto i santi, i quali, già nella gloria del Signore, godono di « quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo », perché non si possono descrivere e rappresentare con discorsi o immagini terrene e sono cose di là da qualsiasi esperienza di quaggiù.
Vangelo: Mt 5,17-37.
Nel lungo discorso della montagna del Vangelo di Matteo Gesù dice di non essere venuto per abolire la Legge o i profeti, ma a dare compimento e che nessuna parte, anche minuscola di esse passerà. Ancora: Chi avrà trasgredito o insegnato qualcosa di diverso sarà considerato minimo nel regno dei cieli, mentre chi li avrà osservato e insegnato sarà grande nel regno dei cieli. Esorta a praticare la giustizia, che non bisogna vivere in modo farisaico e esteriore, ma dovrà superare quella degli scribi e dei farisei, se si vuole entrare nel regno dei cieli. Specificatamente dice che se è stato detto di non uccidere, egli aggiunge che anche chiunque si adira con il proprio fratello o chi gli dice “Stupido” si sarà sottoposto al giudizio e se gli dice anche semplicemente “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Esorta a riconciliarsi con il fratello con cui si ha qualche dissidio prima di offrire il proprio dono all’altare, a mettersi d’accordo con il proprio avversario prima di arrivare davanti al giudice e rischiare di essere messo in prigione, a non commettere adulterio, perché anche solo a guardare una donna e desiderarla si commette adulterio nel proprio cuore.
Ancora: a cavarsi un occhio o tagliarsi una mano se queste membra dovessero essere occasione di scandalo, perché conviene perdere un membro del proprio corpo che finire integri nella Geènna. A non ripudiare la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, per non esporla all’adulterio o a non sposare una ripudiata per non commettere adulterio.
In ultimo dice che se è stato detto di non giurare il falso, ma ad adempiere i propri giuramenti al Signore, egli dice:« Non giurate affatto, né per il cielo, che è il trono di Dio, né per la terra, che è sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurate neppure per la vostra testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno ».
La nostra vita non può prescindere dal realizzare l’amore al nostro prossimo come quello che dobbiamo avere per noi. Un appello concreto che ci interpella ogni giorno.
Gesù esorta i discepoli ad essere luce del mondo e sale della terra.
5 FEBBRAIO-V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(A)
Cristo, luce del mondo, ci illumina e chiede di essere luce.
Nello spirito delle Beatitudini, che sono la via più viva e credibile dell’annunzio del Vangelo, la Chiesa non è chiamata ad essere potente, ad avere successo, ma a seguire la logica di Dio e, poiché i criteri del mondo non sono quelli del Regno di Dio, può essere osteggiata e anche perseguitata. Certo, la marginalità, l’essere osteggiati, perseguitati può mettere in crisi la fede e la speranza, ma le parole di Gesù del vangelo di oggi vogliono essere di incoraggiamento a non venir meno nell’impegno di essere sale e luce nel mondo.
Identità e missione.
Gesù, rivolgendosi a coloro che vogliono seguirlo, dice: « Voi siete il sale della terra… siete la luce del mondo…» e chiede che l’ “ identità ” che devono avere non esprime tanto un desiderio o osservare un precetto morale. Questa identità è però frutto della grazia, che opera per la potenza dello Spirito Santo nel nostro cuore.
Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia di oggi preghiamo dicendo: « O Dio, che nella follia della croce manifesti quanto è distante la tua sapienza dalla logica del mondo, donaci il vero spirito del Vangelo, perché ardenti nella fede e instancabili nella carità diveniamo luce e sale della terra ».
Prima Lettura: Is 58, 7-10.
La vita religiosa, che il cristiano deve vivere, non può essere, secondo l’insegnamento che viene dal brano di Isaia che la liturgia oggi ci fa ascoltare e che Gesù fortemente richiama, una pratica cultuale sganciata da una vita di « fede ardente e da una instancabile carità » Si rende culto a Dio non attraverso delle pratiche solo esteriori, come digiuni, preghiere o altro, per assolvere ad un precetto. Chi divide il pane con il prossimo che ha fame, chi veste l’ignudo senza trascurare i propri cari, chi ha spirito di comprensione e di perdono, trova il Signore, incontra la sua misericordia, « la tua luce sorgerà come l’aurora, davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà ». Allora quando si invocherà il Signore e si implorerà il suo aiuto egli dirà: « Eccomi ! ». Il profeta ancora continua esortando : « Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio…, se sazierai l’afflitto di cuore » si avrà il cuore illuminato dalla luce divina e le proprie tenebre si diraderanno. La preghiera che salga da un animo duro, aspro, impietoso non è ascoltata da Dio. La domenica è anche il giorno della carità fraterna. Se no, non è nemmeno il giorno del Signore.
Seconda Lettura: 1 Cor 2, 1-5.
Paolo dice ai Corinti che la sua predicazione è stato Gesù Cristo crocifisso e a non mostrare loro la sua bravura nel parlare, la sua sapienza. Egli si è presentato a loro « nella debolezza e con molto timore e trepidazione» Egli sostiene che chi ha prodotto la conversione del loro cuore è stato la mani- festazione dello Spirito Santo e la potenza di Dio, perché su questa fosse fondata la loro fede. E’ sempre così: non le belle prediche, ma la grazia apre il cuore. La preghiera per la conversione degli uomini è certamente necessaria per impetrare da Dio che sia lui ad aprire il cuore all’accoglienza del messaggio della salvezza. Possiamo meritare per noi e per gli uomini la conversione se ci stacchiamo dalle belle parole che accontentano l’orecchio ma non cambiano la nostra vita.
Vangelo: Mt 5, 13-16.
I discepoli di Gesù, uomini come tutti gli altri, vivono e operano in mezzo al mondo; eppure ciò che li distingue dagli altri è la loro fede e la loro carità, che li rendono sale e luce del mondo. Questa se da una parte è una identità nuova, è anche la nostra missione, poiché Dio agisce nella storia attraverso le nostre scelte quotidiane. Il sale dà sapore, rende gradevole il cibo. Così deve essere un cristiano: capace di conferire il vero sapore della sapienza, dono dello Spirito di Dio. Testimoniare questa sapienza è la missione che il Signore ci affida, anche quando essa è osteggiata ed estranea alla logica del mondo. Dio, come dice Gesù, ci dona la sua forza e quando siamo sfiduciati, demotivati e stanchi, rivolgiamoci a lui per avere nuova gioia e nuova forza.
Gesù, ancora, attraverso la metafora della luce, si proclama Luce del mondo, che rivela le cose nella luce di Dio e indica all’uomo il cammino da seguire, illuminato dalla giusta luce divina. Anche il popolo di Israele, vivendo la vera fede, avrebbe dovuto essere luce, così come noi che, vivendo le Beatitudini, siamo luce se e nella misura in cui partecipiamo della luce di Cristo, da cui deriva la nostra missione profetica, affidata a tutti i credenti in lui, di illuminare tutta l’umanità.
Richiamando anche la necessità del buon esempio delle opere con l’immagine della luce, si noti, che Gesù parla della glorificazione del Padre. Esse infatti sono come il segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini e, nella loro storia, non devono essere solo espressione di religiosità sterile e ipocrita. Chi fa il bene rende presente Dio e conduce a lui.
Identità cristiana: incarnazione della Parola e missione.
Il sale della sapienza evangelica e la luce che deve risplendere devono esprimere l’identità cristiana per continuare il mandato profetico che Gesù assegna ai suoi discepoli e alla sua Chiesa. La Parola di Dio, efficace nella testimonianza dell’apostolo e nel cuore di chi riceve l’annuncio, ha la priorità. Essa, seminata da Dio nel cuore degli uomini, se da una parte deve essere contemplata e testimoniata da chi l’annunzia, dall’altra deve portare alla missione, cosicché venga incarnata non come mera propaganda ma come realizzazione del regno di Dio anche in chi l’accoglie.
Paolo, nel riconoscere la propria debolezza, fa affidamento alla potenza della Parola e assume la logica della croce, ritenendo di « non sapere altro in mezzo ai Corinzi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso » (1 Cor 2,2).
La missione animata dalla contemplazione rende testimoni e si diventa credibili se si vive nella propria esperienza di vita, con le parole e le opere, ciò che si è visto e si annunzia, per cui sant’ Ignazio d’Antiochia diceva scrivendo agli Efesini: « E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che professarlo senza esserlo ».
Ultimo aggiornamento (Sabato 04 Febbraio 2017 20:33)
L'obbedienza di Cristo al Padre fino alla morte di croce per noi: fonte di salvezza per l'uomo.
29 GENNAIO-IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO(A)
La Domenica, giorno del Signore, ci raduniamo per esprimere la nostra adorazione, il ringraziamento e la lode a Dio e per celebrare il banchetto in cui il Signore si dona con il suo Corpo e il suo Sangue, in cibo di comunione con lui e tra noi. Tutto questo non deve essere vissuto con segni solo esteriori ma viverlo con l’intimo del cuore e con tutta l’anima. Deve essere anche un impegno di amare i fratelli nella carità di Cristo, che dona la sua vita per noi, e ci insegna a fare altrettanto per i fratelli.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che hai promesso ai poveri e agli umili la gioia del tuo regno, fa’ che la Chiesa non si lasci sedurre dalle potenze del mondo ma a somiglianza dei piccoli del Vangelo segua con fiducia il suo sposo e Signore, per sperimentare la forza del tuo Spirito ».
Prima Lettura: Sof 2,3; 3,12-13.
Il profeta Sofonia esorta tutti i poveri della terra a cercare il Signore, ad eseguire i suoi ordini, cercando la giustizia, l’umiltà, per essere « trovati nel giorno dell’ira del Signore al riparo ». Nel suo popolo il Signore lascerà un « resto » che sarà un popolo umile e povero, che confiderà nel suo nome, non opererà iniquità e non profetizzerà menzogne, la sua lingua non sarà fraudolenta e potrà vivere tranquillo senza che nessuno lo molesti. Gli umili e i poveri che confidano nel Signore troveranno in lui rifugio, perché il Signore rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati e libera i prigionieri; ri- dona la vista a chi è cieco, rialza chi è caduto, ama i giusti e protegge i forestieri; sostiene l’orfano e la vedova, sconvolge le vie dei malvagi perché egli dura per sempre di generazione e generazione, come ci fa riflettere il Salmo 145 che la liturgia della Parola oggi ci fa pregare.
Seconda Lettura: 1 Cor 1,26-31.
San Paolo, scrivendo ai Corinti, ricorda di considerare la chiamata che Dio ha fatto loro e che tra essi non ci sono molti sapienti, dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Dio infatti ha scelto quello che è stolto per il mondo per confondere i potenti e quello che è debole per confondere i forti; quello che è ignobile, disprezzato e nulla lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, cosicché nessuno può vantarsi di fronte a Dio per ciò che da lui, con lui e per lui viene realizzato. Continua dicendo che è grazie a Dio che si è in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per i credenti sapienza, giustizia, santificazione e redenzione. Così chi vuol vantarsi, si vanti nel Signore. Davanti al giudizio di Dio la potenza, la nobiltà, la cultura, la sapienza del mondo, a nulla valgono per la nostra salvezza, se non sono vissute secondo la modalità e la logica di Dio Padre e di Gesù Cristo, suo Figlio, che è venuto nella nullità della carne e nell’ obbedienza della croce per realizzare la salvezza dell’uomo. Nessuno può quindi vantarsi di qualche proprio merito e tutti siamo racchiusi nella misericordia di Dio. Egli ha redento il mondo per mezzo del sacrificio del Figlio sulla croce, ritenuta stoltezza, debolezza e ignobile dalla mentalità del mondo. Dalla povertà di Cristo, che da ricco che era nella condizione divina si è fatto povero per noi, e dalla sua umiltà, essendosi umiliato, l’uomo è stato redento. Davanti a tanto esempio le nostre pretese o vanità perdono certamente la loro valenza mondana.
Vangelo: Mt 5,1-12.
Le beatitudini che Gesù proclama sono un cammino opposto alla logica e alla mentalità del mondo. Solitamente il mondo considera beati coloro che sono ricchi nella materialità dei beni e non hanno problemi di sorta, coloro che godono sulla terra e fanno valere i propri diritti con astuzia e sotterfugi o con prepotenza. Gesù esalta la povertà e il distacco dai beni terreni, riportandoli al loro giusto valore di mezzo, da utilizzarsi non egoisticamente solo per sé ma a servizio dei fratelli, la mitezza che conquista i cuori e bandisce ogni forma di violenza e sopraffazione, la misericordia nel perdonare anche ai propri nemici e a eventuali persecutori a motivo della fede, la sete di giustizia di cui si sarà saziati, la pazienza nelle sofferenze e nel pianto in cui si sarà consolati, la purezza e la limpidezza del cuore per cui si vedrà facilmente Dio, l’essere operatori di pace per potersi chiamare ed essere figli di Dio, il sopportare persecuzione o ogni forma di male per causa di Cristo e rallegrarsene perché grande sarà la ricompensa nei cieli. Il credere e realizzare questo capovolgimento di mentalità richiede coraggio e vi si riesce se si è motivati da una forte e costante fede e dall’ abbandono nelle mani del Signore. Il percorrere questa strada evangelica fa sperimentare fin da questa terra la beatitudine, la serenità, la gioia e la pace, che certamente saranno pienamente date nella visione beata del regno dei cieli.