Gesù, ridonando la vita al giovane di Nain, preannunzia che Egli è la risurrezione e la vita.
5 GIUGNO – X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In ogni domenica, quando ci raduniamo per la preghiera eucaristica, il Signore diventa per noi sorgente di ogni bene, poiché siamo invitati alla mensa che Dio prepara per i suoi figli, non per i nostri meriti, essendo spesso noi peccatori, ma per un dono del suo immenso amore. Dio non solo ci accoglie ma ci dona anche la forza del suo Spirito, che ci sostiene nella speranza pur tra le prove della vita quotidiana.
Dall’incontro domenicale con il Signore riparte tutta la nostra settimana, con le sue difficoltà, tentazioni, per cui nella preghiera chiediamo che con le armi della fede, della speranza e della carità, possiamo vincere le tentazioni del maligno.
Nella Colletta iniziale diciamo: « O Dio, consolatore degli afflitti, tu illumini il mistero del dolore e della morte con la speranza che splende sul volto del Cristo; fa’ che nelle prove del nostro cammino restiamo intimamente uniti alla passione del tuo Figlio, perché si riveli in noi la potenza della sua resurrezione ».
Prima Lettura: 1 Re 17, 17-24.
Poiché il figlio della vedova di Sarepta, che aveva ospitato Elia, si era ammalato gravemente cessando di respirare, ella chiamò il profeta e gli disse: « Che cosa c’è tra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio? ». Il profeta prendendogli il figlio dal seno lo portò nella stanza superiore della casa e dopo averlo steso sul letto, così pregò: « Signore, mio Dio, vuoi far del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio? ». E stendendosi tre volte sul bambino invocò il Signore, perché facesse ritornare la vita al corpo del bambino. Poiché il Signore ascoltò la sua preghiera e quello ritornò a vivere, lo portò giù dalla stanza superiore e lo restituì alla madre, dicendole: « Guarda! Tuo figlio vive ». Allora la donna riconobbe che Elia era un uomo di Dio e che la parola del Signore sulla sua bocca era verità Per quello che il Signore ha compiuto conferma il profeta Elia nella sua missione: infaticabile e perseguitato annunziatore del vero Dio di fronte ai falsi profeti di Baal. Gesù un giorno, dopo la sua risurrezione, tornerà personalmente a vita nuova divenendo, per quanti accolgono la sua parola e la sua testimonianza di Figlio di Dio, principio e primizia di risurrezione. Gesù, come avviene per il figlio della vedova di Naim, si avvicinerà a noi e ci risveglierà dalla morte, sia da quella spirituale liberandoci dal peccato, che da quella del corpo, quando tutta quanta la creazione, liberata dalla corruzione della caducità, sarà trasformata alla maniera del Cristo risorto: così saremo risaliti dalla vita degli inferi e rivivremo in Dio.
Seconda Lettura: Gal 1,11-19,
Ai Gàlati Paolo ricorda che il Vangelo da lui annunziato non è modellato né lo ha imparato dagli uomini, ma lo ha ricevuto per rivelazione diretta di Gesù; che era stato sostenitore accanito delle tradizioni dei padri e che, con la sua condotta precedente di persecutore feroce, aveva devastato la Chiesa di Dio con accanimento maggiore dei suoi coetanei e connazionali. Scrive che da quando Dio lo ha scelto e chiamato fin dal seno materno e con la sua grazia si compiacque di rivelare suo Figlio, egli ha iniziato ad annunziarlo in mezzo ai pagani, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme per confrontarsi con coloro che erano apostoli prima di lui, recandosi prima in Arabia e poi a Damasco. Solo dopo tre anni è salito a Gerusalemme per conoscere Cefa e, stando presso di lui per quindici giorni, poté confrontarsi con lui. Degli altri apostoli, vide solo Giacomo, il fratello del Signore. L’accoglienza della Parola di Dio e la rivelazione del Vangelo di Gesù Cristo significa per noi oggi entrare nella relazione di amore del Signore che ci ama immensamente, avendoci scelti per sua grazia e non per nostri meriti.
Vangelo: Lc 7,11-17.
La pericope evangelica, oggi, ci racconta di Gesù, che mentre entra nella città di Nain, con i discepoli e grande folla, vede portare alla tomba un morto, figlio unico di una donna rimasta vedova, accompagnata da molta gente. Preso da compassione per lei, Gesù le disse: « Non piangere! ». Avvicinatosi, toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi rivoltosi verso il morto disse: « Ra-gazzo, dico a te, alzati! ». Il morto si mise seduto, cominciò a parlare e lo consegnò alla madre, mentre tutti, presi da timore, glorificavano Dio dicendo che un grande profeta era sorto tra loro e che Dio aveva visitato il suo popolo.
Così la fama di lui si diffuse per tutta la Giudea e nella regione circostante. Gesù, preso da compassione per quella povera donna vedova, con la sua autorevolezza richiama il ragazzo alla vita e l’evento richiama il miracolo di Elia, che preannunziava il tempo messianico della risurrezione. Il gesto compiuto da Gesù è, nell’espressione della gente, un riconoscimento che Dio non ha dimenticato il suo popolo, anche se ancora non si è pienamente disvelato l’opera di Gesù di Nazaret che, come Messia e Dio, sarà fonte della vita perché, vincendo la morte e risorgendo, diviene primizia e causa di risurrezione per tutta l’umanità. Gli apostoli e i credenti ne prenderanno coscienza quando Gesù risorgerà da morte, anticipando così la consapevolezza che tutti siamo chiamati ad essere partecipi della sua risurrezione alla fine dei tempi.
Ultimo aggiornamento (Domenica 05 Giugno 2016 08:18)
SOLENNITA' DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE.
29 MAGGIO- SOLENNITA’ DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE.
Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall'Egitto, averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore, come comunità, non può dimenticare la sua dimensione comunitaria, in cui la fede è vissuta e celebrata, specie nella Eucaristia, che è il « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto. Tale memoriale non è un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore, resa possibile dall’azione dello Spirito Santo che viene invocato. Nella celebrazione dell’Eucaristia noi offriamo il sacrificio della nuova alleanza, viene ripresentato il sacrificio della croce, dove Gesù, Agnello senza macchia, s’è offerto. Nell’altare che è anche la mensa della sua cena noi vi attingiamo il cibo che ci sostiene lungo il « viaggio della nostra vita », in attesa di essere partecipi del convito eterno del regno celeste.
Attorno all’altare, uniti in « assemblea festosa » a rendere grazie a Dio, ci riconosciamo fratelli, perché il Padre celeste, nel sangue di Cristo, ci ha rigenerati come fratelli e ci ha costituiti come suo popolo, legato nella medesima fede e dall’ identica unità e carità, rappresentate nell’ unico pane e nell’ unico calice. Noi riceviamo nell’ Eucaristia lo Spirito, che scaturisce dal Corpo di Cristo, e veniamo purificati da ogni colpa.
Tutto questo deve farci fugare i rischi di considerare la comunità in termini psicologici o ridurla come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, per colmare situazioni compensatorie nelle proprie fragilità: una tale comunità rischierebbe di produrre un gruppo di immaturi che cercano un ovattamento alla vita. Oppure percepire la comunità in termini sociologici, perché l’affermazione conciliare sulla Chiesa, come « popolo di Dio », è da intendersi in maniera teologica non sociologica, costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Infine bisogna evitare un ultimo rischio che è quello di considerare la Comunità come aggregazione per eventi o iniziative di tipo organizzativo, con poco dispendio di energie e con scarsa intensità di comunione spirituale.
Non si può parlare di comunità senza parlare di « comunione », come relazione spirituale e di amore fraterno, che lega sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti. La comunione trova il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo la prerogativa testé esposta realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che dovesse rimanere dopo la celebrazione della Messa è presenza reale di Cristo, che realizza la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo che è presente nel tabernacolo va quindi la nostra adorazione e il nostro culto.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Signore dicendo: « Dio Padre buono, che ci raduni in festosa assemblea per celebrare il sacramento pasquale del Corpo e Sangue del tuo Figlio, donaci il tuo Spirito, perché nella partecipazione al sommo bene di tutta la Chiesa, la nostra vita diventi un continuo rendimento di grazie, espressione perfetta della lode che sale a te da tutto il creato ».
Prima Lettura: Gn 14,18-20.
In questa prima lettura della Genesi viene ricordato il gesto fatto da Abramo di offrire la decima di tutto a Melchisedek, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, che offrì pane e lo benedisse dicendo: « Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
Melchisedek, figura misteriosa del Vecchio Testamento, che offre pane e vino a Dio, prefigura e preannunzia l’offerta che farà il vero Sommo Sacerdote, Cristo Gesù, a cui il Padre ha conferito, nel suo ingresso nel mondo, l’incarico di Sommo Sacerdote con queste parole: « Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek ». Cristo così, immolandosi sulla croce, offre se stesso come vittima e, nei segni del banchetto eucaristico, consegna il suo Corpo e il suo Sangue, in sua memoria.
Seconda Lettura: 1 Cor 11,21-26.
San Paolo, trasmettendo ai Corinti quello che ha ricevuto dal Signore, descrive ciò che fece Gesù nella notte in cui veniva tradito: « Prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, i memoria di me”», e conclude il racconto dicendo che ogni volta che essi mangiano questo pane e bevono al calice, essi annunziano la morte del Signore, finché egli venga.
Quando Gesù veniva tradito ha consegnato agli apostoli, che l’hanno tramandato alla comunità della Chiesa, l’Eucaristia, cioè ha dato il suo Corpo e il suo Sangue nei segni del pane e del vino, dando anche il comando di ripetere quel gesto in sua memoria. Celebrare l’Eucaristia, Cena del Signore, in ogni tempo e luogo, significa, nella fede, essere stati presenti in quella notte in cui il Signore si offre in sacrificio e si dà come cibo e bevanda di salvezza, e partecipare, così, della nuova ed eterna alleanza che Dio ha reso possibile nel sacrificio in croce del suo Figlio. Ancora. Paolo esorta i Corinti a partecipare degnamente all’Eucaristia, da cui deriva l’impegno a fare comunione con i fratelli di fede, perché fare la comunione e poi non vivere nell’amore dei fratelli sarebbe una gravissima incongruenza: l’Eucaristia è il Sacramento in cui l’amore di Dio, manifestato in Cristo, per opera dello Spirito Santo, deve permeare la vita dei discepoli sia nel versante di Dio che in quello dei fratelli.
Vangelo: Lc9,11b-17.
Gesù, dopo aver parlato del Regno di Dio e guarito dei malati, sul far della sera, i discepoli gli dicono di congedare la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne a cercare del cibo. Ma Egli risponde loro: «Voi stessi date loro da mangiare ».Poiché essi rispondono di aver solo cinque pani e due pesci, ben poca cosa per tutta quella folla, a meno che vadano a comprare viveri, Gesù dice agli apostoli: « Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa ». Quando sono tutti seduti, Gesù prende i pani e i pesci, alza gli occhi al cielo, recita su di essi la benedizione, li spezza e li da ai discepoli perché li distribuiscano alla folla ». Tutti ne mangiano a sazietà e ne raccolgono i pezzi avanzati in dodici ceste.
Gesù invita gli apostoli a dare loro da mangiare, ma essi avvertono che non possono sfamare tutta quella gente. Così Gesù moltiplica quei pochi pani e pesci e, dopo avere reso grazie, li spezza, li fa distribuire e tutti se ne saziano.
Con questo gesto Egli prelude all’Eucaristia, che avrebbe istituito nell’Ultima Cena e affidata al ministero degli apostoli e della Chiesa, con cui avrebbe alimentato la vita eterna come aveva detto: « Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna ». Il Signore così non ci lascia con la nostra fame di vita, poiché egli ci sazia con il dono di sé tramite il ministero dei sacerdoti, che continuano il servizio affidato agli apostoli, per la santificazione dei credenti in lui.
Ultimo aggiornamento (Domenica 29 Maggio 2016 09:15)
SOLENNITA' DELLA SS. TRINITA':PADRE, FIGLIO E SPIRITO SANTO.
22 MAGGIO – SOLENNITA’ DELLA SS. TRINITA’.
La solennità della SS. Trinità, nel nome dalla quale ci segniamo all’inizio della nostra preghiera liturgica, individuale e in tante altre occasioni, celebra il primo mistero principale della fede cristiana, con cui crediamo in un solo Dio, ma nella trinità delle Persone divine: Padre, Figlio e Spirito Santo, distinte nell’unità di un solo Dio ma non separate. Mistero non astratto né lontano dalla nostra esistenza, rivelato da Gesù, che si è dichiarato Figlio di Dio, uguale al Padre, dicendo a Filippo: « Chi vede me, vede il Padre! » e dallo Spirito Santo, che il Padre e il Figlio hanno inviato per far ricordare e comprendere ai discepoli quello che Gesù aveva detto e realizzato. Tale mistero sfugge alla nostra piena comprensione e tuttavia inabita in noi: l’esperienza di Dio Trinità è certamente ancora velata, ma sarà piena nel cielo quando tale conoscenza di Dio, amore, verità e vita, avverrà faccia a faccia con lui.
Nella preghiera della Colletta diciamo: « Ti glorifichi, o Dio, la tua Chiesa, contemplando il mistero della tua sapienza con la quale hai creato e ordinato il mondo; tu che nel tuo Figlio ci hai riconciliati e nello Spirito ci hai santificati fa’ che, nella pazienza e nella speranza, possiamo giungere alla piena conoscenza di te che sei amore, verità e vita ».
Prima Lettura: Prv 8,22-31.
La Sapienza di Dio, nel libro dei Proverbi, parla e rivela se stessa come colei che dall’eternità e fin dal principio è stata generata e formata e creata dall’attività creativa di Dio nelle cose. Generata quando non esistevano gli abissi, non vi erano le sorgenti cariche d’acqua, prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, quando ancora la terra e i campi non erano stati fatti. Essa era come artefice, quando Dio fissava i cieli, tracciava un cerchio nell’abisso, condensava in alto le nubi, fissava le sorgenti dell’abisso, stabiliva al mare i limiti perché non fossero oltrepassati, disponeva le fondamenta della terra.
Essa era la sua delizia ogni giorno: « Giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo ». Nella Sapienza generata prima di ogni altro essere l’evangelista Giovanni vi riconosce « il Verbo che era presso Dio, era Dio e tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste »(Gv 1,1-3). Essa non è distaccata dall’umanità, perché il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Vi è, dunque, la Sapienza increata, cioè generata dall’eternità, il Verbo che si fa carne e che abita in comunione con il Padre, e vi è la sapienza creata che Dio ha posto nelle cose da lui create: il bene, la bellezza, l’ordine, l’armonia e la sua immagine nell’uomo, ecc. Tutta questa creazione è stata realizzata sul modello della Sapienza, cioè del Verbo, L’Unigenito del Padre, che abita « tra i figli dell’uomo », perché venuto tra noi.
Seconda Lettura : Rm 5,1-5.
Dio, per la fede che abbiamo in Lui, ci giustifica per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo e sempre per la fede in lui possiamo accedere alla grazia « nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio », scrive san Paolo ai Romani. Anche nelle tribolazioni il credente in lui continua a essere fedele, perché le tribolazioni producono la pazienza, la pazienza produce una
virtù provata e questa la speranza. La speranza, poi, non delude essendo stato riversato nei nostri cuori l’amore di Dio per mezzo dello Spirito Santo donato. Lo Spirito presente ci rassicura dell’amore del Padre, che ci ha riconciliati mediante il Figlio e ci ha resi suoi figli adottivi. Se questo è vero, e lo si crede con grande fede, non vi è ragione di perdere la fiducia e la speranza di essere un giorno in comunione con il Cristo risorto nella gloria, essendo stati conformi a lui nella sua passione. La Santissima Trinità, allora, ci conferma nella fede verso il Padre che ci ama, che manda il Figlio per redimerci, e ci offre lo Spirito Santo come segno e pegno della risurrezione. Nella fede trinitaria non c’è posto per diffidenza, disperazione per l’uomo, anche se si trova nelle prove che la vita ci riserva.
Vangelo: Gv 16,12-15.
Gesù, oggi, dice ai discepoli che, avendo ancora molte cose da dir loro e non essendo essi capaci di portarne il peso, devono ricevere lo Spirito della verità, che quando verrà, da lui e dal Padre inviato, li « guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future ». Lo Spirito poi lo glorificherà, perché prenderà da quel che appartiene a Gesù e glielo annuncerà. Conclude dicendo loro, assicurandoli, che « Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà ». La presenza dello Spirito Santo, assicurato da Gesù ai suoi Apostoli e alla Chiesa dopo di loro, renderà continuamente presente il Signore risorto in mezzo a loro con la sua Parola di verità, con i sacramenti della grazia salvifica e darà la forza per testimoniare fedelmente nelle opere l’ amore, la fraternità, la giustizia per i fratelli, come pure il coraggio e la fermezza anche in mezzo alle tribolazioni e persecuzioni.
La fede nella Santissima Trinità non deve esprimersi solo in una accettazione teologicamente corretta del mistero principale della nostra fede ma, anche e soprattutto, in un rapporto con le tre Persone divine, presenti nell’intimo dei nostri cuori. E se anche di Dio-Trinità non ne abbiamo una esperienza sensibile Egli, per la fede, è tuttavia presente veramente nel cuore del credente. Nella preghiera dobbiamo sempre tenere viva questa consapevolezza, affinché il nostro rapporto d’amore per Dio cresca di giorno in giorno.
PENTECOSTE: EFFUSIONE DELLO SPIRITO SANTO SUI CREDENTI NEL CRISTO.
24 MAGGIO – DOMENICA DI PENTECOSTE.
Lo Spirito vi renderà miei testimoni.
Questa solennità porta a compimento il mistero pasquale. Per i credenti e per coloro che lo accolgono si realizza ciò che Gesù nell’ultima Cena promise, che cioè, salito al Padre, ci avrebbe inviato il Consolatore, lo Spirito di Verità, per cui non ci avrebbe lasciato orfani,. Lo Spirito Santo, in questa liturgia, ci invita a vedere le meraviglie compiute da Dio nel mondo, ci esorta a essere fedeli alla missione che affida alla Chiesa, ci illumina e ci dà la forza di corrispondere al suo amore, cosicché possiamo compiere il cammino di fede con maggiore pienezza. In questo giorno lo Spirito Santo attualizza, in ogni tempo e latitudine, la Pentecoste: è il tempo della storia in cui lo Spirito rinnova la Chiesa, l’umanità, perché chi accoglie lo Spirito riceve i suoi benefici effetti nella sua vita.
Così la Chiesa, corpo di Cristo, sostenuta e fatta crescere dallo Spirito, inviato da Gesù risorto nel giorno di Pentecoste, è la comunità della nuova alleanza, che aggrega nell’unità di un solo linguaggio tutti i popoli per i quali si attua il mistero pasquale. Nel prefazio la Chiesa proclama: « Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo ». Poiché in ogni sacramento agisce lo Spirito Santo, che opera con i suoi molteplici effetti, quando riceviamo un sacramento in noi inabita lo Spirito del Padre e del Figlio, come alito di vita, dando suggerimento, impulso ed efficacia alle nostre azioni.
Accesi dal fuoco di questo Spirito, si alimenta ad ogni comunione col Corpo e Sangue del Signore la vita divina, e cresce la « carità ardente » di cui parla l’orazione sulle offerte della Messa vespertina: «Scenda, o Padre, il tuo Santo Spirito sui doni che ti offriamo e susciti nella tua Chiesa la carità ardente, che rivela a tutti gli uomini il mistero della salvezza». Si rinnova così il prodigio dell’unità che raccoglie gli uomini dispersi in molti linguaggi in un unico linguaggio di fede e che trasforma qualitativamente le nostre azioni, facendoci agire secondo lo Spirito di Cristo e in conformità alla volontà di Dio.
La vita « spirituale » del credente è quella che ha come maestro e come suggeritore lo Spirito Santo, che ridesterà i nostri corpi per la risurrezione. Il lasciarsi condurre da lui non è un fatto eccezionale, se molti, nella loro semplicità esistenziale, hanno raggiunto alte vette di santità, pur immersi nella quotidianità della loro vita..
La colletta della Messa che recita :« O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo », ci dà il significato della Pentecoste che celebriamo. Lo Spirito Santo anima la comunità cristiana, porta e rende efficace il Vangelo di Gesù Cristo e ci introduce nella conoscenza del mistero. Lo Spirito, con i doni che elargisce, ci fa crescere nelle opere di giustizia, ispirate da lui e da noi, rinnovati e resi giusti nel cuore, compiute per la sua energia. La solennità di oggi conclude il lungo e meraviglioso tempo pasquale in cui abbiamo meditato e approfondito il mistero della morte e risurrezione del Signore, che ci offre la prospettiva con cui siamo chiamati a vivere ogni giorno. L’impronta della morte e risurrezione del Signore, nella vita nuova sorta dallo Spirito, ci conduce, ci fa operare e ci prepara ad essere conformi con il Signore risorto, ora nel tempo e domani nell’eternità.
Prima Lettura: At 2,1-11.
Al cinquantesimo giorno dall’evento della risurrezione del Signore, nella festa di Pentecoste, sugli Apostoli e coloro che erano in attesa della promessa di Gesù, lo Spirito discende, « dal cielo con improvviso fragore, quasi come vento che si abbatte impetuoso, riempiendo tutta la casa », in forma di lingue di fuoco che si posarono su ciascuno di loro. Furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue. Comincia così l’evangelizzazione, l’annunzio delle opere che Dio ha compiuto nell’evento della morte e risurrezione di Gesù. Tutti coloro che erano a Gerusalemme in quei giorni, pur parlando molteplici lingue, sentono ognuno il gioioso annunzio nella propria lingua. La confusione delle lingue, iniziata con la torre di Babele, è vinta dalla proclamazione del Vangelo: nell’unica fede in Gesù salvatore, morto e risorto, si ricompone l’unità dei figli di Dio, dispersi e divisi dal peccato. La fede raccoglie nell’unità popoli, lingue e tradizioni diverse. « La confusione che la superbia aveva portato tra gli uomini, - recita il Prefazio – è ricomposta in unità dallo Spirito Santo ». Invocando e ricevendo oggi lo Spirito dobbiamo essere portatori di unità e non essere frantumati dalle discordie. Uscendo da noi stessi, dal nostro egoismo e superbia creiamo la comunione e la fraternità.
Seconda Lettura: Rm 8,8-17.
San Paolo scrivendo ai cristiani di Roma dice che, non essendo più sotto il dominio della carne ma dello Spirito di Dio che abita in loro e appartenendo a Cristo per il suo Spirito presente in loro, essi devono piacere a Dio. « Se Cristo è in voi » scrive « il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia ». E poiché lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita nei credenti in lui, lo stesso Spirito darà la vita anche ai loro corpi mortali. Se cristiani, che non sono più debitori verso la carne, vivono secondo i desideri carnali morranno. Se invece, per opera dello Spirito, fanno morire le opere della carne vivranno. Poiché coloro che si fanno guidare dallo Spirito di Dio sono suoi figli adottivi, essi non avendo più uno spirito da schiavi, possono invocare Dio gridando: « Abbà! Padre! ». Poiché lo Spirito stesso attesta ai credenti in Cristo che sono figli di Dio, se essi sono figli, sono eredi del Padre e coeredi di Cristo. Se si è figli bisogna, davvero, prendere parte alle sofferenze di Cristo per partecipare anche alla sua gloria.
Coloro che accolgono Cristo e credono nel suo nome, dallo Spirito del Padre e del Figlio che ricevono nel battesimo e che li rende figli, “ non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati “(Gv 1,13) hanno la garanzia e il principio della risurrezione. In loro la morte è vinta.
Ma la vita eterna nella risurrezione si consegue se si vive secondo lo Spirito, non secondo i desideri della carne e del mondo, cioè con le implicazioni e le connivenze con ogni forma di male e di peccato, con comportamenti che non sono ispirati all’esempio di Cristo. Se siamo figli, siamo coeredi di Dio e ci attende la gloria. Tutto quello allora che è di quaggiù, che passa ed è transitorio, bisogna viverlo nella sua relatività all’eternità: « D’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano dei beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo! »( 1 Cor 7,29-31). Anche le nostre sofferenze sono illuminate, perché esse partecipano alle sofferenze di Cristo, in quanto sono sofferte dalle membra del suo corpo mistico. E “se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze, parteciperemo anche alla sua gloria” (Rm .8,17).
Vangelo: Gv 14,15-16.23.26.
Gesù dice ai suoi discepoli che se lo amano devono osservare i suoi comandamenti ed egli chiederà al Padre di dare il suo Spirito Paràclito perché rimanga per sempre in loro. Osservando la sua parola, anche il Padre li amerà e insieme tutta la Trinità prenderà dimora in ognuno di loro.
Il Signore, inoltre, assicura ai suoi discepoli che lo Spirito Santo che il Padre manderà nel suo nome insegnerà loro ogni cosa e ricorderà tutto ciò che egli ha insegnato. L’osservanza della parola di Gesù è certamente il segno dell'amore che il discepolo può mostrare al Maestro. La pratica degli insegnamenti di Gesù ci ottiene dal Padre lo Spirito Paraclito che fa abitare in noi tutta la Trinità.
Lo Spirito ancora renderà i discepoli testimoni degli eventi salvifici operati da Gesù fino agli estremi confini della terra, li sosterrà davanti alle persecuzioni, li rinfrancherà nelle difficoltà, li illuminerà nel comprendere ciò che dovranno trasmettere agli uomini per suscitare la fede nel Signore, renderlo vivo e far conservare nei loro cuori il Vangelo.
ASCENSIONE DEL SIGNORE GESU' NELLA GLORIA DEL PADRE.
8 MAGGIO - ASCENSIONE DEL SIGNORE
La Chiesa oggi nel prefazio canta: « Gesù, vincitore della peccato e della morte, ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena speranza che dove è lui, capo e primogenito , saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria ». Ma dobbiamo tener presente, in ogni giorno della vita, che il Signore, con questa celebrazione, vuol dirci che egli ci attende nella sua stessa gloria. Gesù, con la sua umanità presso il Padre, già in qualche modo, ci ha portati con sé perché salvati dalla sua morte e risurrezione e divenuti, attraverso il battesimo, membra del corpo mistico di cui Egli è il Capo. Allora speriamo di poter conseguire la salvezza e la gloria eterna perché egli l’ha acquistata per sé e per noi. Nella nostra povera umanità il Signore non ci ha lasciati soli – canta ancora la Chiesa nel prefazio -: adesso ci è donata la grazia di Cristo che attende di maturare nella sua stessa gloria, che possiamo conseguire se operiamo con impegno e vivendo in maniera da essere graditi al Signore. Egli come Mediatore intercede presso il Padre per noi, finché non arriviamo alla sua medesima gloria.
Ma se lungo l’esistenza terrena siamo presi dal dubbio e avvertiamo lo smarrimento nell’ ordinarietà e monotonia della nostra vita e di quella della Chiesa, dobbiamo nutrire la speranza che egli non ci ha abbandonato, perché la sua presenza ci accompagna nella missione nel mondo, assistiti costantemente dal suo Spirito che ci ha inviato. Dobbiamo allora attendere con fiducia e operosità il sua ritorno futuro, come dicono gli angeli nel momento in cui sale verso il cielo. Operosità vuol dire impegno a vivere in maniera degna per essere accolti nella sua gioia di Signore risorto.
Prima Lettura: At 1,1-11
Dopo che gli apostoli e gli altri discepoli sono stati confermati da Gesù nella certezza della sua risurrezione, di cui avevano dubitato in diverse circostanze e davanti al quale, dice Matteo, « quando essi lo videro, si prostrarono », egli è salito al cielo. Oggi Gesù, anche se non visto come in quei quaranta giorni, non abbandona né si allontana dalla nostra umanità: dalla destra del Padre Cristo invia sugli apostoli lo Spirito, che, ricevuto da loro in pienezza , li fortifica per la testimonianza che devono rendere al Risorto e li accompagna nella loro missione. Essi, aspettando la venuta gloriosa di Gesù, non devono rimanere inattivi né devono preoccuparsi di quando sarà la fine del mondo e il termine della storia. Devono continuare la missione che il Maestro ha loro assegnato: predicare la conversione e il perdono dei peccati perché gli uomini conseguano la salvezza. Sicuramente il Maestro tornerà, come dicono gli angeli. Durante questo tempo di attesa, la testimonianza di tutti coloro che credono in lui si manifesta specialmente nel continuare a compiere le opere del regno messianico, quelle della fede e della carità, che esprimono il desiderio di riunirsi al Signore.
Seconda Lettura: Eb 9,24-28.10,19-23.
Gesù, ci dice la lettura di oggi, è entrato definitivamente nel santuario del cielo e intercede in nostro favore presso il Padre. Gesù non deve, quindi, come i sommi sacerdoti che offrivano, ogni anno, per sé e per il popolo, il sangue di animali, offrire se stesso, perché avrebbe dovuto soffrire, fin dalla fondazione del mondo, più volte. Invece una sola volta, nella pienezza dei tempi, egli si è offerto in sacrificio per annullare il peccato. Cristo, come gli uomini che muoiono una sola volta e dopo saranno giudicati, così egli apparirà di nuovo, senza relazione con il peccato, per quelli che l’aspettano per condurli con sé nella gloria. Poiché i credenti in Cristo, in piena libertà, possiamo entrare, per mezzo del suo sangue, per la stessa via nuova e vivente, inaugurata dal Signore, nel santuario del cielo e poiché Cristo è il nostro sommo Sacerdote, Mediatore presso il Padre, possiamo accostarci, « con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura » a Dio, mantenendo « senza vacillare la professione della fede, perché è degno di fede colui che ha promesso ». Per Cristo, dunque, nuova porta che ci introduce nella piena comunione con il Padre, per mezzo dello Spirito, noi abbiamo accesso a Dio, per cui con piena fiducia e fermezza di fede, con cuore sincero, purificato dal perdono di Dio, dobbiamo vivere nella speranza di raggiungere il cielo per partecipare della stessa gloria del Capo. E se in questa esistenza terrena possiamo avere molti motivi di preoccupazione di non raggiungere quella meta, la presenza di Gesù, che alla destra del Padre intercede per noi, ci dà sicurezza e ci conforta.
Vangelo: Lc 24,46-53.
Gesù, dopo aver ricordato agli apostoli le Scritture, secondo le quali « il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati. E di questo voi siete testimoni », dice che su di loro invierà colui che il Padre suo ha promesso e che non dovranno lasciare la città di Gerusalemme finché non saranno stati investiti di potenza dall’alto. A Betania, dove li conduce, mentre li benedice, staccandosi da loro ed elevandosi verso l’alto, portato via in cielo, gli apostoli gli si prostrano innanzi in adorazione. Dopo, ritornando a Gerusalemme, sono pieni di gioia e stando spesso nel tempio lodano Dio. La partenza di Gesù non lascia tristezza o rimpianti. Essi sentono una presenza diversa del ri-sorto nella loro vita. Avvertono che la compagnia del Signore non verrà meno perché, ricevendo il suo Spirito, saranno ripieni di “potenza dall’alto”, e potranno testimoniare il suo Vangelo, annunziare il mistero pasquale per la salvezza di tutti, predicare la conversione e la remissione dei peccati.