





Dopo l'annunzio della passione, Gesù si trasfigura sul Tabor.
12 MARZO – 2a DOMENICA DI QUARESIMA
Oggi Gesù, nella trasfigurazione sul Tabor, viene presentato dal Padre come il Figlio amato: ed è a lui che dobbiamo aderire e sulla sua parola fondare la nostra esistenza. Tutto l’Antico Testamento, con la sua legge e la sua profezia, ha in lui il suo compimento. Ma andare dietro a Cristo significa assumere « nella nostra vita il mistero della croce », poiché per mezzo di essa ci è stato consegnato, perché i nostri peccati fossero rimessi. Se questo itinerario, che compiamo nella fede e nella speranza, è difficile, intravediamo però nel nostro pellegrinaggio terreno, in Gesù che si trasfigura i riverberi della gloria del Risorto.
Nella preghiera della Colletta di questa seconda Domenica diciamo: « O Dio, che chiamasti alla fede i nostri padri e hai dato a noi la grazia di camminare alla luce del Vangelo, aprici all’ascolto del tuo Figlio, perché accettando nella nostra vita il mistero della croce, possiamo entrare nella gloria del tuo regno ».
Prima Lettura: Gn 12,1-4
Dio, irrompendo nella vita di Abramo, gli dice:« Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò ». Così gli dischiude orizzonti umanamente nuovi e gli promette che da lui farà uscire una grande nazione, lo benedirà e renderà grande il suo nome. Abramo, affidandosi a Lui, abbandona le proprie sicurezze, il paese, la casa: è un passato che deve tramontare e deve incominciare una nuova vita in una nuova terra, con la promessa di un discendente, da cui uscirà un popolo che porta in sé la benedizione di Dio: « In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra ». Da lui sarebbe sorto Gesù Cristo, che è l’apice della sua discendenza, ihl senso e il fine del beni promessi ad Abramo.
Abramo, quindi, lasciandosi guidare dalla parola di Dio, obbedisce e parte, con coraggio e fiducia in Lui, che lo chiama per realizzare un futuro che lo attende. Dio chiede al Abramo, come ad ognuno di noi, un cammino di conversione al suo progetto: ecco il frutto della fede, che diviene operosa e che trasforma la vita. Scommettendo e investendo la propria vita su questa chiamata, il Signore chiede di mettere in crisi le nostre certezze, sorretti però dalla fede in Dio che, come afferma Paolo, « ci ha salvati secondo il suo progetto e la sua grazia », donandoci grazia e misericordia in Cristo suo Figlio e inserendoci nella sua volontà salvifica.
Seconda Lettura: 2 Tm 1,8-10.
Non si può essere veri apostoli, veri discepoli di Cristo, se non si soffre per il Vangelo, come ha fatto Paolo che, invitando Timoteo a superare ogni avvilimento e ad accettare questa sofferenza, invita anche noi a fare altrettanto. Del resto, ci aiuta la forza di Dio, « la sua grazia dataci in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma che è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù », il quale ha vinto la morte facendo risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo. Ricevere la grazia vuol dire entrare in comunione con questa vita che risiede in Cristo. Ma a questa forza forse ci affidiamo troppo poco; eppure essa è tale che nessun ostacolo la può piegare.
Vangelo: Mt 17,1-9.
Nel racconto della Trasfigurazione sul Tabor di Matteo , Mosè ed Elia, la legge e i profeti convengono presso Gesù, poiché ne sono stati la preparazione e l’attesa. Come Mosè, convocato da Dio per ricevere la Legge è salito sul monte Sinai, dove « la gloria del Signore venne a dimorare e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno…», così è ora: « Sei giorni dopo …», la professione di fede di Pietro, che lo riconosce come « il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Dopo l’annunzio della sua Passione, che scandalizzò gli apostoli (Mt 16 21) e le parole dette da Gesù che « il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo » Mt 16 27, sul Tabor, in Gesù trasfigurato, si rivela la gloria di Dio in tutto il suo splendore. Qui i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, saliti con Gesù, sono spettatori e testimoni della rivelazione della divinità di Gesù, finora celata dalla sua umanità. E se, da una parte, Gesù corregge le attese messianiche degli apostoli con l’annunzio della Passione, dall’altra preannunzia gli eventi pasquali con la trasfigurazione.
Anche la voce che proclama « Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo » (Mt 17,5), come era avvenuto nel Battesimo al Giordano, aiuta a comprendere la figura di Gesù come Figlio e Messia del Salmo 2, l’ amato come Isacco, in cui si compiace, come del Servo Sofferente di Isaia.
Mosè ed Elia, rappresentanti dell’Antico Testamento, indicano che in esso tutto è preannuncio della figura e dell’opera di Gesù: la Legge, la Profezia, il sacrificio di Isacco, la sofferenza del Servo di Dio e, quindi, la fede in lui deve affrontare lo scandalo della passione.
Gli apostoli, davanti all’evento della trasfigurazione, rimangono estasiati e non vorrebbero allontanarsene, ma la voce dice loro che più che guardarlo trasfigurato deve essere da loro ascoltato.
Poi Gesù, il Figlio di Dio, l’amato, colui nel quale abita e risuona la parola del Padre, resta solo e, insieme agli apostoli, scende dal monte per riportarli alla vita normale, quotidiana, luogo in cui bisogna ancora ascoltarlo e seguirlo, nell’obbedienza al Padre e nella sua sequela, affrontando i giorni della passione, condizione per giungere alla gloria.
I brevi momenti della trasfigurazione fanno comprendere un po’ il mistero di Gesù, abitualmente nascosto nella sua vita mortale e che la passione verrà ad oscurare ancora di più. Ma colui che vuole seguirlo non può vacillare davanti alla croce: il servizio umile della sua morte con cui Gesù porterà a compimento il disegno di Dio, che lo ha mandato perché il mondo sia salvato. Questo tempo di Quaresima è, particolarmente, il « momento opportuno per lasciare che la Parola ci smuova, ci sfidi a scommettere la nostra vita in Dio e ci provochi ad avere fiducia nel futuro di salvezza , iniziato con la morte e la risurrezione di Cristo e che avrà il pieno compimento, anche per il credente, nella stessa gloria di Dio, preannunziata con la trasfigurazione di Gesù sul Tabor.
Gesù, tentato nel deserto da Satana, ci è di modello per vincere come lui le tentazioni del maligno.
5 MARZO – 1a DOMENICA DI QUARESIMA.
La Quaresima è un segno sacramentale della nostra conversione. I giorni e i riti che in essi celebriamo devono esprimere il nostro impegno a rivedere la vita e a confrontarla con le esigenze del Vangelo.
La Quaresima è un « tempo favorevole per la nostra salvezza », Benché tutti i tempi sono portatori di grazia e siamo invitati ad attingere la redenzione della vita, in Quaresima le esortazioni diventano più pressanti e appassionate: la meditazione sui nostri comportamenti poco conformi alla Parola di Dio si fa più prolungata; la meditazione sulla passione e morte in croce di Cristo pone la Chiesa tutta davanti al suo Signore perché ne segua le orme, essere in ascolto attento della Parola di Dio conduce il credente ad accostarsi al mistero pasquale con più consapevolezza. Tutti questi giorni sono tutti un cammino verso la Pasqua di risurrezione, i cui misteri sono al centro dell’anno liturgico e al culmine della storia della salvezza.
Nella Colleta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che conosci la fragilità della natura umana ferita dal peccato, concedi al tuo popolo di intraprendere con la forza della tua parola il cammino quaresimale, per vincere le seduzioni del maligno e giungere alla Pasqua nella gioia dello Spirito ».
Prima Lettura: Gn 2,7-9. 3,1-7.
Questo testo, che non è una narrazione storica, ma vi troviamo il perché del peccato che, fin dalle origini, induce l’uomo ad ogni forma di male, è il modello delle tentazioni che l’uomo sperimenta continuamente. E’ obbligo morale dell’uomo superare questo limite che non bisogna accettare passivamente e pigramente: tutti siamo chiamati in quanto creature a ricercare il bene nostro e di tutto l’uomo, a perfezionarci e assolvere al compito di maturazione umana. Ma ci ritroviamo con un limite insuperabile che è costitutivo della creatura: quello di accettarsi nello stato di creatura e riconoscersi nella giusta relazione con Dio. Il desiderio di oltrepassare questo limite spinge l’uomo nel tentativo di equipararsi a Dio, di volersi sostituire a Lui. Le parole del serpente, il più astuto di tutte le bestie create: « E’ vero che Dio ha detto:” Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» sollecitano la donna che risponde al serpente dicendo: « Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “ Non dovete mangiarne e non lo dovere toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente allora insiste nella tentazione, con parole più suadenti e più subdole, inculcando in Eva il sospetto che Dio abbia proibito di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male non perché sarebbero morti, ma perché: « Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male ». Così a motivo del demonio e del consenso dell’uomo a tale suggestione, l’uomo stesso diviene peccatore. Il peccato è un atto di diffidenza nei confronti di Dio, di autocompiacenza, di volontà di essere come Dio, misconoscendo la propria condizione di creatura. Invece di fare della creazione motivo di gioioso rendimento di grazie, l’uomo se ne accaparra, come se ne fosse l’autore. Dio viene presentato come nemico della sua creatura. Così con la disobbedienza la relazione armonica e fiduciosa tra Dio e l’uomo viene sostituita da un atteggiamento di rivalsa contro Dio, che lo avrebbe ingannato malevolmente.
Il frutto diventa, così, appetibile sotto tutti gli aspetti e il mangiarlo avrebbe fatto superare il limite creaturale: cadere nella tentazione di mangiarlo non apporta certo in Adamo ed Eva la sazietà del loro desiderio. Così l’uomo si rivolge anche verso le altre creature di Dio non con il giusto rapporto di amministratore della creazione ma come padrone e possessore!
Il risultato è che l’uomo viene sì a conoscere, ma che cosa? La propria nudità, simbolo della propria miseria, che infonde rossore, timore e vergogna. Ogni nostro peccato conferma e continua il primo peccato.
Ma ormai il pensiero del peccato dev’essere intimamente congiunto con quello della misericordia, cioè con quello della croce di Gesù, dove egli muore, per riportare l’uomo alla vita di figlio di Dio per il dono della grazia. Così Cristo, recuperando l’identità dell’uomo che ha disobbedito al creatore, con la sua obbedienza, da creatura lo rende figlio del Padre celeste e restaura un nuovo rapporto tra Dio e l’umanità.
Seconda Lettura: Rm 5,12-19.
Il cammino dell’uomo nelle vie del peccato inizia da Adamo, e porta nel mondo la morte. Tutti gli uomini, per propagazione, nascono con l’impronta di quella colpa originale e della sua conseguenza: la morte, che avrebbero evitato se non ci fosse stata la disobbedienza. Ma questo non è il destino vero e ultimo dell’uomo. Al peccato di disobbedienza di uno, cioè di Adamo, sopravviene, ben più potente ed efficace, l’obbedienza di Cristo, che compiendo la volontà del Padre celeste e sacrificandosi per noi ci ha meritato il perdono e la misericordia di Dio. Così « la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti ». Se per la ribellione del primo uomo è venuto il giudizio sul male e il peccato, e di conseguenza la condanna, invece per l’obbedienza del secondo, di Cristo Gesù, ci è venuto « il dono di grazia da molte cadute, ed è per la giustificazione », che ci permette di riaccostarci a Dio e ritornare, accogliendo il suo perdono, alla comunione con lui. «Se per la caduta di uno solo la morte ha regnato su tutti, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo » Nella vita dell’uomo deve sopravvenire, dopo la conseguenza del primo peccato e dei peccati personali che, purtroppo, intessono e disfanno la nostra vita, l’abbondanza della grazia e del perdono di Dio. In questi giorni dobbiamo quindi ricomprendere il significato della croce, sulla quale Gesù ci ha riscattato dal peccato e, riversando sull’umanità la giustificazione del Padre, ci ha ridato la vita di Dio..
Vangelo : Mt 4, 1-11.
Al contrario del primo Adamo, Gesù « Condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo » non si lascia suggestionare da Satana. Dopo il lungo digiuno di quaranta giorni, Gesù, sperimentando nella tentazione del diavolo il limite delle creature: aver fame, mettere alla prova Dio correndo un rischio e adorare colui che promette potere e onori, forte della Parola di Dio e della preghiera, non si lascia vincere dal tentatore e ci insegna così che anche noi possiamo vincere le stesse tentazioni. Non cede come ha fatto Adamo e come ha fatto Israele lungo il suo peregrinare nel deserto.
Entrambi, Gesù e Satana si basano sulla Scrittura, il secondo per tentarlo alla disobbedienza e l’altro per respingerlo, interpretandola come criterio della sua relazione filiale.
Queste tentazioni di Gesù nel deserto sono, come tutta intera la sua esistenza, una continua messa alla prova fin sulla croce, su cui la sua obbedienza al Padre è confermata ed è sconfessata la disobbedienza dei progenitori. Così Gesù manifesta la sua conformità alla volontà salvifica del Padre riconciliando l’umanità disobbediente con la sua obbedienza sulla croce, dove appare spoglio di gloria e di potere: ma è quella la via misteriosa della salvezza del mondo.
In questa Quaresima da Cristo riceviamo la forza di vincere le tentazioni, piccolo e grandi che siano , poiché tutte si risolvono in quelle tre che Gesù ha decisamente superato per sé e per noi, dandocene un esempio.
Confidare nella paternità e provvidenza di Dio.
26 FEBBRAIO – VIII Domenica del Tempo Ordinario.
Dio che ci conosce nell’intimo non ci abbandona mai.
Dio è sempre presente alla nostra vita e ci conosce nei desideri del nostro cuore. Ci accompagna in tutte le vicende della vita: il Signore è il sostegno sia nei momenti belli che oscuri. « E’ lui la nostra salvezza perché ci vuol bene » ci fa cantare l’antifona d’ ingresso della Liturgia di oggi. Bisogna avere fiducia nel suo amore, rimetterci al suo giudizio di misericordia e pensare che, per quanto ci allontaniamo da lui, il suo amore di Padre ci raggiunge sempre.
Capire allora l’Eucaristia significa che l’amore di Dio per noi, la sua provvidenza e la sua misericordia sono doni immensi. Infatti nell’Eucaristia riceviamo il Corpo e Sangue del suo Figlio e con essa iniziamo quel rapporto di comunione con lui mentre attendiamo e speriamo di pervenire alla « perfetta comunione nella vita eterna », riceviamo il pegno della gloria futura. Con questo segno della nuova ed eterna Alleanza la Chiesa può dedicarsi al servizio di Dio con serena fiducia..
Nella Colletta iniziale preghiamo diciamo: « Padre santo, che vedi e provvedi a tutte le creature, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché in mezzo alle fatiche e alle preoccupazioni di ogni giorno non ci lasciamo dominare dall’avidità e dall’egoismo, ma operiamo con piena fiducia per la libertà e la giustizia del tuo regno ».
Prima Lettura: Is 49, 14-15.
Il profeta Isaia ci ricorda che se anche nel mondo ci potesse essere persino una madre snaturata che si dimentichi del suo bambino, Dio, invece, non si dimentica dell’uomo, che è la sua creatura prediletta. Anche se a volte ci viene sulle labbra l’amara e insensata considerazione che Dio si è dimenticato di noi, e crediamo che ci metta alla prova con le tribolazioni: tutto questo è semplicemente assurdo, perché dice il Signore « Io non ti dimenticherò mai ».
Questa è una certezza che deve riempirci di gioia. Se anche il nostro prossimo non di rado ci trascura, dopo tante promesse, Dio non ci trascura mai. Nella incrollabile convinzione che Dio non si dimentica di noi, che ci è vicino, anche se non lo avvertiamo interiormente, e che ci ama immensamente come Dio sa amare, sta il segreto della pace interiore e di tutta la vita spirituale.
Seconda Lettura : 1 Cor 4,1-5.
San Paolo ricorda ai Corinzi che sia lui che gli altri apostoli devono considerarli « come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio » i quali, come si richiede ad amministratori risultare fedeli. Egli ritiene che poco gli importa di venire giudicato da un tribunale terreno, poiché non giudica neppure se stesso dicendo che « anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato ». Poiché è il Signore a giudicare li esorta a « non giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà ». Solo lui potrà svelare i segreti delle tenebre e manifestare le intenzioni dei cuori.
I vescovi, i sacerdoti, quelli che esercitano un ministero nella Chiesa, sono dei « Servi di Cristo », appunto dei « ministri », « dispensatori dei misteri di Dio ». In questo compito, però, occorre essere fedeli, nel trasmettere quanto hanno ricevuto.
I credenti più che fermarsi a loro devono, tramite il loro servizio, unirsi al Signore Gesù, che unicamente conta. Talora ci si ferma al ministro e si dimentica lui, che non ha difetti e a cui solo spetta giudicare: degli altri, per quanto si sforzino di progredire nella perfezione, non c’è da stupirsi che possano incorrere in colpe.
Poiché Paolo dice che il giudizio è dato solo da Gesù Cristo, che rende manifeste le intenzioni segrete dei cuori, noi dobbiamo tenere a mente, proclivi come siamo a giudicare, che non dobbiamo essere in ansia per i giudizi umani che toccano gli altri o noi. Non ce ne dobbiamo inquietare più di tanto.
Vangelo : Mt 6, 24-34.
Gesù rivolgendosi ai discepoli li pone davanti ad una scelta: o servire Dio o la ricchezza che, paragonata ad un padrone, può asservire a tal punto da contrastare l’amore per Dio. Il denaro è facile che lega il cuore, abbindola la nostra mente ed ogni energia della nostra vita se rappresenta l’unica preoccupazione della vita. Cristo ci mette in guardia di fronte all’affanno opprimente per il domani, per cui la preoccupazione per avere da mangiare e da vestirsi sia l’unica cosa che conta, da farci ritenere che Dio sia indifferente alle necessità dell’uomo..
Avere fiducia nella provvidenza di Dio non significa pigrizia. Gesù esorta a guardare gli uccelli del cielo che, pur non seminando, il Padre celeste nutre, perché l’uomo vale molto più di loro; a vedere i gigli dei campi che, pur non faticando né filando o tessendo, vestono con colori splendenti che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, aveva. Se Dio, continua Gesù, « veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede ? ». Dice ancora di non preoccuparsi del mangiare, del bere o del cosa indossare, come fanno i pagani, perché « il Padre celeste, infatti, sa che ne avete bisogno » Conclude dicendo che bisogna « cercare innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta », perché ad ogni giorno basta la sua pena. Dimenticare l’amore di Dio e del prossimo per accumulare ricchezze, può farci ritrovare alla fine con le mani vuote di opere buone e anche con la privazione di quei beni per i quali ci siamo affannati e che dovremo, se pur a malincuore, lasciare.
Il Vangelo di oggi ci spinge a ricercare la pacificazione interiore in noi stessi con le realtà terrene, necessarie alla esistenza nostra e a quella degli uomini, ad avere sollecitudine e responsabilità per il mondo.
(Prima di tutto il Regno di Dio.
Gesù ci invita a cercare il Regno di Dio, i suoi valori e nello stesso tempo avere fiducia nella sua Provvidenza, che, come agli uccelli fornisce il cibo e ai fiori dei campi la bellezza, non fa mancare agli uomini il necessario alla loro vita. Cercare il Regno di Dio e la sua giustizia non esclude l’impegno nel lavoro quotidiano per procurarsi il cibo, il vestito, la casa, purché queste cose o le ricchezze non diventino l’unico assillo dei nostri giorni, tanto da asservirsi ad esse e dimenticare il nostro rapporto con il Padre celeste. Dice infatti il Signore: “ Nessuno può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro …Non potete servire a Dio e la ricchezza ”.
Le sollecitazioni della vita ci spingono verso una esistenza frantumata nelle sue energie, interessi e nel nostro agire: con molta difficoltà la nostra ricerca spirituale trova un centro di unificazione tra aspetti terreni e materiali e interessi spirituali.
Gesù dicendoci ancora: « Non preoccupatevi … la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito ? » (Mt 6,25) non legittima il disimpegno, ma ci rassicura che, se ricerchiamo anche e soprattutto il Regno di Dio, il Padre celeste, che ci ha fatto dono della vita e del corpo, sarà sollecito nel donare, nella sua provvidenza, energie e impegno per procurarci il necessario.
In tale atteggiamento paterno di Dio verso di noi dobbiamo porre il centro della nostra esistenza, per cui in relazione a lui, al suo Regno, tutto assume un significato e un valore nuovo, vissuto nella prospettiva di un amore filiale verso il Padre. Tutto ciò che di bello e di buono c’è nel mondo ( cose, attività, relazioni, ecc… sarà allora illuminato da una nuova luce e da nulla saremo manipolati e posseduti. Confidando, ancorati, nella paternità di Dio nulla ci creerà ansia, affanno, ma tutto, nel nostro intimo, sarà pervaso dalla sua presenza rassicurante, perché la sua Provvidenza non abbandona la sua creatura mantenendola nella sua esistenza.
Pur tuttavia noi, nella nostra concretezza storica, rimaniamo responsabili della nostra vita, perché Dio donandoci la libertà ha voluto responsabilizzarci e ci ha fornito nell’intimo i valori del Regno (giustizia, uguaglianza, equità, fraternità, carità, ecc.) che motivano le nostre azioni di uomini, di fratelli e di figli di Dio ).
Nell'affidarsi all'amore di Dio e nell' amare il prossimo Dio ci rende giusti.
19 FEBBRAIO - VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)
La Domenica è il giorno in cui ascoltiamo la Parola di Dio che la liturgia proclama, e per questo siamo invitati ad essere presenti, puntuali e attenti. Ma questo non basta. Ponendo l’attenzione interiore alla voce dello Spirito, la lettura sacra risuona in noi. Occorre, allora, trovare in essa « ciò che è conforme alla volontà di Dio », per conoscere il disegno che Dio ha su di noi, per realizzarlo « nelle parole e nelle opere ». Gesù, in tutto questo ci è modello.
Nella seconda preghiera eucaristica proclamiamo: « per compiere la tua volontà (Padre santo) egli stese le braccia sulla croce ». L’Eucaristia che celebriamo ci riporta a questo atto di obbedienza di Gesù, in quanto siamo chiamati anche noi a continuare questa obbedienza. Nel Figlio, « spogliato e umiliato sulla croce », Dio ci ha rivelato « la forza dell’amore »: lì impariamo che cosa vuol dire amare Dio facendo la sua volontà e che cos’è « l’amore gratuito e universale». L’amore divino, che è gratuito ed esteso a tutti, diventa per noi il paradigma che dobbiamo realizzare nelle nostre relazioni d’amore verso amici e nemici, vicini e lontani. Questo amore anche se non potrà mai raggiungere l’intensità divina sarà nella stessa logica rivelata nella croce del Signore. Ma se questo non avviene la Parola ascoltata risuona invano.
Nella Colletta preghiamo dicendo: « O Dio, che nel tuo Figlio spogliato e umiliato sulla croce, hai rivelato la forza dell’amore, apri il nostro cuore al dono del tuo Spirito e spezza le catene della violenza e del- l’odio, perché nella vittoria del bene sul male testimoniamo il tuo vangelo di riconciliazione e di pace ».
Prima Lettura: Lv 19, 1-2.17-18.
Dio, per bocca di Mosè, dice al suo popolo di essere santo come lui è santo e quindi tutti coloro che appartengono al suo popolo non devono covare nel proprio cuore odio verso i fratelli, né vendicarsi, né serbare rancore verso i figli del proprio popolo, e, se è necessario, bisogna rimproverare apertamente il prossimo, per non caricarsi di un peccato per lui. Ma « amerai il tuo prossimo come te stesso ». Sono già principi evangelici, norme di comportamento per il cristiano. Ma sappiamo che non sono facili da mettere in pratica. L’Eucaristia ce ne dà la forza, perché in essa è presente la carità di Cristo per tutti gli uomini.
Seconda Lettura : 1 Cor 3,16-23.
Paolo ricorda ai Corinzi che, essendo tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in loro, non devono distruggersi vicendevolmente, perché il tempio che essi costituiscono è santo. Li esorta a non illudersi pensando di credersi sapienti con la mentalità del mondo e, poiché Dio reputa stoltezza la sapienza del mondo, si facciano «stolti » per questo mondo per diventare «sapienti » davanti a Dio. Sta scritto infatti: « Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia » e ancora « Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani ». Li esorta infine a non porre il loro vanto negli uomini, perché, sia Paolo, che Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente e il futuro è di loro ed essi sono di Cristo e Cristo è di Dio.
Nella teologia di Paolo è importante ritenere i credenti, che hanno lo Spirito di Cristo, che sono tempio di Dio, poiché in essi vi abita Dio. Il peccato è quindi una profanazione del tempio vivente che siamo noi. Ancora. Non dobbiamo vantarci della nostra sapienza, ma riporre in Dio tutti i motivi del nostro vanto. A Dio appartiene tutto e lui solo dobbiamo servire. Non gli deve essere preferita nessuna persona e nessuna cosa. Così come nulla deve intralciare il nostro rapporto con lui. Noi apparteniamo a Cristo e Cristo appartiene a Dio. Su questo si fonda la nostra libertà. Siamo solo servi di Dio.
Vangelo: Mt 5,38-48.
Gesù, parlando ai suoi discepoli, mette in confronto quello che era la mentalità corrente, come: “ Oc-chio per occhio e dente per dente “, e ciò che egli vuole dai suoi discepoli: di non opporsi al malvagio, di porgere l’altra guancia a colui che dà uno schiaffo, di dare anche il mantello a chi vuole la tunica e portare in tribunale, a fare due miglia con colui che vuole costringere a farne uno, a non voltare le spalle a chi chiede o desidera un prestito.
Se è stato detto: “ Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Gesù dice di amare i nemici e pregare per quelli che perseguitano, così da essere figli del Padre celeste che fa sorgere il sole sia sui giusti che sugli ingiusti. Se si “ amano quelli che ci amano “ quale ricompensa si potrebbe avere? Fanno la stessa cosa anche i pubblicani. E se si “dà il saluto soltanto ai propri fratelli “, che si fa di straordinario?. Lo fanno anche i pagani.
Esorta infine tutti ad essere perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste.Gesù quindi va oltre ciò che già era affermato nel Vecchio Testamento a proposito dell’amore al prossimo. Bisogna amare anche i propri nemici e questo comportamento distingue i suoi discepoli da chi non vuole esserlo. Si tratta di imitare la benevolenza che il Padre celeste ha per i giusti e gli ingiusti, per poter passare sopra tante cose e non ragionare con puntigliosa giustizia, perché diversamente non si potrebbe avere quella carità che ci fa avvicinare all’amore di Dio e il troppo rigore, che non tollera nulla, ci fa tradire le istanze profonde e divine del Vangelo rendendoci infedeli.
Essere discepoli di Gesù significa “ seguirlo, divenendo capaci come lui di saper perdonare anche ai propri nemici ” e di considerare fratelli da amare tutti coloro che incontriamo nel nostro cammino. La nostra vita non può prescindere dal realizzare l’amore al nostro prossimo come quello che dobbiamo avere per noi. Un appello concreto che ci interpella ogni giorno.
Tendere alla perfezione, per quanto sia possibile all’uomo con la forza dello Spirito di Dio, è un impegno che Gesù chiede a chi vuole essere suo discepolo.
Gesù è venuto a portare compimento alla Legge.
12 FEBBRAIO - VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(A)
La giustizia di Dio e l’amore al prossimo.
La Domenica, facendo memoria della Pasqua del Signore, che ci dona con il suo Spirito il suo Corpo e il suo Sangue, esprimiamo il nostro amore per lui.
Divenuti allora con lui una sola cosa, fondati su di lui «pietra angolare» per formare un solo «tempio », con cuore retto e sincero, dobbiamo anche ascoltare la sua Parola e scegliere di vivere liberamente, per una adesione di amore, mettendoci, fedeli alla sua volontà, a servizio del suo progetto.
La carità che, come ci insegna Gesù, ci fa superare l’osservanza formale della legge, richiede un’adesione interiore.
Nella Colletta della Messa di oggi preghiamo: « O Dio, che riveli la pienezza della legge nella giustizia nuova fondata sull’amore, fa’ che il popolo cristiano radunato per offrirti il sacrificio perfetto, sia coerente con le esigenze del Vangelo, e diventi per ogni uomo segno di riconciliazione e di pace ».
Prima Lettura: Sir 15,15-20.
Il Siracide invita tutti, con una scelta di libertà, ad osservare i comandamenti del Signore, i quali custodiranno chi ha fiducia nel Signore, che pone davanti agli uomini « la vita e la morte, il bene e il male ed ad ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà ». Il Signore, « forte e potente », vede ogni cosa e, conosce ogni opera degli uomini, « i suoi occhi sono su coloro che lo temono. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare ».
L’uomo, che Dio ha dotato di libertà, ha la capacità di scegliere ed essere responsabile delle proprie azioni e può, purtroppo, usare male questa meravigliosa facoltà usandola in modo sbagliato. L’uomo con l’aiuto della grazia di Cristo, dono del suo Spirito, è corroborato a scegliere il bene. Ogni scelta sbagliata, allora, più che esaltare la nostra libertà la rende più debole e, pur vedendo il male che dovremmo evitare, siamo spinti a compierlo. Se anche l’ambiente, la società, le situazioni, su cui scarichiamo le nostre responsabilità, influenzano le nostre scelte, di esse siamo, per la nostra parte, responsabili.
Seconda Lettura: 1 Cor 2,6-10.
San Paolo, scrivendo ai Corinti, esorta coloro che vogliono essere perfetti in Cristo a ricercare la sapienza divina che non è quella di questo mondo né dei dominatori di questo mondo. Il cristiano deve ricercare e parlare del mistero della sapienza di Dio, che è rimasta nascosta, ma stabilita prima dei secoli per la nostra gloria, e che nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla, perché altrimenti non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Citando le Scritture dice che ciò che occhio non ha visto, né orecchio ha udito e che mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Continua infine dicendo che Dio, agli apostoli e a lui, « le ha rivelate per mezzo lo Spirito », che conosce « bene ogni cosa, anche le profondità di Dio ».
Dio ha manifestato la sua sapienza attraverso la croce del suo Figlio, il quale, per la sua obbedienza al Padre, ha reso vana la sapienza del mondo e il potere dei dominatori di questo mondo. Ma per conoscere e accogliere la sapienza della croce e lo stile di Dio bisogna essere attratti dal Signore crocifisso come ha detto Gesù: « Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me »(Gv 12,32) e « Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me » ( Gv 14,6 ). L’umiltà e l’obbedienza a Dio, che ci fanno imitare Gesù, sono il segreto che hanno vissuto i santi, i quali, già nella gloria del Signore, godono di « quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo », perché non si possono descrivere e rappresentare con discorsi o immagini terrene e sono cose di là da qualsiasi esperienza di quaggiù.
Vangelo: Mt 5,17-37.
Nel lungo discorso della montagna del Vangelo di Matteo Gesù dice di non essere venuto per abolire la Legge o i profeti, ma a dare compimento e che nessuna parte, anche minuscola di esse passerà. Ancora: Chi avrà trasgredito o insegnato qualcosa di diverso sarà considerato minimo nel regno dei cieli, mentre chi li avrà osservato e insegnato sarà grande nel regno dei cieli. Esorta a praticare la giustizia, che non bisogna vivere in modo farisaico e esteriore, ma dovrà superare quella degli scribi e dei farisei, se si vuole entrare nel regno dei cieli. Specificatamente dice che se è stato detto di non uccidere, egli aggiunge che anche chiunque si adira con il proprio fratello o chi gli dice “Stupido” si sarà sottoposto al giudizio e se gli dice anche semplicemente “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Esorta a riconciliarsi con il fratello con cui si ha qualche dissidio prima di offrire il proprio dono all’altare, a mettersi d’accordo con il proprio avversario prima di arrivare davanti al giudice e rischiare di essere messo in prigione, a non commettere adulterio, perché anche solo a guardare una donna e desiderarla si commette adulterio nel proprio cuore.
Ancora: a cavarsi un occhio o tagliarsi una mano se queste membra dovessero essere occasione di scandalo, perché conviene perdere un membro del proprio corpo che finire integri nella Geènna. A non ripudiare la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, per non esporla all’adulterio o a non sposare una ripudiata per non commettere adulterio.
In ultimo dice che se è stato detto di non giurare il falso, ma ad adempiere i propri giuramenti al Signore, egli dice:« Non giurate affatto, né per il cielo, che è il trono di Dio, né per la terra, che è sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurate neppure per la vostra testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno ».
La nostra vita non può prescindere dal realizzare l’amore al nostro prossimo come quello che dobbiamo avere per noi. Un appello concreto che ci interpella ogni giorno.