





Cristo, luce del mondo.
22. MARZO – IV DOMENICA DI QUARESIMA
Cristo Luce del mondo.
Dio Padre in Gesù tende la mano all’uomo, che così è messo nella possibilità di afferrarla. Sta alla nostra libertà volerlo. Come il cieco nato guarito da Gesù anche noi siamo raggiunti dalla grazia di Dio, ma siamo disponibili a farci illuminare da lui, per crescere in una fede matura?
San Paolo scrive agli Efesini e, illustrando loro la nuova identità derivata dal battesimo, poiché dalle tenebre di prima sono diventati luce nel Signore, li esorta a camminare nella luce di Cristo, che guarisce e giudica. Infatti « tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce »(Ef 5,13).
La guarigione del cieco nato, la cui cecità non deriva da nessun peccato, né personale né dei suoi genitori, è il simbolo di una condizione di cecità spirituale di tutta l’umanità: è la situazione del peccatore che ritiene di essere nella luce.
Gesù passa, vede il cieco e di sua iniziativa gli fa la grazia della vista. Così compiendo il gesto del fango spalmato sugli occhi, che rimanda all’evento della creazione, gli ripristina l’opera divina della creazione e, attraverso la terra, la saliva del Figlio di Dio e l’acqua, ri-crea il cieco ridandogli la vista. sia nel corpo che dello spirito attraverso la fede.
Inviandolo a lavarsi alla piscina di Siloe, egli chiede al cieco la collaborazione all’evento della sua guarigione, così come nel battesimo, in cui Dio ci fa dono della sua grazia, frutto della sua benevolenza, ci ri-crea e chiede all’uomo di corrispondere al suo dono con una vita illuminata dalla sua luce.
Nella Colletta di questa domenica preghiamo dicendo: « O Dio, Padre della luce, tu vedi le profondità del nostro cuore: non permettere che ci domini il potere delle tenebre, ma apri i nostri occhi con la grazia del tuo Spirito, perché vediamo colui che hai mandato a illuminare il mondo, e crediamo in lui solo, Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore ».
Prima Lettura: 1 Sam 16,1-4.6-7.10-13.
Dio in tutte le sue iniziative non si lascia impressionare dall’esteriorità: per lui « Non conta quel che vede l’uomo. L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore ». Egli per realizzare i suoi disegni sceglie chi è umile, chi ha consapevolezza della propria povertà e che, confidando in lui, si affida alle mani del Signore. Non tanto i nostri meriti devono risaltare, quanto la potenza della grazia. Per questo Dio mandò da Iesse, il Betlemmita, il profeta Samuele che, passati in rassegna tutti i suoi figli presenti in casa e dopo aver chiesto se tutti fossero presenti, alla risposta di Iesse che mancava il più piccolo, gli dice di mandarlo a prendere, perché non si sarebbero messi a tavola se non fossero stati tutti. Vedendo venire il giovane Davide, che era « fulvo, con begli occhi e bello di aspetto » il Signore dice a Samuele: « Alzati e ungilo: è lui! ». Il profeta allora « prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo Spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi ». Così Dio sceglierà Maria, che si proclama l’umile ancella del Signore, per adempiere il suo disegno di salvezza.. E Gesù dirà che gli umili saranno esaltati mentre i superbi saranno abbassati: l’orgoglio e la superbia sono rigettati e “ primo” è chi si fa ultimo per amore.
Seconda Lettura: Ef 5,8-14.
San Paolo esorta gli Efesini, diventati dalle tenebre luce nel Signore, a comportarsi come figli della luce, compiendo frutti di bontà, giustizia e verità; a non partecipare alle opere delle tenebre e a condannarle apertamente e cercando di capire ciò che è gradito al Signore,
La condotta di un cristiano deve essere totalmente limpida da non avere nulla da coprire e da nascondere e di cui vergognarsi, non cercando la complicità delle tenebre per non essere visti del male che si compie. Quella dei cristiani è una vita nuova. In Quaresima dobbiamo spesso esaminare la nostra condotta alla luce del Vangelo, di scandagliare i luoghi più segreti della coscienza, le intenzioni più recondite che ci spingono nelle scelte quotidiane, che forse non riveliamo neppure a noi stessi, spinti da una istintiva paura. Paolo esorta quindi dicendo ad ognuno: « Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà ».
Vangelo : Gv 9,1-41;
Gesù, ai suoi discepoli che lo interrogano, vedendo un cieco dalla nascita, se abbia peccato lui o i suoi genitori, risponde: « Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio »: egli infatti è venuto per compiere le opere di colui che lo ha mandato… « Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo ». Così dopo aver fatto con la saliva e un po’ di terra del fango, spalmandoglielo sugli occhi, gli intima di andarsi a lavare nella piscina di Sìloe. E quegli va e torna guarito, che ci vede .
L’evento della guarigione operata da Gesù suscita discussioni e interrogativi: nei vicini, ai quali, riconoscendo colui che chiedeva l’elemosina perché cieco e si domandano se è lui o no, dice quello che gli ha fatto colui che si chiama Gesù; nei farisei, davanti ai quali portano il cieco guarito, a cui chiedono come abbia riacquistato la vista. Egli allora risponde loro: « Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo ». Allora alcuni farisei dicono che Gesù non viene da Dio perché non osserva il sabato, altri si chiedono come un peccatore possa compiere segni di quel genere. Di nuovo chiedono al cieco: « Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi? ».I farisei, davanti alla risposta del guarito che dice: « E’ un profeta! » e non credendo che sia stato cieco e che abbia riacquistato la vista, chiamano i genitori del guarito e li interrogano sulla cecità del figlio e come ora ci veda. Poiché essi rispondono che è nato cieco, ma non sanno come ci veda e non conoscono chi gli ha ridato la vista, dicono, per paura, di chiederlo a lui, che ha la sua età.
Richiamato il cieco guarito gli dicono: « Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». E quello risponde: « Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo ». Avendogli chiesto i farisei di ridire come aveva avuto la vista, risponde dicendo: « Ve lo già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli? ». Sentendosi insultati ribattono che essi sono discepoli di Mosè a cui ha parlato Dio; mentre di Gesù, che lo ha guarito, non sanno di dove sia. Il cieco guarito allora risponde: « Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che , se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».
Così irritati da questa risposta dicono: « Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi? ». E lo cacciano fuori dalla sinagoga.
Dopo questi fatti, Gesù lo incontra e gli chiede: « Tu credi nel Figlio dell’uomo?» Egli risponde: « E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli dice Gesù: « Lo hai visto: è colui che parla con te ». E il guarito dice: « Credo, Signore! ». E si prostra dinanzi a lui.
Ai farisei astanti Gesù dice che è venuto in questo mondo perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono diventino ciechi. Essi dicono a Gesù: « Siano ciechi anche noi?». E Gesù conclude: « Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: “ Noi vediamo”, il vostro peccato rimane ».
I farisei, esperti in cose religiose, che vogliono conferme ai loro pregiudizi manifestando un’ostilità di fondo nei confronti di Gesù, il quale non rispetterebbe il sabato avendo guarito il cieco , non comprendono che il Sabato è il giorno del compimento della creazione e che il miracolo di ri-creazione compiuto da Gesù ne è conferma, non trasgressione.
I farisei si pongono sempre più in atteggiamento di giudizio nei confronti di Gesù.
Per il cieco guarito rispondere alle domande dei farisei è il modo con cui può dare testimonianza e crescere nella fede in Gesù, ritenendolo dapprima come profeta e, poiché gli ha aperto gli occhi, riconoscere che in lui opera Dio, diversamente dai farisei che ritengono Gesù un peccatore, perché viola il sabato..
Gesù da inquisito, si trasforma in giudice, perché il suo miracolo ha diviso i presenti tra coloro che credono e coloro che non credono. Rivolgendosi ai farisei che credono di vedere dice che sono ciechi, mentre ricevono la vista coloro che sono ciechi e chiedono di vedere, come il cieco nato guarito. Gesù conclude dicendo: « Se foste ciechi, non avreste nessun peccato, ma siccome dite: “Noi vediamo ”, il vostro peccato rimane ».
Peccato e redenzione.
Chiudendo gli occhi dinnanzi alla luce; è come se si fosse ciechi. Così sono i farisei-Giudei che, chiudendo gli occhi dinanzi a Cristo, l’unico senza peccato, venuto come Luce del mondo per liberare dalle tenebre del male e per la condanna di chi crede di vedere ma è senza luce, non ne scorgono il mistero. Il vero peccato per loro non è la cecità, ma l’indisponibilità a lasciarsi guarire basata sulla presunzione di essere già vedenti.
Davanti a questo atteggiamento di rigetto e di chiusura – causato dal- l’orgoglio – neanche i miracoli più stupendi e clamorosi servono per chi è cieco. Gesù condanna i farisei proprio per la loro pretesa di vedere da sé e di aver rifiutato di lasciarsi illuminare da lui.
Anche per noi, che abbiamo ricevuto nel battesimo la grazia della luce di Cristo, credere con umile e riconoscente fervore come il cieco, al quale sono stati aperti gli occhi, significa perseverare nella luce per essere autenticamente cristiani.
Crediamo anche noi se la nostra ricerca della verità è sicura e volenterosa, se non chiudiamo gli occhi dello spirito alla luce di Cristo. Se caduti nelle tenebre riconosciamo la nostra cecità, se consideriamo la fede un dono di Dio, e ci facciamo illuminare da Gesù, il Cristo-Luce, venuto per illuminarci nel cammino di ritorno a Dio Padre, allora possiamo essere veramente rinati nella luce.
La Pasqua è ormai vicina. Dobbiamo affrettarci « con fede viva e generoso impegno ». La fede è viva anzitutto quando ci fa riconoscere Gesù quale Figlio di Dio e inviato dal Padre, così come lo ha riconosciuto il cieco nato. Essa è una grazia, un miracolo che ci apre gli occhi del cuore. E’ il miracolo di Gesù che continua, una guarigione della cecità spirituale, dalle tenebre del peccato, dai « morsi del maligno ».
L’impegno è generoso quando accogliamo l’appello a tornare come figli pentiti al Padre e a rigustare la « la gioia nella cena pasquale dell’Agnello ». Tuttavia una ricchezza di motivi alimenta i nostri pensieri in questo giorno del Signore.
Ultimo aggiornamento (Domenica 22 Marzo 2020 12:14)
Cristo, fontr di acqua viva.
19 – MARZO - III DOMENICA DI QUARESIMA
Cristo, fonte di acqua viva.
In un mondo pervaso dal peccato e dalle divisioni Gesù annunzia la salvezza. Nella incapacità ad essere fedele a Dio e ai valori profondi dell’uomo, la nostra umanità è divisa da appartenenza etniche, religiose e siamo, nella nostra debolezza, invasi dalla sfiducia. Cristo, davanti al peccato dell’uomo, che nella Samaritana ha un prototipo, rivolge verso di lui in suo amore, per renderlo capace di amare Dio e di adorarlo in spirito e verità. Cristo, in questa Quaresima ci chiama a fare un cammino di conversione e non ci abbandona alla solitudine della nostra colpa. Ci offre la sua misericordia, come un giorno alla Samaritana ha offerto l’ acqua che purifica e rigenera, cioè lo Spirito Santo, che sarebbe scaturito dal suo fianco aperto sulla croce.
L’acqua, come simbolo ambivalente, nella Bibbia, se nel diluvio è stata simbolo apportatrice di morte, solitamente è considerata come il simbolo della vita, della Parola di Dio, della Legge, dello Spirito Santo.
Gesù ancora adesso elargisce « all’umanità riarsa l’acqua viva della grazia », così noi diventiamo «tem- pio vivo » dell’amore di Dio. Il cammino della conversione, della ripresa interiore, della riparazione della colpa passa attraverso il digiuno, la preghiera e le opere della carità fraterna. Su questa strada – quando non ci si limita ad essere proclamata nella liturgia, ma diventa esperienza concreta di vita – viene vinto il nostro egoismo e infranta « la durezza della mente e del cuore ».
Nella Colletta di questa eucaristia domenicale preghiamo Dio dicendo: « O Dio, sorgente della vita, tu offri all’umanità riarsa dalla sete l’acqua viva della grazia che scaturisce dalla roccia, Cristo salvatore, concedi al tuo popolo il dono dello Spirito, perché sappia professare con forza la sua fede, e annunzi con gioia le meraviglie del tuo amore ».
Prima Lettura: Es 17,3-7
Gli ebrei, di fronte ai disagi del deserto, presi dalla sfiducia in Mosè, mormorano e contestano Mosè, e di conseguenza Dio stesso. Così più che riconoscere che l’esodo sia stato una grazia lo ritengono un gesto irresponsabile:« Perché ci ha fatti salire dall’Egitto per farci morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame? ». Dio, davanti alle lamentele di Mosè che gridò al Signore dicendo: « Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno », placa la protesta e comanda a Mosè di passare davanti al popolo con alcuni anziani e, con il bastone in mano, come aveva percosso il Nilo, percuotere la roccia sull’Oreb. Così con l’acqua che scaturisce dalla roccia, segno della sua presenza in mezzo al popolo liberato, soddisfa la loro sete..
Anche noi, in certi momenti bui e tristi della vita, ci sentiamo come gli ebrei, quando pare che Dio ci abbia abbandonato e non ci viene incontro nelle necessità. Allora ricordandoci dell’esempio di Gesù nel deserto e della sua fiducia nella Parola di Dio, del suo consenso alla volontà del Padre, possiamo anche noi abbandonarci a Dio e certamente Egli ci verrà incontro.
Seconda Lettura : Rm 5,1-2.5-8.
San Paolo ci ricorda che, essendo per fede giustificati da Dio, siamo in pace con lui per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo e, avendo pure accesso alla sua grazia, siamo saldi nella speranza della gloria di Dio. Mentre, infatti, eravamo ancora deboli Cristo è morto per gli empi e, se « Ora, si trova a stento qualcuno disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona », Dio dimostra il suo amore per gli uomini, perché per mezzo di Gesù, suo Figlio che muore sulla croce per noi peccatori, ci ha riconciliati con sé e giustificati. Di fronte a un amore così grande, che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo non dobbiamo lasciare spazio ad alcun timore. In questo amore incondizionato di Dio per noi, la nostra speranza ha un fondamento incrollabile e non potrà andare incontro a delusione.
Questa è la condizione del cristiano. Spesso, non ce ne rendiamo conto, e allora conduciamo un'esi- stenza inquieta, insoddisfatta e superficiale.
Vangelo : Gv 4,5-42.
Gesù, in cammino verso la Samaria, stanco, sì per il viaggio, ma soprattutto per il lavoro apostolico, si siede al pozzo di Giacobbe, dove attende la donna Samaritana, a cui chiede da bere. Egli, però, non ha sete tanto di acqua, quanto della salvezza della donna, a cui promette di dare lui dell’acqua.
E così, via via che la donna samaritana si libera della sua diffidenza verso il Giudeo Gesù le appare il mistero di Cristo, che non è più lo straniero e il nemico che chiede da bere, ma come colui che è il « pozzo dell’acqua viva », che dona lo Spirito. Essa, allora, assetata, gli chiede: « Signore, dammi di quest’acqua, perché io non abbia più sete »( Gv 4,15). E Gesù, per la donna, a conclusione del colloquio, non è tanto un profeta che dice che Dio va adorato in spirito e verità, ma è il Messia stesso, che le ha rivelato tutta la sua vita passata. E’ per la Samaritana la scoperta, che anche noi siamo chiamati a fare, del Cristo, « sorgente dello Spirito che lava le colpe, soddisfa il cuore; Messia al quale ci associamo per dedicarci al Padre con un amore rinnovato dallo Spirito Santo »..
La donna, dopo aver trovato la vera acqua, si fa missionaria verso i suoi concittadini: lascia l’anfora con cui attingeva l’acqua materiale, per avere quella che Gesù le dà e che le estingue la sete e, andando a chiamare gli altri, desidera che anche questi siano dissetati dalla medesima acqua.
Se inizialmente i samaritani vogliono conoscere Gesù per le parole della donna, a cui Gesù aveva detto il suo passato, quando incontrano Gesù anch’essi restano ammirati, lo invitano a restare con loro, e le dicono: « Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo ».
La ricerca spirituale di Dio porta con sé la scoperta della propria umanità nella sua fragilità, per cui solo così ci si può aprire ad accogliere la salvezza, che estingue la fame e la sete di Dio, come scrive Isaia: « Non li colpirà più né la fame né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua »( Is 49-10)
Nel deserto dell’esistenza, in cui sperimentiamo la fame e la sete di gioia, di pienezza di vita, di valori perenni e di ricerca di Dio, se la testimonianza dei cristiani può stimolare altri ad andare a Lui, solo con l’esperienza diretta di Dio e sostando con Gesù si può estinguere la sete di Lui, si può giungere alla professione di fede e dire come i samaritani: « E’ veramente il salvatore del mondo »
Anche Gesù ha sete, causata dalla sua missione per la salvezza dell'umanità e per cui assume la natura umana: così nel massimo della sua rivelazione, nell’ora della prova, della sofferenza e della croce, dirà ancora una volta: « Ho sete» (Gv 19,28).
Gesù prende su di sé la sete della Samaritana e di tutto l’uomo , la sua lontananza da Dio, il suo peccato e la stessa ricerca di Dio. Egli non è venuto per giudicare o condannare l’uomo, ma indica a tutti che la ricerca di Dio non può che passare attraverso il riconoscimento doloroso della propria fragilità e del proprio peccato.
Dopo l'annunzio della passione, Gesù si trasfigura sul Tabor.
12 MARZO – 2a DOMENICA DI QUARESIMA
Oggi Gesù, nella trasfigurazione sul Tabor, viene presentato dal Padre come il Figlio amato: ed è a lui che dobbiamo aderire e sulla sua parola fondare la nostra esistenza. Tutto l’Antico Testamento, con la sua legge e la sua profezia, ha in lui il suo compimento. Ma andare dietro a Cristo significa assumere « nella nostra vita il mistero della croce », poiché per mezzo di essa ci è stato consegnato, perché i nostri peccati fossero rimessi. Se questo itinerario, che compiamo nella fede e nella speranza, è difficile, intravediamo però nel nostro pellegrinaggio terreno, in Gesù che si trasfigura i riverberi della gloria del Risorto.
Nella preghiera della Colletta di questa seconda Domenica diciamo: « O Dio, che chiamasti alla fede i nostri padri e hai dato a noi la grazia di camminare alla luce del Vangelo, aprici all’ascolto del tuo Figlio, perché accettando nella nostra vita il mistero della croce, possiamo entrare nella gloria del tuo regno ».
Prima Lettura: Gn 12,1-4
Dio, irrompendo nella vita di Abramo, gli dice:« Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò ». Così gli dischiude orizzonti umanamente nuovi e gli promette che da lui farà uscire una grande nazione, lo benedirà e renderà grande il suo nome. Abramo, affidandosi a Lui, abbandona le proprie sicurezze, il paese, la casa: è un passato che deve tramontare e deve incominciare una nuova vita in una nuova terra, con la promessa di un discendente, da cui uscirà un popolo che porta in sé la benedizione di Dio: « In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra ». Da lui sarebbe sorto Gesù Cristo, che è l’apice della sua discendenza, ihl senso e il fine del beni promessi ad Abramo.
Abramo, quindi, lasciandosi guidare dalla parola di Dio, obbedisce e parte, con coraggio e fiducia in Lui, che lo chiama per realizzare un futuro che lo attende. Dio chiede al Abramo, come ad ognuno di noi, un cammino di conversione al suo progetto: ecco il frutto della fede, che diviene operosa e che trasforma la vita. Scommettendo e investendo la propria vita su questa chiamata, il Signore chiede di mettere in crisi le nostre certezze, sorretti però dalla fede in Dio che, come afferma Paolo, « ci ha salvati secondo il suo progetto e la sua grazia », donandoci grazia e misericordia in Cristo suo Figlio e inserendoci nella sua volontà salvifica.
Seconda Lettura: 2 Tm 1,8-10.
Non si può essere veri apostoli, veri discepoli di Cristo, se non si soffre per il Vangelo, come ha fatto Paolo che, invitando Timoteo a superare ogni avvilimento e ad accettare questa sofferenza, invita anche noi a fare altrettanto. Del resto, ci aiuta la forza di Dio, « la sua grazia dataci in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma che è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù », il quale ha vinto la morte facendo risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo. Ricevere la grazia vuol dire entrare in comunione con questa vita che risiede in Cristo. Ma a questa forza forse ci affidiamo troppo poco; eppure essa è tale che nessun ostacolo la può piegare.
Vangelo: Mt 17,1-9.
Nel racconto della Trasfigurazione sul Tabor di Matteo , Mosè ed Elia, la legge e i profeti convengono presso Gesù, poiché ne sono stati la preparazione e l’attesa. Come Mosè, convocato da Dio per ricevere la Legge è salito sul monte Sinai, dove « la gloria del Signore venne a dimorare e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno…», così è ora: « Sei giorni dopo …», la professione di fede di Pietro, che lo riconosce come « il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Dopo l’annunzio della sua Passione, che scandalizzò gli apostoli (Mt 16 21) e le parole dette da Gesù che « il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo » Mt 16 27, sul Tabor, in Gesù trasfigurato, si rivela la gloria di Dio in tutto il suo splendore. Qui i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, saliti con Gesù, sono spettatori e testimoni della rivelazione della divinità di Gesù, finora celata dalla sua umanità. E se, da una parte, Gesù corregge le attese messianiche degli apostoli con l’annunzio della Passione, dall’altra preannunzia gli eventi pasquali con la trasfigurazione.
Anche la voce che proclama « Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo » (Mt 17,5), come era avvenuto nel Battesimo al Giordano, aiuta a comprendere la figura di Gesù come Figlio e Messia del Salmo 2, l’ amato come Isacco, in cui si compiace, come del Servo Sofferente di Isaia.
Mosè ed Elia, rappresentanti dell’Antico Testamento, indicano che in esso tutto è preannuncio della figura e dell’opera di Gesù: la Legge, la Profezia, il sacrificio di Isacco, la sofferenza del Servo di Dio e, quindi, la fede in lui deve affrontare lo scandalo della passione.
Gli apostoli, davanti all’evento della trasfigurazione, rimangono estasiati e non vorrebbero allontanarsene, ma la voce dice loro che più che guardarlo trasfigurato deve essere da loro ascoltato.
Poi Gesù, il Figlio di Dio, l’amato, colui nel quale abita e risuona la parola del Padre, resta solo e, insieme agli apostoli, scende dal monte per riportarli alla vita normale, quotidiana, luogo in cui bisogna ancora ascoltarlo e seguirlo, nell’obbedienza al Padre e nella sua sequela, affrontando i giorni della passione, condizione per giungere alla gloria.
I brevi momenti della trasfigurazione fanno comprendere un po’ il mistero di Gesù, abitualmente nascosto nella sua vita mortale e che la passione verrà ad oscurare ancora di più. Ma colui che vuole seguirlo non può vacillare davanti alla croce: il servizio umile della sua morte con cui Gesù porterà a compimento il disegno di Dio, che lo ha mandato perché il mondo sia salvato. Questo tempo di Quaresima è, particolarmente, il « momento opportuno per lasciare che la Parola ci smuova, ci sfidi a scommettere la nostra vita in Dio e ci provochi ad avere fiducia nel futuro di salvezza , iniziato con la morte e la risurrezione di Cristo e che avrà il pieno compimento, anche per il credente, nella stessa gloria di Dio, preannunziata con la trasfigurazione di Gesù sul Tabor.
Gesù, tentato nel deserto da Satana, ci è di modello per vincere come lui le tentazioni del maligno.
5 MARZO – 1a DOMENICA DI QUARESIMA.
La Quaresima è un segno sacramentale della nostra conversione. I giorni e i riti che in essi celebriamo devono esprimere il nostro impegno a rivedere la vita e a confrontarla con le esigenze del Vangelo.
La Quaresima è un « tempo favorevole per la nostra salvezza », Benché tutti i tempi sono portatori di grazia e siamo invitati ad attingere la redenzione della vita, in Quaresima le esortazioni diventano più pressanti e appassionate: la meditazione sui nostri comportamenti poco conformi alla Parola di Dio si fa più prolungata; la meditazione sulla passione e morte in croce di Cristo pone la Chiesa tutta davanti al suo Signore perché ne segua le orme, essere in ascolto attento della Parola di Dio conduce il credente ad accostarsi al mistero pasquale con più consapevolezza. Tutti questi giorni sono tutti un cammino verso la Pasqua di risurrezione, i cui misteri sono al centro dell’anno liturgico e al culmine della storia della salvezza.
Nella Colleta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che conosci la fragilità della natura umana ferita dal peccato, concedi al tuo popolo di intraprendere con la forza della tua parola il cammino quaresimale, per vincere le seduzioni del maligno e giungere alla Pasqua nella gioia dello Spirito ».
Prima Lettura: Gn 2,7-9. 3,1-7.
Questo testo, che non è una narrazione storica, ma vi troviamo il perché del peccato che, fin dalle origini, induce l’uomo ad ogni forma di male, è il modello delle tentazioni che l’uomo sperimenta continuamente. E’ obbligo morale dell’uomo superare questo limite che non bisogna accettare passivamente e pigramente: tutti siamo chiamati in quanto creature a ricercare il bene nostro e di tutto l’uomo, a perfezionarci e assolvere al compito di maturazione umana. Ma ci ritroviamo con un limite insuperabile che è costitutivo della creatura: quello di accettarsi nello stato di creatura e riconoscersi nella giusta relazione con Dio. Il desiderio di oltrepassare questo limite spinge l’uomo nel tentativo di equipararsi a Dio, di volersi sostituire a Lui. Le parole del serpente, il più astuto di tutte le bestie create: « E’ vero che Dio ha detto:” Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» sollecitano la donna che risponde al serpente dicendo: « Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “ Non dovete mangiarne e non lo dovere toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente allora insiste nella tentazione, con parole più suadenti e più subdole, inculcando in Eva il sospetto che Dio abbia proibito di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male non perché sarebbero morti, ma perché: « Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male ». Così a motivo del demonio e del consenso dell’uomo a tale suggestione, l’uomo stesso diviene peccatore. Il peccato è un atto di diffidenza nei confronti di Dio, di autocompiacenza, di volontà di essere come Dio, misconoscendo la propria condizione di creatura. Invece di fare della creazione motivo di gioioso rendimento di grazie, l’uomo se ne accaparra, come se ne fosse l’autore. Dio viene presentato come nemico della sua creatura. Così con la disobbedienza la relazione armonica e fiduciosa tra Dio e l’uomo viene sostituita da un atteggiamento di rivalsa contro Dio, che lo avrebbe ingannato malevolmente.
Il frutto diventa, così, appetibile sotto tutti gli aspetti e il mangiarlo avrebbe fatto superare il limite creaturale: cadere nella tentazione di mangiarlo non apporta certo in Adamo ed Eva la sazietà del loro desiderio. Così l’uomo si rivolge anche verso le altre creature di Dio non con il giusto rapporto di amministratore della creazione ma come padrone e possessore!
Il risultato è che l’uomo viene sì a conoscere, ma che cosa? La propria nudità, simbolo della propria miseria, che infonde rossore, timore e vergogna. Ogni nostro peccato conferma e continua il primo peccato.
Ma ormai il pensiero del peccato dev’essere intimamente congiunto con quello della misericordia, cioè con quello della croce di Gesù, dove egli muore, per riportare l’uomo alla vita di figlio di Dio per il dono della grazia. Così Cristo, recuperando l’identità dell’uomo che ha disobbedito al creatore, con la sua obbedienza, da creatura lo rende figlio del Padre celeste e restaura un nuovo rapporto tra Dio e l’umanità.
Seconda Lettura: Rm 5,12-19.
Il cammino dell’uomo nelle vie del peccato inizia da Adamo, e porta nel mondo la morte. Tutti gli uomini, per propagazione, nascono con l’impronta di quella colpa originale e della sua conseguenza: la morte, che avrebbero evitato se non ci fosse stata la disobbedienza. Ma questo non è il destino vero e ultimo dell’uomo. Al peccato di disobbedienza di uno, cioè di Adamo, sopravviene, ben più potente ed efficace, l’obbedienza di Cristo, che compiendo la volontà del Padre celeste e sacrificandosi per noi ci ha meritato il perdono e la misericordia di Dio. Così « la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti ». Se per la ribellione del primo uomo è venuto il giudizio sul male e il peccato, e di conseguenza la condanna, invece per l’obbedienza del secondo, di Cristo Gesù, ci è venuto « il dono di grazia da molte cadute, ed è per la giustificazione », che ci permette di riaccostarci a Dio e ritornare, accogliendo il suo perdono, alla comunione con lui. «Se per la caduta di uno solo la morte ha regnato su tutti, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo » Nella vita dell’uomo deve sopravvenire, dopo la conseguenza del primo peccato e dei peccati personali che, purtroppo, intessono e disfanno la nostra vita, l’abbondanza della grazia e del perdono di Dio. In questi giorni dobbiamo quindi ricomprendere il significato della croce, sulla quale Gesù ci ha riscattato dal peccato e, riversando sull’umanità la giustificazione del Padre, ci ha ridato la vita di Dio..
Vangelo : Mt 4, 1-11.
Al contrario del primo Adamo, Gesù « Condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo » non si lascia suggestionare da Satana. Dopo il lungo digiuno di quaranta giorni, Gesù, sperimentando nella tentazione del diavolo il limite delle creature: aver fame, mettere alla prova Dio correndo un rischio e adorare colui che promette potere e onori, forte della Parola di Dio e della preghiera, non si lascia vincere dal tentatore e ci insegna così che anche noi possiamo vincere le stesse tentazioni. Non cede come ha fatto Adamo e come ha fatto Israele lungo il suo peregrinare nel deserto.
Entrambi, Gesù e Satana si basano sulla Scrittura, il secondo per tentarlo alla disobbedienza e l’altro per respingerlo, interpretandola come criterio della sua relazione filiale.
Queste tentazioni di Gesù nel deserto sono, come tutta intera la sua esistenza, una continua messa alla prova fin sulla croce, su cui la sua obbedienza al Padre è confermata ed è sconfessata la disobbedienza dei progenitori. Così Gesù manifesta la sua conformità alla volontà salvifica del Padre riconciliando l’umanità disobbediente con la sua obbedienza sulla croce, dove appare spoglio di gloria e di potere: ma è quella la via misteriosa della salvezza del mondo.
In questa Quaresima da Cristo riceviamo la forza di vincere le tentazioni, piccolo e grandi che siano , poiché tutte si risolvono in quelle tre che Gesù ha decisamente superato per sé e per noi, dandocene un esempio.
Confidare nella paternità e provvidenza di Dio.
26 FEBBRAIO – VIII Domenica del Tempo Ordinario.
Dio che ci conosce nell’intimo non ci abbandona mai.
Dio è sempre presente alla nostra vita e ci conosce nei desideri del nostro cuore. Ci accompagna in tutte le vicende della vita: il Signore è il sostegno sia nei momenti belli che oscuri. « E’ lui la nostra salvezza perché ci vuol bene » ci fa cantare l’antifona d’ ingresso della Liturgia di oggi. Bisogna avere fiducia nel suo amore, rimetterci al suo giudizio di misericordia e pensare che, per quanto ci allontaniamo da lui, il suo amore di Padre ci raggiunge sempre.
Capire allora l’Eucaristia significa che l’amore di Dio per noi, la sua provvidenza e la sua misericordia sono doni immensi. Infatti nell’Eucaristia riceviamo il Corpo e Sangue del suo Figlio e con essa iniziamo quel rapporto di comunione con lui mentre attendiamo e speriamo di pervenire alla « perfetta comunione nella vita eterna », riceviamo il pegno della gloria futura. Con questo segno della nuova ed eterna Alleanza la Chiesa può dedicarsi al servizio di Dio con serena fiducia..
Nella Colletta iniziale preghiamo diciamo: « Padre santo, che vedi e provvedi a tutte le creature, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché in mezzo alle fatiche e alle preoccupazioni di ogni giorno non ci lasciamo dominare dall’avidità e dall’egoismo, ma operiamo con piena fiducia per la libertà e la giustizia del tuo regno ».
Prima Lettura: Is 49, 14-15.
Il profeta Isaia ci ricorda che se anche nel mondo ci potesse essere persino una madre snaturata che si dimentichi del suo bambino, Dio, invece, non si dimentica dell’uomo, che è la sua creatura prediletta. Anche se a volte ci viene sulle labbra l’amara e insensata considerazione che Dio si è dimenticato di noi, e crediamo che ci metta alla prova con le tribolazioni: tutto questo è semplicemente assurdo, perché dice il Signore « Io non ti dimenticherò mai ».
Questa è una certezza che deve riempirci di gioia. Se anche il nostro prossimo non di rado ci trascura, dopo tante promesse, Dio non ci trascura mai. Nella incrollabile convinzione che Dio non si dimentica di noi, che ci è vicino, anche se non lo avvertiamo interiormente, e che ci ama immensamente come Dio sa amare, sta il segreto della pace interiore e di tutta la vita spirituale.
Seconda Lettura : 1 Cor 4,1-5.
San Paolo ricorda ai Corinzi che sia lui che gli altri apostoli devono considerarli « come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio » i quali, come si richiede ad amministratori risultare fedeli. Egli ritiene che poco gli importa di venire giudicato da un tribunale terreno, poiché non giudica neppure se stesso dicendo che « anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato ». Poiché è il Signore a giudicare li esorta a « non giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà ». Solo lui potrà svelare i segreti delle tenebre e manifestare le intenzioni dei cuori.
I vescovi, i sacerdoti, quelli che esercitano un ministero nella Chiesa, sono dei « Servi di Cristo », appunto dei « ministri », « dispensatori dei misteri di Dio ». In questo compito, però, occorre essere fedeli, nel trasmettere quanto hanno ricevuto.
I credenti più che fermarsi a loro devono, tramite il loro servizio, unirsi al Signore Gesù, che unicamente conta. Talora ci si ferma al ministro e si dimentica lui, che non ha difetti e a cui solo spetta giudicare: degli altri, per quanto si sforzino di progredire nella perfezione, non c’è da stupirsi che possano incorrere in colpe.
Poiché Paolo dice che il giudizio è dato solo da Gesù Cristo, che rende manifeste le intenzioni segrete dei cuori, noi dobbiamo tenere a mente, proclivi come siamo a giudicare, che non dobbiamo essere in ansia per i giudizi umani che toccano gli altri o noi. Non ce ne dobbiamo inquietare più di tanto.
Vangelo : Mt 6, 24-34.
Gesù rivolgendosi ai discepoli li pone davanti ad una scelta: o servire Dio o la ricchezza che, paragonata ad un padrone, può asservire a tal punto da contrastare l’amore per Dio. Il denaro è facile che lega il cuore, abbindola la nostra mente ed ogni energia della nostra vita se rappresenta l’unica preoccupazione della vita. Cristo ci mette in guardia di fronte all’affanno opprimente per il domani, per cui la preoccupazione per avere da mangiare e da vestirsi sia l’unica cosa che conta, da farci ritenere che Dio sia indifferente alle necessità dell’uomo..
Avere fiducia nella provvidenza di Dio non significa pigrizia. Gesù esorta a guardare gli uccelli del cielo che, pur non seminando, il Padre celeste nutre, perché l’uomo vale molto più di loro; a vedere i gigli dei campi che, pur non faticando né filando o tessendo, vestono con colori splendenti che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, aveva. Se Dio, continua Gesù, « veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede ? ». Dice ancora di non preoccuparsi del mangiare, del bere o del cosa indossare, come fanno i pagani, perché « il Padre celeste, infatti, sa che ne avete bisogno » Conclude dicendo che bisogna « cercare innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta », perché ad ogni giorno basta la sua pena. Dimenticare l’amore di Dio e del prossimo per accumulare ricchezze, può farci ritrovare alla fine con le mani vuote di opere buone e anche con la privazione di quei beni per i quali ci siamo affannati e che dovremo, se pur a malincuore, lasciare.
Il Vangelo di oggi ci spinge a ricercare la pacificazione interiore in noi stessi con le realtà terrene, necessarie alla esistenza nostra e a quella degli uomini, ad avere sollecitudine e responsabilità per il mondo.
(Prima di tutto il Regno di Dio.
Gesù ci invita a cercare il Regno di Dio, i suoi valori e nello stesso tempo avere fiducia nella sua Provvidenza, che, come agli uccelli fornisce il cibo e ai fiori dei campi la bellezza, non fa mancare agli uomini il necessario alla loro vita. Cercare il Regno di Dio e la sua giustizia non esclude l’impegno nel lavoro quotidiano per procurarsi il cibo, il vestito, la casa, purché queste cose o le ricchezze non diventino l’unico assillo dei nostri giorni, tanto da asservirsi ad esse e dimenticare il nostro rapporto con il Padre celeste. Dice infatti il Signore: “ Nessuno può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro …Non potete servire a Dio e la ricchezza ”.
Le sollecitazioni della vita ci spingono verso una esistenza frantumata nelle sue energie, interessi e nel nostro agire: con molta difficoltà la nostra ricerca spirituale trova un centro di unificazione tra aspetti terreni e materiali e interessi spirituali.
Gesù dicendoci ancora: « Non preoccupatevi … la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito ? » (Mt 6,25) non legittima il disimpegno, ma ci rassicura che, se ricerchiamo anche e soprattutto il Regno di Dio, il Padre celeste, che ci ha fatto dono della vita e del corpo, sarà sollecito nel donare, nella sua provvidenza, energie e impegno per procurarci il necessario.
In tale atteggiamento paterno di Dio verso di noi dobbiamo porre il centro della nostra esistenza, per cui in relazione a lui, al suo Regno, tutto assume un significato e un valore nuovo, vissuto nella prospettiva di un amore filiale verso il Padre. Tutto ciò che di bello e di buono c’è nel mondo ( cose, attività, relazioni, ecc… sarà allora illuminato da una nuova luce e da nulla saremo manipolati e posseduti. Confidando, ancorati, nella paternità di Dio nulla ci creerà ansia, affanno, ma tutto, nel nostro intimo, sarà pervaso dalla sua presenza rassicurante, perché la sua Provvidenza non abbandona la sua creatura mantenendola nella sua esistenza.
Pur tuttavia noi, nella nostra concretezza storica, rimaniamo responsabili della nostra vita, perché Dio donandoci la libertà ha voluto responsabilizzarci e ci ha fornito nell’intimo i valori del Regno (giustizia, uguaglianza, equità, fraternità, carità, ecc.) che motivano le nostre azioni di uomini, di fratelli e di figli di Dio ).