





Signore Gesù, insegnaci a pregare.
29 LUGLIO – XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Partecipare al sacrificio dell’Eucaristia vuol dire celebrare il memoriale della passione, morte e resurrezione del Signore che, in virtù dello Spirito Santo, attualizza nella vita del credente il suo mistero di salvezza. Lo Spirito, che trasforma il pane e il vino nella presenza reale di Cristo, ci dà la possibilità di « condividere il pane disceso dal cielo » alla mensa del Signore. L’accento, ancora una volta in questa Eucaristia, è posto sulla Pasqua domenicale e, nella preghiera iniziale, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « Rivelaci, o Padre, il mistero della preghiera filiale di Cristo, nostro fratello e donaci il tuo Spirito, perché invocandoti con fiducia e perseveranza, come egli ci ha insegnato, cresciamo nell’esperienza del tuo amore ». Tutto ciò che è necessario alla vita quotidiana, davanti a questi doni, deve essere ricercato e usato saggiamente, senza che intralci la continua ricerca dei beni celesti. E qualora dovesse intralciare questa ricerca bisogna essere capaci di rinunziare a ciò che ci ostacola nel cammino verso il Regno.
Prima Lettura: Gn 18,20-32.
Mentre i tre uomini, ospitati da Abramo, partono dalla sua tenda verso Sodoma, il cui grido è grande e il peccato dei suoi abitanti molto grave, egli rimane alla presenza del Signore. Avvicinandosi al Signore dice: « Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, cosi che il giusto sia trattato come l’empio: forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?».
Poiché il Signore, rispondendo ad Abramo, dice che se vi sono cinquanta giusti non distruggerà la città, egli, ardisce più volte rivolgersi al Signore e invocare la misericordia di Dio sulla città, anche vi fossero solo quarantacinque giusti, e poi quaranta, trenta e venti. Infine: e se anche ve ne fossero solo dieci, il Signore gli risponde: « Non la distruggerò per riguardo a quei dieci ».
Dio, nella sua pazienza, comprensione e disponibilità al perdono, è disposto ad assecondare le richieste di Abramo, anche se la sua è una invadente, ardimentosa preghiera, ma fatta con sentimento di umile coraggio. Ma poiché nelle due città non vi si trova neppure un giusto, per il quale Dio sarebbe disposto a perdonare, esse vengono distrutte. Bisogna, con fede e perse- veranza, osare nella preghiera ed affidarci alla longanimità di Dio ed egli per un « solo giusto, Cristo suo Figlio » è disposto a perdonare tutti i peccati di tutta l’umanità.
Seconda Lettura: Col 8, 12-14.
Paolo ai Colossesi ricorda che nel battesimo si « è sepolti», non corporalmente ma misticamente con Cristo, e « risorti mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti ». E poiché, a causa delle colpe e della non circoncisione della carne, gli uomini erano morti, Dio ci ha dato la vita nel suo Figlio, che ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce, «perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi, che con le prescrizioni, ci era contrario ». Così il Padre celeste, nel sacrificio del suo Figlio, ha dato all’umanità peccatrice di essere riconciliata con lui, annullando il nostro debito di peccato. Questo rinnovamento si realizza in noi quando, con il battesimo, morendo al peccato e risorgendo alla vita di Dio, con un breve rito ma con tanta grazia ed efficacia, siamo immersi nel mistero di morte e risurrezione del Signore, avvenimento di universale salvezza. Ripensare e riscoprire, allora, spesso il battesimo, che ci ha resi figli di Dio, significa accogliere continuamente questo mirabile dono, ren- dendolo fruttuoso per ora e per l’eternità.
Vangelo: Lc 11,1-13.
Gesù, ai discepoli che gli chiedono di insegnare loro a pregare, come Giovanni aveva fatto con i suoi discepoli, dice loro: « Quando pregate, dite : “ Padre sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci il pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione” ». Attraverso, poi, la parabola dell’amico, che va ad importunare, a mezzanotte, l’amico vicino chiedendogli tre pani, per dare da mangiare ad un improvvisato ospite a cui non ha nulla da offrirgli, e quegli, anche se a malavoglia, si alza per dargliene, non perché è suo amico ma per la sua invadenza, Gesù esorta gli ascoltatori dicendo: « Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chie- de riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto ». E come nessun padre, dice ancora Gesù, al figlio che gli chiede un pesce darà una serpe al posto del pesce, o se gli chiede un uovo gli darà scorpione, e se loro, cattivi come sono, sanno dare cose buone ai figli, « quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono! ».
Gesù, come maestro e modello di figliolanza, ci insegna cosa e come chiedere al Padre celeste: la sua glorificazione, l’avvento del suo regno e l’adempimento da parte degli uomini della sua santa volontà; il pane quotidiano, il perdono dei nostri peccati e imitarlo nel perdonare agli altri e, infine, che non ci abbandoni nei momenti della tentazione al potere di Satana.
Chiedere anche con perseveranza e quasi inopportunamente, affidandoci al cuore di Dio, che è il più tenero e il più accondiscendente dei padri. Abbandonarsi a Dio nella preghiera è questione decisiva per capire la paternità di Dio, che vuole solo il nostro bene e di tutti i suoi figli e che partecipino della salvezza operata dal suo Figlio.
I doni di Dio sono per chi sa ascoltare.
21 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo nella sua parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro e della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio, espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia preghiamo e diciamo: « Padre santo e misericordioso, donaci un cuore umile e mite, per ascoltare la parola del tuo Figlio che ancora risuona nella Chiesa, radunata nel suo nome, e per accoglierlo e servirlo come ospite nella persona dei nostri fratelli ».
Prima Lettura: Gn 18,1-10.
Abramo, mentre sta davanti alla sua tenda alle Querce di Mamre, vede tre uomini davanti a lui. Corre loro incontro e, prostrandosi ai loro piedi, dice: « Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare senza fermarti dal tuo servo ». Li invita quindi ad accettare i gesti dell’ospitalità: a lavarsi i piedi e accomodarsi sotto l’albero, a mangiare un boccone di pane e a ristorarsi e poi avrebbero proseguito il loro cammino. Avendo quelli risposto: « Fa’ pure come hai detto », Abramo va alla tenda e dice a Sara: « Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce ». Corre lui stesso all’armento e prende un vitello tenero e buono che dà al servo, che si affretta a prepararlo.
Prendendo ancora panna e latte fresco insieme con il vitello, li porge ai tre. Mentre essi mangiano egli rimane ritto in piedi davanti a loro. Poi chiedono ad Abramo dove è Sara, sua moglie. Avendo risposto che era nella tenda uno dei tre dice ad Abramo: « Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio ».
Abramo accoglie premurosamente gli ospiti di passaggio, perché in essi si rivela e si presenta il Signore. La sua generosità è premiata dalla promessa che il Signore gli fa di dargli un figlio , pur essendo sua moglie in tarda età. Poiché Sara, da dentro la tenda sente la promessa e, incredula, sorride, quel bambino promesso sarà chiamato “Isacco”, cioè il figlio del sorriso, poiché nulla è impossibile a Dio.
Seconda Lettura: Col 1,24-28.
San Paolo scrive ai Colossesi dicendo che egli è lieto delle sofferenze che sopporta per loro, dando, così, compimento nella sua carne a ciò che man- ca ai patimenti di Cristo a favore della Chiesa. Di essa è diventato ministro per la missione che Dio gli ha affidato: portare a compimento la parola di Dio, cioè » il mistero nascosto da secoli ma ora anifestato ai suoi santi «, ai quali « Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero, Cristo, speranza della gloria » . Così egli e gli altri santi apostoli lo annunziano, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
Paolo, dicendosi lieto delle sofferenze della vita apostolica che sopporta, vuol dirci che esse sono la continuazione della passione di Cristo, con cui il Signore ha salvato il mondo. Questo è il Vangelo che egli predica e per il quale sopporta anche le catene. Così egli, ministro del Vangelo secondo la missio- ne ricevuta, come ogni cristiano, che in quanto membro del Corpo mistico di Cristo soffre nel suo corpo per lui, contribuisce alla redenzione del mondo: per il cristiano la sofferenza sopportata in comunione con il Signore è partecipazione redentiva del mondo. Nella Chiesa, dunque, più che ricercare il dominio e predicare noi stessi, è da incarnare un servizio per predicare il Vangelo, ad esempio di Cristo, che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la vita in riscatto di tutti.
Vangelo: Lc 10,38-42
Il Vangelo, oggi, ci presenta una scena di accoglienza familiare che le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, fanno al Signore nella loro casa: Maria sta seduta ai piedi di Gesù e lo ascolta, Marta, invece, distolta dai molti servizi, si dà da fare per preparare le cose necessarie per una degna ospitalità. Quando que-sta dice a Gesù: « Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? », egli risponde: « Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una sola cosa c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta ».
Nella vita del discepolo l’accoglienza del Signore si realizza in maniera diversa a seconda delle scelte di vita che ognuno è chiamato a fare: nella vita contemplativa, certo, l’ascolto e l’ attenzione al Signore, non è perdita di tem- po, è anche servizio fatto a lui, perché, come per Santa Teresina del Bambino Gesù, le preghiere e l’offerta delle sofferenze sono unite, per amore, alla passione di Cristo e a beneficio di tutta la Chiesa. Ma anche il servire Cristo nei fratelli, in qualunque circostanza essi si trovano, per amore di lui, presente in loro, è servirlo, vincendo la nostra naturale ed egoistica pigrizia e non dimenticando però che l’ascolto, il colloquio e la comunione con il Signore sono fonte di gioia e forza per vivere la nostra fedeltà a lui nel servizio del prossimo. L’una o l’altra scelta di vita a cui si è chiamati, allora, deve saper contemperare i due aspetti di relazione con il Signore, tenendo presente il noto adagio: Fare sì una cosa, ma senza omettere l’altra.
La testimonianza concreta del Vangelo da parte dei discepoli di Gesù.
14 LUGLIO – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
La testimonianza concreta del Vangelo da parte dei discepoli di Gesù.
L’essere cristiani più che una etichetta ci impegna a vivere secondo lo stile di vita del Vangelo, seguendo Cristo che ci indica la via per condurre una vita secondo la sua mentalità e il suo esempio.. Si deve allora respingere ciò che è contrario a questo nome e seguire ciò che gli è conforme. Nella Orazione di questa domenica preghiamo Dio dicendo: « Padre misericordioso, che nel comandamento dell’amore hai posto il compendio e l’anima di tutta la legge, donaci un cuore attento e generoso verso le sofferenze e le miserie dei fratelli per essere simili a Cristo, buon samaritano del mondo ». Questa esigenza della testimonianza, con la forza dello Spirito, non si rende concreta solo parlandone o insistendovi nella Liturgia, ma vivendo concretamente questo stile di vita. Ma la consistenza delle opere non sempre è adeguata alla insistenza con cui ne parliamo.
Prima Lettura: Dt 30,10-14. Mosè parlando al popolo lo esorta ad obbedire alla voce del Signore, osservare i suoi comandi e decreti e a convertirsi al Signore, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Dice ancora che il comando del Signore non è « Troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica”: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?” Non è al di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?” ». La Parola di Dio, dice Mosè, è dentro il cuore dell’uomo, nella sua profonda coscienza e bisogna praticarla. Accondiscendere ad essa, specie alla Parola, che per l’evangelista Giovanni è il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare tra noi, nella fede significa seguirla perché ci induce alla conversione continua, a ritornare al Signore con « tutto il cuore e con tutta la mente ». Gesù infatti inizierà la sua missione invitando gli uomini a convertirsi, cosicché gli uomini siano intimamente trasformati.
Seconda Lettura: Col 1,15-20.
L’apostolo Paolo, ai Colossesi, proclama che Gesù Cristo è immagine, sacramento, visibile del Dio invisibile e primogenito di tutte le cose create nei cieli e sulla terra, sia di quelle visibili che di quelle invisibili, perché tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Ancora: tutte le cose sussistono in lui, che è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è il principio e il primogenito di coloro che risorgono dai morti, perché lui ha il primato su tutte le cose. Il Padre ha fatto abitare nel Cristo ogni pienezza, perché per mezzo di lui e in vista di lui ha riconciliati a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, sia le cose della terra sia quelle che stanno nei cieli.
Paolo, come la Chiesa proclama solennemente nella professione di fede domenicale, pone il Signore Gesù come sostegno di tutto l’universo, primogenito di tutta la creazione, perché tutto è creato per mezzo e in vista di lui, che è ragione di tutto, il principio e la fine di tutto, il Primo e l’Ultimo. La Chiesa, comunità di Dio, ha in lui la sua consistenza, perché egli ne è il Capo e perché per il suo sacrificio ha rappacificato tutto con il Padre. La morte del Cristo più che un fallimento è l’espressione della potenza salvifica di Dio, che ha riconciliato nel suo Figlio l’umanità con sé. La sua risurrezione, principio e risurrezione della Chiesa, suo Corpo, è resa presente nel mondo per la presenza dello Spirito, effuso nei nostri cuori, e per opera di essa. Le affermazioni dell’apostolo illuminano molti aspetti della nostra vita quotidiana, che avvolta dalle sue banalità, dalle sue meschinità o piccolezze, non sempre riusciamo a collegare in un corretto rapporto tra Dio, il Cristo e le cose create. L’amore di Dio, di cui noi siamo fatti oggetto, anche se immersi nelle tribolazioni, nei travagli della vita, nelle sofferenze, ci apre, allora, l’orizzonte della gloria della risurrezione, come lo è stato per Cristo, Capo. Il sacrificio di Cristo, celebrato nell’Eucaristia domenicale diventa una anticipazione e una caparra della gloria futura.
Vangelo: Lc 10,25-37.
Gesù ad un dottore della legge, che per metterlo alla prova gli chiede cosa deve fare per ereditare la vita eterna, risponde: « Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi? ». Poiché quegli risponde bene dicendo che è necessario: amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le proprie forze e con tutta la mente, e amare il prossimo come se stessi, Gesù lo esorta a fare come ha detto e avrebbe ereditato la vita eterna. Il Dottore della Legge, volendo giustificarsi, gli chiede: « E’ chi è il mio prossimo?».
Gesù allora, attraverso la parabola del Buon Samaritano, concretamente lo mette nelle condizioni di comprendere che il prossimo è colui a cui si deve prestare aiuto, come nel caso di quell’uomo che, dopo essere stato derubato e lasciato mezzo morto, non viene soccorso né dal sacerdote, che per caso passa da quel luogo, né dal levita, ma da un samaritano che, passandogli accanto ne ha compassione. Così, facendoglisi vicino, ne fascia le ferite versandogli olio e vino, caricandolo sulla sua cavalcatura lo porta in un albergo e il giorno seguente, dando due denari all’albergatore perché si prenda cura di quell’uomo, dice che al suo ritorno avrebbe pagato ciò che avesse speso in più. Quando, a conclusione della parabola, Gesù chiede al dottore della legge chi dei tre sia stato il prossimo per quell’uomo, caduto in mano ai briganti, e quegli risponde: chi ha avuto compassione di lui, Gesù lo esorta, invitandolo, a comportarsi anche lui allo stesso modo del samaritano.
Cristo è il buon samaritano della nostra umanità, che spesso è derubata dei beni spirituali, umani, psicologici, sociali, ambientali dallo spirito del male e da chi arreca danno all’uomo sotto ogni forma. Egli si prende cura dell’uomo, fasciando le ferite di colui che è “reso morto” spiritualmente con ogni forma di peccato, e lo affida alla Chiesa e ad ognuno di coloro che si sentano Chiesa in lui, perché se ne prendano cura, con “operoso amore”, attraverso le opere di carità spirituali e materiali, sapendo che ogni atto d’amore verso il prossimo è un proseguimento dell’amore di Gesù e sicuro che, al suo “ritorno nella gloria”, darà la ricompensa per ciò che avremo speso a favore dei fratelli. Il cristiano, come il buon samaritano, che non ha guardato all’uomo lasciato lungo la strada, se sia giudeo o suo connazionale, deve aver cura dell’uomo e farsi suo prossimo al di la di ogni forma di situazione sociale, etnica, razziale in cui il fratello si trova.
Andate: vi mando come agnelli in mezzo ai lupi.
7 LUGLIO - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Dio parla agli uomini con i profeti e soprattutto con il suo Figlio.
Nella orazione di oggi preghiamo dicendo:« O Dio, che nella vocazione battesimale ci chiami ad essere pienamente disponibili all’annunzio del tuo regno, donaci il coraggio apostolico e la libertà evangelica, perché rendiamo presente in ogni ambiente di vita la tua parola di amore e di pace ».
Chiediamo al Padre di poter riconoscere in Gesù che si umilia, facendosi obbediente al Padre, la sua gloria e nelle nostre infermità possiamo essere sostenuti dalla speranza e della forza della sua risurrezione. Liberati dall’oppressione della colpa, per la potenza della croce di Gesù, dobbiamo conformarci a lui crocifisso nella sua umiliazione, sgombrando il nostro cuore da tutto ciò che non ci rende poveri ed esultanti. Liberi dall’attaccamento a noi stessi portiamo, anche in mezzo alle infermità umane, la testimonianza della gioia pasquale della risurrezione.
Prima Lettura: Is 66,10-14.««««
Il Signore per bocca del profeta invita gli esiliati in Babilonia a rallegrarsi, esultare e sfavillare di gioia per Gerusalemme. Potranno così essere allattati, saziarsi al suo seno delle sue consolazioni, succhiare e deliziarsi della sua gloria, perché il Signore, dice il profeta, farà scorrere verso di essa, come un fiume, la pace e la gloria delle genti. « Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati ». Saranno a Gerusalemme consolati dal Signore, come una madre consola il suo figlio, vedranno il Signore, il loro cuore gioirà e le loro ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi.
Il Signore, per mezzo del profeta, annunzia quindi un’era nuova di pace, di consolazione, perché cesserà l’esilio e vi sarà la liberazione: Dio, che conduce la storia di Israele, non è bloccato da nessuna forza umana, ma la parola del profeta, al di là dell’evento storico dell’esilio, presagisce la venuta del Messia, di Cristo, il liberatore.
Seconda Lettura: Gal 6,14-18.
Paolo scrive ai Gàlati dicendo che per lui non vi altro vanto che nella croce di Cristo, per mezzo della quale il mondo per lui è stato crocifisso e lui per il mondo. Nella morte e risurrezione del Signore gli uomini possono diventare nuove creature, perché non conta più la circoncisione o la non circoncisio-ne. Così, sia per quelli che credono nella morte redentrice del Signore, sia su tutto l’Israele di Dio sia pace e misericordia. Augurando ai Gàlati, infine, che la grazia del Signore Gesù sia con il loro spirito, dice che nessuno, sia dei connazionali sia dei pagani, può dargli fastidio, perché egli porta nel suo corpo le stigmate di Gesù Cristo.
L’essere nuove creature in Cristo crocifisso significa confidare solo sulla grazia che è sgorgata dalla sua morte e non nei propri meriti e virtù. Ad imitazione di Gesù, il cristiano, come diceva Paolo di sé, è un crocifisso: la salvezza dell’uomo, realizzazione della regalità di Dio, passa attraverso la croce, perché da essa viene la pace, la riconciliazione dell’umanità con Dio e l’abbondanza della sua misericordia. Nella vita, imitando Cristo, dobbiamo portare anche noi le « stigmate di Gesù », nella fedeltà al Vangelo e alle opere compiute in conformità alla volontà di Dio.
Vangelo: Lc 10,1-12.17-20.
Gesù, inviando avanti a sé a due a due i discepoli dove stava per recarsi, diceva: « La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe !». Li manda come agnelli in mezzo ai lupi e non devono portare né borsa, né sacca, né sandali e non devono fermarsi a salutare nessuno. Entrando nelle case devono augurare la pace che, se sarà accolta, scenderà in esse perché vi saranno figli della pace.
Se accolti, dovranno restare nelle case mangiando e bevendo di quello che si ha, perché si ha diritto alla ricompensa. Devono, ancora, nelle città dove vengono accolti, guarire i malati e annunziare che è “Vicino a voi il regno di Dio”. Nelle città dove non si sarà accolti, bisogna scuotere la povere che si è attaccata ai loro piedi, dicendo: « Sappiate, però, che il regno di Dio è vicino », perché nel giorno del giudizio, Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città. Di ritorno, i settantadue dicono al Signore: « Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome ». E Gesù:« Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi! Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli ».
Poiché il Regno di Dio, la redenzione è vicina, Gesù invia i discepoli ad annunziare al mondo la pace, la consolazione. Le caratteristiche che accompagnano il discepolo devono essere la povertà, la fiducia, l’austerità, facendo affidamento sulla forza di Cristo che libera dalle malattie e preoccupato solo di annunziare la salvezza. Chi non accogliesse o rifiutasse questo annunzio di salvezza incorrerebbe nella condanna, perché si rifiuterebbe la grazia e il giudizio di Dio incomberebbe su di lui, che sarebbe trattato più duramente degli abitanti di Sodoma, in cui non sono stati compiuti i segni che sono stati compiuti da Cristo e dai suoi discepoli.
La Chiamata del Signore è per ogni uomo; per essere profeti nel mondo.
30 GIUGNO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il Signore, nella liturgia della Domenica, continua a portare a compimento l’opera della redenzione e della liberazione degli uomini dalle tenebre del male e del peccato. Donandoci lo Spirito Santo, con la sua luce della verità, ci libera dal nostro egoismo e con la grazia del Cristo, povero e crocifisso, addolcisce le nostre asprezze con la dolcezza e la forza del suo amore.
Verificare ogni giorno questo cammino di santità è certo un compito a cui siano chiamati, ma dobbiamo ritenerlo un dono di grazia elargito dal Signore, dono che non dobbiamo mettere in dubbio di fronte all’esperienza di ogni giorno, in cui i sentimenti sono diversi da quelli che il Signore ci chiede.
Così non dobbiamo avvilirci né scoraggiarci e, convinti della continuità dell’impegno di santità, camminiamo con serenità e costanza.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Padre celeste dicendo: «O Dio, che ci chiami a celebrare i tuoi santi misteri, sostieni la nostra libertà con la forza e la dolcezza del tuo amore, perché non venga meno la nostra fedeltà a Cristo nel generoso servizio dei fratelli ».
Prima Lettura: 1 Re 19,16.19-21.
Il profeta Elia riceve dal Signore l’ordine di ungere Eliseo, figlio di Sàfat, come profeta al suo posto. Partito, Elia trova Eliseo che con dodici paia di buoi ara i suoi campi e, passandogli vicino, gli getta il suo mantello. Eliseo, allora, lasciando i suoi buoi e correndo dietro a Elia, gli dice: « Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò ». Ed Elia a lui: « Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto di te ». Eliseo prende un paia di buoi, li uccide, fa cuocere la loro carne e la dà al popolo, perché la mangi, poi segue Elia ed si mette al suo servizio.
E’ una vera e propria investitura profetica quella che Eliseo riceve da Elia per ordine di Dio. Questo cambiamento di vita lo fa distaccare dalla sua famiglia e dalla sua vita di prima. Così, entrando al servizio di Elia, si pone al servizio della parola di Dio, che vuol dire obbedire a lui ed essere pronti a compiere qualsiasi genere di sacrificio o rinunzia che Dio chiede.
Seconda Lettura: Gal 5,1.13-18.
Paolo dice ai Galati che, essendo stati liberati da Cristo, non devono farsi ridurre di nuovo in schiavitù. Chiamati alla libertà, questa non deve diventare un pretesto per la carne. Mediante l’amore si entra al servizio gli uni degli altri, perché pienezza della legge infatti è il precetto : «Amerai il prossimo tuo come te stesso ». E qualora dovessero mordersi e divorarsi a vicenda, non devono distruggersi del tutto gli uni gli altri. Li esorta quindi a camminare secondo lo Spirito e a non soddisfare le opere della carne, la quale ha desideri contrari allo Spirito, poiché queste cose si oppongono a vicenda. Se ci si lascia guidare dallo Spirito non si è più sotto la legge.
Il cristiano, per la fede in Gesù morto e risorto, è reso libero da ogni vincolo di legge mosaica e deve seguire solo l’unico precetto dell’amore, che consiste nell’ essere animato dallo Spirito di Cristo. Così la sua condotta non può essere più asservita agli impulsi e ai desideri della carne, dell’uomo vecchio che non è stato ancora redento dalla grazia di Cristo. Lo Spirito del Padre e del Figlio, cioè la carità di Dio, elargito al credente, deve essere l’unica guida del suo agire. Infine, ironicamente, Paolo dice ai Galati, che qualora si abbiano contese, risentimenti, aggressività vicendevole, per le debolezze uma-ne, non può superarsi il limite di un atteggiamento che distrugga il fratello, perché allora si rischierebbe di essere al di là della propria dignità di discepoli del Signore e di creature di Dio e si ricadrebbe sotto la schiavitù della carne. San Giovanni scrive che chi odia il proprio fratello è omicida.
Vangelo: Lc 9,51-62.
Avvicinandosi i giorni in cui sarebbe stato condannato ed elevato in alto, Gesù si avvia verso Gerusalemme e invia dei messaggeri verso un villaggio samaritano per preparargli l’ingresso. Ma viene rifiutato perché egli è in cammino verso Gerusalemme. Giacomo e Giovanni, allora, gli dicono: « Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? ». Ma mentre Gesù, rimproverandoli, si avvia verso un altro villaggio, un tale gli dice: « Ti seguirò dovunque tu vada ». E Gesù gli risponde: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo ». Ad un altro a cui Gesù dice: « Seguimi », e questi gli chiede: « Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre », Gesù replica: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio ». Infine, ad un altro ancora che gli dice: « Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi conceda da quelli di casa mia », Gesù risponde: « Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». Ai due discepoli che invocano il castigo per coloro che lo rifiutano, Gesù replica che non spetta a loro giudicare e condannare, perché invocare il castigo non è secondo il suo spirito, perché tutti siamo oggetto della misericordia e della pazienza di Dio. Ad altri Gesù chiede prontezza e decisività per seguirlo ed essere suoi discepoli, senza lasciarsi condizionare dalla nostalgia dei legami di vario genere. Neanche l’impulso nel seguire il Signore può essere buon consigliere, perché il seguirlo è una via difficile, di disagio, di povertà e di rinunzie: si richiede un forte vincolo d’amore a Cristo e passione per annunziare il Regno di Dio.