Gustate e gustate come è buono il Signore.
31 MARZO – IV DOMENICA DI QUARESIMA – “ LAETARE”
Nell ’appressarsi della Pasqua affrettiamoci, con “ fede viva e generoso impegno ”, a vivere riconoscendo Gesù, quale Figlio di Dio, che è mandato dal Padre perché gli uomini, come il cieco nato che Gesù guarisce dalla cecità, possano vedere il cammino che Egli ci indica per ritrovare la strada di ritorno alla casa del Padre. Gesù è venuto per guarirci dalla cecità spirituale, liberarci dalle tenebre del peccato, dai « morsi del maligno ».
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia chiediamo a Dio, buono e fedele, che mai si stanca di richiamare gli erranti a vera conversione e, nel suo Figlio innalzato sulla croce che ci guarisce dai morsi del maligno, a «donarci la ricchezza della tua grazia, perché rinnovati nello spirito possiamo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore ». Quando allora ritorniamo come figli pentiti al suo abbraccio paterno gustiamo la gioia nella cena pasquale dell’ Agnello, come il figlio prodigo per il quale il padre prepara una festa per averlo riavuto sano e salvo.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, Padre buono e grande nel perdono, accogli nell’abbraccio del tuo amore tutti i figli che tornano a te con animo pentito, ricoprili delle splendide vesti di salvezza, perché possano gustare la tua gioia nella cena pasquale dell’Agnello ».
Prima Lettura: Gs 5,9.10-12.
Giunti a Galgala gli Israeliti celebrarono la Pasqua al quattordici del mese e il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, azzimi e frumento abbrustolito. Dal giorno seguente la manna cessò. Raggiunta la terra promessa, viene celebrata la Pasqua, memoriale della liberazione, che accompagnerà Israele lungo la sua storia. La Pasqua non sarà un semplice ricordo di un avvenimento di tanti anni fa, ma dovrà essere il segno che assicurava la presenza e la grazia del Signore. Quell’antico riscatto di liberazione è, pur sempre, per noi cristiani, inizio e immagine, come la terra di Canaan, della Pasqua di Cristo, che nel suo sangue ha liberato l’umanità dal peccato per introdurla nella Pasqua eterna del cielo: terra promessa definitiva in cui introdurrà l’umanità nella fase finale della storia di salvezza.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,17-21.
San Paolo, ai Corinzi, ricorda che ormai chi è in Cristo è una creatura nuova. Questo rinnovamento viene da Dio che ha riconciliato l’umanità con sé mediante Cristo e ha affidato agli apostoli il ministero della riconciliazione.
Dio così, riconciliando con sé il mondo, non imputa agli uomini le loro colpe e mediante la parola affidata agli apostoli rende questa riconciliazione salvifica nella vita degli uomini. Esorta ancora i Corinzi a lasciarsi riconciliare con Dio: «In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo; lasciatevi riconciliare con Dio », perché Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo ha fatto peccato in nostro favore e per lui noi siamo diventati giustizia di Dio.
Cristo è morto per noi per amore e noi dobbiamo rispondere a questo amo- re donando la nostra per lui. Viviamo in Cristo, morto e risorto e, vivendo da « nuove creature » rigenerate dalla sua grazia, iniziamo un cammino nuovo di vita santa, abbandonando tutte le cose di peccato passate. Siamo riconciliati con Dio, ricevendo il perdono completamente gratuito suo e senza nostro merito, poiché è di Cristo il merito. Il Sacramento della Riconciliazione, in Quaresima, è certamente un’occasione per vivere intensamente la riconciliazione e attingere copiosamente il perdono di Dio, attraverso il ministero della Chiesa.
Vangelo: Lc 15,1-3.11-32.
Il Vangelo di questa Domenica, attraverso una delle pagine più belle, la parabola del figlio prodigo, ci fa riflettere e contemplare l’amore grande, misericordioso di Dio nel confronti del figlio minore, da una parte, che si allontana dalla casa del Padre, dal suo amore e, usando negativamente i suoi doni e i suoi benefici, si riduce in una condizione deplorevole e degradante, e verso il figlio maggiore, dall’altra, che non vuole riconoscere né accogliere il fratello che ritorna a casa e, pur facendogli presente, davanti alle sue lamentele, che di tutto lui poteva disporre di quello che era in casa, si rifiuta di entrare e partecipare alla festa che il padre ha preparato per il figlio ritrovato. E’ certo la parabola narrata da Gesù in riferimento ai peccatori e pubblicani che venivano rifiutati ed emarginati da coloro che si ritenevano giusti, scribi e farisei. Ma in essa, al di là del contesto storico di allora, dobbiamo vedere tutti gli uomini. Nel figlio minore sono prefigurati coloro che, come uomini usando negativa-mente i doni che Dio dà ad ognuno o nel contesto religioso di fede si allontanano dal Signore e riducono la loro dignità, come si era ridotto il Figlio prodigo, costretto per sopravvivere a pascolare i porci: per tutti costoro Dio aspetta che ritornino al suo amore, li accoglie nella sua misericordia e per loro prepara la festa. Nel figlio maggiore coloro che pur non si allontanandosi da Dio, nell’ una o altra situazione di vita, di credenti o meno, non sanno vedere i doni che Dio dona, il bene che nella sua provvidenza elargisce e pensano che Dio non li tratti secondo i loro desideri, e per di più, non riconoscono il suo amore e non accettano di far festa per i fratelli che ritornano all’ amore del Padre, Lontano da Dio l’uomo cerca la sua autonomia, credendo di realizzare meglio la vita. Ma la conclusione di questa esperienza può essere la fame, l’umiliazione, la vergogna, la solitudine. Solo quando l’uomo tocca il fondo del degrado nella sua dignità, ritorna alla memoria della dignità perduta, la coscienza si illumina e può riprende un cammino di ritorno. Ritornando a casa, il figlio della parabola dice al padre: « Padre ho peccato contro il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio ». Dio, come quel padre, attende con amore paterno l’uomo che ritorna a lui e non cessa di aspettare per riabilitarlo e restituirlo nella dignità filiale, rivestendolo « Col vestito più bello … mettendogli l’anello al dito e i sandali ai piedi » e preparandogli una festa, perché « Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ».L’atteggiamento di Dio indispettisce chi si crede giusto, chi non è capace di rallegrarsi con il cuore del Padre celeste, ritenendo di avere diritti per aver servito in casa per tanti anni e non aver disobbedito a Dio. Gesù così, accogliendo i peccatori, suscita stupore nei farisei che mormorano. Ma Gesù ha proclamato che: « Si fa più festa in cielo per un peccatore pentito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione ».
Gesù annunzia a tutti la conversione a Dio.
24 MARZO – III DOMENICA DI QUARESIMA
Dio, nella sua misericordia, non ci abbandona quando ci allontaniamo da lui e con il suo perdono ci riaccoglie nel suo abbraccio paterno. Gesù, attraverso la parabola del fico, piantato nella vigna, che il padrone del campo vorrebbe sradicare perché non produce frutto ma che, accogliendo la richiesta del vignaiolo, permette di zappargli attorno e concimarlo perché porti frutto, altrimenti, l’ avrebbe tagliato, vuol farci comprendere che il Padre celeste, padrone della nostra vita, è disposto a pazientare verso il peccatore, aspettando che ritorni al suo amore e porti frutti di bene. Gesù è il vignaiolo che Dio ha mandato nel mondo perché coltivi questa umanità che si è allontanata da lui e con la sua intercessione chiede di pazientare. Egli, come dice alla Samaritana, ci dona l’acqua del suo Spirito che ci rigenera e ci purifica. Alla nostra umanità riarsa egli dà « l’acqua viva della grazia », per mezzo della quale noi diventiamo « tempio vivo dell’amore di Dio ».
In questo tempo di quaresima il cammino di ritorno a Dio, la nostra ripresa interiore della santità, la vittoria sulle tentazioni e il peccato, passano attraverso la preghiera, la penitenza, il digiuno e le opere di carità fraterna. Tutto questo che la liturgia ci ricorda deve tradursi nell’ esperienza concreta della vita, per cui vincendo il nostro egoismo la « durezza del nostro cuore » viene infranta.
Nella Colletta di questa Domenica preghiamo dicendo:« Padre santo e misericordioso, che mai abbandoni i tuoi figli e riveli ad essi il tuo nome, infrangi la durezza della mente e del cuore, perché sappiamo cogliere con la semplicità dei fanciulli i tuoi insegnamenti, e portiamo frutti di vera e continua conversione ».
Prima Lettura: Es 3,1-8.13-15.
A Mosè, nel deserto, mentre con il gregge del suocero Ietro era vicino al monte di Dio, l’Oreb, apparve l’angelo del Signore in una fiamma di fuoco in mezzo ad un roveto. Vedendo che esso non bruciava, si avvicinò, per osservare il « grande spettacolo: perché il roveto non brucia?».
Ma il Signore Dio, dal roveto, gli gridò:« Mosè, Mosè! ». Rispose: « Eccomi!». Riprese: « Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio si Abramo, di Isacco e di Giacobbe ». Mosè allora si coprì il volto per paura di guardare Dio.
Il Signore riprese a parlare dicendogli che è sceso per liberare il suo popolo dal potere dell’Egitto e portarlo verso una terra « bella e spaziosa, dove scorrono latte e miele », avendo osservato la miseria del suo popolo e udito il suo grido a causa delle sofferenze per la dura schiavitù. Mosè allora chiese a Dio: « Se, andando dal popolo in Egitto e dicendo che il Dio dei loro padri lo ha mandato a loro, essi gli chiederanno: “ Qual è il suo nome?”, cosa egli avrebbe dovuto rispondere?.». Dio allora disse a Mosè di rispondere loro: « Io sono colui che sono!». E aggiunse: « Così dirai agli Israeliti: “ Io Sono mi ha mandato a voi”». Continuando a parlare Dio disse:« Dirai agli Israeliti: “ Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione ». Il Dio che appare a Mosè non è un idolo, ma il Signore della storia, il Dio che ha promesso ai Padri e a cui si accede con rispetto e con non facile confidenza. E’ un Dio vicino all’uomo e che ode la miseria del suo popolo che grida, tanto da scendere e decidere di liberarlo dalla dura schiavitù, perché egli è l’« Io sono colui che sono! », che nessun uomo può comprendere né dominare. Egli è il redentore, la guida, la sua sicurezza. Anche Gesù, dirà agli giudei nel Getsemani “ Io Sono”, ed essi stramazzeranno a terra, ci riferisce l’evangelista Giovanni.
Seconda Lettura: 1 Cor 10,1-6.10-12.
San Paolo ai Corinti scrive che tutto quello che vissero i padri nel deserto, cioè, essere sotto la nube che li accompagnava, aver attraversato il mare, essere battezzati in Mosè, aver mangiato lo stesso cibo spirituale, bevuto la stessa bevanda spirituale: tutto scaturiva da una roccia spirituale che è il Cristo. Ma poiché la maggior parte di loro non è stata gradita a Dio e venne sterminata avendo desiderato cose cattive, così dice Paolo, essi sono un esempio per noi tutti, affinché non desideriamo anche noi cose cattive, e non mormoriamo come essi mormorarono, cadendo vittime dello sterminatore. Tutte queste cose sono accadute loro come esempio e sono state scritte per nostro ammonimento, affinché restiamo saldi nel Signore e ci guardiamo dal cadere vittime del tentatore. Come a motivo della diffidenza e della mormorazione che i padri vissero nel deserto, non avendo riconosciuto ciò che Dio aveva compiuto in loro favore, fu causa del loro non essere graditi a Lui, così
la comunità di Corinto, per la ribellione e la mormorazione, la confidenza e la pretesa dei propri meriti è esposta alla infedeltà al dono del Vangelo e della grazia di Cristo, per cui senza una sincera conversione, come esorta Gesù nel Vangelo di oggi, nessun atto sacro e sacramentale può produrre in noi la salvezza che egli è venuto ad operare.
Vangelo: Lc 13,1-9.
Nel Vangelo, in riferimento al fatto che alcuni Galilei furono da Pilato uccisi durante un rito sacrificale, perché si erano macchiati di qualche crimine per cui il governatore comminò la morte, Gesù dice a coloro che lo stanno ascoltando che se non ci si converte al messaggio che egli annunzia, si perirebbe allo stesso modo di quelli. Così’, aggiunge ancora Gesù , come le vittime del crollo della torre di Silo sono state uccise per un fatto calamitoso senza loro colpa, anche tutti gli abitanti di Gerusalemme non sono meno colpevoli degli uni e degli altri. « No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo » egli aggiunge. Volendo spiegare il significato allora delle sue parole, attraverso la parabola dell’albero di fico piantato nella vigna e che non dà frutti, vuol dire a tutti che se non ci si converte a Dio, non si accoglie il suo Vangelo salvifico, se non si portano frutti di opere buone, opere di giustizia, per cui si è graditi al Signore, non si può partecipare della sua salvezza. Tutti abbiamo bisogno di vera conversione a Dio. Non c’è da illudersi e la rovina a cui potremmo andare incontro ci colpirebbe non solo negli aspetti materiali, ma anche nella sfera spirituale: rovina definitiva e totale, il fallimento dell’intera nostra vita; essere irrevocabilmente allontanati dalla comunione con Dio. Sarebbe la conseguenza della nostra sterilità spirituale, della improduttività della nostra esistenza, sia nel versante di Dio, a cui non abbiamo creduto con la nostra adesione a Lui, sia nel versante degli uomini, verso i quali non abbiamo posto gesti di carità, di giustizia, di fraternità, non avendo portato frutti di bene né realizzato il disegno divino della volontà del Signore come ci indica Gesù. Oggi la liturgia della Parola del Vangelo ci dice che Egli è paziente, e che il Signore non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva, secondo l’esortazione e l’ammonimento rivolto all’uomo per mezzo del profeta Ezechiele.
NOTA BENE : DOMENICA PROSSIMA, 31 GENNAIO CAMBIA L’ORARIO.
Le Sante messe saranno celebrate, le Domeniche e Feste Solenni
alle ore: 8.15 – 1030 – 19.00
Da Lunedì a Sabato alle ore 19.00.
Gesù, dopo l'annunzio della sua passione, si trasfigura sul Tabor.
17 MARZO – II DOMENICA DI QUARESIMA
Nella trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, il Padre manifesta il suo Figlio, l’amato, e ci chiedere di aderire a lui e ascoltarlo. La nostra vita, allora, deve essere programmata sulla sua parola. Egli, apparendo agli occhi degli apostoli con Mosè ed Elia, conclude l’Antico Testamento con la sua legge e la profezia e, iniziando una nuova realtà di vita, ci chiede di assumere nella nostra vita il mistero della croce sulla quale egli si è consegnato. Così noi possiamo avere la remissione dei nostri peccati e seguirlo, portando anche noi la nostra croce dietro a lui, se vogliamo essere suoi discepoli. La sequela di Gesù è un cammino difficile che dobbiamo compiere nella fede e nella speranza, intravvedendo nella trasfigurazione di Gesù, che oggi la liturgia ci fa contemplare, un riverbero della gloria del Risorto, a cui devono pervenire tutti i discepoli che seguiranno il Signore sulla via della croce.
Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia preghiamo dicendo: « Dio grande e fedele, che ti riveli a chi ti cerca con cuore sincero, rinsalda la nostra fede nel mistero della croce e donaci un cuore docile, perché nell’adesione amorosa alla tua volontà seguiamo come discepoli il Cristo tuo Figlio ».
Prima Lettura: Gn15,5-12.17-18.
Ad Abramo Dio promette una lunga e numerosa discendenza dopo avergli fatto guardare il cielo e contare le stelle, se ci fosse riuscito.
« Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia ». Dio, così, non per meriti di Abramo stringe con lui un’alleanza e gli promette anche di dargli una lunga discendenza e il possesso della terra dove lo ha condotto. Alla richiesta di Abramo di sapere se ne avrà il possesso, Dio gli chiede di offrire un sacrificio di una giovenca, di una capra, un ariete, una tortora e una colomba, animali che egli divide in due parti collocandone ogni metà l’una di fronte all’altra, eccettuando di dividere gli uccelli. Poiché su questi cadaveri si avventano gli uccelli rapaci, Abramo li scaccia. Ma al tramontar del sole un profondo torpore prende Abramo e un terrore e un’oscurità grande lo assale. Quando, tramontato il sole e si fa buio, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi e il Signore «In quel giorno conclude quest’alleanza con Abram: “ Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate ».
Abramo aderendo al Signore è giustificato davanti a lui e, ponendo la vita alle sue dipendenze, entra in un rapporto di solidarietà e di comunione con Dio. Quello che Abramo fa con gli animali, il terrore che lo assale, il torpore
da cui è preso, da una parte, esprimono il misterioso linguaggio del sacrificio e il fuoco che brucia le vittime, dall’altra, esprime la presenza di Dio che sancisce l’alleanza e la comunione con il patriarca, che si impegna ad essere fedele al Signore fino alla morte. Con Cristo, Dio, non più con vittime sacrificali, ma con il suo stesso Figlio, offerto e consumato nel sacrificio della croce, sancirà una nuova, eterna e indistruttibile alleanza con l’umanità. La salvezza e il possesso del regno dei cieli, terra promessa da Dio, dipendono sempre dalla fede e dall’affidamento, nella speranza, al Padre celeste.
Seconda Lettura: Fil 3,17-4,1.
San Paolo esorta i Filippesi e ripetutamente li scongiura « con le lacrime agli occhi », ad imitare lui e coloro che si comportano secondo il suo esempio e non quelli che si comportano da nemici della croce di Cristo. Incorrono nella perdizione coloro che si vantano e non si vergognano di aver fatto del loro ventre il proprio dio o pensano solo alle cose terrene. Quelli che hanno accolto Cristo sono diventati cittadini del cielo e aspettano che dal cielo venga Cristo, Signore e Salvatore, quando « trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose ». Infine li esorta, loro che sono sua « gioia e corona », a rimanere saldi nel Signore Gesù. Chi sono, secondo Paolo, i nemici della croce di Cristo? Sono coloro che passano l’esistenza dediti ad una « vita godereccia », materialistica, alla ricerca dei piaceri allegri, anche se peccaminosi. I cristiani, pur vivendo in questo mondo, devono pensare alla patria celeste, di cui sono divenuti cittadini e in cui li attende Cristo risorto nella gloria, quando, alla fine dei tempi, verrà per trasfigurarci e renderci come lui, anche nel nostro corpo mortale. Le fragilità, le debolezze, le pesantezze della materialità del nostro corpo e del nostro essere ancora mortale possono facilmente farci adagiare nella concupiscenza che ci fa inclini al male. Se pensiamo che già, fin da ora, c’è in noi il germe della risurrezione, depositatovi dallo Spirito del Signore, dall’Eucaristia e dai sacramenti, allora, dobbiamo vivere sempre più dediti alla vita divina, in cui dobbiamo crescere.
Vangelo: Lc 9,28-36.
Luca, in questo brano odierno, ci fa contemplare la visione della trasfigurazione avvenuta sul Tabor, dopo l’annunzio fatto da Gesù sul viaggio verso Gerusalemme e la sua imminente passione e morte ad opera degli scribi e dei farisei. Salito con Pietro, Giacomo e Giovanni, sul monte Tabor, mentre Gesù prega, il suo volto cambia d’aspetto, la sua veste diviene candida e sfolgorante e appaiono con lui nella gloria, Mosè ed Elia, che conversano con lui sull’esito che sta per compiersi a Gerusalemme. Pietro e gli altri due sono oppressi dal sonno, ma svegliandosi vedono la sua gloria e i due che stanno con lui. Nel momento in cui Gesù e i due si stanno separando, Pietro, estasiato, dice a Gesù: « Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia ». Mentre parla così una nube li copre e la paura li prende. Ma dalla nube una voce proclama: « Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo! ». Cessata la voce, Gesù rimane solo. Scendendo dal monte, Gesù intima loro di non riferire niente a nessuno di ciò che hanno visto.
Gesù, con la sua trasfigurazione, rivela il mistero della sua identità e della sua gloria, dell’intimità che egli vive con il Padre e in cui Dio lo manifesta come Figlio, l’eletto, che gli uomini devono ascoltare: il Figlio è Parola del Padre, rivelazione visibile del Padre, inviato per realizzare il progetto di salvezza e redenzione dell’umanità. I segni del volto luminoso e la veste candida simboleggiano questa realtà divina, che non lo sottrae alla passione e alla morte. Con Mosè ed Elia, rappresentanti della legge, il primo, e della profezia, il secondo, Gesù discorre del suo imminente esodo che avverrà a Gerusalemme. Se nella visione celestiale, Gesù è e sarà contemplato, qui sulla terra, nella realtà della sua passione e morte, Gesù, come Figlio, deve essere ascoltato e imitato.
Gesù ha vinto il tentatore e ci insegna a dominare le seduzioni del peccato.
10 MARZO – PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA.(C)
La Quaresima, come segno sacramentale della nostra conversione, ci impegna a vivere i giorni e i riti che celebriamo rivedendo la nostra esistenza e ogni gesto di essa alla luce del Vangelo e dell’esempio del Signore. In questo tempo favorevole, in maniera particolare per la nostra salvezza, la Parola di Dio ci chiama a confrontarci con essa e, riconoscendo le situazione della vita poco conformi ad essa, ci invita a convertirci, a cambiare atteggiamenti e comportamenti, ad accostarci alla misericordia di Dio per attingervi, sinceramente pentiti, il suo perdono.
La Chiesa, forte della presenza dello Spirito Santo, come disse Gesù agli apostoli: « Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi », invita, quindi, in maniera particolare, i suoi figli, a vivere intensamente il cammino di conversione e di rinnovamento della vita, guardando al mistero pasquale di morte e di risurrezione del Signore Gesù. Il Padre celeste, infatti:« per riconciliare a sé in mondo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando agli apostoli la parola della riconciliazione … a Colui che non aveva conosciuto peccato, l’ha fatto peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare giustizia di Dio »( 2Cor 5,19-21).
Nella Colletta di questa prima Domenica preghiamo dicendo: « Signore nostro Dio, ascolta la voce della Chiesa che t’invoca nel deserto del mondo e stendi la tua mano, perché nutriti con pane della tua parola e fortificati dal tuo Spirito, vinciamo con il digiuno e la preghiera le continue seduzioni del maligno ».
Prima Lettura: Dt 26, 4-10.
Il brano del Deuteronomio propone alla nostra contemplazione la preghiera che l’israelita faceva deponendo sull’altare, per le mani del sacerdote, la cesta con i doni da offrire al Signore, ricordando la vicenda di Abramo che, aramèo errante, sceso in Egitto da forestiero, era diventato una nazione numerosa, grande e forte; come ivi maltrattati, umiliati e sottoposti a dura schiavitù i suoi padri avevano gridato al Signore, che aveva ascoltato la loro voce e visto la loro umiliazione, miseria e oppressione; come li aveva fatti uscire con mano potente e braccio teso dall’Egitto con segni e prodigi, conducendoli lungo il deserto alla terra promessa che aveva giurato di dare e per ringraziarlo per i frutti della terra, che il Signore gli ha dato, prostrandosi davanti a lui, suo Dio. La cesta delle primizie è un segno di ringraziamento riconoscente per la liberazione dalla schiavitù, da una vita errabonda, e per averlo accompagnato con i segni della sua potenza e del suo amore, durante il deserto fino alla terra promessa.
Seconda Lettura: Rm 10,8-11.
San Paolo ai Romani ripete quello che dice Mosè e che cioè la Parola è vicina all’uomo credente, sulla sua bocca e nel suo cuore, cosi come la parola della fede che egli predica. Se dunque il cristiano proclama con la bocca che “ Gesù è il Signore” e “con il cuore crede che Dio lo ha risuscitato dai morti”, allora, sarà salvo. Con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca, facendo la professione di fede, per ottenere la salvezza. Chi crede nel Signore non resta deluso e tutti, davanti all’unico Signore, ricco verso tutti quelli che invocano il suo nome, possono ottenere la salvezza.
Si è salvati per la fede che nutriamo nella morte e risurrezione del Signore, credendo fermamente in lui e aderendo ai suoi misteri pasquali. Credendo veramente nel Signore non si resta delusi e quella che Cristo offre è una salvezza offerta a tutti, senza distinzione di razza ed è elargita con larghezza.
Vangelo: Lc 4,1-13.
Gesù, dopo il battesimo e pieno di Spirito Santo, per quaranta giorni nel deserto, digiunando e pregando, si prepara alla missione. Non mangiò nulla e alla fine ebbe fame. E’ tentato dal diavolo che vuole persuaderlo a cambiare la pietra in pane per sfamarsi. Ma Gesù gli rispose: « Sta scritto: “ Non di solo pane vivrà l’uomo”». Avendolo condotto in alto e avendogli mostrato in un istante tutti i regni della terra lo tentò dicendogli di dargli tutto se prostrato lo avrebbe adorato. E Gesù rispose: « Sta scritto: “ Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” ». Portato infine a Gerusalemme, sul punto più alto del tempio gli disse: « Se tu sei il Figlio di Dio, géttati giù di qui; sta scritto infatti: “ Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “ Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra” ». Ma Gesù gli rispose: « E’ stato detto: “ Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Esaurita così ogni tentazione il diavolo si allontanò da lui.
Le prove e le tentazioni, che il Padre permette al suo Figlio, non sono in contrasto al disegno di Dio su di lui. Il Signore, forte del suo Spirito, non cede alle tentazioni, a differenza di quanto era avvenuto ad Israele. Alimentato dalla Parola di Dio Gesù non si lascia incantare , né ingannare da tutte le lusinghe del diavolo, ma ribatte alle parole del diavolo tratte dalle Scritture, con altrettanta fedeltà alla Scrittura. Così seguirà la via della croce, della ignominia per dire il « sì » dell’adorazione del Padre. E infine non mette alla prova la potenza di Dio, che lo avrebbe dovuto soccorrere perché suo Figlio, con uno spettacolare e facile miracolo: Gesù accetterà di morire sulla croce e non essere graziato e miracolato. Le tentazioni e la vittoria di Cristo diventano così per noi il paradigma di quello in cui anche noi possiamo trovarci nella nostra vita quotidiana: interessarci solo di cose terrene, affamati come siamo di esse, e dimenticare di nutrirci del cibo della Parola di Dio e dell’Eucaristia con cui avere la forza di camminare nel deserto dell’esistenza; prostrarci davanti a tanti idoli, per i quali impieghiamo tempo e risorse e vita, dimenticando di adorare l’unico e vero Dio; evitando di inseguire la gloria, il successo, il potere per i nostri interesse e non per un servizio da rendere ai fratelli, come ha fatto il Signore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita per la salvezza di tutti. Come lui, seguendo il suo esempio, con la forza dello Spirito, anche noi possiamo conseguire, in questo combattimento spirituale, la vittoria contro le insidie del maligno, come quella definitiva conseguita da Cristo sulla croce.
LE CENERI: INIZIO DELLA QUARESIMA E TEMPO DI CONVERSIONE AL SIGNORE.
QUARESIMA 2019
MERCOLEDI’ DELLE CENERI
Ogni tempo della vita del credente è tempo favorevole per accogliere la grazia di Dio, ma in maniera particolare la quaresima per rivedere la nostra vita, il nostro rapporto con Dio che ci ha riconciliati con sé mediante , Cristo Gesù, che il Padre ha fatto peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. Guardando a Cristo siamo chiamati a risorgere a immagine del Signore risorto.
La Quaresima è la via concreta, umile e praticabile secondo le possibilità di vita di ognuno: attraverso l’elemosina, la preghiera, e il digiuno, siamo invitati a ridurre in polvere l’uomo vecchio che ci ritroviamo, spesso ripiegato su noi stessi e sul nostro egoismo. Pur ricordandoci la celebrazione odierna che « siamo polvere e in polvere ritorneremo », questo tempo è finalizzato a farci aprire all’azione dello Spirito, per riprende la vita divina, ricevuta nel battesimo, risorgendo con Cristo.
Poiché il cristiano sperimenta , pur avendo ottenuto misericordia ed essere entrato nel percorso della salvezza con il battesimo, , per l’inclinazione al male e al peccato, le debolezze e le cadute, la riconciliazione che Dio ci offre nella sua misericordia in questo tempo quaresimale, possiamo attingerla abbondantemente,
Rinnovati, così, attraverso la Penitenza sacramentale, riconciliati con Dio con il suo perdono, ritorniamo ad essere nuovi, capaci di riconciliarci con noi stessi e con i fratelli nella giustizia e nella carità.
Nella preghiera iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino d vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo Spirito del male ».
Prima Lettura: Gl 2,12-18
Il profeta Gioele si rivolge anche a noi, come al popolo di Israele, nel suo tempo, l'invito a ritornare al Signore con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti, lacerandosi il cuore e ritornando al Signore, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore, pronto a ravvedersi riguardo al male, donando all’uomo la sua benedizione.
Nell’invito che il profeta fa di ritornare al Signore vi è il desiderio di Dio ad annullare la distanza che ci separa da lui, di tirarci fuori dal deserto e dall’aridità in cui viviamo senza di lui per ritornare nella comunione con lui.
Seconda Lettura: 2Cor 5,20-6,2
L’esortazione che l’apostolo Paolo, oggi, ci rivolge a riconciliarci con Dio, nella seconda lettura, diventa l’invito che la Chiesa rivolge a tutti gli uomini per convertirsi e ritornare all’abbraccio del Padre, che largamente perdona e usa verso i peccatori una misericordia così grande da superare l’altezza che c’è tra il cielo e la terra, la distanza tra l’oriente e l’occidente, come dice il Salmo 102, altezza e distanza che non si possono misurare.
Per dimostrare che grande è la misericordia di Dio verso le sue creature, Paolo ci ricorda che » Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio « e ci esorta a lasciarci riconciliare con lui, attraverso l’opera di coloro che ha voluto come collaboratori, accogliendo la sua grazia e la sua salvezza, in questo tempo favorevole.
Vangelo: Mt 6,1-6.16-18
Gesù ci esorta nel Vangelo a non praticare la giustizia davanti agli uomini per farsi ammirare da loro e in maniera farisaica, perché non si avrebbe nessuna ricompensa dal Padre celeste. Né praticare l’elemosina per le strade e tra gli uomini richiamando l’attenzione di tutti, ma viverla nel segreto, solo desiderosi di voler aiutare il fratello in necessità. Né a pregare ovunque per essere visti dagli altri, ma entrare nel segreto del proprio cuore, dove Dio vede e ricompensa. Né digiunare diventando malinconici, con aria disfatta per farsi vedere, ma « Quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà ».
AVVISI e APPUNTAMENTI QUARESIMALI
- Tutti i Venerdì di Quaresima si è tenuti ad osservare l’astinenza dalle carni.
- Tutti i Venerdì sarà celebrato il Pio esercizio della Via Crucis in parrocchia, alle ore 19.00, dopo
la Celebrazione della Santa Messa.
- Anche per questo tempo di Quaresima sarà a disposizione il sussidio per meditare ogni giorno la
Parola di Dio.
Altre attività da vivere in questo tempo quaresimale saranno rese note lungo questo periodo.
Il digiuno che è gradito a Dio
Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce; dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati.
Mi ricercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio:
«Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi,così da fare udire in alto il vostro chiasso.
È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua gente?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. La tua gente riedificherà le antiche rovine, ricostruirai le fondamenta di epoche lontane.
Ti chiameranno riparatore di brecce, restauratore di case in rovina per abitarvi.
Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Cap. 7, 4–8, 3; 8, 5–9, 1; 13, 1-4; 19, 2; Funk 1, 71-73. 77-78, 87)
Fate penitenza
Teniamo fissi gli occhi sul sangue di Cristo, per comprendere quanto sia prezioso davanti a Dio suo Padre: fu versato per la nostra salvezza portò al mondo intero la grazia della penitenza.
Passiamo in rassegna tutte le epoche del mondo e constateremo come in ogni generazione il Signore abbia concesso modo e tempo di pentirsi a tutti coloro che furono disposti a ritornare a lui. Noè fu l’araldo della penitenza, e coloro che lo ascoltarono furono salvi. Giona predicò la rovina ai Niniviti, e questi, espiando i loro peccati, placarono Dio con le preghiere e conseguirono la salvezza. Eppure non appartenevano al popolo di Dio.
Non mancarono mai ministri della grazia divina che, ispirati dallo Spirito Santo, predicassero la penitenza. Lo stesso Signore di tutte le cose parlò della penitenza impegnandosi con giuramento: Com’è vero ch’io vivo – oracolo del Signore – non godo della morte del peccatore, ma piuttosto della sua penitenza.
Aggiunse ancora parole piene di bontà: Allontànati, o casa di Israele, dai tuoi peccati. Di’ ai figli del mio popolo: Anche se i vostri peccati dalla terra arrivassero a toccare il cielo, fossero più rossi dello scarlatto e più neri del silicio, basta che vi convertiate di tutto cuore e mi chiamiate «Padre», e io vi tratterò come un popolo santo ed esaudirò la vostra preghiera (cfr. Ez 33, 11; Os 14, 2; Is 1, 18, ecc.).
Volendo far godere i beni della conversione a quelli che ama, pose la sua volontà onnipotente a sigillo della sua parola.
Obbediamo perciò alla sua magnifica e gloriosa volontà. Prostriamoci davanti al Signore supplicandolo di essere misericordioso e benigno. Convertiamoci sinceramente al suo amore. Ripudiamo ogni opera di male, ogni specie di discordia e gelosia, causa di morte. Siamo dunque umili di spirito, o fratelli. Rigettiamo ogni sciocca vanteria, la superbia, il folleorgo- glio e la collera. Mettiamo in pratica ciò che sta scritto. Dice, infatti, lo Spiri-to Santo: Non si vanti il saggio della sua saggezza, né il forte della sua forza, né il ricco delle sue ricchezze, ma chi vuol gloriarsi si vanti nel Signore,ri- ricercandolo e praticando il diritto e la giustizia (cfr. Ger 9, 23-24; 1 Cor 1, 31, ecc.).
Ricordiamo soprattutto le parole del Signore Gesù, quando esortava alla mitezza e alla pazienza: Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate, perché anche a voi sia perdonato; come trattate gli altri, così sarete trattati anche voi; donate e sarete ricambiati; non giudicate e non sarete giudicati; siate benevoli e sperimenterete la benevolenza; con la medesima misura con cui avrete misurato gli altri, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 5, 7; 6, 14; 7, 1. 2. 12, ecc.).
Stiamo saldi in questa linea e aderiamo a questi comandamenti. Camminiamo sempre con tutta umiltà nell’obbedienza alle sante parole. Dice infatti un testo sacro: Su chi si posa il mio sguardo se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? (cfr. Is 66, 2).
Perciò avendo vissuto grandi e illustri eventi corriamo verso la meta della pace, preparata per noi fin da principio. Fissiamo fermamente lo sguardo sul Padre e Creatore di tutto il mondo, e aspiriamo vivamente ai suoi doni meravigliosi e ai suoi benefìci incomparabili.
Ultimo aggiornamento (Mercoledì 06 Marzo 2019 17:12)