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I cristiani devono vivere al seguito del Cristo, servo sofferente.
21 OTTOBRE - XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Servire il Signore « con lealtà e purezza di spirito » prega la Chiesa nella Colletta di questa Domenica. Sull’esempio di Gesù, che si offre al Padre sulla croce, noi dobbiamo imparare a vivere il nostro rapporto con Dio, nel compiere la sua volontà. Dall’Eucaristia che celebriamo possiamo attingere la forza per imitare Gesù e così poter vivere in conformità con il disegno di Dio, quotidianamente e fino in fondo, anche quando questo cammino si fa arduo, impegnativo ed esigente. Così l’Eucaristia viene realizzata pienamente nella vita. Se serviamo Dio veramente dobbiamo anche porci al servizio del prossimo per realizzare il bene di tutti, come ha fatto Gesù, che ha detto di essere venuto non per essere servito, ma per servire.
Bella preghiera della Colletta diciamo a Signore: « Dio della pace e del perdono, tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell'unico sacrificio di espiazione; concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio ».
Prima Lettura: Is 33,10-11.
Il profeta Isaia, in questo brano, esprime ciò che il Signore farà al Messia prostrandolo con dolori, quando egli « offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce della risurrezione e « si sazierà della sua conoscenza ». Egli, il servo giusto, giustificherà molti, perché ha preso su di sé le iniquità di tutti.
Gesù, Messia ( il Cristo ), che i cristiani riconoscono come colui in cui si sono realizzate le profezie dei profeti, facendosi uomo come noi, porta i peccati di tutti e, avendo imparato l’obbedienza dalle cose che patì, è divenuto causa di salvezza eterna per tutti quelli che gli obbediscono. La vita del Cristo, che sembra consumata e dissolta, è divenuta viva e giustificante, sorgente feconda. Davanti alla figura del Servo sofferente, siamo presi da stupore e sorpresa, poiché in lui si compie il progetto salvifico della volontà del Signore e la redenzione dal peccato. Davanti a questa realtà salvifica, dal nostro cuore sale a Dio il nostro inno di ringraziamento, perché Gesù nella sua passione e morte, nel « suo intimo tormento », da cui è venuta la risurrezione e la Chiesa, giustifica tutti coloro che si lasciano coinvolgere da questo evento.
Seconda Lettura: Eb 4,14-16.
Il brano di questa lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, ci esorta a tenere viva la nostra professione di fede in Gesù, il Figlio di Dio, che, come sommo Sacerdote, intercede per noi al cospetto del Padre. Egli, essendo divenuto uno di noi in tutto, eccetto il peccato, « sa prendere parte alle nostre debo-lezze », poiché è stato provato come noi. Ancora. A nutrire piena fiducia che, accostandoci al trono della grazia, possiamo « ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno ». Gesù è simile a noi in tutto, anche nelle sofferenze e nelle debolezze, per cui possiamo sentirlo intimamente vicino e anche essere sostenuti nella professione della fede, anche quando la prova può essere dolorosa, come nel martirio.
Se Dio è al nostro fianco non dobbiamo deprimerci. La fraternità di Gesù è più forte dei nostri demeriti, per cui possiamo accostarci « al trono della grazia ». Per mezzo e l’intercessione di un tale sommo mediatore siamo sicuri di essere accolti dal Padre celeste. Se ci ha dato suo Figlio, « Come vittima di espiazione, come non ci donerà ogni cosa per suo mezzo? », ci ricorda San Paolo.
Vangelo: Mc 10,35-45.
Nel Vangelo di oggi, i fratelli Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù di fare loro quello che gli chiedono, cioè di sedere, nella sua gloria, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Ma Gesù risponde loro: « Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato? ». Ed essi rispondono di poter fare ciò che Gesù dice loro. Allora Gesù, rispondendo, dice: « Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato ». Anche agli apostoli, che si sono indignati con i due fratelli, avendo sentito la richiesta fattagli, Gesù ribadisce che, se i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono, nel suo regno, essi non devono operare allo stesso modo. Continua loro:« Chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti ».
La volontà di primeggiare e avere i primi posti sono tentazioni che ogni uomo sperimenta, compreso il cristiano. La richiesta fatta da Giacomo e Giovanni è in contrasto con la mentalità di Gesù, per il quale la grandezza del potere sta nel servizio da rendere agli altri, o il primato sta nel porsi all’ultimo posto. E come Gesù è venuto per servire e consegnare la sua vita per noi, così anche i suoi discepoli devono servire i fratelli e gli uomini più che cercare di primeggiare sugli altri. Criteri sconvolgenti le logiche umane sono quelli di Gesù. Solo se si è capaci di bere il calice della passione, che Gesù ha bevuto, ed essere battezzati nel suo battesimo, realtà che si fa fatica a comprendere e accettare facilmente, si può partecipare alla sua stessa gloria.
Celebrando l’Eucaristia, che è il memoriale della passione e risurrezione di Gesù, che pur essendo il Maestro e Signore si è posto al servizio dell’uomo e ha dato la sua vita per la nostra liberazione , e comprendendola a pieno, noi, imitandolo come suoi discepoli in terra, potremo partecipare anche della sua gloria. L’Eucaristia è pienamente valida se ci aiuta a dare la vita per Dio e per i fratelli.
Che cosa devo fare per avere la voita eterna?
14 OTTOBRE – XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nell’ Eucaristia che celebriamo noi, comunicando con il Corpo e Sangue di Gesù, ci alimentiamo alla stessa vita del Figlio di Dio. Più che di un rito esteriore o dell’assunzione dei simboli di Cristo, noi ci nutriamo del Corpo e del Sangue del Signore, della sua stessa Persona, realmente presente nel pane e nel vino, per opera dello Spirito Santo che viene invocato.
Dobbiamo allora prepararci degnamente a questo « banchetto della vita eterna ». Bisogna indossare l’abito nuziale, cioè essere nella grazia e nella carità di Dio e dei fratelli. E per questo, al Signore che scruta i pensieri e i sentimenti del cuore dell’uomo, prima di partecipare a questo banchetto, chiediamo perdono per le nostre colpe, per liberarci delle nostre ricchezze illusorie e poterci arricchire della sua presenza divina.
Nella preghiera della Colletta diciamo al Signore: « O Dio, nostro Padre, che scruti i sentimenti e i pensieri dell’uomo, non c’è creatura che possa nascondersi davanti a te; penetra nei nostri cuori con la spada della tua parola, perché alla luce della tua sapienza possiamo valutare le cose terrene ed eterne, e diventare liberi e poveri per il tuo regno ».
Prima Lettura: Sap 7,7-11.
La lettura dal Libro della Sapienza ci esorta a chiedere al Signore la prudenza e lo spirito della sapienza. Prudenza e sapienza che bisogna preferire davanti a onori, potere, ricchezze, perché più preziose delle gemme inestimabili. E bisogna amarle più « della salute e della bellezza », preferendole alla stessa luce, perché il loro splendore non tramonta. Anzi dalla sapienza provengono tutti i beni. Questa sapienza che viene da Dio è preferibile a quella ingannevole del mondo, che dice San Paolo, è stoltezza agli occhi di Dio. La Parola di Dio è fonte della vera sapienza e le cose e i beni del mondo perdono il loro valore al suo confronto. Con ciò non si devono demonizzare i beni terreni, materiali, che devono essere usati come mezzi e non come fini della propria vita, devono servire a beneficio di tutti e non solo a beneficio del proprio interesse egoistico. Possedere questa sapienza, che ci fa conoscere la volontà di Dio e lasciarsi guidare da essa, significa essere veramente saggi.
Seconda Lettura: Eb 4,12-13.
La Parola di Dio, ci dice la Lettera agli Ebrei, è più tagliente di una spada a doppio taglio, penetrante fino al punto di divisione dell’anima e dello Spirito, fin nelle parti più intime del nostro essere, perché essa conosce e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore degli uomini. Davanti a Dio nulla è possibile nascondere, perché ai suoi occhi tutto è manifesto, dovendo ognuno rendere conto a lui di tutta la nostra vita, delle opere compiute, sia in bene che in male, scrive san Paolo. La Parola di Dio è una voce che non possiamo eludere né restare indifferenti davanti ad essa. E’ un giudizio che ci penetra fin nelle profondità e scruta i nostri più intimi sentimenti. Sulla parola di Dio, non solo ogni uomo deve modellare la propria esistenza, essendo stati creati a sua immagine e somiglianza, ma soprattutto il cristiano, che è fatto oggetto della rivelazione di Dio, deve modellare la propria esistenza. Su Gesù Cristo, che è la Parola eterna del Padre, fatta carne, modello della nostra figliolanza divina, il cristiano deve verificare la propria vita, per conformarsi sempre di più alla sua.
Vangelo: Mc 10,17-30.
In questo brano del Vangelo di Marco, Gesù, ad un tale che gli si getta ai piedi e, rivolgendosi a lui, lo interroga: « Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna », risponde, dopo aver ribadito che solo Dio è buono, di osservare i comandamenti, che certo conosce: « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre ». Al che, quell’uomo risponde dicendo che, fin dalla sua giovinezza li ha osservati. Gesù allora, « lo fissò, lo amò e gli disse: “ Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi !” ». Ma quell’uomo, facendosi scuro in volto e rattristandosi, poiché possiede molti beni, se va!. Gesù, allora, volgendo intorno lo sguardo, dice ai discepoli : «Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio ! ».
Davanti allo sconcerto per queste parole, Gesù continua dicendo: « Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio ! E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio ». Essi, stupiti, allora dicono tra loro: « E chi può essere salvato ? ». Ma Gesù ribatte: « Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio ».
A Pietro, che rivolgendosi a Gesù gli dice di aver lasciato tutto per seguirlo, egli risponde: « In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato case o fratelli o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case, fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà ».
Gesù, a quell’uomo che gli dice di aver osservato i comandamenti della legge antica e di desiderare di entrare nella vita eterna, chiede di accogliere, con generosità e distacco, Lui e il suo Vangelo, preferendolo ai beni e ai tesori terreni, a cui spesso sì è troppo legati e dai quali non è tanto facile liberarsi. Ci vuole coraggio a distaccarsene o, di più, a vendere tutto per mettersi alla sequela del Signore. A quel tale, come ad ognuno di noi, è brillato il volto nel desiderio di voler raggiungere la felicità della vita eterna, ma davanti alla richiesta di Gesù il suo volto si fa triste. Così Gesù ci mette in guardia dicendoci che le ricchezze di questo mondo sono un pericolo per l’anima. E’ possibile, allora, all’uomo entrare nella vita? Se è impossibile per l’uomo per la condizione in cui si trova, continuamente insidiato dal desiderio di possedere, non è impossibile a Dio, se ci affidiamo alla sua forza divina, come dice Gesù. Dio ci aiuta a seguire Gesù e il suo Vangelo, purché accogliamo sinceramente l’invito a rinnovarci con il suo perdono e la sua grazia e se desideriamo ardentemente, in futuro, entrare nella vita del Regno dei cieli. Seguire il Signore, anche se in mezzo alle persecuzioni, è fonte di ricchezza spirituale e gusto di una vita di gioia, arricchita già ora, cento volte tanto, di quelle realtà da cui ci si è distaccati.
ALL'INIZIO dIO LI CREO' MASCHIO E FEMMINA.
7 OTTOBRE – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nel giorno del Signore, la comunità cristiana, è riunita dal Padre attorno a Gesù Cristo e, come figli, siamo uniti dallo Spirito del Padre e del Figlio. Preghiamo non un Dio lontano, anonimo, ma ci rivolgiamo a Lui con la confidenza e la fiducia di figli. L’amore del Padre ci avvolge con la sua misericordia e ci dona le grazie che vanno al di la dei nostri desideri e dei nostri meriti.
Nella preghiera della Colletta ci rivolgiamo a Dio con queste parole: « Dio, che hai creato l’uomo e la donna, perché i due siano una vita sola, principio dell’armonia libera e necessaria che si realizza nell’amore; per opera del tuo Spirito riporta i figli di Adamo alla santità delle prime origini, e dona loro un cuore fedele perché nessun potere umano osi dividere ciò che tu stesso hai unito ».
Prima Lettura: Gn 2,18-24.
Dio, dopo aver creato l’uomo e vedendo che non era bene che l’uomo fosse solo, volle creare un aiuto che gli fosse simile, poiché nessuno degli esseri creati, animali selvatici, pesci, gli era simile. A questi esseri l’uomo impose nomi, ma egli in essi non trovò un aiuto che gli corrispondesse. « Così il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “ Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna , perché dall’uomo è stata tolta”. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno un’unica carne ». Dio, nel suo disegno creativo, volle che l’uomo e la donna fossero a costituire, in una sola carne, la realtà familiare, realizzando una vita sponsale fondata su un vincolo profondo, con pari dignità e riconoscimento reciproco in un’unica carne. Sta allora in questa volontà divina la bellezza e la grandezza del matrimonio: unione intima che Gesù riproporrà nel suo insegnamento, ribadendo che al principio non era come gli scribi e i farisei gli obiettavano per metterlo alla prova, citando Mosè, che aveva permesso al marito di poter ripudiare la propria moglie.
Seconda Lettura: Eb 2,9-11.
L’autore della Lettera agli Ebrei ci presenta Gesù che, fatto poco meno degli angeli, per la morte che ha sofferto, a vantaggio di tutti, è coronato di gloria. Così Dio, « per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose », ha reso perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza: infatti Colui che santifica e quelli che sono santificati provengono tutti da una stessa origine, rendendoli così fratelli. Per la croce e la sofferenza, sofferta a vantaggio di tutti, Gesù è giunto alla gloria, ponendo una profonda solidarietà e condivisione tra lui e noi. Con noi e per noi Gesù è divenuto solidale e, poiché abbiamo una stessa origine, non si vergogna di chiamarci fratelli, non gli siamo più estranei e veniamo fatti eredi e partecipi della sua stessa eredità. Egli intercede per noi presso il Padre, per cui possiamo accostarci con « Piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno »( Eb 4,16). Questo rapporto con Cristo è un’amicizia che va sempre rinnovata.
Vangelo: Mc 10,2-16.
Gesù, ribadendo che Dio, all’inizio, ha creato l’uomo, maschio e femmina li ha creati, e « Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto », ai discepoli che, a casa, di nuovo lo interrogano, dice: « Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio ». Così Gesù, oltre che richiamare il valore del Matrimonio come Dio lo ha predisposto, con la prerogativa della sua indissolubilità, in esso inscritta, rispetto al permesso di Mosè, che solo l’uomo può ripudiare la propria moglie, come gli obiettano i farisei, specifica che anche la moglie, qualora ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio contro di lui. Il divorzio, allora, come tolleranza, indica una china di decadenza del matrimonio, e per il discepolo di Gesù è una via che non dovrebbe percorrersi. Se ci si mette in ascolto della parola di Cristo, il divorzio appare, di conseguenza, in contrasto con il disegno posto da Dio per il matrimonio. E il discepolo di Cristo, che accoglie con la disponibilità di un bambino, con fiducia e senza riserve, il Regno di Dio, dovrà, certo, porre con atto libero e responsabile, con tutte le conseguenze che derivano, umanamente, socialmente, civilmente e religiosamente, la scelta d’amore matrimoniale e perseverare in un cammino di fedeltà, impegno, sacrificio, mutua donazione e di indissolubilità, così da imitare l’amore sponsale di Cristo per la Chiesa, che è precipua caratteristica della scelta di realizzare e vivere il Sacramento del Matrimonio.
Accogliamo nel nome di Cristo i piccoli e gli umili.
30 SETTEMBRE – XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
La domenica siamo invitati da Dio, riuniti nel nome della Santa Trinità, a prendere parte al memoriale della passione del suo Figlio. Nella sua misericordia Dio manifesta la sua onnipotenza donandoci il suo perdono. Pur essendo noi peccatori, il Padre celeste ci accoglie e ci fa partecipi, come commensali, del banchetto eucaristico, in cui dona il suo Figlio, come cibo e bevanda di vita. Attorno a Cristo, assisi alla stessa mensa, non possiamo più ammettere ingiustizie, separazioni, discriminazioni, disprezzo per un qualunque fratello. Non possiamo sentirci tranquilli restando nel nostro egoismo e non condividendo la provvidenza di Dio con chi è nel bisogno. L’Eucaristia ci fa aprire verso i beni dell’eredità eterna che godremo con Cristo nel cielo, ma che già pregustiamo in questo convito domenicale. Da questa sorgente deriva per la Chiesa ogni benedizione.
Nella preghiera iniziale della Colletta diciamo: « O Dio, tu non privasti mai il tuo popolo della voce dei profeti; effondi il tuo Spirito sul nuovo Israele, perché ogni uomo sia ricco del tuo dono e a tutti i popoli della terra siano annunziate le meraviglie del tuo amore ».
Prima Lettura: Nm 11,25-29.
Il Signore dona il suo spirito ai settanta anziani di Israele che profetizzano nel suo nome. Anche su Eldad e Medad, che sono tra gli iscritti, ma non sono andati alla tenda, viene effuso lo spirito, che li fa profetizzare nell’accampamento. A Mosè, che è informato da un giovane del fatto, Giosuè chiede di impedire ai due di continuare a profetizzare. Ma Mosè gli dice: « Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito ». Dio dispensa i suoi doni ad ognuno e non bisogna essere gelosi del doni degli altri, perché non siamo noi a stabilire e fissare il tempo, lo spazio e quali doni di grazia Dio debba dare ad ognuno.
Al contrario, quando vediamo un dono di Dio nel nostro fratello dobbiamo rallegrarcene e non essere invidiosi, perché in questo caso ricercheremmo noi stessi e non la gloria di Dio, il servizio al prossimo e il bene della Chiesa. Come Mosè, anche noi dobbiamo augurarci che Dio effonda il suo spirito di profezia su ogni uomo e pregare perché nessuno lo rifiuti o lo trascuri e invece si lasci trasportare dalla sua azione.
Seconda Lettura: Gc 5,1-6.
Anche nel nostro tempo, come allora, le parole forti e sferzanti della seconda lettura di oggi, tratta dalla Lettera di San Giacomo, interpellano, noi credenti e ogni uomo, a ripensare il rapporto che bisogna avere con le ricchezze che, se usate con egoismo e superbia, accumulate con latrocinio e ingiustizie, con sfruttamento e oppressione, rendono marcio il cuore.
L’oro, l’argento, gli abiti di lusso, i tesori accumulati per gli ultimi giorni, ecc. sono consumati dalle tarme e dalla ruggine, che si alzeranno ad accusare coloro che li avranno usati con atteggiamento egoistico e divoreranno le loro carni. E ancora: « Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage ». Come non ripensare in queste invettive la Parabola del ricco epulone?
Il linguaggio dell’apostolo non è raffinato, ammorbidito, soft, è rude e duro. Forte dell’insegnamento di Gesù, Giacomo ci ricorda che le ricchezze egoisticamente possedute si dissolveranno, non potremo portarle con noi dopo la nostra morte e saranno motivo di condanna nel giorno del giudizio.
Con ciò non si devono demonizzare i beni di questo mondo, che servono perché ogni uomo possa condurre una vita dignitosa e di cui nessuno deve essere privato, purché procurati con onestà, con lavoro e impegno diligente, usati con rispetto dei diritti degli altri, con generosa liberalità ed escludendo ogni forma di spreco. Le ricchezze possono insidiare il nostro cuore e, con attenzione, dobbiamo evitare che esse lo rendano schiavo, arido di sentimenti di fraternità e condivisione.
Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48.
Gesù agli apostoli, che volevano impedire ad uno di scacciare i demoni perché non li seguiva e non era uno di loro, dice: « Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa ». Prosegue dicendo che non bisogna scandalizzare nessuno, fosse anche il più piccolo di coloro che credono in lui. E’ meglio amputarsi di una mano, di un piede, privarsi di un occhio, se questi organi sono motivo di scandalo per i fratelli, che andare nella Geenna e nel suo fuoco inestinguibile con il nostro corpo integro e privarsi di entrare nel regno di Dio.
Gesù esorta a non lasciarsi prendere dell’invidia, dall’impulsività, dalla gelosia, ma avere uno spirito di longanimità, di accoglienza di coloro che hanno bisogno e vengono nel suo nome. Ammonisce severamente a non scandalizzare nessuno e a trattare con onore e rispetto i piccoli, gli umili, aiutandoli a crescere nella fede con il buon esempio, avendo per se stessi la capacità di sorvegliare sui propri gesti e sentimenti e vivere le scelte decisive della vita con la fedeltà al Vangelo.
Gesù chiede di seguirlo attraverso la via della croce.
23 SETTEMBRE - XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il nostro incontro domenicale, nel giorno del Signore, rivela l’amore verso Dio, vissuto in unione con Cristo, nostro Capo e Signore, e verso il nostro prossimo. Questo amore è stato posto da Gesù a fondamento di tutta la legge. Nell’Eucaristia esprimiamo la nostra adorazione di figli a Dio, ricono-scendolo come unico Signore, riaffermiamo la nostra volontà di non sostituire niente a Lui e di rinnovare, nel giorno a lui dedicato, il nostro amore di figli e di fratelli. Mancando di questo amore, per Dio e i fratelli, è difficile vivere la domenica con una fraternità attiva e creativa, per cui la si sente come un obbligo gravoso, e non come lode a Dio e servizio evangelico. Diventa allora la Domenica una verifica e un modo per misurare l’autenticità della nostra fedeltà al Signore e della nostra fraterna carità verso il prossimo. Nell’incontro con Dio, i misteri che celebrano la salvezza, operata da Cristo, dovrebbero trasformare la nostra esistenza.
Preghiamo nella Colletta: « O Dio, Padre di tutti gli uomini, tu vuoi che gli ultimi siano i primi e fai di un fanciullo la misura del tuo regno; donaci la sapienza che viene dall’alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve ».
Prima Lettura: Sap 2,12.17-20.
La lettura dal Libro della Sapienza, oggi, ci descrive la congiura e le insidie che gli empi tramano contro il giusto, perché questi si oppone alle loro azioni e le sue parole sono di rimprovero per le colpe e le trasgressioni che fanno contro la legge e l’educazione da essi ricevuta. Mettendo il giusto alla prova, con violenze e tormenti, essi vogliono vedere se le sue parole sono vere. Vogliono conoscere la sua mitezza, saggiare il suo spirito di sopportazione e se è figlio di Dio questi gli verrà in aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Condannandolo con una morte infamante vogliono sperimentare se Dio gli verrà in soccorso, così come egli dice. Ma il giusto non si lascia scoraggiare, né si avvilisce e rimane fedele al suo Dio. In Cristo Gesù, il giusto, che non commise peccato, noi cristiani vediamo realizzata, in sommo grado, in riferimento alla sua passione, descritta dai Vangeli, questa persecuzione contro di lui da parte dell’umanità, che ha agito empiamente. Crocifiggendo Gesù, si è creduto di averlo eliminato per sempre, ma essendo Figlio di Dio, egli ha vinto la morte risorgendo ed è divenuto potenza di salvezza e primizia di risurrezione per questa nostra umanità. Gli empi, nella loro malvagità, perseguitano i giusti, li opprimono, ne irridono la fede e vogliono provare la loro pazienza.
Seconda Lettura: Gc 3,16-4,3.
San Giacomo continua la sua esortazione, invitando i credenti ad evitare gelosie e spirito di contese che ispirano le cattive azioni. Chi è invece animato dalla sapienza è pacifico, mite, arrendevole, pieno di misericordia, di buoni frutti, imparziale e sincero. Chi opera nella pace porta frutti di giustizia.
Così ricorda ancora che liti, contese e guerre sono causate dalle passioni degli uomini, che desiderano ma non riescono a possedere; uccidono, sono invidiosi, per cui ci si combatte e ci si fa guerra gli uni contro gli altri. Se si chiede, poiché si chiede male, non si ottiene, in quanto si chiede per soddisfare le passioni. Se gli uomini seguissero lo spirito della sapienza, iscritta da Dio nel profondo del loro essere, se si seguisse quella che Dio ha rivelato in vari modi e in ultimo con la sapienza incarnata, Cristo Gesù, gli uomini potrebbero vivere in fraternità e armonia. Ma la gelosia e l’invidia generano liti, aggressività, divisioni, disordini. E se anche i cristiani agiscono così smentiscono l’Eucaristia. Essa deve essere sacramento che anima la Chiesa, la genera, ed è segno efficace di fraternità, se la si vive nello spirito del Signore che l’ha istituita,
Vangelo: Mc 9,30-37.
Nel Vangelo di oggi l’evangelista Marco ci presenta un secondo annunzio della passione che Gesù fa ai discepoli, non volendo però, ancora una volta, che alcuno lo sappia: « Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà ». Se il primo annunzio è giustificato per quello che i discepoli credono del Messia, cioè del Cristo, la cui attesa era pregna, maggiormente, di aspirazioni terrene, sociali, politiche, di libertà, questo nuovo annunzio è reiterato in funzione del fatto che Gesù, giunto a casa a Cafarnao, sedutosi e chiamati i Dodici, chiede loro: « Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ma poiché essi tacciono, avendo discusso su chi di loro fosse il più grande, Gesù continua dicendo: « Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti ». Prendendo un bambino e abbracciandolo dice ancora: « Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato ». I discepoli non capiscono il discorso di Gesù relativo alla sua passione. Restano ammutoliti perché anche i discepoli devono seguire la sua stessa strada. La modalità del seguire il Maestro, oltre che portare la croce dietro a lui, capovolge le precedenze, in quanto: il più grande è colui che si mette all’ultimo, colui che serve e, accogliendo un bambino, che non ha prestigio, si accoglie e riceve lui, Gesù in persona. Questa rivoluzione evangelica cambia il mondo e dall’Eucaristia che celebriamo bisogna ripartire con questo spirito di servizio da prestare verso tutti nelle varie circostanze della vita quotidiana.
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 10-11; CCL 41, 536-538)
Prepara la tua anima alla tentazione
Avete già sentito che cosa abbiano principalmente a cuore i pastori cattivi, considerate ora che cosa trascurino: « Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite» (Ez 34, 4), e quelle che erano sane le avete fatte perire, le avete ammazzate, trucidate. La pecora è soggetta a malattie, ha il cuore debole, cosicché facilmente potrà soccombere alla tentazione, se questa la trova indifesa, impreparata.
Il pastore negligente, quando scorge uno del suo gregge, non gli dice: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, sta’ saldo nella giustizia e nel timore, e preparati alla tentazione (cfr. Sir 2, 1). Chi parla così conforta chi è debole e lo rende saldo, perché egli, avendo abbracciato la fede, non speri nella prosperità di questo mondo. Se infatti gli verrà insegnato a sperare nella felicità del mondo, sarà rovinato dalla felicità stessa: al sopraggiungere delle avversità, rimarrà sconvolto o addirittura perirà, e perciò il pastore che così costruisce il fedele, lo costruisce sulla sabbia e non sulla roccia, che è Cristo (cfr. 1 Cor 10, 4). I cristiani, infatti, devono imitare le sofferenze di Cristo e non andare in cerca dei piaceri.
Il debole invece viene rinfrancato quando gli si predica: Aspettati pure le tentazioni di questo mondo, ma il Signore ti libererà da tutte, se il tuo cuore non si allontanerà da lui. Egli infatti proprio per confortare il tuo cuore venne a patire, venne a morire, venne ad essere coperto di sputi, venne ad es- sere coronato di spine, venne a subire gli insulti e, infine, venne a farsi inchiodare in croce. Tutto questo egli l’ha sofferto per te, e tu nulla. L’ha sofferto non per il suo vantaggio, ma per il tuo.
Ma che razza di pastori sono invece quelli che, temendo di offendere gli uditori, non solo non li preparano alle tentazioni future, ma anzi promettono loro la felicità di questo mondo, felicità che Dio non promise neppure al mondo stesso!
Egli predice che verranno sino alla fine sopra questo mondo dolori su dolori e tu vorresti che il cristiano ne sia esente? Proprio perché è cristiano soffrirà qualcosa di più in questo mondo!
Lo afferma l’Apostolo: «Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2 Tm 3, 12). Ora tu, pastore, che cerchi i tuoi interessi e non quelli di Cristo, permetti, bontà tua, a Cristo di dire: Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma tu per tuo conto ritieni di poter dire al fedele: Se vivrai piamente in Cristo, avrai abbondanza di ogni cosa. E se non hai figli, ne avrai e li nutrirai tutti e nessuno di essi ti morrà. È in questo modo che tu edifichi? Bada a ciò che fai, dove poni il fondamento! Tu poni sulla sabbia colui che stai cercando di edificare. Verrà la pioggia, strariperà il fiume, soffierà il vento, si abbatteranno su questa casa, ed essa cadrà e sarà grande la sua rovina.
Toglilo dalla sabbia, mettilo sulla roccia, abbia il suo fondamento in Cristo colui che vuoi far diventare cristiano. Fa’ che volga lo sguardo alle sofferenze immeritate del Cristo, che guardi a colui che, senza peccato, paga i debiti non suoi. Fa’ che creda alla Scrittura la quale dice: «Egli sferza chiunque riconosce come figlio» (Eb 12, 6). E allora o si prepari ad essere sferzato, o rinunzi ad essere accettato.