Andate: vi mando come agnelli in mezzo ai lupi.
7 LUGLIO - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Dio parla agli uomini con i profeti e soprattutto con il suo Figlio.
Nella orazione di oggi preghiamo dicendo:« O Dio, che nella vocazione battesimale ci chiami ad essere pienamente disponibili all’annunzio del tuo regno, donaci il coraggio apostolico e la libertà evangelica, perché rendiamo presente in ogni ambiente di vita la tua parola di amore e di pace ».
Chiediamo al Padre di poter riconoscere in Gesù che si umilia, facendosi obbediente al Padre, la sua gloria e nelle nostre infermità possiamo essere sostenuti dalla speranza e della forza della sua risurrezione. Liberati dall’oppressione della colpa, per la potenza della croce di Gesù, dobbiamo conformarci a lui crocifisso nella sua umiliazione, sgombrando il nostro cuore da tutto ciò che non ci rende poveri ed esultanti. Liberi dall’attaccamento a noi stessi portiamo, anche in mezzo alle infermità umane, la testimonianza della gioia pasquale della risurrezione.
Prima Lettura: Is 66,10-14.««««
Il Signore per bocca del profeta invita gli esiliati in Babilonia a rallegrarsi, esultare e sfavillare di gioia per Gerusalemme. Potranno così essere allattati, saziarsi al suo seno delle sue consolazioni, succhiare e deliziarsi della sua gloria, perché il Signore, dice il profeta, farà scorrere verso di essa, come un fiume, la pace e la gloria delle genti. « Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati ». Saranno a Gerusalemme consolati dal Signore, come una madre consola il suo figlio, vedranno il Signore, il loro cuore gioirà e le loro ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi.
Il Signore, per mezzo del profeta, annunzia quindi un’era nuova di pace, di consolazione, perché cesserà l’esilio e vi sarà la liberazione: Dio, che conduce la storia di Israele, non è bloccato da nessuna forza umana, ma la parola del profeta, al di là dell’evento storico dell’esilio, presagisce la venuta del Messia, di Cristo, il liberatore.
Seconda Lettura: Gal 6,14-18.
Paolo scrive ai Gàlati dicendo che per lui non vi altro vanto che nella croce di Cristo, per mezzo della quale il mondo per lui è stato crocifisso e lui per il mondo. Nella morte e risurrezione del Signore gli uomini possono diventare nuove creature, perché non conta più la circoncisione o la non circoncisio-ne. Così, sia per quelli che credono nella morte redentrice del Signore, sia su tutto l’Israele di Dio sia pace e misericordia. Augurando ai Gàlati, infine, che la grazia del Signore Gesù sia con il loro spirito, dice che nessuno, sia dei connazionali sia dei pagani, può dargli fastidio, perché egli porta nel suo corpo le stigmate di Gesù Cristo.
L’essere nuove creature in Cristo crocifisso significa confidare solo sulla grazia che è sgorgata dalla sua morte e non nei propri meriti e virtù. Ad imitazione di Gesù, il cristiano, come diceva Paolo di sé, è un crocifisso: la salvezza dell’uomo, realizzazione della regalità di Dio, passa attraverso la croce, perché da essa viene la pace, la riconciliazione dell’umanità con Dio e l’abbondanza della sua misericordia. Nella vita, imitando Cristo, dobbiamo portare anche noi le « stigmate di Gesù », nella fedeltà al Vangelo e alle opere compiute in conformità alla volontà di Dio.
Vangelo: Lc 10,1-12.17-20.
Gesù, inviando avanti a sé a due a due i discepoli dove stava per recarsi, diceva: « La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe !». Li manda come agnelli in mezzo ai lupi e non devono portare né borsa, né sacca, né sandali e non devono fermarsi a salutare nessuno. Entrando nelle case devono augurare la pace che, se sarà accolta, scenderà in esse perché vi saranno figli della pace.
Se accolti, dovranno restare nelle case mangiando e bevendo di quello che si ha, perché si ha diritto alla ricompensa. Devono, ancora, nelle città dove vengono accolti, guarire i malati e annunziare che è “Vicino a voi il regno di Dio”. Nelle città dove non si sarà accolti, bisogna scuotere la povere che si è attaccata ai loro piedi, dicendo: « Sappiate, però, che il regno di Dio è vicino », perché nel giorno del giudizio, Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città. Di ritorno, i settantadue dicono al Signore: « Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome ». E Gesù:« Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi! Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli ».
Poiché il Regno di Dio, la redenzione è vicina, Gesù invia i discepoli ad annunziare al mondo la pace, la consolazione. Le caratteristiche che accompagnano il discepolo devono essere la povertà, la fiducia, l’austerità, facendo affidamento sulla forza di Cristo che libera dalle malattie e preoccupato solo di annunziare la salvezza. Chi non accogliesse o rifiutasse questo annunzio di salvezza incorrerebbe nella condanna, perché si rifiuterebbe la grazia e il giudizio di Dio incomberebbe su di lui, che sarebbe trattato più duramente degli abitanti di Sodoma, in cui non sono stati compiuti i segni che sono stati compiuti da Cristo e dai suoi discepoli.
La Chiamata del Signore è per ogni uomo; per essere profeti nel mondo.
30 GIUGNO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il Signore, nella liturgia della Domenica, continua a portare a compimento l’opera della redenzione e della liberazione degli uomini dalle tenebre del male e del peccato. Donandoci lo Spirito Santo, con la sua luce della verità, ci libera dal nostro egoismo e con la grazia del Cristo, povero e crocifisso, addolcisce le nostre asprezze con la dolcezza e la forza del suo amore.
Verificare ogni giorno questo cammino di santità è certo un compito a cui siano chiamati, ma dobbiamo ritenerlo un dono di grazia elargito dal Signore, dono che non dobbiamo mettere in dubbio di fronte all’esperienza di ogni giorno, in cui i sentimenti sono diversi da quelli che il Signore ci chiede.
Così non dobbiamo avvilirci né scoraggiarci e, convinti della continuità dell’impegno di santità, camminiamo con serenità e costanza.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Padre celeste dicendo: «O Dio, che ci chiami a celebrare i tuoi santi misteri, sostieni la nostra libertà con la forza e la dolcezza del tuo amore, perché non venga meno la nostra fedeltà a Cristo nel generoso servizio dei fratelli ».
Prima Lettura: 1 Re 19,16.19-21.
Il profeta Elia riceve dal Signore l’ordine di ungere Eliseo, figlio di Sàfat, come profeta al suo posto. Partito, Elia trova Eliseo che con dodici paia di buoi ara i suoi campi e, passandogli vicino, gli getta il suo mantello. Eliseo, allora, lasciando i suoi buoi e correndo dietro a Elia, gli dice: « Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò ». Ed Elia a lui: « Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto di te ». Eliseo prende un paia di buoi, li uccide, fa cuocere la loro carne e la dà al popolo, perché la mangi, poi segue Elia ed si mette al suo servizio.
E’ una vera e propria investitura profetica quella che Eliseo riceve da Elia per ordine di Dio. Questo cambiamento di vita lo fa distaccare dalla sua famiglia e dalla sua vita di prima. Così, entrando al servizio di Elia, si pone al servizio della parola di Dio, che vuol dire obbedire a lui ed essere pronti a compiere qualsiasi genere di sacrificio o rinunzia che Dio chiede.
Seconda Lettura: Gal 5,1.13-18.
Paolo dice ai Galati che, essendo stati liberati da Cristo, non devono farsi ridurre di nuovo in schiavitù. Chiamati alla libertà, questa non deve diventare un pretesto per la carne. Mediante l’amore si entra al servizio gli uni degli altri, perché pienezza della legge infatti è il precetto : «Amerai il prossimo tuo come te stesso ». E qualora dovessero mordersi e divorarsi a vicenda, non devono distruggersi del tutto gli uni gli altri. Li esorta quindi a camminare secondo lo Spirito e a non soddisfare le opere della carne, la quale ha desideri contrari allo Spirito, poiché queste cose si oppongono a vicenda. Se ci si lascia guidare dallo Spirito non si è più sotto la legge.
Il cristiano, per la fede in Gesù morto e risorto, è reso libero da ogni vincolo di legge mosaica e deve seguire solo l’unico precetto dell’amore, che consiste nell’ essere animato dallo Spirito di Cristo. Così la sua condotta non può essere più asservita agli impulsi e ai desideri della carne, dell’uomo vecchio che non è stato ancora redento dalla grazia di Cristo. Lo Spirito del Padre e del Figlio, cioè la carità di Dio, elargito al credente, deve essere l’unica guida del suo agire. Infine, ironicamente, Paolo dice ai Galati, che qualora si abbiano contese, risentimenti, aggressività vicendevole, per le debolezze uma-ne, non può superarsi il limite di un atteggiamento che distrugga il fratello, perché allora si rischierebbe di essere al di là della propria dignità di discepoli del Signore e di creature di Dio e si ricadrebbe sotto la schiavitù della carne. San Giovanni scrive che chi odia il proprio fratello è omicida.
Vangelo: Lc 9,51-62.
Avvicinandosi i giorni in cui sarebbe stato condannato ed elevato in alto, Gesù si avvia verso Gerusalemme e invia dei messaggeri verso un villaggio samaritano per preparargli l’ingresso. Ma viene rifiutato perché egli è in cammino verso Gerusalemme. Giacomo e Giovanni, allora, gli dicono: « Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? ». Ma mentre Gesù, rimproverandoli, si avvia verso un altro villaggio, un tale gli dice: « Ti seguirò dovunque tu vada ». E Gesù gli risponde: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo ». Ad un altro a cui Gesù dice: « Seguimi », e questi gli chiede: « Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre », Gesù replica: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio ». Infine, ad un altro ancora che gli dice: « Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi conceda da quelli di casa mia », Gesù risponde: « Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». Ai due discepoli che invocano il castigo per coloro che lo rifiutano, Gesù replica che non spetta a loro giudicare e condannare, perché invocare il castigo non è secondo il suo spirito, perché tutti siamo oggetto della misericordia e della pazienza di Dio. Ad altri Gesù chiede prontezza e decisività per seguirlo ed essere suoi discepoli, senza lasciarsi condizionare dalla nostalgia dei legami di vario genere. Neanche l’impulso nel seguire il Signore può essere buon consigliere, perché il seguirlo è una via difficile, di disagio, di povertà e di rinunzie: si richiede un forte vincolo d’amore a Cristo e passione per annunziare il Regno di Dio.
Solennità del "CORPUS DOMINI": CRISTO SIGNORE E SACERDOTE PER SEMPRE.
23 GIUGNO - SOLENNITA’ DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE.
Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall'E- gitto, averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore, come comunità, non può dimenticare la sua dimensione comunitaria, in cui la fede è vissuta e celebrata, specie nella Eucaristia, che è il « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto. Tale memoriale non è un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore, resa possibile dall’azione dello Spirito Santo che viene invocato. Nella celebrazione dell’Eucaristia noi offriamo il sacrificio della nuova alleanza, viene ripresentato il sacrificio della croce dove Gesù, Agnello senza macchia, s’è offerto. Nell’altare, che è anche la mensa della sua cena, noi vi attingiamo il cibo che ci sostiene lungo il « viaggio della nostra vita », in attesa di essere partecipi del convito eterno del regno celeste.
Attorno all’altare, uniti in « assemblea festosa » a rendere grazie a Dio, ci riconosciamo fratelli, perché il Padre celeste, nel sangue di Cristo, ci ha rigenerati come fratelli e ci ha costituiti come suo popolo, legato nella medesima fede e dall’ identica unità e carità, rappresentate nell’ unico pane e nell’ unico calice. Noi riceviamo nell’Eucaristia lo Spirito, che scaturisce dal Corpo di Cristo, e veniamo purificati da ogni colpa.
Tutto questo deve farci fugare i rischi di considerare la comunità in termini psicologici o ridurla come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, per colmare situazioni compensatorie nelle proprie fragilità: una tale comunità rischierebbe di produrre un gruppo di immaturi che cercano un ovattamento alla vita. Oppure percepire la comunità in termini sociologici, perché l’affermazione conciliare sulla Chiesa, come « popolo di Dio », è da intendersi in maniera teologica non sociologica, costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Infine bisogna evitare un ultimo rischio che è quello di considerare la Comunità come aggregazione per eventi o iniziative di tipo organizzativo, con poco dispendio di energie e con scarsa intensità di comunione spirituale.
Non si può parlare di comunità senza parlare di « comunione » : come relazione spirituale e di amore fraterno, che lega sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti. La comunione trova il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo la prerogativa testé esposta realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che dovesse rimanere dopo la celebrazione della Messa è presenza reale di Cristo, che realizza la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo che è presente nel tabernacolo va quindi la nostra adorazione e il nostro culto.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Signore dicendo: « Dio Padre buono, che ci raduni in festosa assemblea per celebrare il sacramento pasquale del Corpo e Sangue del tuo Figlio, donaci il tuo Spirito, perché nella partecipazione al sommo bene di tutta la Chiesa, la nostra vita diventi un continuo rendimento di grazie, espressione perfetta della lode che sale a te da tutto il creato ».
Prima Lettura: Gn 14,18-20.
In questa prima lettura della Genesi viene ricordato il gesto fatto da Abramo che offrì la decima di tutto a Melchisedek, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, e questi, in cambio, offrì pane e vino e lo benedisse dicendo: « Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
Melchisedek, figura misteriosa del Vecchio Testamento, che offre pane e vino
a Dio, prefigura e preannunzia l’offerta che farà il vero Sommo Sacerdote, Cristo Gesù, a cui il Padre ha conferito, nel suo ingresso nel mondo, l’incarico di Sommo Sacerdote con queste parole: « Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek ». Cristo così, immolandosi sulla croce, offre se stesso come vittima e, nei segni del banchetto eucaristico, consegna il suo Corpo e il suo Sangue, in sua memoria.
Seconda Lettura: 1 Cor 11,21-26.
San Paolo, trasmettendo ai Corinti quello che ha ricevuto dal Signore, descrive ciò che fece Gesù nella notte in cui veniva tradito: « Prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, i memoria di me”», e conclude il racconto dicendo che, ogni volta che essi mangiano questo pane e bevono al calice annunziano la morte del Signore, finché egli venga.
Quando Gesù veniva tradito ha consegnato agli apostoli, che l’hanno tramandato alla comunità della Chiesa, l’Eucaristia, cioè ha dato il suo Corpo e il suo Sangue nei segni del pane e del vino, dando anche il comando di ripetere quel gesto in sua memoria. Celebrare l’Eucaristia, Cena del Signore, in ogni tempo e luogo, significa, nella fede, essere stati presenti in quella notte in cui il Signore si offre in sacrificio e si dà come cibo e bevanda di salvezza, e partecipare, così, della nuova ed eterna alleanza, che Dio ha reso possibile nel sacrificio in croce del suo Figlio.
Ancora. Paolo esorta i Corinti a partecipare degnamente all’Eucaristia, da cui deriva l’impegno a fare comunione con i fratelli di fede, perché fare la comunione e poi non vivere nell’amore dei fratelli sarebbe una gravissima incongruenza: l’Eucaristia è il Sacramento in cui l’amore di Dio, manifestato in Cristo, per opera dello Spirito Santo, deve permeare la vita dei discepoli sia nel versante di Dio che in quello dei fratelli.
Vangelo: Lc9,11b-17. Gesù, dopo aver parlato del Regno di Dio e guarito dei malati, sul far della sera dice ai discepoli di congedare la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne a cercare del cibo. Ma aggiunge: « Voi stessi date loro da mangiare ».
Poiché essi rispondono di aver solo cinque pani e due pesci, ben poca cosa per tutta quella folla, a meno che vadano a comprare viveri, Gesù dice agli apostoli: « Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa ». Quando furono tutti seduti, Gesù prende i pani e i pesci, alzando gli occhi al cielo, recita su di essi la benedizione, li spezza e li da ai discepoli perché li distribuiscano alla folla ». Tutti ne mangiano a sazietà e ne raccolgono i pezzi avanzati in dodici ceste.
Gesù invita gli apostoli a dare loro da mangiare, ma essi avvertono che non possono sfamare tutta quella gente. Così Gesù moltiplica quei pochi pani e pesci e, dopo avere reso grazie, li spezza, li fa distribuire e tutti se ne saziano.
Con questo gesto Egli prelude all’Eucaristia, che avrebbe istituito nell’Ultima Cena e affidata al ministero degli apostoli e della Chiesa, con cui avrebbe alimentato la vita eterna come aveva detto: « Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna ». Il Signore così non ci lascia con la nostra fame di vita, poiché egli ci sazia con il dono di sé tramite il ministero dei sacerdoti, che continuano il servizio affidato agli apostoli, per la santificazione dei credenti in lui.
ATTIVITA’ PARROCCHIALI.
1) Il giorno 23, SOLENNITA’ DEL CORPUS DOMINI le sante Messe saranno celebrate alle ore 8,15 - 10.30 e 18.30.
2) Il giorno 24 sarà celebrata la Giornata Eucaristica parrocchiale:
La SANTA MESSA SARA’ CELEBRATA alle ore 19.00 nella Chiesa Parrocchiale, e la PROCESSIONE con GESU’ EUCARISTICO si snoderà, nel Corso Umberto, fino alla stazione di servizio ESSO, e ritornando, lungo il Corso, fino al Supermercato CRAI e di ritorno in Parrocchia.
Leonforte, 23 Giugno 2019 Il Parroco.
Solennità della SS. Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
16 GIUGNO – SOLENNITA’ DELLA SS. TRINITA’.
La solennità della SS. Trinità, nel nome dalla quale ci segniamo all’inizio della nostra preghiera liturgica, individuale e in tante altre occasioni, celebra il primo mistero principale della fede cristiana, con cui crediamo in un solo Dio, ma nella trinità delle Persone divine: Padre, Figlio e Spirito Santo, distinte nell’unità di un solo Dio ma non separate. Mistero non astratto né lontano dalla nostra esistenza, rivelato da Gesù, che si è dichiarato Figlio di Dio, uguale al Padre, dicendo a Filippo: « Chi vede me, vede il Padre! » e dallo Spirito Santo, che il Padre e il Figlio hanno inviato per far ricordare e comprendere ai discepoli quello che Gesù aveva detto e realizzato. Tale mistero sfugge alla nostra piena comprensione e tuttavia inabita in noi: l’esperienza di Dio Trinità è certamente ancora velata, ma sarà piena nel cielo quando tale conoscenza di Dio, amore, verità e vita, avverrà faccia a faccia con lui.
Nella preghiera della Colletta diciamo: « Ti glorifichi, o Dio, la tua Chiesa, contemplando il mistero della tua sapienza con la quale hai creato e ordinato il mondo; tu che nel tuo Figlio ci hai riconciliati e nello Spirito ci hai santificati fa’ che, nella pazienza e nella speranza, possiamo giungere alla piena conoscenza di te che sei amore, verità e vita ».
Prima Lettura: Prv 8,22-31.
La Sapienza di Dio, nel libro dei Proverbi, parla e rivela se stessa come colei che dall’eternità e fin dal principio è stata generata, presente nell’attività creativa di Dio e posta e formata nelle cose. Generata quando non esistevano gli abissi, non vi erano le sorgenti cariche d’acqua, prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, quando ancora la terra e i campi non erano stati fatti. Essa era come artefice, quando Dio fissava i cieli, tracciava un cerchio nell’abisso, condensava in alto le nubi, fissava le sorgenti dell’abisso, stabiliva al mare i limiti perché non fossero oltrepassati, disponeva le fondamenta della terra.
Essa era la sua delizia ogni giorno: « Giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo ». Nella Sapienza generata prima di ogni altro essere l’evangelista Giovanni vi riconosce « il Verbo che era presso Dio, era Dio e tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste »(Gv 1,1-3). Essa non è distaccata dall’umanità, perché il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi e Dio l’ha posta nelle cose create. Vi è, dunque, la Sapienza increata, cioè generata dall’eternità, il Verbo che si fa carne e che abita in comunione con il Padre e vi è la sapienza creata che Dio ha posto nelle cose da lui create: il bene, la bellezza, l’ordine, l’armonia e la sua immagine nell’uomo, ecc. Tutta questa creazione è stata realizzata sul modello della Sapienza, cioè del Verbo, L’Unigenito del Padre, che abita « tra i figli dell’uomo », perché venuto tra noi.
Seconda Lettura : Rm 5,1-5.
Dio, per la fede che abbiamo in Lui, ci giustifica per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo e sempre per la fede in lui possiamo accedere alla grazia « nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio », scrive san Paolo ai Romani. Anche nelle tribolazioni il credente in lui continua a essere fedele, perché le tribolazioni producono la pazienza, la pazienza produce una virtù provata e questa la speranza. La speranza, poi, non delude essendo stato riversato nei nostri cuori l’amore di Dio per mezzo dello Spirito Santo donato. Lo Spirito presente ci rassicura dell’amore del Padre, che ci ha riconciliati mediante il Figlio e ci ha resi suoi figli adottivi. Se questo è vero, e lo si crede con grande fede, non vi è ragione di perdere la fiducia e la speranza di essere un giorno in comunione con il Cristo risorto nella gloria, essendo stati conformi a lui nella sua passione. La Santissima Trinità, allora, ci conferma nella fede verso il Padre che ci ama, che manda il Figlio per redimerci, e ci offre lo Spirito Santo come segno e pegno e pegno della risurrezione. Nella fede trinitaria non c’è posto per diffidenza, disperazione per l’uomo, anche se si trova nelle prove che la vita ci riserva.
Vangelo: Gv 16,12-15.
Gesù, oggi, dice ai discepoli che, avendo ancora molte cose da dir loro e non essendo essi capaci di portarne il peso, devono ricevere lo Spirito della veri-tà, che quando verrà, da lui e dal Padre inviato, li « guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future ». Lo Spirito poi lo glorificherà, perché prenderà da quel che appartiene a Gesù e glielo annuncerà. Conclude dicendo loro, assicurandoli, che « Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà ». La presenza dello Spirito Santo, assicurato da Gesù ai suoi Apostoli e alla Chiesa dopo di loro, renderà continuamente presente il Signore risorto in mezzo a loro con la sua Parola di verità, con i sacramenti della grazia salvifica e darà la forza per testimoniare fedelmente nelle opere l’ amore, la fraternità, la giustizia per i fratelli, come pure il coraggio e la fermezza anche in mezzo alle tribolazioni e persecuzioni.
La fede nella Santissima Trinità non deve esprimersi solo in una accettazione teologicamente corretta del mistero principale della nostra fede ma, anche e soprattutto, in un rapporto con le tre Persone divine, presenti nell’intimo dei nostri cuori. E se anche di Dio-Trinità non ne abbiamo una esperienza sensibile Egli, per la fede, è tuttavia presente veramente nel cuore del credente. Nella preghiera dobbiamo sempre tenere viva questa consapevolezza, affinché il nostro rapporto d’amore per Dio cresca di giorno in giorno.
La Pentecoste: lo Spirito del Padre e del Figlio è effuso sui discepoli.
9 GIUGNO – DOMENICA DI PENTECOSTE.
Lo Spirito vi renderà miei testimoni.
Questa solennità porta a compimento il mistero pasquale. Per i credenti e per coloro che lo accolgono si realizza ciò che Gesù nell’ultima Cena promise che, cioè, salito al Padre, ci avrebbe inviato il Consolatore, lo Spirito di Verità, per cui non ci avrebbe lasciato orfani. Lo Spirito Santo, in questa liturgia, ci invita a vedere le meraviglie compiute da Dio nel mondo, ci esorta a essere fedeli alla missione che affida alla Chiesa, ci illumina e ci dà la forza di corrispondere al suo amore, cosicché possiamo compiere il cammino di fede con maggiore pienezza. In questo giorno lo Spirito Santo attualizza, in ogni tempo e latitudine, la Pentecoste: è il tempo della storia in cui lo Spirito rinnova la Chiesa, l’umanità, perché chi accoglie lo Spirito riceve i suoi benefici effetti nella sua vita.
Così la Chiesa, corpo di Cristo, sostenuta e fatta crescere dallo Spirito, inviato da Gesù risorto nel giorno di Pentecoste, è la comunità della nuova alleanza, che aggrega nell’unità di un solo linguaggio tutti i popoli per i quali si attua il mistero pasquale. Nel prefazio la Chiesa proclama: « Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo ». Poiché in ogni sacramento agisce lo Spirito Santo, che opera con i suoi molteplici effetti, quando riceviamo un sacramento in noi inabita lo Spirito del Padre e del Figlio, come alito di vita, dando suggerimento, impulso ed efficacia alle nostre azioni.
Accesi dal fuoco di questo Spirito, si alimenta ad ogni comunione col Corpo e Sangue del Signore la vita divina, e cresce la « carità ardente » di cui parla l’orazione sulle offerte della Messa vespertina: «Scenda, o Padre, il tuo Santo Spirito sui doni che ti offriamo e susciti nella tua Chiesa la carità ardente, che rivela a tutti gli uomini il mistero della salvezza». Si rinnova così il prodigio dell’unità che raccoglie gli uomini dispersi in molti linguaggi in un unico linguaggio di fede e che trasforma, qualitativamente, le nostre azioni, facendoci agire secondo lo Spirito di Cristo e in conformità alla volontà di Dio.
La vita « spirituale » del credente è quella che ha come maestro e come suggeritore lo Spirito Santo, che ridesterà i nostri corpi per la risurrezione. Il lasciarsi condurre da lui non è un fatto eccezionale, se molti, nella loro semplicità esistenziale, hanno raggiunto alte vette di santità, pur immersi nella quotidianità della loro vita.
La colletta della Messa che recita :« O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo », ci dà il significato della Pentecoste che celebriamo. Lo Spirito Santo anima la comunità cristiana, porta e rende efficace il Vangelo di Gesù Cristo e ci introduce nella conoscenza del mistero. Lo Spirito, con i doni che elargisce, ci fa crescere nelle opere di giustizia, ispirate da lui e da noi, rinnovati e resi giusti nel cuore, compiute per la sua energia. La solennità di oggi conclude il lungo e meraviglioso tempo pasquale in cui abbiamo meditato e approfondito il mistero della morte e risurrezione del Signore, che ci offre la prospettiva con cui siamo chiamati a vivere ogni giorno. L’impronta della morte e risurrezione del Signore, nella vita nuova sorta dallo Spirito, ci conduce, ci fa operare e ci prepara ad essere conformi con il Signore risorto, ora nel tempo e domani nell’eternità.
Prima Lettura: At 2,1-11.
Al cinquantesimo giorno dall’evento della risurrezione del Signore, nella festa di Pentecoste, sugli Apostoli e coloro che erano in attesa della promessa di Gesù, lo Spirito discende, « dal cielo con improvviso fragore, quasi come vento che si abbatte impetuoso, riempiendo tutta la casa », in forma di lingue di fuoco che si posarono su ciascuno di loro. Furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue. Comincia così l’evangelizzazione, l’annunzio delle opere che Dio compie nell’evento della morte e risurrezione di Gesù. Tutti coloro che erano a Gerusalemme in quei giorni, pur parlando molteplici lingue, sentono ognuno il gioioso annunzio nella propria lingua. La confusione delle lingue, iniziata con la torre di Babele, è vinta dalla proclamazione del Vangelo: nell’unica fede in Gesù salvatore, morto e risorto, si ricompone l’unità dei figli di Dio, dispersi e divisi dal peccato. La fede raccoglie nell’unità popoli, lingue e tradizioni diverse. « La confusione che la superbia aveva portato tra gli uomini, - recita il Prefazio – è ricomposta in unità dallo Spirito Santo ». Invocando e ricevendo oggi lo Spirito dobbiamo essere portatori di unità e non essere frantumati dalle discordie. Uscendo da noi stessi, dal nostro egoismo e superbia creiamo la comunione e la fraternità.
Seconda Lettura: Rm 8,8-17.
San Paolo scrivendo ai cristiani di Roma dice che, non essendo più sotto il dominio della carne ma dello Spirito di Dio che abita in loro e appartenendo a Cristo per il suo Spirito presente in loro, essi devono piacere a Dio. « Se Cristo è in voi, » scrive « il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia ». E poiché lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita nei credenti in lui, lo stesso Spirito darà la vita anche ai loro corpi mortali. I cristiani che non sono più debitori verso la carne se vivono secondo i desideri carnali morranno. Se invece, per opera dello Spirito, fanno morire le opere della carne vivranno. Poiché coloro che si fanno guidare dallo Spirito di Dio sono suoi figli adottivi, essi non avendo più uno spirito da schiavi, possono invocare Dio gridando: « Abbà! Padre!». Poiché lo Spirito stesso attesta ai credenti in Cristo che sono figli di Dio, se essi sono figli sono eredi del Padre e coeredi di Cristo. Se si è figli bisogna, davvero, prendere parte alle sofferenze di Cristo per partecipare anche alla sua gloria.
Coloro che accolgono Cristo e credono nel suo nome, dallo Spirito del Padre e del Figlio che ricevono nel battesimo e che li rende figli, “ non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati “(Gv 1, 13) hanno la garanzia e il principio della risurrezione. In loro la morte è vinta.
Ma la vita eterna nella risurrezione si consegue se si vive secondo lo Spirito, non secondo i desideri della carne e del mondo, cioè con le implicazioni e le connivenze con ogni forma di male e di peccato, con comportamenti che non sono ispirati all’esempio di Cristo. Se siamo figli, siamo coeredi di Dio e ci attende la gloria. Tutto quello, allora, che è di quaggiù, che passa ed è transitorio, bisogna viverlo nella sua relatività con l’eternità: possedere come se non si possedesse, sposarsi ma senza usarne appieno. Anche le nostre sofferenze sono illuminate, perché esse partecipano alle sofferenze di Cristo, in quanto sono sofferte dalle membra del suo corpo mistico. E “se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze, parteciperemo anche alla sua gloria” (Rm .8,17).
Vangelo: Gv 14,15-16.23.26.
Gesù dice ai suoi discepoli che se lo amano devono osservare i suoi comandamenti e anche il Padre li amerà e insieme tutta la Trinità prenderà dimora in ognuno di loro.
Il Signore, inoltre, assicura ai suoi discepoli che lo Spirito Santo che il Padre manderà nel suo nome insegnerà loro ogni cosa e ricorderà tutto ciò che egli ha insegnato. L’osservanza della parola di Gesù è certamente il segno dell’amore che il discepolo può mostrare al Maestro. La pratica degli insegnamenti di Gesù ci ottiene lo Spirito Paràclito che fa abitare in noi tutta la Trinità.
Lo Spirito ancora renderà i discepoli testimoni degli eventi salvifici operati da Gesù fino agli estremi confini della terra, li sosterrà davanti alle persecuzioni, li rinfrancherà nelle difficoltà, li illuminerà nel comprendere ciò che dovranno trasmettere agli uomini per suscitare la fede nel Signore, renderlo vivo e far conservare nei loro cuori il Vangelo.