





SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI - COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI.
1 NOVEMBRE - VENERDI'- SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI.
La festa di tutti i santi si è diffusa nell’Europa latina nel secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi, anche a Roma, fin dal secolo IX.
E' un’unica festa quella di tutti i santi che oggi celebriamo, ossia della Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi è una festa di speranza: « l’assemblea festosa dei nostri fratelli » rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; essa ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.
Dei Santi, che ci sono « amici e modelli di vita », come dice san Bernardo, dobbiamo desiderarne la compagnia, poiché essi attendono e desiderano la nostra salvezza: la loro preziosa presenza ci protegge e ci incoraggia.
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Nella vita di ogni giorno, ci accorgiamo delle fragilità, dei momenti di insuccesso, delle negatività che costellano la nostra vita, dei nostri limiti: tutte queste cose ci fanno sembrare la vita non riuscita.
Ma allora cosa rende questa vita riuscita? Siamo o possiamo essere migliori di quello che pensiamo di essere? Dobbiamo rassegnarci ai nostri fallimenti, ai difetti e ai vuoti della nostra esistenza? Dobbiamo sperare in una vita migliore per noi e per tutti, solo per questa terra, o possiamo pensare e credere che, al di là di tutto questo, ci attende una vita in Dio, in cui già sono tutti coloro che oggi celebriamo: cioè i Santi, sia coloro che onoriamo nel calendario e sia quelli che hanno vissuto la loro esistenza nella fedeltà al Signore, in cui hanno creduto, pur nel nascondimento e con una testimonianza silenziosa?
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Il punto principale della fede cristiana sta nella certezza di fede cristiana che la nostra vita e la sua riuscita dipendono sì da Dio, ma anche dal nostro impegno. In varie esperienze religiose si pensa che si possa giungere ad una , se pur imprecisata, pienezza di vita e di pace attraverso un cammino di ascesi,di meditazione. In alcune concezioni filosofiche di vita si pensa che attraverso uno sforzo di perfezione etica, che gli uomini possono imporsi, individualmente o comunitariamente, è possibile raggiungere una pienezza di vita, almeno nel cammino finale dell'umanità. Si pensa poi, ancora, da parte di altri, che le negatività dell’esistenza possono superarsi con la rassegnazione e che in ultimo arriverà il premio e la consolazione.
Nella esperienza religiosa ebraica, fondata sulla alleanza tra Dio e il popolo, Dio è colui davanti al quale si prova timore, riverenza e rispetto; Dio stesso comunica all’uomo la santità, chiedendogli di essere santo perché lui è santo E si raggiunge la santità con l’osservanza della Legge e le pratiche di purificazione e di religione, ma che spesso, come rimproverava Gesù al suo tempo ai farisei, erano vissute con mediocrità e esteriorità. Nella predicazione profetica veniva inculcato il convincimento che la santità e la riuscita della vita sarebbero state donate da Dio.
Con la venuta di Gesù, che porta lo Spirito di santità e lo comunica con la sua morte in croce, gli uomini da lui redenti vengono da lui santificati. Ma con tutto il suo agire, con la sua parola egli manifesto la santità e la pienezza di vita: perdonò i peccati, guarì i malati, donò se stesso, amandoli fino alla fine. Egli, il Signore, il Santo e il giusto, invitò gli uomini ad essere santi come è santo il Padre dei cieli, e così partecipare pienamente alla vita divina, alla vita eterna, che siamo chiamati a vivere in Lui. Poiché Dio è Santo, la pienezza di vita consiste nella santità donata da Dio, comunicata dallo Spirito nella morte e risurrezione del Cristo.
Chi sono i Santi che oggi onoriamo e ricordiamo?
San Paolo chiama « Santi di Dio » tutti coloro che battezzati e cresimati sono stati inseriti come membra del Corpo Mistico di Cristo. La nostra santità è una vocazione che non sempre viviamo pienamente per ora, ma siamo santi perché abbiamo la possibilità di vivere, con i doni e le qualità che Dio ha posto in noi, pienamente la comunione col Padre, attraverso il Figlio Gesù, nello Spirito del Padre e del Figlio.
Gesù nelle Beatitudini annuncia questo dono gratuito di Dio fatto a tutti, specialmente a coloro che non hanno nulla su cui possono contare ( poveri in spirito, afflitti, miti, ricercatori di pace e di giustizia ecc.). Dio è colui che è causa della nostra beatitudine e santità. Così, per dono suo, noi possiamo considerare la nostra vita riuscita, pur essendo, a volte, nella povertà, nelle sofferenze, nelle afflizioni e in ultimo anche nelle persecuzioni sofferte per il nome di Cristo.
Lungo la storia della Chiesa, la santità di tanti, riconosciuta nel calendario cristiano, viene additata a modello per tutti, perché essi hanno dato disponibilità piena all’amore di Dio e alla dedizione ai poveri, sofferenti,emar- ginati: quante madri di famiglia, persone consacrate a Dio nelle varie istituzioni, giovani e uomini di varie condizioni sociali, martiri per la fede, ecc.
Quando viene dichiarato e onorato « beato » o « santo » qualcuno, noi non gli rendiamo, come diceva sant’ Agostino, in una sua riflessione sulla memoria dei martiri, un culto di adorazione, che si deve solo a Dio, ma ne facciamo la memoria e la venerazione per additarcelo ad esempio e modello di vita per tutti noi che siamo in cammino di santità su questa terra. La vita di santità di questi fratelli è confermato esplicitamente dalla testimonianza concorde di coloro che li hanno conosciuti e sono stati raggiunti dalla loro luce di santità, attraverso segni, virtù, e miracoli che questi santi hanno impetrato da Dio.
Cammino di santità per tutti.
Come possiamo rispondere alla chiamata alla santità che Dio ci fa? Lasciandoci riempire e guidare dallo Spirito Santo attraverso la preghiera, i sacramenti e le opere di testimonianza nella carità, la giustizia,ecc
Così Cristo, attraverso la sua morte e risurrezione, agisce in noi, nell’oggi della nostra vita, e ci santifica. Facendoci coinvolgere dall’iniziativa di Dio, vivendo i sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, attuando le opere di misericordia verso i poveri, i sofferenti, gli ultimi, operando per la pace, la giustizia e la misericordia, vivendo con purità di cuore la nostra apertura a Dio e confidando in lui, nei momenti della persecuzione a causa della giustizia e del suo regno, noi operiamo nella fedeltà al Signore e viviamo un cammino fecondo di santità. Vivremo questo itinerario operando il bene, conducendo la nostra esistenza nella gioia, nella pace della coscienza e nella speranza che, nonostante tutto, Dio ci salverà; e se pur manca qualcosa alla nostra perfezione egli la colmerà e ci renderà conformi al suo Figlio, rendendoci santi come è santo lui. Il suo ultimo atto d’amore per noi sarà il sigillo definitivo alla nostra vita, che si concluderà con la nostra salvezza eterna.
Nella celebrazione odierna la Chiesa prega Dio dicendo: " O Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un'unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l'abbondanza della tua misericordia".
Prima Lettura: Ap 7,2.4-9.14.
La moltitudine immensa che sta dinanzi all’Agnello in candide vesti e con la palma tra le mani rappresenta gli eletti, che, purificati nel sangue di Cristo, gli sono stati fedeli nella prova. Sono i battezzati a cui è stato apposto il sigillo dell’appartenenza a Dio e ai quali nulla e nessuno può più far del male, poiché sono nella gloria di Dio e contemplano ormai il volto del Signore per l’eternità.
Seconda Lettura: 1 Gv 3,1-3.
Partecipiamo alla gioiosa constatazione di san Giovanni: Dio ha avuto per noi un amore impensabile, al punto che non siamo solo di nome ma di fatto figli suoi. E lo siamo già d’adesso, in virtù della vita divina, la grazia, che ci unisce a lui, anche se all’esterno ancora non appare tutta la nostra dignità, anche se portiamo ancora i segni del nostro legame alla terra, anche se non mancano limiti e sofferenze. Però siamo in attesa della manifestazione completa del nostro essere, quando si rivelerà e si attuerà la nostra conformità completa a Dio e quindi a Cristo, e vedremo Dio non più attraverso il velo delle cose create, delle immagini e delle parole, ma viso a viso. Questo è già avvenuto per i santi, che oggi festeggiamo.
Vangelo: Mt 5,1-12.
Gesù promulga, come un nuovo Mosè, la Legge nuova, che si apre con le Beatitudini. Esse sono la situazione di gioia per quanti si dispongono nello spirito del Vangelo, e quindi fanno la scelta della povertà, della mitezza, della giustizia, della misericordia, della purezza, della pace e che, pur nella sofferenza, non cessano di sperare e di essere fedeli.
Le Beatitudini sono l’antitesi dello spirito del mondo, rovesciano le attese e le valutazioni terrene.
2 NOVEMBRE - SABATO - COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI.
La preghiera e la comunione con i fratelli defunti.
Quando un padre, una madre, un familiare, un parente, un amico ci lascia definitivamente con la morte, al di là della sofferenza per la loro perdita, sappiamo che con il passar del tempo nulla cambia. Il vuoto lasciato rimane, perché nulla può restituirci le persone care, con loro affetti, gesti e sguardi d’amore, le loro tenerezza, la loro presenza vigile ecc. Spesso, davanti a morti premature o catastrofi naturali, rimangono i nostri interrogativi su questi eventi tristi e dolorosi. La domanda che sgorga dalle nostre labbra è: « Che senso ha un tale evento? ». La vita e la morte sono realtà davanti alle quali ogni giorno dobbiamo fare i conti.
Il mistero della morte illuminato dalla parola di Dio.
Davanti alla drammatica realtà della morte né le parole umane né le consolazioni che ci vengono offerte da parenti, amici o conoscenti sono sufficienti. Solo la Parola di Dio può darci una risposta che, pur non risolvendo il problema nella sua emotività, diede ai sapienti d’Israele il profondo convincimento che, oltre la morte, l’uomo deve attendere la salvezza che Dio dà. Il libro della Sapienza afferma con solennità: « Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà ». Questa certezza si fonda sulla fede in Jahvè, nella esperienza della fedeltà di Dio che non abbandona chi crede e spera in Lui.
E Isaia preannunzia le promesse di Dio, il quale « preparerà un banchetto per tutti i popoli ed eliminerà la morte per sempre… » e « farà nuove tutte le cose » (Ap ).
Per noi Cristiani, la risurrezione di Cristo, che non muore più e preannunzia la nostra risurrezione e la vita eterna che vivremo in Dio, testimonia che la morte non è l’esito finale della nostra esistenza, ma solo un passaggio. Paolo davanti alla realtà della morte esclama:« Dov’è o morte il tuo pungiglione ? Dov’è o morte la tua vittoria ?». Con la sua morte e risurrezione Gesù ha aperto il passaggio da questo mondo all'altro per tutti gli uomini, dando a tutti noi la possibilità di avere accesso alla vita divina ed eterna in Dio.
Questa nostra fede non cancella né elimina gli aspetti misteriosi e dolorosi della morte, né la sofferenza del distacco dai cari che essa comporta, ma ci apre alla speranza e alla certezza che esiste una vita, un incontro per noi e per i nostri cari nella realtà dell’esistenza divina, con Dio e tra noi.
Dopo la morte si attua la vera nascita dell’uomo.
Secondo la Parola di Dio, per il cristiano, la morte è una nuova nascita: come l’uomo con la nascita viene espulso dal grembo per la vita terrena, così, attraverso la morte, egli viene espulso da questa vita terrena per una nuova vita, per una esistenza trasformata e misteriosa, che verrà vissuta in Dio. Questa nuova esistenza, che non è vissuta nel tempo e nello spazio, di cui non ne abbiamo esperienza, ci spaventa e incute timore. E’ il mondo di Dio con la sua pienezza di vita che darà piena soddisfazione all’uomo: nella risurrezione finale anche il nostro corpo, risorto, vi parteciperà senza più avvertire la sua dimensione corruttibile, ed esso non sarà più un limite nei rapporti con gli altri e con Dio.
La nostra vita non ci è tolta, ma trasformata. Il non morire sarebbe per l’uomo il non giungere mai alla sua piena realizzazione.
Nella morte cadono tutti i limiti della condizione terrena e si è liberi, in maniera definitiva, dalle nostre esperienze terrene, per ritrovare la nostra esistenza nella completa esperienza spirituale di Dio.
Per i credenti in Cristo, la nostra morte non è la fine, ma il fine con cui raggiungiamo la meta di una vita giunta nella sua pienezza. Il distacco dal mondo creato con la morte non è una disgrazia, ma una uscita dalla vita biologica e terrena, pur personale, per una esistenza che raggiunge la sua pienezza.
Con la celebrazione odierna celebriamo la nostra vita in Dio.
Dio realizza il suo progetto di vita e di beatitudine che ci promette rendendoci partecipi della sua divinità e della dimensione incantevole del suo amore: tutto ciò è dono gratuito di Dio, che ne dispone la modalità e i tempi. Tutto ciò che di bene, con la sua grazia e aiuto, noi siamo stati capaci di realizzare anche solo parzialmente, aprendoci al suo amore e all’amore verso gli altri, per la sua bontà, Dio lo porta a compimento, perché nulla è stato costruito invano, nessun gesto d’amore va perduto.
Tutto ciò che di bene nella vita terrena era provvisorio, davanti a lui che giudicherà la nostra esistenza, diventerà definitivo, e ciò avverrà quando egli dividerà le vite realizzate, per averlo riconosciuto e aiutato nei fratelli, da quelle fallite, perché non lo hanno né riconosciuto né amato negli altri.
La morte, che ci svela la provvisorietà dell’esistenza terrena in cui nulla è possibile vivere pienamente, ci apre una prospettiva in cui viene recuperato il bene compiuto per essere reintegrato nella dimensione infinita ed eterna di Dio. La preghiera per i nostri morti vuole impetrare da Dio che tutti coloro che sono stati a « Lui graditi », come dice San Paolo, per la sua bontà e purificati dalla sua misericordia, siano ammessi a contemplare il suo volto e a vivere nella piena comunione dei Santi, realtà a cui anche noi aspiriamo dopo questo esilio terreno.
Viviamo, quindi, questa commemorazione dei fratelli defunti non con la nostalgia di chi li pensa perduti per sempre, ma con la speranza di chi li crede viventi in Cristo, destinati alla risurrezione gloriosa con lui.
Oggi richiamiamo la morte nella luce della Pasqua di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione, fondamento della nostra speranza. Oggi affidiamo i nostri fratelli defunti alla misericordia di Colui che è morto in croce per la remissione dei peccati e per la nostra riconciliazione al Padre. Ma questo ricordo dei morti deve essere anche ammonimento salutare per noi che ancora viviamo: la vita passa in fretta, e le opere buone vanno compiute adesso. Poi viene il giudizio di Dio e, secondo la nostra condotta, ci verrà dato il premio o il castigo.
Prima Lettura: Sap 3,1-9.
La morte dei giusti non è tragedia senza scampo, dissoluzione per sempre: Dio li sostiene, li fa entrare nella sua pace e nella vita immortale. Le loro sofferenze, irrise dagli increduli, cono una prova che li purifica e che, sopportata con speranza, sarà motivo di gloria. C’ è in questo della sapienza la speranza di quanti vivono e muoiono nel Signore.
Seconda Lettura : Ap 21,1-5.6.7.
Attraverso l’immagine del cielo e della terra nuovi, delle cose di prima che passano e delle altre che sono fatte, sentiamo che una condizione nuova ci attende, di cui non abbiamo esperienza, ma che sarà la piena salvezza. E’ la condizione di quanti risorgeranno con Cristo per la vita eterna.
Vangelo: Mt 5,1-12 (vedi commento nella festa di tutti i Santi)
Ultimo aggiornamento (Giovedì 31 Ottobre 2019 19:18)
La "MISURA" del perdono è è nel cuore dell'umile.
27 OTTOBRE – XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
La fede che noi celebriamo nell’Eucaristia ci avvicina al banchetto eucaristico e in esso noi ci cibiamo del Corpo e del Sangue del Signore. Questa fede si fonda sulle parole dette da Gesù, nell’Ultima Cena, sul pane e sul vino, dandoli a noi come segno della sua presenza: « Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi » e « Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me ». Nell’Eucaristia vi è il sacrificio che Gesù ha offerto come « sacerdote giusto e compassionevole » e « la tenerezza del Padre celeste, che ci invita al banchetto del Figlio, preparato per noi ». Per opera dello Spirito Santo, riceviamo la grazia che alimenta in noi la vita divina, rendendoci capaci di amare alla maniera di Cristo e di confidare nella misericordia del Padre. Tutto questo lo possiamo vivere nella fede che, se mancasse, renderebbe il nostro incontro eucaristico domenicale senza efficacia, frutto della nostra iniziativa gratificante solo psicologicamente, senza ricevere il dono che Dio ci fa donandoci il suo Figlio.
Nella preghiera iniziale della Colletta ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « O Dio, tu non fai preferenze di persone e ci dai la certezza che la preghiera dell’umile penetra le nubi; guarda anche a noi come al pubblicano pentito, e fa’ che ci apriamo alla confidenza nella tua misericordia per essere giustificati nel tuo nome ».
Prima Lettura: Sir35,15-17.20.22.
L’autore del Siracide ci dice in questo brano che il Signore, giudice giusto, non fa preferenza di persone, non è parziale a danno del povero, ascolta la preghiera dell’oppresso, non trascura l’orfano né la vedova. La preghiera della vedova, del povero arriva fino alle nubi e non si quieta finché non sia arrivata a Dio, non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e non abbia dato soddisfazione ai giusti e stabilito l’equità. Dio non rigetta la preghiera dell’umile, non fa preferenze e parzialità. Come il Signore è giusto, così lo devono essere gli uomini nell’intimità del loro cuore. La facile o frequente discriminazione degli altri, di cui noi siamo facilmente affetti per pregiudizi, superbia o egoismi, non ci rende giusti davanti al Signore.
Seconda Lettura: 2 Tm 4,6-8.16-18.
Paolo, scrivendo a Timoteo, poiché sente armai vicina la fine della sua vita, gli ricorda che egli, come apostolo, ha combattuto la buona battaglia, ha terminato la sua corsa e ha conservato la fede e, ora, attende la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, consegnerà in quel giorno a lui e tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione. Poiché tutti lo hanno abbandonato e nessuno in tribunale lo ha assistito, gli scrive che non se ne tenga conto nei confronti di nessuno; che il Signore gli è stato vicino, gli ha dato la forza di portare a compimento l’annunzio del Vangelo, perché tutte le genti lo ascoltassero, ed è stato liberato dalla bocca del leone, cioè di essere condannato alla morte in pasto alle belve. Confida infine nel Signore che lo libererà da ogni male e lo porterà in salvo nei cieli, nel suo regno. L’Apostolo, guardando la sua vita passata la paragona ad una battaglia, ad una corsa, un impegno che ha perseguito con costanza e fedeltà verso il Signore, in cui ha riposto la sua totale fiducia e dal quale riceverà, lui e coloro che attendono con amore la sua manifestazione, la corona di gloria. Cristo, così, per il credente. è il valore assoluto della vita. Egli assiste, dà forza, sta vicino e salva per sempre coloro che hanno fede in lui. Chiediamoci, con frequenza, quale posto ha Gesù nella nostra esistenza, se sentiamo vicina la sua presenza gli dobbiamo rendere e se ci impegniamo a conservare viva la fede in lui.
Vangelo : Mt 5,1-12.
Gesù, oggi, nella parabola del fariseo e del pubblicano che si recano al tempio a pregare, ci indica quale è per l’uomo la vera giustizia: questa non sta nella presunzione del fariseo che, nel tempio, ringrazia Dio ma vanta ed elogia le sue virtù perché osserva la Legge, digiuna, paga le decime di ciò che possiede e, paragonandosi con gli altri uomini, li giudica ladri, ingiusti, adulteri, li disprezza insieme al pubblicano. Questi, invece, in fondo al tempio, stando a distanza e non alzando neanche gli occhi al cielo, si batte il petto, si riconosce peccatore e chiede a Dio che abbia pietà di lui. Gesù conclude dicendo che il pubblicano, per il suo umile atteggiamento, il riconoscimento delle colpe commesse per cui chiede perdono, ritornò a casa sua giustificato, a differenza del fariseo, perché: « Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato ». Dio esaudisce la preghiera di un cuore pentito e umiliato che, per la consapevolezza delle proprie colpe, chiede perdono a Dio e si affida, non tanto alla sua precaria giustizia, ma alla potenza della grazia di Dio, attribuendo a Lui l’onore e la gloria per il bene che compie. Dio ascolta solo la preghiera dell’umile, il quale riconosce che tutto deve essere vissuto per la maggior gloria di Dio e non per la ricerca della propria gloria ed esaltazione da parte degli uomini.
DIO ASCOLTA IL "GRIDO" DEI SUOI ELETTI..
16 OTTOBRE – XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
DIO ASCOLTA IL GRIDO" DEI SUOI ELETTI.
Servire il Signore e i fratelli, nel servizio del bene e perché il male sia vinto, « con lealtà e purezza di spirito » prega la Chiesa nella Colletta di questa Domenica. Sull’esempio di Gesù, che si offre al Padre sulla croce, noi dobbiamo imparare a vivere il nostro rapporto con Dio, nel compiere la sua volontà. Dall’Eucaristia che celebriamo possiamo attingere la forza per imitare Gesù e così poter vivere in conformità con il disegno di Dio, quotidianamente e fino in fondo, anche quando questo cammino si fa arduo, impegnativo ed esigente. Così l’Eucaristia viene realizzata pienamente nella vita. Se serviamo Dio veramente dobbiamo anche porci al servizio del prossimo, come Gesù che ha detto di essere venuto non per essere servito, ma per servire.
Nella preghiera della Colletta diciamo a Signore: « O Padre, che hai accolto l'intercessione di Mosè, dona alla Chiesa di perseverare nella fede e nella preghiera fino a quando farai giustizia ai tuoi eletti che a te gridano giorno e notte ».
Prima Lettura: Es 17,8-13.te
Lungo il cammino nel deserto, dopo l’esodo dall’Egitto, Mosè dice a Giosuè di scegliere alcuni uomini per combattere contro Amalek che contrasta il passaggio verso la terra promessa, mentre lui, andando sulla cima del colle, insieme ad Aronne e Cur, stando ritto con il bastone in mano, avrebbe invocato l’aiuto del Signore. Quando Mosè, pregando, teneva le braccia e le mani alzate, Israele prevaleva, ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalek. Poiché per la stanchezza Mosè non riusciva a stare in piedi, Aronne e Cur presero una pietra e ve lo fecero sedere sopra, mentre loro gli sorreggevano le mani, che rimasero ferme fino al tramonto del sole. Così Giosuè sconfisse Amalek e il suo popolo. L’intercessione di Mosè presso Dio ottiene il vantaggio in battaglia sul nemico, ma viene meno se lui smette di pregare. Attraverso la preghiera Dio fa passare la sua grazia e la sua forza per sconfiggere il male e le tentazioni. La preghiera, mettendo la forza dell’uomo in contatto con la potenza di Dio, può ottenere tutto.
Seconda Lettura : 2Tm 3,14-4,2.
Paolo esorta Timoteo a restare saldo in quello che ha imparato e a credere fermamente a quello che ha appreso dalle Sacre Scritture fin dall’infanzia ad opera di coloro che egli ben conosce. La Scrittura, ispirata da Dio, che è utile per insegnare, convincere, correggere ed educare alla giustizia, può istruirlo, cosicché, lui o ogni uomo di Dio, « sia completo e ben preparato per ogni opera buona ». Lo scongiura, inoltre, davanti a Dio e a Gesù, che verrà giudicare i vivi e i morti, quando si manifesterà, ad annunciare la Parola, insistendo « al momento opportuno e non opportuno, ammonendo, rimproverando ed esortando con magnanimità e insegnamento ».La Parola di Dio, cioè Gesù Cristo, deve rendere colui che è chiamato all’annunzio del Vangelo, nell’impegno del ministero apostolico, di essere ben saldo nella fede e capace di proclamarlo con forza e incessantemente, senza temere di rimproverare e ammonire coloro che se ne allontanano. Le Scritture ispirate da Dio sono punto di riferimento per tutti, specie per chi svolge il ministero dell’annunzio, per imparare da esse, insegnare, correggere e ispirarvisi per la propria condotta: non basta quindi leggerle, bisogna formarsi su di esse perché, l’apostolo, uomo di Dio, sia completo nella testimonianza di vita, per guidare bene la Chiesa.
Vangelo: Lc 18,1-8.
Nel Vangelo di oggi Gesù ci istruisce, come fece con i suoi discepoli, sulla necessità di pregare sempre e racconta la parabola di un giudice che, pur non temendo Dio e non avendo neppure riguardo per alcuno, è costretto a far giustizia ad una vedeva che, importunandolo spesso, gli chiedeva di farle giustizia contro un suo avversario. Se non l’esaudì però per un po’ di tempo, per non essere più importunato e, pur dicendo tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno”, le fa finalmente giustizia. Gesù conclude dicendo ai discepoli, i quali devono imparare dalla parabola, che Dio, a differenza di quel giudice che per non essere più importunato fa giustizia, non fa attendere a lungo i suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui: « Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? ». La perseveranza nella preghiera induce Dio ad ascoltare il grido di tutti coloro che subiscono ingiustizia, il grido dei poveri, degli oppressi. Allora non bisogna farsi prendere dalla delusione, o quasi dal risentimento contro Dio, perché non vediamo esaudite subito le nostre richieste. Gesù ci assicura che, se anche gli uomini non fanno giustizia a chi li implora, o se la fanno è per non essere più importunati, Dio la fa prontamente, perché ama i suoi eletti, i suoi figli, le sue creature, coloro che sono poveri, indifesi che subiscono ingiustizie da parte dei propri simili. Se la nostra esperienza sembra dirci il contrario, bisogna chiedersi cosa vuol dire per Dio « fare giustizia »: vuol dire realizzare il suo disegno d’amore per noi. Allora questo, per la nostra perseverante preghiera e se ci si rivolge a Dio con fede, si compie sicuramente e in modo infallibile. Dovremmo però pensare spesso alle ultime parole di Gesù dette ai discepoli e, oggi, anche noi: « Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fese sulla terra? ».
Ultimo aggiornamento (Sabato 15 Ottobre 2022 09:43)
Con l'EUCARISTIA ringraziamo Dio per la salvezza operata da Cristo e per tutti i suoi doni.
13 OTTOBRE – XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nell’Eucaristia che celebriamo noi, comunicando con il Corpo e Sangue di Gesù, ci alimentiamo alla stessa vita del Figlio di Dio. Più che di un rito esteriore o dell’assunzione dei simboli di Cristo, noi ci nutriamo del Corpo e del Sangue del Signore, della sua stessa Persona, realmente presente nel pane e nel vino, per opera dello Spirito Santo che viene invocato.
Dobbiamo allora prepararci degnamente a questo « banchetto della vita eterna ». Bisogna indossare l’abito nuziale, cioè essere nella grazia e nella carità di Dio e dei fratelli. E per questo, al Signore che scruta i pensieri e i sentimenti del cuore dell’uomo, prima di partecipare a questo banchetto, chiediamo perdono per le nostre colpe, per liberarci delle nostre ricchezze illusorie e poterci arricchire della sua presenza divina.
Nella preghiera della Colletta diciamo al Signore: « O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa ‘ che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio ».
Prima Lettura: 2 Re 5,14-17.
Viene narrata, in questa prima lettura dal Libro delle Cronache, la guarigione dalla lebbra del siro Naamàn, comandante dell’esercito del re di Aram. Costui, dopo essersi rifiutato di eseguire la parola del profeta Eliseo, convinto dai suoi servi, si immerse per sette volte nel Giordano, come gli aveva comandato il profeta e fu purificato dalla lebbra. Ritornato allora dal profeta, stando davanti a lui gli disse: « Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo ». Ma Eliseo gli rispose: « Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò ». E pur insistendo Naamàn, il profeta rifiutò. Davanti a tale categorico rifiuto, chiese al profeta almeno di caricare quanta terra del luogo poteva portare una coppia di muli, perché non intendeva compiere più altri olocausti in sacrificio ad altri dei, ma solo al Signore. Per la sua fede e umiltà Naamàn viene purificato avendo eseguito il comando del profeta di bagnarsi per sette volte nel Giordano. Il profeta, non accettando nessun dono, esprime il distacco dell’uomo di Dio da ciò che potrebbe essere un segno di ringraziamento per lui e manifesta che egli è solo strumento della grazia del Signore, solo al quale bisogna rendere grazie e servire, riconoscendolo come il Signore di tutti e di tutto il creato.
Seconda Lettura: 2Tm 2,8-13.
Paolo scrive a Timoteo di ricordarsi di Gesù Cristo, risorto dai morti e discendente di Davide, come egli annunzia nel suo Vangelo, e per il quale, come un malfattore, soffre in catene. E poiché la parola di Dio non può essere incatenata, egli sopporta tutto, perché quelli che Dio ha scelti raggiungano la salvezza in Cristo Gesù e partecipino della sua gloria.
« E’ degna di fede - scrive san Paolo - questa parola: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure i rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso ». Paolo e qualunque altro apostolo, nell’annunzio del Vangelo, pur non essendo esenti dalla sofferenza o dalle catene, come lui, non possono lasciarsi deprimere e scoraggiare, sicuri che la parola di Dio è efficace e non può essere imprigionata. Anzi, ed ecco il paradosso, è vantaggiosa per i credenti, perché è via per la salvezza degli eletti. I discepoli del Signore per partecipare alla gloria del Cristo devono passare per questa condizione: perseverare fedelmente fino a morire, se necessario, con Gesù e per Gesù.
Vangelo: Lc 17,11-19.
Il brano evangelico della Parola di Dio ci narra della guarigione operata da Gesù, mentre attraversa la Samaria e la Galilea, nel suo viaggio verso Gerusalemme. Gli vengono incontro dieci lebbrosi, che fermatisi a distanza, come prescrivevano le norme, gridano a Gesù dicendo: « Gesù, maestro, abbi pietà di noi! ». Gesù, vedendoli, dice loro: « Andate e presentatevi ai sacerdoti ». E mentre se ne vanno, sono purificati. Uno di loro, un samaritano, vistosi guarito, torna a lodare Gesù prostrandosi ai suoi piedi, per ringraziarlo. Gesù, allora, rivolto agli astanti, dice: « Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero ». Poi, rivoltosi a quell’uomo guarito dice: « Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato! ». La fede sincera, che ottiene da Dio ciò che gli chiediamo se conforme alla sua volontà, ha anche insito il sentimento del ringraziamento a Lui per i suoi molteplici doni. Ma spesso, indaffarati e occupati come siamo nelle nostre quotidiane faccende, o peggio nei nostri peccati, non ci accorgiamo dei suoi benefici e dimentichiamo il dovere di rendere grazie per quello che il Signore ci dona. Il lebbroso guarito, che torna indietro lodando Dio per la guarigione fisica e ringrazia Gesù, riceve anche la guarigione spirituale della salvezza. Il lebbroso, ritenuto come samaritano, ostile ai galilei e ai giudei, ci insegna che davanti a Dio solo una fede sincera ci fa ottenere dal Signore i suoi doni, specie quello più grande e spirituale del perdono dei peccati e della salvezza, e ad esserne riconoscenti.
La lebbra, malattia che colpisce il nostro corpo, specie negli arti, rendendo insensibile la nostra carne a qualunque stimolo esterno del caldo e del freddo o altro, è simbolo dei peccati di egoismo, di superbia, di chiusura su noi stessi, ecc., che si insinuano nel nostro spirito in maniera impercettibile, senza che ce ne accorgiamo, e ci rendono via via insensibili alle realtà spirituali di Dio, a quelle umane e sociali dei fratelli e anche al nostro vero bene. Per questa realtà di male quale guarigione siamo disposti a ricercare? Solo quella che può esserci data dalle scienze umane o anche quella spirituale che, nella fede, può darci solo Colui che guarisce nello spirito? Non dovremmo forse ricercare e chiedere entrambe?
La fede nel Signore in cui crediamo, fiduciosi nel perdono di Dio, ci faccia chiedere una completa guarigione di tutti i nostri mali, restituendoci la salvezza spirituale che ci renda sensibili all’amore di Dio e dei fratelli, al perdono reciproco e alla fraternità, al rispetto e all’accoglienza vicendevole di tutti coloro che ci tendono la mano e chiedono il nostro aiuto.
Ultimo aggiornamento (Sabato 12 Ottobre 2019 10:34)
Gli apostoli al Signore Gesù chiedono di accrescere in loro la fede.
6 OTTOBRE – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nel giorno del Signore, la comunità cristiana è riunita dal Padre attorno a Gesù Cristo, uniti dallo Spirito del Padre e del Figlio. Preghiamo non un Dio lontano, anonimo, ma ci rivolgiamo a Lui con la confidenza e la fiducia di figli. L’amore del Padre ci avvolge con la sua misericordia e ci dona le grazie, che vanno al di la dei nostri desideri e dei nostri meriti.
Nella preghiera della Colletta ci rivolgiamo a Dio con queste parole: « O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede quanto un granello di senape, donaci l’umiltà del cuore, perché cooperando con tutte le nostre forze alla crescita del tuo regno, ci riconosciamo servi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore».
Prima Lettura: Ab 1,2-3.2,2-4.
Il profeta Abacuc si rivolge al Signore chiedendogli perché non risponde alle sue implorazioni e non lo ascolta quando grida: « Violenza! » e non salva. Ancora. Vede l’iniquità e sta solo a guardare l’oppressione che gli uomini fanno agendo con violenze, rapine, liti e contese gli uni verso gli altri. Il Signore allora gli risponde dicendo di scrivere e incidere sulle tavolette la “ visione ” perché la si possa leggere facilmente. Essa attesta un termine e una scadenza, e se anche indugiasse, bisogna attenderla perché non tarderà ad avverarsi: « Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede ». Davanti al male, alle ingiustizie e ai disordini perpetrati dagli uomini del suo tempo, il profeta si lamenta davanti al Signore, come forse anche noi, a volte, facciamo. Il Signore ci risponde dicendo che bisogna avere fede in lui e attendere il compimento del suo disegno, nonostante il male che il profeta vede fare al re Ioachim, e noi gli uni verso gli altri. Non dubitare e avere fede ci fa conseguire la salvezza.
Seconda Lettura: 2 Tm 1,6-8.13-14.
L’Apostolo Paolo ricorda a Timoteo di ravvivare il dono di Dio ricevuto con l’imposizione delle mani avendo ricevuto uno spirito non di timidezza ma di forza, di carità e di prudenza. Lo esorta a non vergognarsi della testimonianza che deve dare al Signore Gesù né di lui. Gli chiede, inoltre, con la forza di Dio, di soffrire per il Vangelo, come fa lui che è in carcere per il Signore; di prendere come modello: « I sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù » e di custodire: « Mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato ».
Nell’esercizio del suo ministero episcopale, Timoteo non deve farsi vincere dalla timidezza, dalla paura, ma deve agire e perseverare nell’annunzio del Vangelo, con la forza che proviene dallo Spirito di Dio, ravvivando il « dono » ricevuto con l’imposizione delle mani e prendendo parte alle sofferenze dell’apostolo « per il Vangelo ». L’impegno apostolico e la custodia del Vangelo comportano spesso sofferenze e passione, ma lo Spirito del Signore rende testimoni fiduciosi e pieni di coraggio, come assicura Gesù.
Vangelo: Lc 17,5-10.
Alla richiesta fatta a Gesù dagli apostoli di accrescere la loro fede, egli risponde loro dicendo: « Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “ Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe ».
Poi, attraverso l’esempio di un padrone che al servo, che rientra dal lavoro nei campi o dal pascolo, non gli dice: « “Vieni subito e mettiti a tavola ”, ma piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu ”, e per questo non dovrà aver gratitudine verso quel servo perché ha eseguito gli ordini ricevuti », Gesù dice agli apostoli: « Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Senza la fede dice Gesù agli apostoli non si può essere suoi discepoli. Il valore e la preziosità della fede, anche se in modica quantità, purché autentica, può ottenere cose prodigiose. Essa ci mette in contatto con la potenza di Dio e ci fa realizzare ciò che chiediamo. Ma Gesù ci dice ancora che dopo aver assolto con diligenza, perseveranza e “scrupolosità” ai nostri doveri per Lui e per il Vangelo e al servizio dei fratelli, dobbiamo tutti considerarci servi inutili, che non si vantano e non accampano pretese su nessuno e che la salvezza che si consegue non si fonda sui nostri meriti, ma è solo dono della bontà e della grazia del Signore.