Gesù esige una sequela radicale e senza compromessi.
8 SETTEMBRE – XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nella celebrazione della Messa ci accostiamo a due mense: « quella della Parola di Dio » e « quella del pane della vita ». Entrambi questi doni sono lui stesso. E’ Cristo la Parola, la sapienza che è diffusa nella Scritture e soprattutto nel Vangelo, che ci guida e illumina nella vita quotidiana con il suo insegnamento, per una continua ricerca della volontà di Dio Padre, così come è il Pane della vita, datoci in cibo. In segno di riconoscenza a Dio per questi doni, noi celebriamo nella Messa il nostro ringraziamento e la nostra lode con la preghiera. Come figli lodiamo, adoriamo ed esprimiamo la pietà dei « figli adottivi, resi partecipi della vita divina, destinati alla vita eterna ed eredi del regno di Dio, pur nella nostra povertà e piccolezza ». Tutto questo lo condividiamo con i fratelli, con cui siamo uniti dalla stessa sorte, secondo quanto ci ha insegnato Gesù con il comandamento dell’amore fraterno, che compendia tutta la legge e i profeti.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, tu sai come a stento ci raf-figuriamo le cose terrestri, e con quale maggiore fatica possiamo rintracciare quelle del cielo; donaci la sapienza del tuo Spirito, perché da veri discepoli portiamo la nostra croce ogni giorno dietro il Cristo tuo Figlio».
Prima Lettura: Sap 9,13-18.
Nessuno, ci dice il Libro della Sapienza, può conoscere il pensiero di Dio, né cosa Egli vuole. Timidi sono i ragionamenti dell’uomo e incerte le sue riflessioni, perché il suo corpo corruttibile e d’argilla appesantisce l’anima e rende la mente piena di preoccupazioni. Chi può conoscere le cose celesti se a stento immaginiamo le terrene e fatica conosciamo quelle a portata di mano?. E’ per la sapienza data da Dio all’uomo e avergli inviato dall’alto il suo santo spirito che l’uomo può conoscere il suo volere. Per questo sono stati raddrizzati i sentieri di chi cammina sulla terra: gli uomini sono stati istruiti su ciò che è gradito al Signore e vengono salvati per mezzo della sapienza.
Seguire la sapienza di Dio, posta da lui nell’uomo, può farlo giungere alla salvezza. La sapienza è un dono di Dio e frutto dello Spirito Santo. Da solo, allora, l’uomo, con le sue sole forze, fa fatica a raggiungere la salvezza, perché nella sua fragilità non ne è facilmente capace. La venuta del suo Figlio, Sapienza eterna, ha portato agli uomini, nella pienezza dei tempi, la parola e la strada sicura per giungere alla salvezza.
Seconda Lettura: Flm 9,10.12-17.
Paolo, scrive a Filemone, che ha messo a disposizione dell’apostolo in catene lo schiavo Onèsimo, e lo esorta ed invita a trattarlo bene, perché l’apostolo lo ha generato per il battesimo come figlio ed è divenuto a lui caro. Pur desiderando tenerlo ancora con sé per assisterlo, rimandandolo a Filemone perché rimanga per sempre con lui, gli scrive: « Non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario». Ancora: lo esorta ad averlo non più come schiavo, ma come fratello carissimo: « in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore ». E se considera Paolo amico, accolga Onèsimo come se accogliesse lui. Discrezione e tenerezza caratterizzano le parole di Paolo nel ringraziare Filemone per aver messo a sua disposizione Onèsimo e nell’invitarlo a considerare questi, divenuto ormai cristiano da lui generato per il battesimo, come fratello nel Signore. La fede e la grazia, che ci rigenerano come figli di Dio, in Cristo Gesù, sono a fondamento della libertà e della fraternità cristiane, di cui sono insigniti i cristiani, che quindi agiscono con la libertà, la spontaneità e la validità derivanti dall’amore e non dalla costrizione.
Vangelo: 14,25-33.
Gesù, alla folla numerosa che lo segue, dice: « Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita non può essere mio discepolo » e prosegue ancora: « Colui che non porta la propria croce e non viene dopo a me, non può essere mio discepolo ». Parole forti e impegnative quelle del Signore, che non vogliono dire che non si debbano amare coloro che sono vicini a noi negli affetti, ma che questi affetti non devono precedere l’amore per lui e il seguirlo da discepoli. Attraverso due brevi parabole, della torre da costruire o del re che deve andare in guerra contro un altro re, Gesù insegna che bisogna ponderare le possibilità che ognuno ha, prima di intraprendere un’impresa, se può portarla compimento, per evitare di restare a metà dell’opera e di essere deriso, o di mandare un’ambasceria al nemico per chiedere la pace, se le sue forze militari sono inferiori e non rischiare la sconfitta. E conclude: « Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi avere, non può essere mio discepolo ». Per seguire il Signore sono necessarie determinazione, coerenza, ponderatezza e, in aggiunta, si richiede distacco da tutto, avendo solo Cristo come l’assoluto, a cui non anteporre nessun altro. Ogni altro legame, che non può essere trascurato, deve essere vissuto in lui. Seguire Cristo significa condividere il suo stesso destino, morto sulla croce: seguirlo portando ognuno dietro a lui la propria croce, che non manca a nessuno e, partecipando alle sue sofferenze, completare ognuno, nel proprio corpo, ciò che manca ai suoi patimenti a favore della Chiesa, come scrive Paolo. Alimentare il coraggio e seguirlo con la pazienza dei figli di Dio possiamo farlo vivendo il sacramento della Croce, l’Eucaristia.
"QUANDO SEI INVITATO VA' A METTERTI ALL'ULTIMO POSTO".
1 SETTEMBRE – XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Ogni domenica siamo radunati, convocati dalla Parola di Dio, per celebrare il « memoriale della Pasqua del Signore », per lodarlo, ringraziarlo e rinnovare il nostro impegno a vivere nella fedeltà a questa parola. In questo convito, imbandito dal Padre celeste, ci viene offerto il suo Figlio, Pane di vita. Celebrare l’Eucaristia significa comprendere e sperimentare quanto Dio ci ami e riceviamo lo stimolo e la grazia a corrispondere a questo amore, nella fedeltà di discepoli, pronti a portare ogni giorno dietro al maestro la propria croce.
L’amore che nutriamo per Cristo sarà genuino e sincero se lo esprimiamo anche verso i fratelli, poiché amare il prossimo vuol dire confermare il nostro amore per il Signore.
Oggi, nella colletta preghiamo il Signore dicendo: « O Dio, che chiami i poveri e i peccatori alla festosa assemblea della nuova alleanza, fa’ che la tua Chiesa onori la presenza del Signore negli umili e nei sofferenti, e tutti ci riconosciamo fratelli intorno alla tua mensa ».
Prima Lettura: Sir 3,17-18.20,28-29.
Il Siracide, comunicando al figlio la sapienza, lo esorta ad compiere le sue opere con mitezza, virtù superiore alla generosità, e a praticare l’umiltà, pur essendo nella grandezza, per trovare grazia davanti al Signore. Dio non rivela i suoi segreti ai molti uomini orgogliosi e ai superbi ma ai miti.
Dagli umili, , poiché grande è la potenza del Signore, è invece glorificato. Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, in lui è radicata la pianta del male. L’uomo sapiente medita le parabole e il saggio ha l’orecchio attento ai dettami del Signore. La meditazione, la modestia, l’umiltà davanti alla Parola di Dio, l’elemosina fatta nell’umiltà e non con alterigia, sono virtù che ci rendono graditi a Dio e ci fanno amare anche il prossimo. E facile incolpare gli altri se ci mancano di carità, ma sappiamo essere noi gradevoli e accettabili agli altri?
Seconda Lettura: Eb 12,18-19.22-24.
Nel brano di oggi l’autore della Lettera agli Ebrei ricorda ai cristiani che essi non si sono accostati a cose tangibili, come il fuoco, l’oscurità o tempesta, né a squilli di tromba o a suono di parole, comecoloro che udendole scongiuravano Dio di non rivolgere loro più la sua parola o i suoi segni. Al contrario, essi si sono accostati a realtà nuove: il monte Sion, la Gerusalemme celeste, la città del Dio vivente e a migliaia di angeli, all’adunanza e all’assemblea festosa di coloro i cui nomi sono scritti nei cieli, a Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti e in ultimo a Gesù, unico mediatore di nuova vita e di eterna alleanza. Gesù è colui, per mezzo del quale, abbiamo accesso al Padre e alle realtà celesti degli angeli e dei santi. I simboli del Vecchio Testamento, sono ormai passati, perché sono subentrate realtà nuove: la santità di Dio, la sua grazia, il suo perdono, la riconciliazione che Dio ha realizzato nella morte e nella resurrezione del suo Figlio. E se ancora usiamo i segni sacramentali, questi ci rendono parteci già, fin da ora, della vita divina e delle realtà celesti. Prendendo parte all’Eucaristia, in cui Gesù si dona a noi con il suo Copro e il suo Sangue, con gratitudine, riconoscenza e timore, per mezzo di lui, ci accostiamo a Dio, consapevoli che la nostra vita ormai deve essere trasformata dalla presenza santificante della potenza dello Spirito di Dio.
Vangelo: Lc 14,1.7-14.
Invitato Gesù, di sabato, nella casa di uno dei capi dei farisei a pranzo e notando come gli invitati sceglievano i primi posti, rivolse agli astanti una parabola dicendo: « Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “ Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “ Amico, vieni più avanti”. Allora ne avrai onore davanti ai commensali ». E concluse: « Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato ». Rivoltosi poi a colui che lo aveva invitato disse che, quando si offre un pranzo o una cena, più che invitare amici, fratelli, parenti, ricchi e vicini che possono contraccambiare, a loro volta, l’invito, al contrario bisogna invitare poveri, storpi, zoppi, ciechi, i quali non possono ricambiare. Allora si sarà beati, perché si riceverà la ricompensa alla risurrezione dei giusti.
L’ambizione di primeggiare può farci trovare in imbarazzo in tante circostanze, mentre l’umiltà è gradita ed elogiata. La superbia, l’orgoglio di sentirsi importanti, possono provocare situazioni incresciose e umilianti. La gratuità nel compiere il bene, e realizzarlo senza secondi calcoli, né per avere fraternità e la ricompensa la si deve attendere nell’altra vita.
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Ultimo aggiornamento (Mercoledì 28 Agosto 2019 18:49)
LA SALVEZZA E' UN DONO PER TUTTI I POPOLI.
25 AGOSTO – XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
E’ una santa assemblea quella che la Domenica si raduna per celebrare i misteri santi del Signore. E non siamo noi che li rendiamo santi, ma è Dio che santifica tutti quelli che, nella fede, si lasciano coinvolgere dalla sua opera e dal suo Santo Spirito. E’ « l’unico e perfetto sacrificio del Cristo » che ci ha redenti dal peccato, ci santifica con la sua presenza in noi, ci impreziosisce con la sua grazia santificante, ci rende « pietre vive », ci inonda con « la luce dello Spirito » che inabita in noi e ci conferisce la vera libertà dei figli di Dio.
Questa santità è dono gratuito della misericordia di Dio, che ha voluto riconciliarci a sé per mezzo del suo Figlio. A noi solo spetta il corrispondere a questo amore misericordioso, non perché costretti a compiere la sua volontà, ma per una corrispondenza d’amore. Dobbiamo essere forti e generosi, senza lasciarci distrarre da « parole o discorsi umani » e, anche fra le vicende alterne del mondo, mutevoli e ambigue, dobbiamo camminare nella santità di Dio, tenendo fissi i nostri cuori là « dove è la vera gioia e dove raggiungeremo la santità definitiva ».
Nella Colletta di questa Domenica preghiamo dicendo: « O Padre, che chiami tutti gli uomini per la porta stretta della croce al banchetto pasquale della vita nuova, concedi a noi la forza del tuo Spirito, perché unendoci al sacrificio del tuo Figlio, gustiamo il frutto della vera libertà e la gioia del tuo regno ».
Prima Lettura: Is 66,18-21.
Il Signore, per bocca del profeta, annunzia che egli realizzerà un raduno di tutte le genti, le quali vedranno la sua gloria. Porrà su di essi un segno e manderà i loro superstiti alle popolazione delle vicine Tarsis, Put, Lud, Mesec e alle isole, che non hanno udito parlare del Signore, per annunziare alle genti la sua gloria. Da tutte le genti saranno radunati, sul santo monte di Gerusalemme, tutti i loro fratelli, come i figli di Israele, che « portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore ». E tra tutti Dio prenderà sacerdoti leviti per il servizio nel suo tempio. E’ annunziata, quindi, dal profeta, come dono di Dio e non per i propri meriti, la salvezza universale per tutti i popoli, che insieme agli ebrei si dedicheranno al culto dell’unico Signore, senza che nessuno sarà escluso. Il Vangelo di Cristo è destinato a tutte le genti.
Seconda Lettura: Eb 12,5-7.11-13.
La lettera agli Ebrei esorta i cristiani a non disprezzare la correzione del Signore e a non scoraggiarsi quando si è ripresi da lui, perché egli « corregge colui che ama e percuote chiunque riconosce come figlio ». Dio ci tratta come figli e « qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo, sono stati addestrati». Conclude l’esortazione invogliando a rinfrancare le mani inette, ele ginocchia fiacche e camminare diritti, perché « il piede che zoppica non abbia storpiarsi, ma piuttosto a guarire ». La sofferenza è da considerarsi senza senso? E se il Figlio di Dio ha accettato la sofferenza della passione e della croce, allora, per Dio, essa ha un senso. Nel Figlio e in noi, Dio Padreha voluto porre la correzione, che induce sofferenza, come segno d’amore, ma non ci si deve fare abbattere o avvilire da essa, perché la tristezza che essa provoca deve essere animata dalla speranza che veniamo guariti spiritualmente, in quanto il Signore ci farà cogliere « il frutto di pace e di giustizia ».
Vangelo: Lc 13,22-30.
Mentre Gesù va verso Gerusalemme, insegnando in città e villaggi e chiedendo di convertirsi al regno di Dio, un tale gli chiede: « Signore, sono pochi quelli che si salvano? ». Gesù, rispondendo agli astanti, dice che per entrare nella salvezza la porta è stretta e molti cercheranno di entrarvi senza riuscirvi. Chiusa la porta, coloro che rimarranno fuori e busseranno alla porta, invocando che questa venga aperta, si sentiranno rispondere: « Non so di dove siete ». E pur rivendicando, davanti al Signore, coloro che rimangono fuori di aver mangiato e bevuto in sua presenza e che egli ha insegnato nelle loro piazze, ad essi egli dichiarerà:« “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori d’ingiustizia” ». Lasciati, allora, “là dove ci sarà pianto e stridore di denti”, pur vedendo Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, essi saranno cacciati fuori. Conclude Gesù dicendo: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco , vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi ».
Partecipare della salvezza richiede sforzo e impegno di conversione. Le parole servono a poco, perché, dice Gesù: « Non chiunque mi dice: ”Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli »
( Mt 7,21). Non basta neppure aver predicato nel suo nome per essere riconosciuti da lui e accolti. Essere stati eletti da Dio per primi o aver avuto la preferenza divina, come l’Israele storico, non serve a chi rigetta Gesù Cristo. Avranno la precedenza quanti sono venuti dopo, cioè i gentili, che hanno accolto il Vangelo e vi hanno creduto, convertendosi alla grazia e all’amore di Dio e mettendo in pratica l’invito a convertirsi a lui. E’ sempre attuale questa sostituzione, per cui saranno seduti alla mensa del Regno di Dio chi risponde, con fedeltà e coerenza operosa, alla sua chiamata.
AVVISI SACRI
1) 26 Agosto la Santa MESSA sarà celebrata nella cappellina di Santa Liberata, presso la
Fam. Consentino, alle ore 18.30.
2) SABATO 31 Agosto non sarà celebrata la Messa Vespertina.
3) DOMENICA, 1 SETTEMBRE, le sante MESSE, saranno celebrate
alle ore 08.15 e alle ore 19.00. La Messa delle 10.30 nonsarà celebrata.
4) Negli altri giorni, Giovedì, Venerdì, Sabato e Lunedì, non viene celebrata la Santa Messa
vespertina.
Il Parroco.
Dio veglia su suo profeta, lo difende e lo libera.
18 AGOSTO – XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nell’incontro che viviamo la Domenica nell’Eucaristia noi incontriamo Dio personalmente, poiché il Figlio di Dio si rende presente con il suo Corpo e il suo Sangue. Noi offriamo a Dio il pane e il vino, che sono certo doni divini anche se sono frutto della terra e del nostro lavoro, ma in cambio riceviamo Dio stesso, realmente presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. E’ un misterioso incontro tra la nostra povertà e la grandezza di Dio che ci ha fatti, al di là della nostra esistenza creaturale, suoi figli, « amici e commensali ». E’ un giorno da vivere nella gioiosa assemblea dei figli di Dio. La Chiesa « canta nel tempo la beata speranza della risurrezione finale » e proclama « la certezza di partecipare un giorno al festoso banchetto del regno ». La gioia deve diventare continua testimonianza, con parole e opere, di ciò che il Signore ha operato per gli uomini.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo:« O Dio, che nella croce del tuo Figlio, segno di contraddizione, riveli i segreti dei cuori, fa’ che l’umanità non ripeta il tragico rifiuto della verità e della grazia, ma sappia discernere i segni tempi per essere salva nel tuo nome ».
Ger 38,4-6.8.10.
Il re Sedecia, davanti alla richiesta che i capi del popolo gli fanno di mettere a morte Geremia, il quale scoraggiando i guerrieri e il popolo non cerca, a loro parere, il benessere del popolo ma il male, risponde: « Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi ». Allora i capi presero Geremia e lo calarono nella cisterna di Malchia, dove non c’era acqua ma fango. Ma Ebed-Mèlec dice al re, intercedendo per il profeta, che quegli uomini hanno agito male facendo ciò che hanno fatto a Geremia, perché questi morrà di fame non essendoci più pane nella città. Sedecìa, allora, diede l’ordine all’etiope Ebed-Melèc di prendere tre uomini e di tirare il profeta dalla cisterna, prima che possa morire.
Per il messaggio che il profeta dà agli abitanti di Gerusalemme, nel nome di Dio, egli è perseguitato e condannato a morte: la parola di Dio del profeta, che richiama il popolo a fidarsi del Signore e non ai propri calcoli politici, non è gradita ai capi, che quindi istigano il re a mettere a morte il profeta. Non accolgono l’invito del Signore alla conversione e credono, vanamente, che Gerusalemme non sarà distrutta e l’esilio è scongiurato. Il profeta che sopporta la persecuzione, perché non accetto al popolo, è simbolo di Cristo, il giusto che viene condannato perché annunzia la verità e la sua fedeltà a Dio, suo Padre. Il profeta che viene tirato fuori dalla cisterna, prefigura ancora Cristo, che dopo la sua passione, morte e sepoltura, viene fatto risorgere glorioso, per la potenza del Padre. Fidarsi, allora, di Dio e seguirlo significa non essere destinato alla perdizione.
Eb 12,1-4.
L’autore della Lettera agli Ebrei esorta i cristiani perché, confortati dalla moltitudine dei testimoni della fede, deposto ciò che appesantisce la vita spirituale e il peccato, corrano, con perseveranza, nella vita di sequela del Cristo, « tenendo fisso lo sguardo su Gesù, Colui che dà origine alla fede e la porta a compimento ». Gesù, infatti, davanti alla gioia che gli era posta dinnanzi, si è sottoposto alla croce e ha disprezzato l’ignominia da essa derivante e, ora, siede alla destra del trono di Dio. L’autore esorta, ancora, a pensare a Colui che ha sopportato contro di sé l’ostilità dei peccatori, affinché non si stanchino, perdendosi d’animo, perché non hanno resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
Gesù, Colui che dà origine alla fede e la porta a compimento, è così il modello di coloro che si consegnano a Dio totalmente. Egli si abbandona al Padre, affrontando la morte di croce, per adempiere, non per costrizione ma liberamente, la sua volontà. E il Padre per questa sua obbedienza filiale lo glorifica e lo costituisce Signore, al di sopra degli angeli e di ogni potestà. Con il suo esempio il Signore ci sostiene e ci stimola a perseverare nel cammino quotidiano anche se intriso di sofferenze, a non stancarci e a non cedere: se saremo stati conformi a lui nella morte, lo saremo nella sua risurrezione, ci dice San Paolo. Il disprezzo dell’ignominia della croce, l’accoglienza delle sofferenze, accettate nella pazienza dei figli di Dio, come Gesù, ci dà la forza di resistere.
Vangelo: Lc 12,49-53.
Gesù, nella pagine del Vangelo di oggi, ci dice che egli è venuto a « gettare un fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! ». E’ inoltre angosciato finché non si compia il battesimo nel quale sarà presto battezzato, cioè il suo sacrificio sulla croce, con lo spargimento del suo sangue, per la salvezza degli uomini. Egli, ancora, afferma che non è venuto a portare la pace sulla terra, ma la divisione, perché, davanti a lui, bisogna fare una scelta di vita che porta a distaccarsi da chi non vuole seguirlo: ci si dividerà « se in una famiglia vi sono cinque persone, tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera ». Gesù, preso completamente dalla tensione e dal desiderio per il battesimo di sangue che sta per ricevere, si prepara, immergendovisi, nella passione che accetta per la salvezza degli uomini. Con il fuoco dello Spirito che brucia, egli viene a purificare l’umanità.
Il Vangelo, per la scelta che bisogna fare di fronte a Cristo, divide, e per questo Gesù dice che non è venuto a portare la pace, gli accomodamenti, ma la divisione. La scelta di Gesù, allora, non è determinata più dai legami di sangue, che passano in secondo ordine: la scelta di Cristo è assoluta. Tale scelta è possibile se si comprende, con la sapienza evangelica, che ci fa individuare in Cristo il compimento del disegno salvifico, disposto da Dio, discernendo così i segni del tempo della salvezza.
Dagli scritti e insegnamenti spirituali del beato Doroteo di Gaza, abate.
La dolcezza di stare vicino a Dio
San Giovanni nelle lettere cattoliche dice: « L’ amore perfetto scaccia il timore»
( 1Gv 4,18). Che cosa vuol dirci il santo con queste parole? Di quale amore e di quale timore intende parlare? Il profeta nel salmo dice: « Temete il Signore, voi tutti suoi santi » ( Sal 33,10) e possiamo trovare mille altri passi analoghi nelle sante Scritture. Dunque se perfino i santi, che hanno tanto amore per Dio, lo temono, come mai dice: « L’amore perfetto scaccia il timore »?
Il santo apostolo ci vuole indicare che ci sono due tipi di timore, l’uno iniziale, l’altro perfetto; mentre l’uno è proprio di chi, per così dire, è ancora un principiante nella vita spirituale, l’altro, invece, è il timore che provano i santi ormai pervenuti alla perfezione, al massimo grado del santo amore. Ad esempio: uno fa la volontà di Dio per paura del castigo: costui si trova ancora all’inizio, come ho già detto, non compie ancora il bene per se stesso, ma per timore di ricevere il castigo. Un altro fa la volontà di Dio per amore di Dio stesso, perché vuole sopra ogni altra cosa essergli gradito: costui sa che cosa è il bene in se stesso, costui sa che cosa significa essere in intimità con Dio.
Ecco, questi è colui che possiede il vero amore, quello che l’apostolo chiama perfetto, e questo amore lo porta al perfetto timore. Perché egli ormai teme e custodisce la volontà di Dio, non più per timore di ricevere colpi o per essere castigato, ma, come ho detto, perché ha gustato la dolcezza stessa di essere accanto a Dio e teme di perderla, terme di esserne privato. Questo timore perfetto, nato da questo amore, scaccia il timore iniziale. Ed è per questo che Giovanni dice: « L’amore perfetto scaccia il timore ». Ma è impossibile giungere al perfetto timore, se non si passa prima per quello iniziale.
Sono tre i modi, come dice san Basilio, con cui possiamo piacere a Dio. Possiamo piacergli per timore del castigo, e siamo così nella condizione di servi, oppure pensiamo di riceverne un guadagno, e così facciamo tutto quello che ci viene ordinato in vista del nostro vantaggio e in questo senso siamo come dei mercenari oppure facciamo il bene per se stesso e siamo nella condizione di figlio. Quando il figlio infatti arriva all’età della ragione e non fa la volontà del padre per timore del castigo o per riceverne una ricompensa, ma per amore, e mantiene per lui l’amore e il rispetto dovuti a un padre nella convinzione che tutto ciò che appartiene al padre è suo. Costui, come dicevamo, non teme più Dio di quel timore iniziale, ma ama, come di sant’Antonio: « Ormai non temo più Dio, lo amo ». E quando il Signore dopo che Abramo gli aveva sacrificato il figlio gli disse: « Ora so che tu temi Dio »
( Gn 22,12) voleva parlare di quel perfetto timore che nasce dall’amore. Come avrebbe potuto dire: « Ora so »? Perdonatemi, quali opere aveva compiuto Abramo! Aveva obbedito a Dio, aveva abbandonato tutti i suoi beni, se ne era andato in terra straniera, in mezzo ad un popolo idolatra dove non vi era nemmeno traccia del culto di Dio, e per di più aveva sopportato anche la terribile prova del sacrificio del figlio, e dopo tutto questo Dio gli aveva detto: « Ora so che tu temi Dio »; è chiaro che intendeva parlare del timore perfetto, quello dei santi. I santi non fanno più la volontà di Dio per timore del castigo o per riceverne una ricompensa, ma perché lo amano, come ho ripetuto più volte, e temono di fare qualche cosa contro la volontà di colui che amano. Per questo l’apostolo dice: « L’amore scaccia il timore ». I santi non agiscono più per timore, ma temono per amore.
ASSUNZIONE AL CIELO DELLA BEATA VERGINE MARIA, IN ANIMA E CORPO.
15 AGOSTO – ASSUNZIONE DI MARIA AL CIELO.
Quando diciamo « Padre nostro, che sei nei cieli » più che intendere un luogo materiale in cui dimora Dio( anche se Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo, come recitava un tempo la risposta alla domanda: Dov’è Dio), dobbiamo intendere una esistenza diversa da quella materiale, terrena in cui viviamo noi, una esistenza nello spirito e nella immaterialità. Celebrando la solennità della assunzione della Beata Vergine al cielo, allora, crediamo che anche Maria come Gesù, che in anima e corpo risorto vive nell’esistenza divina di Verbo del Padre, vive nell’esistenza immortale, nella comunione eterna di Dio, in anima e corpo. Celebrando Maria noi celebriamo la sorte gloriosa che attende tutti noi, perché lei, dopo Gesù, è segno di sicura speranza di risurrezione e di vita in Dio. Come Maria che già vive nella gloria di Dio e nella sua presenza, anche noiaspiriamo a vivere in piena comunione con Dio.
Maria assunta perché Madre di Dio.
Se la morte, dice la Scrittura, è entrata nel mondo come conseguenza del peccato originale e della disobbedienza dell’uomo a Dio ( Rm 5,17-21), così il Cristo, il Figlio di Dio, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria ( Lc 1,31.35), per la sua obbedienza “fino alla morte e a una morte di croce ( Fil 2,8), è divenuto causa di salvezza per coloro che gli obbediscono (Eb 5,9), e riconciliandoci con Padre, con la sua risurrezione è divenuto primizia di coloro che risorgono dai morti (Cor 1,15-28) e sono destinati alla risurrezione e alla vita in Dio.
Da ciò deriva che la Beata Vergine Maria, avendo ricevuto per singolare privilegio di essere esente dalla disobbedienza di Adamo, ed essendosi come Gesù resa obbediente al progetto di Dio con il suo “sì” alla Maternità del Figlio, non ha sperimentato la morte ed ha ottenuto un’esistenza in anima e corpo in Dio come il suo Figlio, partecipando della sua stessa gloria.
Maria, che ha accolto il Figlio di Dio con la fede nel suo cuore, lo ha generato nel suo grembo per opera dello Spirito, divenendo l’Arca di Colui che avrebbe instaurato una Nuova ed Eterna Alleanza ed è stata unita a lui in tutta la sua vita terrena, sempre per un “ conveniente dono di grazia” , partecipa pienamente della stessa gloria del Figlio nella Gerusalemme celeste. Anche in cielo Ella è “Arca dell’Alleanza”, come ci dice la Lettura dell’Apocalisse, “donna vestita di sole” che partorisce il bambino “rapito verso Dio e verso il suo trono”, compiendosi così “la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo”.
« Maria, attraverso la quale Dio ha realizzato sulla terra il suo progetto di salvezza, incarnandosi e portando a compimento la nuova alleanza, è Colei che gode della piena realizzazione dell’alleanza che si colloca oltre la storia umana, nel regno di Dio, nella risurrezione della carne, nel cielo ». (Dal Messale delle Domeniche e Feste,2013, Ed Elledici). E’in questa prospettiva di fede che i cristiani celebrano questa Festa solenne della Assunzione al cielo di Maria in anima e corpo.
Le grandi opere compiute in Maria dall’Onnipotente..
Ciò che celebriamo, l’Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria, è una delle tante meraviglie che Dio ha operato in lei. Tutto è opera di Dio e che Maria è stata scelta, nonostante la sua umiltà e fragilità, ad essere la Madre del Figlio di Dio, è un dono gratuito di predilezione del Padre. Anche noi siano, dalla creazione fino alla nostra definitiva salvezza operata da Cristo, oggetto dell’amore gratuito di predilezione di Dio Padre che, avendoci incorporati al suo Figlio mediante il battesimo, ce l’ha donata come nostra Madre. Per questo le tributiano la nostra venerazione e la poniamo accanto a Gesù, assunta in cielo, da dove esercita anche verso di noi la sua maternità.
Maria è la primizia dell’umanità salvata e rinnovata dalla misericordia di Dio per mezzo del suo Figlio ed è posta e celebrata come segno di speranza per noi che aneliamo al cielo per essere insieme a Cristo, nostro Capo, e a lei, nostra Madre.
Dio che « Rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi » compie le sua meraviglie quando l’uomo pone, non nell’abbondanza dei beni né nel potere o nell’onore del mondo, ma nella comunione e nell’amore con lui la sua vita. Maria, avendo vissuto qui in terra in comunione con la Trinità nel suo compito di Madre, oggi è in cielo, con tutto il suo essere, anima e corpo, a partecipare della pienezza della gioia e della gloria di Dio. Maria, primizia e immagine della Chiesa, segno di consolazione e di sicura speranza, attende noi suoi figli, ancora peregrinanti in questa terra d’esilio, e intercede per la nostra definitiva salvezza insieme al Figlio presso il Padre.
Maria ci ha preceduto nella gloria celeste.
Se Maria, per il suo ruolo nel progetto di Dio, è stata fatta oggetto di singolari privilegi, non vuol dire che noi dobbiamo porla su un piedistallo di grandezza discriminatoria, perché tutti in Cristo, per volontà del Padre. « siamo stati scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità » ( Ef1,4), predestinati ad essere figli adottivi ed eredi della stessa gloria del Figlio.
Come per Gesù, con il corpo risorto e asceso alla destra del Padre, e Maria, assunta anche lei con il corpo nella gloria, anche noi parteciperemo nella risurrezione alla loro stessa gloria: il nostro corpo si ricongiungerà al nostro spirito e con tutto il nostro essere vivremo nella pienezza di Dio.
L’Eucaristia che celebriamo, mediante l’opera dello Spirito Santo che rende presente Cristo con il suo Corpo e il suo Sangue, ci trasforma in Cristo e diveniamo già partecipi dei beni futuri, di cui essa è caparra e anticipazione di immortalità.
« L’Eucaristia è pane di vita eterna per la comunione con lo stesso Gesù che Maria ha portato in grembo e dunque con quel Gesù con cui vive nella pienezza della sua femminilità, maternità, familiarità, con le storie vissute e i sentimenti nutriti » (Messalino delle Domeniche e Feste, Ed.Elledici, 2013).
Prima Lettura: Ap 11,19.12,1-6.10.
La liturgia trova l’ evocazione di Maria nell’arca dell’alleanza del santuario celeste e nella donna vestita di sole che partorisce un figlio, sottratto alle forze del male rappresentate nel drago. L’Apocalisse descrive la parabola della Chiesa, poiché alla Chiesa immediatamente si riferisce l’immagine della donna incoronata da dodici stelle. Ma Maria è nella Chiesa, come tipo ed esemplare, a sostenere le vicissitudini del popolo nuovo che rivive il cammino del deserto, protetto dalla potenza e dalla regalità di Cristo.
Seconda Lettura: 1 Cor 15, 20-27.
Gesù è risorto come primo: a lui, e a sua immagine, seguiranno quelli che « sono di Cristo », cioè quelli che hanno creduto in lui e ne hanno ricevuto la vita. Tra tutti questi la prima è Maria, che di Cristo è la Madre.
Vangelo: Lc 1,39-56.
Maria è stata scelta da Dio per pura grazia. Questa consapevolezza fa scaturire in lei il gioioso riconoscimento della bontà di Dio, che compie opere grandi in quanti si affidano a lui e in lui pongono ogni speranza.
Sia Elisabetta sia Maria gioiscono in Dio, che riconoscono come loro Salvatore che ha realizzato le promesse incarnandosi, offrendo la sua vita per amore sulla croce e risorgendo. Alla realizzazione di queste promesse partecipa innanzitutto Maria, la Madre, Colei che ha creduto; vi partecipiamo poi anche noi, perché anche noi siamo destinati come il Cristo, di cui siamo membra, alla risurrezione e alla vita in Dio per l’eternità.
COMUNICAZIONI PARROCCHIALI
1) Il giorno 15 Agosto, Solennità della ASSUNZIONE al Cielo della BEATA VERGINE MARIA, le Sante MESSE saranno celebrate alle Ore 08.15 - 10.30 - 19.00.
2) Il giorno 16 Agosto, Festa della MADONNA DEL CARMELO, Patrona di Leonforte, la Santa MESSA sarà celebrata solo alle Ore 19.00.
3) Il giorno 18 Agosto, essendo Domenica e non potendo celebrarela Festa di Sant’ELENA nella Grotta a Lei dedicata, la celebrazione in suo onore e la Santa MESSA saranno trasferite al giorno 22 AGOSTO, alle ore 18.30, presso il sito archeologico.
4) Il giorno 26 Agosto, Lunedì, faremo la celebrazione d Santa Liberata , presso la Famiglia
Consentino. Il Parroco