LE CENERI: INIZIO DELLA QUARESIMA E TEMPO DI CONVERSIONE AL SIGNORE.
QUARESIMA 2019
MERCOLEDI’ DELLE CENERI
Ogni tempo della vita del credente è tempo favorevole per accogliere la grazia di Dio, ma in maniera particolare la quaresima per rivedere la nostra vita, il nostro rapporto con Dio che ci ha riconciliati con sé mediante , Cristo Gesù, che il Padre ha fatto peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. Guardando a Cristo siamo chiamati a risorgere a immagine del Signore risorto.
La Quaresima è la via concreta, umile e praticabile secondo le possibilità di vita di ognuno: attraverso l’elemosina, la preghiera, e il digiuno, siamo invitati a ridurre in polvere l’uomo vecchio che ci ritroviamo, spesso ripiegato su noi stessi e sul nostro egoismo. Pur ricordandoci la celebrazione odierna che « siamo polvere e in polvere ritorneremo », questo tempo è finalizzato a farci aprire all’azione dello Spirito, per riprende la vita divina, ricevuta nel battesimo, risorgendo con Cristo.
Poiché il cristiano sperimenta , pur avendo ottenuto misericordia ed essere entrato nel percorso della salvezza con il battesimo, , per l’inclinazione al male e al peccato, le debolezze e le cadute, la riconciliazione che Dio ci offre nella sua misericordia in questo tempo quaresimale, possiamo attingerla abbondantemente,
Rinnovati, così, attraverso la Penitenza sacramentale, riconciliati con Dio con il suo perdono, ritorniamo ad essere nuovi, capaci di riconciliarci con noi stessi e con i fratelli nella giustizia e nella carità.
Nella preghiera iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino d vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo Spirito del male ».
Prima Lettura: Gl 2,12-18
Il profeta Gioele si rivolge anche a noi, come al popolo di Israele, nel suo tempo, l'invito a ritornare al Signore con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti, lacerandosi il cuore e ritornando al Signore, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore, pronto a ravvedersi riguardo al male, donando all’uomo la sua benedizione.
Nell’invito che il profeta fa di ritornare al Signore vi è il desiderio di Dio ad annullare la distanza che ci separa da lui, di tirarci fuori dal deserto e dall’aridità in cui viviamo senza di lui per ritornare nella comunione con lui.
Seconda Lettura: 2Cor 5,20-6,2
L’esortazione che l’apostolo Paolo, oggi, ci rivolge a riconciliarci con Dio, nella seconda lettura, diventa l’invito che la Chiesa rivolge a tutti gli uomini per convertirsi e ritornare all’abbraccio del Padre, che largamente perdona e usa verso i peccatori una misericordia così grande da superare l’altezza che c’è tra il cielo e la terra, la distanza tra l’oriente e l’occidente, come dice il Salmo 102, altezza e distanza che non si possono misurare.
Per dimostrare che grande è la misericordia di Dio verso le sue creature, Paolo ci ricorda che » Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio « e ci esorta a lasciarci riconciliare con lui, attraverso l’opera di coloro che ha voluto come collaboratori, accogliendo la sua grazia e la sua salvezza, in questo tempo favorevole.
Vangelo: Mt 6,1-6.16-18
Gesù ci esorta nel Vangelo a non praticare la giustizia davanti agli uomini per farsi ammirare da loro e in maniera farisaica, perché non si avrebbe nessuna ricompensa dal Padre celeste. Né praticare l’elemosina per le strade e tra gli uomini richiamando l’attenzione di tutti, ma viverla nel segreto, solo desiderosi di voler aiutare il fratello in necessità. Né a pregare ovunque per essere visti dagli altri, ma entrare nel segreto del proprio cuore, dove Dio vede e ricompensa. Né digiunare diventando malinconici, con aria disfatta per farsi vedere, ma « Quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà ».
AVVISI e APPUNTAMENTI QUARESIMALI
- Tutti i Venerdì di Quaresima si è tenuti ad osservare l’astinenza dalle carni.
- Tutti i Venerdì sarà celebrato il Pio esercizio della Via Crucis in parrocchia, alle ore 19.00, dopo
la Celebrazione della Santa Messa.
- Anche per questo tempo di Quaresima sarà a disposizione il sussidio per meditare ogni giorno la
Parola di Dio.
Altre attività da vivere in questo tempo quaresimale saranno rese note lungo questo periodo.
Il digiuno che è gradito a Dio
Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce; dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati.
Mi ricercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio:
«Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi,così da fare udire in alto il vostro chiasso.
È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua gente?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. La tua gente riedificherà le antiche rovine, ricostruirai le fondamenta di epoche lontane.
Ti chiameranno riparatore di brecce, restauratore di case in rovina per abitarvi.
Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Cap. 7, 4–8, 3; 8, 5–9, 1; 13, 1-4; 19, 2; Funk 1, 71-73. 77-78, 87)
Fate penitenza
Teniamo fissi gli occhi sul sangue di Cristo, per comprendere quanto sia prezioso davanti a Dio suo Padre: fu versato per la nostra salvezza portò al mondo intero la grazia della penitenza.
Passiamo in rassegna tutte le epoche del mondo e constateremo come in ogni generazione il Signore abbia concesso modo e tempo di pentirsi a tutti coloro che furono disposti a ritornare a lui. Noè fu l’araldo della penitenza, e coloro che lo ascoltarono furono salvi. Giona predicò la rovina ai Niniviti, e questi, espiando i loro peccati, placarono Dio con le preghiere e conseguirono la salvezza. Eppure non appartenevano al popolo di Dio.
Non mancarono mai ministri della grazia divina che, ispirati dallo Spirito Santo, predicassero la penitenza. Lo stesso Signore di tutte le cose parlò della penitenza impegnandosi con giuramento: Com’è vero ch’io vivo – oracolo del Signore – non godo della morte del peccatore, ma piuttosto della sua penitenza.
Aggiunse ancora parole piene di bontà: Allontànati, o casa di Israele, dai tuoi peccati. Di’ ai figli del mio popolo: Anche se i vostri peccati dalla terra arrivassero a toccare il cielo, fossero più rossi dello scarlatto e più neri del silicio, basta che vi convertiate di tutto cuore e mi chiamiate «Padre», e io vi tratterò come un popolo santo ed esaudirò la vostra preghiera (cfr. Ez 33, 11; Os 14, 2; Is 1, 18, ecc.).
Volendo far godere i beni della conversione a quelli che ama, pose la sua volontà onnipotente a sigillo della sua parola.
Obbediamo perciò alla sua magnifica e gloriosa volontà. Prostriamoci davanti al Signore supplicandolo di essere misericordioso e benigno. Convertiamoci sinceramente al suo amore. Ripudiamo ogni opera di male, ogni specie di discordia e gelosia, causa di morte. Siamo dunque umili di spirito, o fratelli. Rigettiamo ogni sciocca vanteria, la superbia, il folleorgo- glio e la collera. Mettiamo in pratica ciò che sta scritto. Dice, infatti, lo Spiri-to Santo: Non si vanti il saggio della sua saggezza, né il forte della sua forza, né il ricco delle sue ricchezze, ma chi vuol gloriarsi si vanti nel Signore,ri- ricercandolo e praticando il diritto e la giustizia (cfr. Ger 9, 23-24; 1 Cor 1, 31, ecc.).
Ricordiamo soprattutto le parole del Signore Gesù, quando esortava alla mitezza e alla pazienza: Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate, perché anche a voi sia perdonato; come trattate gli altri, così sarete trattati anche voi; donate e sarete ricambiati; non giudicate e non sarete giudicati; siate benevoli e sperimenterete la benevolenza; con la medesima misura con cui avrete misurato gli altri, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 5, 7; 6, 14; 7, 1. 2. 12, ecc.).
Stiamo saldi in questa linea e aderiamo a questi comandamenti. Camminiamo sempre con tutta umiltà nell’obbedienza alle sante parole. Dice infatti un testo sacro: Su chi si posa il mio sguardo se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? (cfr. Is 66, 2).
Perciò avendo vissuto grandi e illustri eventi corriamo verso la meta della pace, preparata per noi fin da principio. Fissiamo fermamente lo sguardo sul Padre e Creatore di tutto il mondo, e aspiriamo vivamente ai suoi doni meravigliosi e ai suoi benefìci incomparabili.
Ultimo aggiornamento (Mercoledì 06 Marzo 2019 17:12)
La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
3 FEBBRAIO – VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Se, partecipando all’Eucaristia, comprendessimo la profondità della grazia e del dono che Dio Padre ci fa nel suo Figlio, capiremmo quale grande amore ha Dio per noi, la sua provvidenza, la sua misericordia. In essa non riceviamo un simbolo ma la realtà del Corpo e Sangue del Figlio di Dio, che si rende presente per la potenza dello Spirito Santo. Questo convito è l’inizio della comunione con Dio. Vissuto nella speranza di partecipare alla perfetta comunione con lui nella vita eterna, è un pegno della gloria futura. Questa commensalità , questa « alleanza nuova ed eterna » dà ai cristiani di dedicarsi non solo alla lode e al ringraziamento a Dio per le meraviglie operate per gli uomini, ma anche dedicarsi al servizio dei fratelli.
Nella preghiera dell’Eucaristia ci rivolgiamo a Dio dicendo: « La tua parola che risuona nella Chiesa, o Padre, come fonte di saggezza e norma di vita, ci aiuti a comprendere e ad amare i nostri fratelli, perché non diventiamo giudici presuntuosi e cattivi, ma operatori instancabili di bontà e di pace ».
Prima lettura: Sir 27,4-7
Il libro del Siracide, nel suo complesso, esprime la sapienza non solo umana che l’esperienza ha codificato, ma anche quella che è ispirata da Dio, così come credono coloro che accolgono la Sacra Bibbia come ispirata. Il nostro parlare riflette lo spirito e i sentimenti che ci sono in noi, per cui come il ceramista mette alla prova con il fuoco i vasi di creta che ha modellato « così il modo di ragionare è banco di prova per un uomo ». Come il frutto dimostra la natura dell’albero « così la parola rivela i pensieri del cuore ».
Seconda lettura: 1 Cor 15,54-58
San Paolo, scrivendo ai Corinti, ricorda loro e a noi che dobbiamo rendere grazie a Dio perché nel nostro corpo, nativamente corruttibili e mortali, siamo chiamati a rivestirci dell’incorruttibilità e dell’immortalità. Infatti, come dice la Scrittura : « La morte è stata inghiottita nella vittoria » del Cristo risorto, cosicché la morte non può vantarsi della sua vittoria sul nostro corpo, ha perso il suo pungiglione « che è il peccato e la forza del peccato è la Legge ». Ci esorta a « rimanere saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la nostra fatica non è vana nel Signore ».
La Pasqua di Cristo è la vittoria, anche per noi, sulla morte: questo ci dà la certezza di fede che, aldilà della morte, siamo chiamati alla risurrezione, per cui anche se sperimentiamo il peccato, finché siamo nel corpo, non dobbiamo farci prendere dalla stanchezza e dallo scoraggiamento, né a rimandare a fare il bene che dobbiamo realizzare come discepoli di Cristo.
Anche quando sperimentiamo la morte nelle vicende della vita umana, siamo chiamati a rinnovare la nostra speranza nella risurrezione, per cui la morte non deve prostraci nella disperazione: Cristo unisce alla sua vittoria i nostri cari che ci lasciano, così come sarà anche per noi.
Vangelo: Lc 6, 39-45
Gesù, attraverso semplici parabole, come quella che oggi il Vangelo ci fa ascoltare: « Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso ?» ci insegna ad imparare da lui che è il Maestro, ad essere ben preparati come lui. Così ci dice che se vogliamo togliere la pagliuzza che notiamo nell’occhio di un fratello, mentre non ci accorgiamo della trave che è nel nostro, dobbiamo prima togliere la nostra trave per vederci bene e poi possiamo aiutare il fratello a togliersi la pagliuzza dal suo.
Ancora. Come non vi è un albero buono che produca frutti cattivi, né vi è un albero cattivo che possa produrre frutti buoni, così ogni albero si conosce dai suoi frutti, per cui ogni uomo, se buono o cattivo, può riconoscersi dalle sue opere, perché « L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda ».
Non possiamo essere maestri quando si tratta di correggere gli altri o giudici inflessibili sul prossimo e sui loro difetti, mentre non ci accorgiamo di quelli che abbiamo in noi. Dobbiamo innanzitutto preoccuparci della nostra perfezione, vedere le nostre colpe. Ci costa molto riformare la nostra vita, mentre preferiamo migliorare la vita di chi ci sta intorno. Iniziare da noi a cambiare vita sarebbe un buon motivo per vivere più in pace nei nostri ambienti di vita, per essere più comprensivi, più facili al perdono, ecc.
Così non saremmo guide cieche degli altri, ma guide luminose: preoccupati a togliere il male dal nostro cuore potremo agire con saggezza e con bontà nell’aiutare i fratelli a migliorarsi nella loro vita.
APPUNTAMENTI QUARESIMALI
MERCOLEDI’ 6 MARZO : ore 19.00
SACRA CELEBRAZIONE DELLE CENERI
Nota bene:
- Il giorno delle Ceneri è un giorno di digiuno e di astinenza dalla carne, mentre tutti Venerdì di
Quaresima sono giorni di astinenza. Al digiuno si è moralmente obbligati dal 18° al 60° anno di
età e alle solite condizioni. L’astinenza dal 14° anno in poi; ma è bene abituare anche i bambini ad
astenersi dal mangiare la carne. Si è dispensati da entrambe le pratiche per motivi di salute e per
gravi necessità.
- Tutti i Venerdì sarà celebrato il Pio esercizio della Via Crucis in parrocchia, alle ore 19.00, dopo la Celebrazione della Santa Messa.
- Anche per questo tempo di Quaresima sarà a disposizione il sussidio per meditare ogni giorno la Parola di Dio.
Altre attività da vivere in questo tempo quaresimale saranno rese note lungo questo periodo.
iIl cristiano è imitatore di Dio e del suo Figlio Gesù Cristo.
24 FEBBRAIO – VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO(C)
La Domenica, nella liturgia, viene proclamata la Parola di Dio, e ad essa noi dobbiamo essere presenti puntualmente e attenti, non solo materialmente, ma soprattutto dobbiamo porre attenzione alla voce dello Spirito Santo che ci istruisce e ci illumina per comprendere le meraviglie di Dio e penetrare in ciò che la liturgia vuol farci vivere.
Dalla lettura della Bibbia dobbiamo conoscere ciò che è conforme alla volontà di Dio, per attuare nella nostra vita, con le parole e le opere, il disegno di salvezza che Dio ha realizzato per l’umanità. Gesù, è detto in una preghiera eucaristica, « per compiere la tua volontà, o Padre, egli stese le braccia sulla croce », in una obbedienza totale di amore per il Padre e gli uomini: così anche noi siamo chiamati a conformarci al Cristo, nella obbedienza al Padre celeste, il quale, nel suo Figlio, umiliato sulla croce, ha rivelato la forza dell’amore. Da Gesù impariamo cosa vuol dire amare Dio, facendo la sua volontà, e come amare gli uomini come ha fatto lui che ha dato la sua vita per un amore gratuito e universale per noi.
Se la voce dello Spirito non viene da noi ascoltata e non entra nel nostro cuore e nelle nostre scelte quotidiane, Gesù ci ricorda che non chi dice : « Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli ». Così dobbiamo ascoltare la voce dello Spirito che ci parla attraverso la Parola con silenzio, raccoglimento, preghiera, evitando il chiasso e le continue distrazioni.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Dio dicendo: « Padre clementissimo, che nel tuo unico Figlio ci riveli l’amore gratuito e universale, donaci un cuore nuovo, perché diventiamo capaci di amare anche i nostri nemici e di benedire chi ci ha fatto del male ».
Prima Lettura: 1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23
Il brano, che la liturgia della Parola ci fa ascoltare, ci riporta uno dei tanti episodi intercorsi nella vita di Davide con il suocero Saul, il quale perseguita il genero, per la gelosia del regno che acceca il suo cuore e i suoi occhi.
Davide, fuggiasco, con Abisai, si trova nella collina di fronte in cui si è fermato Saul e i suoi soldati nella ricerca del genero. Di notte, Davide e Abisai, facendo, non visti, un’incursione nella grotta dove dorme Saul con Abner e soldati, egli, pur essendo incitato a vendicarsi da Abisai che gli dice: « Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico: lascia che io l’inchiodi a terra con la lancia », non permette di farlo perché non vuole alzare la mano sul consacrato del Signore. Portano via la lancia e la brocca d’acqua di Saul, che insieme ai suoi era assopito in un profondo « torpore mandato dal Signore ». Allontanatisi nella collina di fronte, Davide sul far del mattino, a gran distanza, grida verso Saul mostrandogli la lancia, l’invita a mandare i suoi servitori a riprenderla e aggiunge: « Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà…Il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore ».
Davide non si vendica del suo avversario, non approfitta della situazione a lui favorevole, e si rimette a Dio perché farà lui giustizia secondo i suoi disegni.
Seconda Lettura: 1 Cor 15, 45-49
Paolo, scrivendo ai Corinti, mette in rapporto il primo Adamo, che diviene il primo essere vivente da cui si originano tutti gli uomini, con Cristo, che come ultimo Adamo diviene spirito datore di vita. E come prima vi è il corpo materiale e poi lo spirituale, così se « il primo uomo tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo ». Quelli che sono di terra sono simili all’uomo terreno, quelli simili all’uomo celeste sono celesti. E se per la vita terrena si è simili all’uomo terreno, ora, che in Cristo siamo stati redenti e abbiamo lo Spirito di Cristo, siamo fin da ora celesti e lo saremo pienamente nel cielo. Gesù, attraverso la rigenerazione nel suo Spirito, che è datore di vita divina, ci rende, divenendo simili a lui, celesti. Se anche questa realtà non è visibile materialmente, il cristiano è un uomo plasmato, ricreato ad immagine di Cristo, che è l’Adamo autentico, il nostro modello di uomo. Se l’antico Adamo disobbediente ci ha resi simili a lui nella disobbedienza e peccatori, ora, rigenerati in Cristo, non possiamo vivere come terreni ma come spirituali e celesti.
Vangelo: Lc 6,27-38.
Gesù nel Vangelo ci richiama, come ha fatto con i suoi discepoli allora, ad ascoltare i suoi insegnamenti: amare i nostri nemici e non solo gli amici e quelli che ci amano, perché avremo già la ricompensa e ciò lo fanno pure i peccatori che amano solo quelli che li amano; a fare del bene a quelli che ci odiamo, non solo a quelli che ci fanno del bene, perché fanno lo stesso i peccatori; benedire coloro che ci maledicono, pregare per coloro che ci trattano male ecc. Ci insegna, inoltre, a porgere l’altra guancia a chi ci percuote; a dare a chiunque ci chiede senza richiedere nulla in contraccambio; a non prestare solo a coloro da cui speriamo di ricevere la ricompensa, perché anche i peccatori fanno prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Vivere, allora, non alla maniera dei peccatori, ma secondo questi insegnamenti, ci fa essere figli dell’Altissimo e suoi imitatori, come è lui che « è benevolo verso gli ingrati e i malvagi ed è misericordioso verso tutti ».
Infine conclude insegnandoci a non giudicare e non saremo giudicati; a non condannare e non saremo condannati; a perdonare e saremo perdonati; a dare e avremo una misura buona, pigiata, colma e traboccante; e saremo misurati con la misura con cui misuriamo.
Il contrassegno dell’agire cristiano è, dunque, all’opposto dell’agire dei pagani e dei peccatori; ci fa vivere da figli di Dio e imitatori di Gesù, che ci chiede, rinnovati nello spirito, a vivere una meta ardua, che è possibile e anche necessaria raggiungere con la sua grazia, avendo il coraggio, come i santi, ad incamminarci per la stessa strada.
BEATI VOI!
17 FEBBRAIO – VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)
BEATI VOI!
Nell’assemblea liturgica, che celebra la Pasqua del Signore, lo Spirito Santo rende presente il Corpo e il Sangue di Cristo. Noi, attraverso l’amore che nutriamo per il Signore, mangiando il suo Corpo e il suo Sangue, entriamo in intimità di vita con Lui. Con Cristo, con cui formiamo un solo Corpo, il tempio dove Dio dimora se accogliamo la sua parola con cuore retto e sincero, ci vien data la grazia e la forza di vivere nella fedeltà alla sua volontà.
Un segno infallibile che amiamo Dio e che la sua presenza è efficace in noi è la carità, « pienezza della legge », per cui l’accoglienza di Cristo nei fratelli che soffrono, che sono « poveri, oppressi » fa sì che diventiamo segno dell’umanità rinnovata.
I discepoli del Signore, illuminati dalla risurrezione del Signore, vivono il tempo della loro vita cercando di attuare i comportamenti che Gesù ci esorta a realizzare attraverso le beatitudini. Vivere il tempo presente con la potenza della fede e della speranza di raggiungere la beatitudine futura è per il cristiano il cammino di santità che Dio chiede ai suoi figli.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristica, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Dio, che respingi i superbi e dono la tua grazia agli umili, ascolta il grido dei poveri e degli oppressi che si leva a te da ogni parte della terra: spezza il giogo della violenza e dell’egoismo che ci rende estranei gli uni agli altri, e fa’ che accogliendoci a vicenda come fratelli diventiamo segno dell’umanità rinnovata nel tuo amore ».
Ger 17,5-8
Il profeta Geremia, nel brano che oggi leggiamo, ci dice che bisogna confidare in Dio e non nell’uomo, di non entrare in situazioni di compromessi e umiliazioni, per avere vantaggi facili, incerti e precari.
In modo impietoso egli ci mette in guardia dicendo che è « maledetto l’uomo che confida nell’uomo e che pone il suo sostegno nella carne , allontanando il suo cuore da Dio ». Un tale comportamento lo rende arido come il tamerisco, con l’incapacità di vedere il bene, lo fa dimorare « in una terra di salsedine », chiuso a qualunque forma di relazione umana.
Proclama invece « Benedetto l’uomo che confida nel Signore e in lui pone la sua forza ». Lo paragona ad un albero, che piantato lungo un corso d’acqua, non teme quando viene il caldo, attinge con le sue radici l’alimento per avere sempre le foglie verdi e, pur nella siccità, produce i suoi frutti.
Camminare con il Signore rende l’uomo retto, lo rende veritiero, sereno d’animo nel suo agire, pur in mezzo alle disavventure e alle preoccupazioni, e vive le relazioni con i fratelli e i propri simili portando abbondanti frutti di bene.
Anche il Salmo 1 ripercorre la stessa strada dell’uomo che è beato se non segue il consiglio dei malvagi e non resta nella via dei peccatori e meditando la legge del Signore trova in essa la sua gioia.
1 Cor 15,12.16-20
Paolo, scrivendo ai Corinti, proclama che la risurrezione di Cristo dà valore e fondamento alla fede che egli annunzia in Cristo, morto e risorto per gli uomini. Se Cristo non è risorto l’uomo resta nel suoi peccati e anche i credenti, che sono morti in lui, restano nei propri peccati e sono perduti.
Se il discepolo di Cristo ha speranza in Lui solo per questa vita e non nella certezza di risorgere con Cristo, è da commiserare più di chiunque altro uomo. La vittoria di Cristo sulla morte, egli che è primizia di coloro che risorgono, ci dà la certezza che il nostro seguirlo nella vita terrena, in una esistenza rinnovata nel bene, liberi dal peccato grazie alla sua morte e risurrezione, ci fa conseguire la vita da risorti nella stessa gloria del Signore.
Lc 6,17.20-26.
Gesù, oggi, attraverso alcune beatitudini che il Vangelo ci fa riascoltare, ci indica il cammino che devono seguire coloro che vogliono seguirlo per ascendere al monte della santità e della vita beata di Dio. A differenza del brano di Matteo del capitolo 5, questo brano, più conciso, se proclama beati i poveri a cui appartiene il regno dei cieli, coloro che hanno fame, perché saranno saziati, coloro che piangono, perché rideranno, coloro che sono odiati, messi al bando, insultati e disprezzati a causa del Figlio dell’uomo e li invita a rallegrarsi ed esultare perché la loro ricompensa è grande nel cielo, in contrasto annunzia guai per coloro che sono ricchi perché, avendo avuto nella vita come fine la ricchezza, hanno già ricevuto la loro consolazione; guai a chi è ora sazio, perché, essendosi saziato di cose terrene, caduche e passeggere, avrà fame; guai a coloro che ridono, perché, avendo gioito di momenti fallaci e goderecce, saranno nel dolore e piangeranno; guai a tutti coloro di cui gli uomini diranno bene, perché allo stesso modo hanno agito i loro padri con i falsi profeti.
Siamo posti, come discepoli di Cristo, di fronte ad un discorso paradossale: istintivamente ragioneremmo in maniera opposta; diremmo: « guai ai poveri, guai a quelli che piangono! ». Ma Gesù assicura il contrario al nostro modo di pensare.
Se le beatitudini infondono serenità e speranza, se andiamo a cercare ricchezza e gioia in questo mondo, saremo contenti solo per questa vita ma non certo per l’altra e, forse, qualche preoccupazione l’abbiamo pure per questa.
CHIAMATI E MANDATI PER GRAZIA AD ANNUNZIARE IL VANGELO.
10 FEBBRAIO– V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Attraverso il Battesimo siamo partecipi della Chiesa, famiglia di Dio, su cui veglia l’amore del Padre celeste. Poiché siamo, però, avvolti da tante situazioni che ci rendono poco sereni, ansiosi, timorosi davanti alle tentazioni e sofferenze, nell’incontro con il Signore e tra noi riaccendiamo la certezza di questo amore di Dio. La fede certo non dissolve tutte quelle realtà di disagio, ma certamente da essa noi attingiamo la forza per vivere nella speranza e nella fiducia che Dio, come ha liberato il suo Figlio, ci promette una liberazione che ci fa accettare, con spirito evangelico, le prove della vita, e viverle in comunione con le sofferenze e la passione redentrice di Cristo, mentre attendiamo di essere introdotti nella vita in Dio. Egli è vicino alla sofferenza dei suoi figli e li unisce alla Pasqua di Cristo, suo Figlio.
Se quindi chiediamo ai fratelli un aiuto che possa sostenerci non possiamo fare a meno di confidare nella forza e nella grazia di Dio.
Nella preghiera della Colletta ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « Dio di infinità grandezza, che affidi alle nostre labbra impure e alle nostre fragili mani il compito di portare agli uomini l’annunzio del Vangelo, sostienici con il tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra ».
Is 6,1-2.3-8.
Nella visione profetica Isaia vede nel tempio il Signore che con i lembi del suo manto lo riempie e attorno i Serafini proclamano: « Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta le terra è piena della tua gloria ». Al risuonare di quella voce il tempio si riempiva di fumo. Il profeta smarrito esclama: « Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo ad un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti ». Davanti a tanto sgomento, un Serafino, prendendo con le molle un carbone ardente dall’altare, purifica le labbra del profeta, assicurandolo che è scomparsa la sua colpa e espiato il suo peccato.
Dopo questo gesto, il profeta ode la voce del Signore che dice: « Chi manderò E chi andrà per noi? ». Egli risponde: « Eccomi, manda me! ». Non solo Isaia, ma ogni uomo che Dio chiama ad essere suo profeta, avverte la propria indegnità e impurità davanti a Colui che è il Santo. Ma Dio purifica e brucia l’iniquità e il peccato di colui che è inviato a portare la sua Parola, rendendo puri il suo cuore e le sue labbra. Più l’uomo si avvicina a Dio più avverte e si accorge delle sue colpe, anche se sono nel luogo più recondito della sua anima. Siamo, infatti, facili a commettere le nostre colpe, anche se spesso leggere o di poco conto. Dobbiamo chiedere al Signore la sua luce per giudicare la nostra condotta, perché nella nostra cecità, tante volte, non vediamo le nostre innumerevoli mancanze.
1 Cor 15,1-11.
Paolo vuole rafforzare nei Corinzi la loro adesione al Vangelo che ha loro annunziato, per renderli saldi in esso affinché lo mantengano come lo ha annunziato.
Egli riconferma quel Vangelo che a sua volta ha ricevuto e che cioè: « Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici ».
E ancora. Che è apparso a più di cinquecento fratelli in una sola volta, a Giacomo e, ultimo, anche a lui, che si ritiene come un aborto. Riconosce la sua piccolezza tra gli apostoli e, avendo perseguitato la Chiesa di Dio nella vita precedente alla conversione, avverte la sua indegnità ad essere chiamato apostolo. Riconosce, pero, che è stata la grazia di Dio, che in lui non è stata vana, a renderlo quello che è. Per questa sua nuova realtà di vita e per aver creduto nel Signore, ritiene di essere stato inviato anche lui, come gli altri apostoli, a predicare il Vangelo della salvezza, come lui lo ha ricevuto dalla tradizione e l’ ha annunziato ai Corinzi, affinché lo mantengano nella sua integrità. Attribuisce, infine, pur riconoscendo di aver faticato più di tutti gli altri nell’annunzio del Vangelo, alla grazia di Cristo la fecondità del suo annunzio e la sua corrispondenza alla missione, a cui il Signore Gesù lo ha mandato.
Vangelo: Lc 5,1-11.
Gesù presso il lago di Gennèsaret vede due barche ormeggiate e i pescatori che riparano le reti. Salito sulla barca di Simone, gli chiede di staccarsi un poco da terra e, sedutovisi, insegna alle folle dalla barca. Finito di parlare dice a Simone: « Prendi il largo e gettate le reti per la pesca ». A questa richiesta di Gesù Simone risponde che hanno faticato tutta la notte e non hanno preso nulla. Ma sulla parola del Maestro vanno a pescare e « presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano ». Aiutati poi dai compagni dell’altra barca riempiono tutte due le barche fino quasi a farle affondare. Visto il fatto, Simon Pietro, inginocchiatosi ai piedi di Gesù, esclama: « Allontanati da me, perché sono un peccatore », poiché per lo stupore ha preso lui e i due fratelli, Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, soci di Simone.
Ma Gesù rincuora Simone dicendogli: « Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini ». Subito tutti, tirate le reti a terra, le lasciano e lo seguono.
Anche Pietro, dopo la pesca inaspettata, fatta per obbedienza al Signore, si riconosce peccatore e lui e gli altri avvertono la loro indegnità davanti alla presenza di Gesù, il quale affida loro ugualmente la missione, cambiando loro la vita, di diventare pescatore di uomini. Quella di Pietro e degli apostoli sarà una pesca più miracolosa di quella del lago: la forza divina di Gesù, in mezzo ad un mare burrascoso quale è il mondo, in cui si trovano gli uomini con tutte le loro problematiche, renderà possibile una pesca salvifica degli uomini, sia per allora come anche per la Chiesa di oggi. Il Signore agisce ancora oggi, ma chiede a tutti, apostoli e discepoli che egli invia a compere quest’opera salvifica, pur restando nel mondo e compiendo le attività quotidiane, di lasciare tutto e seguirlo, con un impegno che interessa e coinvolge indistintamente, nell’annunziare il Vangelo della salvezza.