La Pentecoste: lo Spirito del Padre e del Figlio è effuso sui discepoli.
9 GIUGNO – DOMENICA DI PENTECOSTE.
Lo Spirito vi renderà miei testimoni.
Questa solennità porta a compimento il mistero pasquale. Per i credenti e per coloro che lo accolgono si realizza ciò che Gesù nell’ultima Cena promise che, cioè, salito al Padre, ci avrebbe inviato il Consolatore, lo Spirito di Verità, per cui non ci avrebbe lasciato orfani. Lo Spirito Santo, in questa liturgia, ci invita a vedere le meraviglie compiute da Dio nel mondo, ci esorta a essere fedeli alla missione che affida alla Chiesa, ci illumina e ci dà la forza di corrispondere al suo amore, cosicché possiamo compiere il cammino di fede con maggiore pienezza. In questo giorno lo Spirito Santo attualizza, in ogni tempo e latitudine, la Pentecoste: è il tempo della storia in cui lo Spirito rinnova la Chiesa, l’umanità, perché chi accoglie lo Spirito riceve i suoi benefici effetti nella sua vita.
Così la Chiesa, corpo di Cristo, sostenuta e fatta crescere dallo Spirito, inviato da Gesù risorto nel giorno di Pentecoste, è la comunità della nuova alleanza, che aggrega nell’unità di un solo linguaggio tutti i popoli per i quali si attua il mistero pasquale. Nel prefazio la Chiesa proclama: « Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo ». Poiché in ogni sacramento agisce lo Spirito Santo, che opera con i suoi molteplici effetti, quando riceviamo un sacramento in noi inabita lo Spirito del Padre e del Figlio, come alito di vita, dando suggerimento, impulso ed efficacia alle nostre azioni.
Accesi dal fuoco di questo Spirito, si alimenta ad ogni comunione col Corpo e Sangue del Signore la vita divina, e cresce la « carità ardente » di cui parla l’orazione sulle offerte della Messa vespertina: «Scenda, o Padre, il tuo Santo Spirito sui doni che ti offriamo e susciti nella tua Chiesa la carità ardente, che rivela a tutti gli uomini il mistero della salvezza». Si rinnova così il prodigio dell’unità che raccoglie gli uomini dispersi in molti linguaggi in un unico linguaggio di fede e che trasforma, qualitativamente, le nostre azioni, facendoci agire secondo lo Spirito di Cristo e in conformità alla volontà di Dio.
La vita « spirituale » del credente è quella che ha come maestro e come suggeritore lo Spirito Santo, che ridesterà i nostri corpi per la risurrezione. Il lasciarsi condurre da lui non è un fatto eccezionale, se molti, nella loro semplicità esistenziale, hanno raggiunto alte vette di santità, pur immersi nella quotidianità della loro vita.
La colletta della Messa che recita :« O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo », ci dà il significato della Pentecoste che celebriamo. Lo Spirito Santo anima la comunità cristiana, porta e rende efficace il Vangelo di Gesù Cristo e ci introduce nella conoscenza del mistero. Lo Spirito, con i doni che elargisce, ci fa crescere nelle opere di giustizia, ispirate da lui e da noi, rinnovati e resi giusti nel cuore, compiute per la sua energia. La solennità di oggi conclude il lungo e meraviglioso tempo pasquale in cui abbiamo meditato e approfondito il mistero della morte e risurrezione del Signore, che ci offre la prospettiva con cui siamo chiamati a vivere ogni giorno. L’impronta della morte e risurrezione del Signore, nella vita nuova sorta dallo Spirito, ci conduce, ci fa operare e ci prepara ad essere conformi con il Signore risorto, ora nel tempo e domani nell’eternità.
Prima Lettura: At 2,1-11.
Al cinquantesimo giorno dall’evento della risurrezione del Signore, nella festa di Pentecoste, sugli Apostoli e coloro che erano in attesa della promessa di Gesù, lo Spirito discende, « dal cielo con improvviso fragore, quasi come vento che si abbatte impetuoso, riempiendo tutta la casa », in forma di lingue di fuoco che si posarono su ciascuno di loro. Furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue. Comincia così l’evangelizzazione, l’annunzio delle opere che Dio compie nell’evento della morte e risurrezione di Gesù. Tutti coloro che erano a Gerusalemme in quei giorni, pur parlando molteplici lingue, sentono ognuno il gioioso annunzio nella propria lingua. La confusione delle lingue, iniziata con la torre di Babele, è vinta dalla proclamazione del Vangelo: nell’unica fede in Gesù salvatore, morto e risorto, si ricompone l’unità dei figli di Dio, dispersi e divisi dal peccato. La fede raccoglie nell’unità popoli, lingue e tradizioni diverse. « La confusione che la superbia aveva portato tra gli uomini, - recita il Prefazio – è ricomposta in unità dallo Spirito Santo ». Invocando e ricevendo oggi lo Spirito dobbiamo essere portatori di unità e non essere frantumati dalle discordie. Uscendo da noi stessi, dal nostro egoismo e superbia creiamo la comunione e la fraternità.
Seconda Lettura: Rm 8,8-17.
San Paolo scrivendo ai cristiani di Roma dice che, non essendo più sotto il dominio della carne ma dello Spirito di Dio che abita in loro e appartenendo a Cristo per il suo Spirito presente in loro, essi devono piacere a Dio. « Se Cristo è in voi, » scrive « il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia ». E poiché lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita nei credenti in lui, lo stesso Spirito darà la vita anche ai loro corpi mortali. I cristiani che non sono più debitori verso la carne se vivono secondo i desideri carnali morranno. Se invece, per opera dello Spirito, fanno morire le opere della carne vivranno. Poiché coloro che si fanno guidare dallo Spirito di Dio sono suoi figli adottivi, essi non avendo più uno spirito da schiavi, possono invocare Dio gridando: « Abbà! Padre!». Poiché lo Spirito stesso attesta ai credenti in Cristo che sono figli di Dio, se essi sono figli sono eredi del Padre e coeredi di Cristo. Se si è figli bisogna, davvero, prendere parte alle sofferenze di Cristo per partecipare anche alla sua gloria.
Coloro che accolgono Cristo e credono nel suo nome, dallo Spirito del Padre e del Figlio che ricevono nel battesimo e che li rende figli, “ non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati “(Gv 1, 13) hanno la garanzia e il principio della risurrezione. In loro la morte è vinta.
Ma la vita eterna nella risurrezione si consegue se si vive secondo lo Spirito, non secondo i desideri della carne e del mondo, cioè con le implicazioni e le connivenze con ogni forma di male e di peccato, con comportamenti che non sono ispirati all’esempio di Cristo. Se siamo figli, siamo coeredi di Dio e ci attende la gloria. Tutto quello, allora, che è di quaggiù, che passa ed è transitorio, bisogna viverlo nella sua relatività con l’eternità: possedere come se non si possedesse, sposarsi ma senza usarne appieno. Anche le nostre sofferenze sono illuminate, perché esse partecipano alle sofferenze di Cristo, in quanto sono sofferte dalle membra del suo corpo mistico. E “se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze, parteciperemo anche alla sua gloria” (Rm .8,17).
Vangelo: Gv 14,15-16.23.26.
Gesù dice ai suoi discepoli che se lo amano devono osservare i suoi comandamenti e anche il Padre li amerà e insieme tutta la Trinità prenderà dimora in ognuno di loro.
Il Signore, inoltre, assicura ai suoi discepoli che lo Spirito Santo che il Padre manderà nel suo nome insegnerà loro ogni cosa e ricorderà tutto ciò che egli ha insegnato. L’osservanza della parola di Gesù è certamente il segno dell’amore che il discepolo può mostrare al Maestro. La pratica degli insegnamenti di Gesù ci ottiene lo Spirito Paràclito che fa abitare in noi tutta la Trinità.
Lo Spirito ancora renderà i discepoli testimoni degli eventi salvifici operati da Gesù fino agli estremi confini della terra, li sosterrà davanti alle persecuzioni, li rinfrancherà nelle difficoltà, li illuminerà nel comprendere ciò che dovranno trasmettere agli uomini per suscitare la fede nel Signore, renderlo vivo e far conservare nei loro cuori il Vangelo.
Gesù ascende al cielo e ci precede presso il Padre nella gloria.
2 GIUGNO - ASCENSIONE DEL SIGNORE
La Chiesa, oggi, nel prefazio canta: « Gesù, vincitore della peccato e della morte, ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena speranza che dove è lui, capo e primogenito , saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria ». Ma dobbiamo tener presente, in ogni giorno della vita, che il Signore, con questa celebrazione, vuol dirci che egli ci attende nella sua stessa gloria. Gesù, con la sua umanità presso il Padre, già in qualche modo ci ha portati con sé, perché salvati dalla sua morte e risurrezione e divenuti, attraverso il battesimo, membra del corpo mistico di cui Egli è il Capo. Allora speriamo di poter conseguire la salvezza e la gloria eterna, perché egli l’ha acquistata per sé e per noi. Nella nostra povera umanità il Signore non ci ha lasciati soli – canta ancora la Chiesa nel prefazio -: adesso ci è donata la grazia di Cristo che attende di maturare nella sua stessa gloria, che possiamo conseguire se operiamo con impegno e vivendo in maniera da essere graditi al Signore. Egli come Mediatore intercede presso il Padre per noi, finché non arriviamo alla sua medesima gloria.
Ma se lungo l’esistenza terrena siamo presi dal dubbio e avvertiamo lo smarrimento nell’ ordinarietà e monotonia della nostra vita e di quella della Chiesa, dobbiamo nutrire la speranza che egli non ci ha abbandonato, perché la sua presenza ci accompagna nella missione nel mondo, assistiti costantemente dal suo Spirito che ci ha inviato. Dobbiamo allora attendere con fiducia e operosità il sua ritorno futuro, come dicono gli angeli nel momento in cui sale verso il cielo. Operosità vuol dire impegno a vivere in maniera degna per essere accolti nella sua gioia di Signore risorto.
Prima Lettura: At 1,1-11
Dopo che gli apostoli e gli altri discepoli sono stati confermati da Gesù nella certezza della sua risurrezione, di cui avevano dubitato in diverse circostanze e davanti al quale, dice Matteo, « quando essi lo videro, si prostrarono », egli è salito al cielo. Oggi Gesù, anche se non visto come in quei quaranta giorni, non abbandona né si allontana dalla nostra umanità: dalla destra del Padre Cristo invia sugli apostoli lo Spirito che, ricevuto da loro in pienezza, li fortifica per la testimonianza che devono rendere al Risorto e li accompagna nella loro missione. Essi, aspettando la venuta gloriosa di Gesù, non devono rimanere inattivi né devono preoccuparsi di quando sarà la fine del mondo e il termine della storia. Devono continuare la missione che il Maestro ha loro assegnato: predicare la conversione e il perdono dei peccati perché gli uomini conseguano la salvezza. Sicuramente il Maestro tornerà, come dicono gli angeli. Durante questo tempo di attesa, la testimonianza di tutti coloro che credono in lui si manifesta specialmente nel continuare a compiere le opere del regno messianico, quelle della fede e della carità, che esprimono il desiderio di riunirsi al Signore.
Seconda Lettura: Eb 9,24-28.10,19-23.
Gesù, ci dice la lettura di oggi, è entrato definitivamente nel santuario del cielo e intercede in nostro favore presso il Padre. Gesù, come i sommi sacerdoti che offrivano, ogni anno, per sé e per il popolo, il sangue di animali, non deve, quindi, offrire se stesso ogni anno, perché avrebbe dovuto soffrire, fin dalla fondazione del mondo, più volte. Invece una sola volta, nella pienezza dei tempi, egli si è offerto in sacrificio per annullare il peccato. Come gli uomini che muoiono una sola volta e dopo saranno giudicati, così anche Cristo, morto una sola volta, apparirà di nuovo, senza relazione con il peccato, per quelli che l’aspettano per condurli con sé nella gloria. I credenti in Cristo, in piena libertà, possiamo entrare, per mezzo del suo sangue, per la stessa via nuova e vivente, inaugurata dal Signore, nel santuario del cielo: Cristo, infatti, è il nostro sommo Sacerdote, Mediatore presso il Padre, per cui possiamo accostarci a Dio, « con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura », mantenendo « senza vacillare la professione della fede, perché è degno di fede colui che ha promesso ».
Per Cristo, dunque, nuova porta che ci introduce nella piena comunione con il Padre, per mezzo dello Spirito, noi abbiamo accesso a Dio, per cui con piena fiducia e fermezza di fede, con cuore sincero, purificato dal perdono di Dio, dobbiamo vivere nella speranza di raggiungere il cielo per partecipare della stessa gloria del Capo. E se in questa esistenza terrena possiamo avere molti motivi di preoccupazione di non raggiungere quella meta, la presenza di Gesù, che alla destra del Padre intercede per noi, ci dà sicurezza e ci conforta.
Vangelo: Lc 24,46-53.
Gesù, dopo aver ricordato agli apostoli le Scritture, secondo le quali « il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati e di questo voi siete testimoni », dice che su di loro invierà colui che il Padre suo ha promesso e che non dovranno lasciare la città di Gerusalemme finché non fossero stati investiti di potenza dall’alto. A Betania, dove li conduce, mentre li benedice, staccandosi da loro ed elevandosi verso l’alto, portato via in cielo, gli apostoli gli si prostrano innanzi in adorazione. Dopo, ritornando a Gerusalemme, sono pieni di gioia e stando spesso nel tempio lodano Dio. La partenza di Gesù non lascia tristezza o rimpianti. Essi sentono una presenza diversa del risorto nella loro vita. Avvertono che la compagnia del Signore non verrà meno perché, ricevendo il suo Spirito, saranno ripieni di “potenza dall’alto”, e potranno testimoniare il suo Vangelo, annunziare il mistero pasquale per la salvezza di tutti, predicare la conversione e la remissione dei peccati.
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, o come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi?
Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali. Perché poi la fede risultasse più autentica e ferma, alla osservazione diretta è succeduto il magistero, la cui autorità avrebbero ormai seguito i cuori dei fedeli, rischiarati dalla luce superna.
Questa fede si accrebbe con l’ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. Non riuscirono ad eliminarla con il loro spavento né le catene, né il carcere, né l’esilio, né la fame o il fuoco, né i morsi delle fiere, né i supplizi più raffinati, escogitati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo hanno combattuto fino a versare il sangue, non solo uomini, ma anche donne; non solo fanciulli, ma anche tenere fanciulle. Questa fede ha messo in fuga i demoni, ha vinto le malattie, ha risuscitato i morti.
Gli stessi santi apostoli, nonostante la conferma di numerosi miracoli e benché istruiti da tanti discorsi, si erano lasciati atterrire dalla tremenda passione del Signore e avevano accolto, non senza esitazione, la realtà della sua risurrezione. Però dopo seppero trarre tanto vantaggio dall’ascensione del Signore, da mutare in letizia tutto ciò che prima aveva causato loro timore. La loro anima era tutta rivolta a contemplare la divinità del Cristo, assiso alla destra del Padre. Non erano più impediti, per la presenza visibile del suo corpo, dal fissare lo sguardo della mente nel Verbo, che, pur discendendo dal Padre, non l’aveva mai lasciato, e, pur risalendo al Padre, non si era allontanato dai discepoli.
Proprio allora, o dilettissimi, il Figlio dell’uomo si diede a conoscere nella maniera più sublime e più santa come Figlio di Dio, quando rientrò nella gloria della maestà del Padre, e cominciò in modo ineffabile a farsi più presente per la sua divinità, lui che, nella sua umanità visibile, si era fatto più distante da noi.
Allora la fede, più illuminata, fu in condizione di percepire in misura sempre maggiore l’identità del Figlio con il Padre, e cominciò a non aver più bisogno di toccare nel Cristo quella sostanza corporea, secondo la quale è inferiore al Padre. Infatti, pur rimanendo nel Cristo glorificato la natura del corpo, la fede dei credenti era condotta in quella sfera in cui avrebbe potuto toccare l’Unigenito uguale al Padre, non più per contatto fisico, ma per la contemplazione dello spirito.
Ultimo aggiornamento (Sabato 01 Giugno 2019 17:43)
IN ASCOLTO DELLO SPIRITO, CHE IL PADRE INVIERÀ NEL NOME DI GESÙ’.
22 MAGGIO – VI DOMENICA DI PASQUA.
Il tempo pasquale è un inno alla pace e alla gioia, espresso con il grido gioioso dell’Alleluia (Lodate il Signore), per le meraviglie compiute da Dio per la redenzione degli uomini operata da Cristo. La gioia del cristiano, che però ugualmente conosce motivi di ansia e di tristezza, deriva dalla certezza che Dio ci ha liberati dal peccato, il quale è la vera causa della tristezza. Cristo Gesù, risorgendo, ci riporta a vivere la speranza che un giorno saremo con lui nella beatitudine e nella gloria, perché egli è andato a prepararci un posto nel cielo.
Ripensando allora a tutto ciò che Gesù ha detto e fatto, noi, immersi nel mistero pasquale di Cristo, rinnoviamo il motivo della nostra gioia. Se, come Gesù, usciamo dal nostro egoismo e sappiamo dare la vita per gli altri, allora la carità del donarsi si trasformerà in letizia qui in terra, e sarà il preludio di quella celeste. Per questo preghiamo dicendo: « O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora in coloro che ascoltano la tua parola e la mettono in pratica, manda il tuo santo Spirito, perché ravvivi in noi la memoria di tutto quello che Cristo ha fatto e insegnato. Egli è Dio, e vive e regna con te…».
Prima Lettura: At 15,1Ú-2.22-29.
Discutendo e dissentendo animatamente Paolo e Barnaba contro i Giudei, che ritenevano di dover far circoncidere coloro che tra i pagani aderivano alla fede, viene deciso che alcuni salissero con loro a Gerusalemme dagli apostoli per tale questione. Allora agli apostoli, agli anziani e a tutta la Chiesa, parve bene di inviare Paolo, Barnaba, Giuda detto Barsabba e Sila ad Antiochia con una lettera in cui scrivono: « Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolti i vostri animi ». Tutti d’accordo, essi scelgono alcune persone e, con Barnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del Signore Gesù, vengono mandate Giuda e Sila a riferire a voce queste stesse cose: « E’ parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose ».
Per la fede in Cristo non sono necessarie le pratiche imposte dalla legge di Mosè, ma ciò non toglie che è necessario osservare alcune norme animate dalla carità e dalla novità dello Spirito, che rinnova l’intimo del cuore. E come è detto che Paolo e Barnaba hanno rischiato la loro vita per il Signore, così anche il cristiano, oltre che i vescovi e i sacerdoti, dediti alla missione del Vangelo e alla edificazione della Chiesa, devono dare la loro vita per Cristo, dandone testimonianza. Le decisioni che gli apostoli prendono sono attribuite innanzitutto all’opera dello Spirito Santo, di cui gli apostoli sono strumenti, dipendenti non padroni. Alle guide spirituali, Papa e vescovi, il Signore ha dato il suo Spirito, cosicché, come guide delle comunità, della fede, della condotta da tenere, la comunità di fede non sbagli, anche se può presentarsi, a volte, con difetti umani e comuni.
Seconda Lettura: Ap 21, 10-14.22-23.
L’apostolo Giovanni contempla la Gerusalemme che scende dal cielo, oltre che con l’immagine di una sposa, con quella di una gemma preziosissima, splendente, come pietra di diaspro cristallino. E’ una città circondata da alte mura con dodici porte su cui stanno dodici angeli e i nomi delle dodici tribù d’Israele. Da ognuno dei quattro lati delle mura vi sono tre porte e le mura poggiano su dodici basamenti, sopra i quali vi sono i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Nella celeste Gerusalemme non vi è tempio, perché Dio onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio: la gloria di Dio la illumina e l’Agnello è la sua lampada. Nel cielo non c’è più la mediazione dei segni del culto e della liturgia: il tempio, i sacramenti, le Scritture come nella Chiesa terrestre, realtà che alimentano la nostra intenzione e il nostro desiderio di raggiungerli, ma Dio e il Signore Gesù saranno immediatamente contemplati e visibili. Nel cielo abita il nuovo popolo di Dio, dei salvati che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello, la Chiesa fondata sugli Apostoli e che ha raggiunto definitivamente la gioia eterna, che è il risultato non tanto dello sforzo dell’uomo, ma dono della grazia di Dio.
Vangelo: Gv 14,23-29.
Gesù oggi nel Parola che ascoltiamo chiarisce quale è il rapporto che siamo chiamati a vivere con lui e il Padre nello Spirito. Egli ci dice:« Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui ». Chi non lo ama non osserva né la sua parola né quella del Padre che lo ha mandato. Promette che lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel suo nome, insegnerà e ricorderà loro tutto ciò che ha detto. Inoltre lascia e dà loro la pace, non come quella che dà il mondo, e li esorta a non turbarsi e a non temere per il fatto che ha detto: “Vado e tornerò da voi”. E conclude: « Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate ». La presenza di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, nella vita di coloro che amano il Signore, perché osservano la sua parola, è motivo di gioia e non devono lasciarci prendere dall’ansia. La presenza di Dio è portatrice di pace che il Signore ha promesso e dato. Con l’avvento del Paràclito, il Consolatore, che Gesù ha promesso di inviare dal Padre, i discepoli sono in grado di ricordare le parole che Gesù ha detto, capirle, gustarle e ad avere la forza di praticarle. Un cristiano, quindi, vive l’intimità dello Spirito e così, congiunto con il Signore Gesù, è introdotto alla comunione di vita del Padre.
Ultimo aggiornamento (Venerdì 20 Maggio 2022 09:42)
La gloria di Dio è l'amore.
19 MAGGIO - V DOMENICA DI PASQUA
La Chiesa, oggi, nella liturgia, inizia la sua lode a Dio, invitando i fedeli a cantare con gioia un canto nuovo, perché il Signore ha compiuto prodigi. Poiché siamo stati liberati dal potere di Satana e dal peccato, nel suo Figlio, morto e risorto per noi, il Padre ci ha riconciliati con sé, dandoci l’adozione a figli e rendendoci eredi delle vita eterna.
Siamo divenuti nuovi, « primizia di una nuova umanità », che in Cristo si edifica come nazione santa, sacerdozio regale, tempio santo della gloria di Dio. Questa realtà la si avverte attraverso la fede, che deve maturare nella testimonianza delle opere: queste sono espressione dell’amore riversato nei nostri cuori dallo Spirito del risorto. Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di questa domenica diciamo: « O Dio, nel Cristo tuo Figlio rinnovi gli uomini e le cose, fa’ che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami, e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito ».
Prima Lettura: At 14,21-27.
Paolo e Barnaba, nel loro cammino di annuncio del messaggio evangelico, ritornando a Listra, Iconio e Antiochia, andavano esortando i discepoli a restare saldi nella fede, perché dicevano che, per entrare nel regno di Dio, , bisogna sopportare molte tribolazioni. Designavano, nelle varie comunità costituite, degli anziani che affidavano al Signore dopo aver pregato e digiunato. Passando per la Pisidia, la Panfilia, Perge, giunsero ad Attàlia e da qui salparono per Antiochia, dove erano stati affidati al Signore per la missione che avevano compiuta. Riunita la Chiesa, riferirono quello che Dio aveva fatto per mezzo di loro, avendo molti pagani accolto la fede nel Signore. La fede, specie attraverso le tribolazioni, viene messa a dura prova, ma le sofferenze sopportate per il Signore sono necessarie per entrare nel Regno di Dio.
Gli anziani, a cui venivano affidate le Comunità, sulla quali presiedevano, non sostituivano il Signore Gesù, ma lo rendevano visibile attraverso la loro opera. La Chiesa è viva e presente per opera della grazia del Signore, che genera in essa la santità, in modo invisibile, nell’intimo dei cuori.
Seconda Lettura: Ap 21,1-5.
L’apostolo Giovanni, continuando la descrizione degli avvenimenti contemplati, vede un cielo nuovo e una terra nuova, rispetto a quelli di prima, che erano scomparsi. Egli, vedendo la città santa, la Gerusalemme celeste, adorna come una sposa per il suo sposo, scendere dal cielo, da Dio ode una voce potente che dice: « Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate ». Colui che siede sul trono dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose ». Poiché non siamo destinati a restare per sempre su questa terra, Dio farà nuove tutte le cose: cieli nuovi, terra nuova, città nuova, Gerusalemme nuova, e Dio sarà in intima comunione con l’umanità redenta dall’Agnello e glorificata insieme a lui. In questa nuova realtà saranno eliminate ogni sorta di sofferenze, inclusa la morte, che è stata vinta dall’Agnello. Tutto questo è sogno o realtà? Attraverso la descrizione di una nuova terra, nuovo cielo, delle cose nuove che soppiantano quelle che passano, la fede ci dice che, per opera del Creatore, vivremo una nuova condizione dopo le vicende terrene: nel cielo, quindi, si realizza la pienezza della redenzione. Dio trasformerà questa creazione, dice san Paolo, che attende, come una donna nelle doglie del parto, la nascita di una nuova creatura, alla maniera di Cristo risorto, primizia di risurrezione, di gloria e di vita eterna..
Vangelo: Gv 13, 31-33.33-35.
Nel brano del Vangelo di oggi, l’apostolo Giovanni ci riferisce le parole che Gesù disse dopo che Giuda abbandonò il Cenacolo:« Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui ». Attraverso l’obbedienza alla volontà del Padre, il Figlio Gesù glorifica il Padre che, da parte sua, glorificherà il Figlio subito, attraverso la risurrezione. Per questo Gesù dice ai discepoli : « Ancora per poco sono con voi ». Affida allora loro il nuovo comandamento: « Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri ». Da questo amarsi dei discepoli, così come lui li ha amati, tutti sapranno che essi sono suoi discepoli, perché avranno amore gli uni per gli altri. Come per Gesù, anche per il cristiano, la croce non è il fallimento o l’ignominia: per il Signore e secondo il disegno di Dio, essa è la glorificazione. Essa è strumento di redenzione universale, strumento di passaggio verso la risurrezione. L’amore vicendevole, come espressione del comandamento nuovo, che Gesù raccomanda ai suoi discepoli, è segno di appartenenza a lui, distintivo che contraddistingue i suoi discepoli. Se Gesù ci ha amato dando se stesso e vogliamo essere dei suoi discepoli, dobbiamo imitarlo dando la vita per lui e per il prossimo. Ciò è possibile se viviamo in comunione e condividendo l’ amore di Gesù che è presente nell’Eucaristia.
Ultimo aggiornamento (Venerdì 17 Maggio 2019 11:07)
Gesù è il Buon Pastore, che salva e guida il suo gregge.
12 MAGGIO – IV DOMENICA DI PASQUA.
Gesù oggi si presenta a noi come il buon Pastore e noi formiamo il suo gregge. Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « O Dio, fonte d della gioia e della pace, che hai affidato al potere regale del tuo Figlio le sorti degli uomini e dei popoli, sostienici con la forza del tuo Spirito, e fa’ che nelle vicende del tempo, non ci separiamo mai dal nostro pastore che ci guida alle sorgenti della vita ».
In Cristo risorto, aderendo alla salvezza da lui operata come pecorelle del suo gregge, siamo chiamati a costituire un’ unica famiglia e a vivere nella gioia della figliolanza divina. Dobbiamo seguire Cristo Pastore con sapienza e costanza, riconoscere la sua voce e lasciarci guidare, nelle vicende della vita e tra le insidie del mondo, da lui. Egli ci conduce alle sorgenti della « vera vita » che viene alimentata dalla sua parola, dai suoi sacramenti e soprattutto dall’Eucaristia, suo Corpo e Sangue e nostro cibo. Gli uomini, dispersi e frammentati tra loro, in lui possono ritrovare l’unità di una « sola famiglia». Questa unità può aversi non solo perché è « dono di Dio », ma anche perché « ognuno è chiamato a superare e a vincere i motivi di divisione che ci sono tra gli uomini ».
Prima Lettura: At 13, 14.43-52.
Nella loro peregrinazione per l’annunzio della Parola del Signore, Paolo e Barnaba giungono a Perge e entrati, di sabato, nella sinagoga si intrattengono con Giudei e proseliti credenti in Dio, esortandoli a perseverare nella grazia di Dio. Ma il sabato seguente, essendosi radunata una moltitudine di gente, i Giudei, presi di gelosia, si mettono a contrastare le affermazioni di Paolo con parole ingiuriose. Allora Paolo e Barnaba, francamente dicono: « Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani », citando l’ordine del Signore: « Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra ». Così i pagani presenti si rallegrano e glorificano la parola del Signore e molti cedono, mentre la Parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei, sobillando le pie donne della nobiltà e notabili, suscitano atteggiamenti ostili verso i due apostoli ed essi, cacciati dal quel territorio, si recano ad Iconio, pieni di gioia e di Spirito Santo.
Davanti all’annunzio del Vangelo vi è chi rifiuta e respinge la salvezza di Cristo e chi si apre alla sua luce e alla gioia del Signore. Bisogna, certo, rallegrarsi della dignità di figli di Dio e discepoli di Cristo, ma si deve anche riflettere sul dono che Dio ci ha fatto e impegnarsi e perseverare nella sua grazia.
Non basta aver iniziato il percorso della salvezza: occorre proseguire vincendo le tentazioni della stanchezza e della mediocrità di vita, non scoraggiandosi di fronte agli ostacoli e vivendo nella coerenza della dignità cristiana di figli. Se la fedeltà a Cristo, certo, non costa poco, tuttavia ci si deve sforzare di corrispondere con amore al gesto di amore di Cristo, che ha donato la sua vita per noi.
Seconda Lettura: Ap 7, 9.14-17
Nel brano dell’Apocalisse, Giovanni vede attorno al trono di Dio e all’Agnello una moltitudine immensa, di ogni nazione, popolo, tribù, lingua. Tutti hanno vesti candide e tengono palme nelle mani. E uno degli anziani dice: « Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavatole loro vesti, rendendole candide con il sangue dell’Agnello ». Questi sono quelli che davanti al trono di Dio gli rendono servizio e su di loro Dio stenderà la sua tenda. Essi non soffriranno più né fame né sete, né alcuna altra cosa, perché l’ Agnello che sta in mezzo al trono sarà per loro pastore, li guiderà alle fonti della vita e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi: Gesù è l’Agnello che ha dato la sua vita per lavarci dalle colpe e il pastore che guida verso le fonti della vita eterna. Nella visione celeste della comunità dei salvati, ormai al cospetto di Dio, vi sono i martiri e tutti coloro che, passati dalla tribolazione, sono ormai nella gioiosa comunione con Cristo. Tutti siamo chiamati a rendere la nostra vita monda dal male e a vivere, anche nelle prove, nella fedeltà al Signore e nell’incrollabile certezza che alla sofferenza e alla passione seguirà la gioia e la consolazione che si avrà nella gloriosa comunione con Dio. In Gesù, redentore e Signore universale di tutti, non ci sarà nessuna distinzione di lingua o di razza. Ma fin da ora possiamo attingere, attraverso i sacramenti, alla fonti della vita, di cui l’Eucaristia ne è la principale, perché in essa ci nutriamo del Corpo e Sangue del Signore, e lo Spirito ci disseta e santifica.
Vangelo: Gv 10,27-30.
Nel brano evangelico Gesù ci dice: « Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono ». Il Signore per salvarci ha dato la vita per noi, sue pecorelle, liberandoci dal potere di Satana e, dopo esserci smarriti nelle vie del male, ci ha riportato all’amore di Dio e ci ha donato la sua vita divina. Da lui guidati, con la sua protezione, nessuno può strapparci dalla sua mano. Noi apparteniamo a lui poiché il Padre celeste, « che più grande di tutti », a lui ci ha affidati, per cui « nessuno può strapparci dalla mano del Padre » né di Gesù, essendo il Padre e Gesù una cosa sola. Gesù è un pastore singolare, particolare, che ci conosce profondamente e ci ha legati a sé, insieme al Padre, con un legame profondo dal quale nessuno può strapparci: intima, profonda e solida è questa unione. Gesù ci guida con la sua parola e il suo esempio, ci nutre con il suo Corpo e il suo Sangue, e ci conduce verso i pascoli della vita eterna. Questo vincolo di carità, che ci stringe a Cristo e al Padre, è il fondamento e la ragione per cui non dobbiamo lasciarci abbattere da nessun evento, pur anche negativo, o disavventura.