





LOTTA AL CORONAVIRUS
LOTTA AL CORONAVIRUS
Grande calamità sperimentiamo
in questo nostro bel creato mondo,
che abbiamo certo reso poco "mondo",
perché le leggi sue non rispettiamo.
Siamo tutti afflitti grandemente
perché vediamo molti contagiati,
nei piccoli o grandi agglomerati,
sentendoci coinvolti fortemente.
Molti tra noi saranno falciati
da questa epidemia dilagante:
ma se lo sforzo uman sarà costante
a vincere sarem facilitati.
Occorre un grande sforzo generale,
di medici, infermieri e volontari,
politici, civili e militari,
per vincere questo mal micidiale.
Se illuminati ed esperti scienziati,
nella ricerca sapranno investire,
in breve tempo potranno scoprire
il vaccin che guarisce i contagiati.
Anche questa tempesta inaudita,
che travolge le più fragili vite,
se faremo scelte concrete e ardite,
sarà dalla nostra terra bandita.
Se grande è allora il nostro impegno
nell'affidarci al nostro umano ingegno,
dobbiamo avere sempre umil contegno
e chiedere al buon Dio il suo sostegno.
Perciò siam fiduciosi a tutte l'ore,
se con gran fede ed anima contrita
cambieremo sinceramente vita,
uniti alla Pasqua del Signore.
Leonforte, 1 Aprile 2020
don Nino Lo Grasso.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:09)
CONTEMPLIAMO CRISTO CROCIFISSO MORTO PER LA NOSTRA SALVEZZA.
10 APRILE – VENERDI’ SANTO: « In PASSIONE DOMINI»
Commemoriamo nel Venerdì Santo la morte del Signore. Lo vediamo come il Servo; su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati gli uomini.
Oggi è il giorno dell’immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale.
Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell’adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo.
Siamo sempre sotto la croce. Non c’è momento, non c’è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.
Prima Lettura: Is 52,13-53.12.
Dal « Servo di Dio «, « schiacciato per le nostre iniquità », e dalla sua intercessione per i peccatori, ci viene la liberazione e il perdono. Questo servo misterioso porta già in sé i segni e le vicende della passione e del dolore di Cristo, per mezzo del quale sarà compiuta « la volontà del Signore », cioè il piano di redenzione del genere umano.
Seconda Lettura: Eb 4,14-16; 5,7-9.
Non dobbiamo trascurare l’aspetto doloroso della nostra redenzione, cioè la sofferenza e il sacrificio del Figlio di Dio sulla croce, la sua consegna al Padre, la sua obbedienza e preghiera che Dio ha ascoltato, richiamandolo dalla morte con la risurrezione. Per questa obbedienza, che ce lo ha reso intimamente socio e partecipe della nostra umanità, il suo sacrificio è stato gradito e noi siamo stati salvati. Dobbiamo essere in comunione con l’obbedienza di Gesù: questo vuol dire fare la volontà di Dio.
L’intercessione di Cristo continua, ed è garanzia della sua fedeltà a noi, ed è aiuto per la nostra risposta a lui.
Vangelo: Gv 18,1-19.42.
Gesù compie la sua passione nell’affidamento totale al Padre, nella piena libertà del suo dono. E’ lasciato solo, tradito, rinnegato: è « l’uomo solo » che muore « per il popolo ». E tuttavia appare nella sua regalità. I segni di essa, presi per irrisione dai soldati e dagli altri, ne sono l’indice profetico e misterioso. Ma per capirlo bisogna essere dalla parte della Verità, bisogna entrare nel disegno di Dio.
« Io sono re » dice Gesù « Chiunque è dalla Verità, ascolta la mia voce ». Noi incontriamo Cristo e ne siamo redenti a questa condizione. Pilato con la sua cieca e pavida viltà non si trova da questa parte e lo consegna. Lo consegniamo ogni volta che pecchiamo, che preferiamo la menzogna.
Emerge nella passione la lucidità, la determinazione di Cristo. Egli non è uno offuscato e spezzato. In quel momento è tutta la Scrittura che si compie in lui, ed egli è consapevole. Ascoltiamo le sua parole, e accogliamo il suo testamento. Ci lascia la Madre sua, Maria; e proclama la sua sete: è la sete che ha dell’amore del Padre e degli uomini.
E’ l’agnello vero pasquale; la fonte dell’acqua e del sangue, dello Spirito che disseta, e del sacrifico che redime. E’ il trafitto che attrae lo sguardo e il desiderio dei popoli. Sul Calvario avvengono le vicende in Gesù che interessano la storia di tutto il mondo, di ogni tempo: la storia della nostra comunità che sta celebrando la Pasqua, della nostra anima che una volta ancora riceve la grazia di questa contemplazione e dei suoi frutti. L’avvenimento è passato, ma il suo segno, la sua grazia, la sua efficacia, rimangono.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:08)
L'ultima Cena di Gesù e l'istituzione dell'Eucarisrtia.
9 APRILE - GIOVEDI’ SANTO
Nel Triduo pasquale, in cui celebriamo il mistero della morte e risurrezione, il primo grande incontro di questo evento del mistero pasquale è l’ultima Cena, l’istituzione dell’Eucaristia.
L’Eucaristia è il sacramento della passione e della morte di Gesù, che egli lascia ai discepoli prima di consegnarsi ai suoi carnefici, per rendere la sua presenza nel tempo della sua assenza. La celebrazione della Cena è un dono che ancora oggi accompagna la vita della Chiesa ed è un impegno di vita per coloro che si pongono alla sua sequela. Nel banchetto del pane e del vino i discepoli faranno memoria del Signore ed entreranno in comunione con il suo Corpo e con il suo Sangue.
Nell’Eucaristia Gesù rende presente e disponibile la sua carità, il suo consegnarsi per noi. In essa egli ha affidato « alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore ». Quello che egli fa è all’opposto di ciò che compie Giuda. Questi lo vende, come fosse una cosa; Gesù invece si offre, come « vittima di salvezza ». Restiamo stupefatti e partecipi di questa umiltà di Cristo, che ci purifica dalle colpe, che si mette ai nostri piedi, che continua a lavarci la coscienza, che ci insegna a prendere l’ultimo posto, che genera ala nostra fraternità. Soprattutto questa sera sentiamo di formare, « qui riuniti, un solo corpo », perché Cristo ci ha raccolti. « Via le lotte maligne, via le liti, e regni in mezzo a noi Cristo Dio ».
Prima Lettura: Es 12,1-8.11-14.
Nello sfondo della Pasqua ebraica, in cui Israele deve mangiare l’agnello e con il sangue, a protezione, tingere gli stupiti delle case, segno e memoriale del passaggio di Dio e della liberazione, si colloca la celebrazione dell’Ultima Cena di Gesù. Intuiamo immediatamente che si tratta di un simbolo dell’Agnello di Dio, Gesù, che, immolato, toglie i peccati del mondo e muore sulla croce come l’agnello pasquale vero, nel cui sangue siamo liberati dal peccato. Ogni volta che riceviamo l’Eucaristia rinnoviamo la Pasqua, la manducazione del vero agnello immolato sulla croce.
Seconda Lettura: 1 Cor 11,23-26.
La Chiesa di Corinto aveva perso il senso dell’Eucaristia. Paolo allora rintraccia l’immagine originale del banchetto cristiano. Esso è la Cena del Signore, risale all’iniziativa e all’invenzione di Cristo, che all’Ultima Cena nel segno del pane e del vino consegna il suo Corpo e il suo Sangue, cioè il sacrificio di se stesso. Non vi si può prendere parte in qualche modo, ma con il proposito di entrare in comunione viva con la passione e la morte di Gesù per risorgere con lui.
Vangelo: Gv 13,1-15.
Per l’evangelista Giovanni, nella celebrazione della « Festa di Pasqua », Gesù vuole celebrare una Pasqua diversa da quella ebraica « sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre », accogliendo liberamente la volontà del Padre e offrendo, nella sua passione e morte, la vita per amore degli uomini. Nel contesto della sua Passione, che ha per contraltare l’istituzione dell’Eucaristia, raccontata dai Sinottici a questo punto della vita di Gesù, è la chiave per comprendere il gesto che Giovanni, nel vangelo di oggi, racconta: l’umile gesto della lavanda dei piedi che Gesù fa ai discepoli. Egli « avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine »: e il segno di questo amore estremo, illimitato, è il dono che egli fa di se stesso. E’ la sua vita resa usufruibile per i suoi. La lavanda dei piedi è come il simbolo di questa donazione: Gesù è venuto per servire. L’amore non è vero se non serve. Gesù sa di essere « il Signore e il Maestro », ma non per questo eserciterà la potenza ma porterà al massimo l’amore.
C’è un richiamo all’interno del vangelo di Giovanni: sulla croce, morendo Gesù dice: « Tutto è compiuto ». Usa la stessa parola che, posta in questi due momenti dell’ultima Cena e della croce, dice la qualità dell’amore. Questo estremo amore si esprime con il gesto del deporre le vesti e cingersi il panno. Del gesto Gesù dice due cose: « Se non ti laverò i piedi non avrai parte »; e : « Vi ho dato un esempio, infatti, perché come ho fatto io, facciate anche voi ». Il gesto di Gesù ci interroga. L’estremo limite dell’amore dice povertà radicale, umiltà, servizio. Povertà ben espressa dall’Eucaristia. Dietro quella povera forma, la gloria del Risorto. Il sacramento più caro alla Chiesa, così estremamente debole.
Resistenze all’amore; amore divinizzante.
Il povero gesto di Gesù, così denso di significato, non è compreso neppure da Pietro. Un amore così radicale, che cerca la comunione muove subito delle resistenze. Pietro, come noi, è resistente alla radicalità di una tale gratuità. Vi possono essere diverse cause di resistenza. Per accettare un tale amore bisogna riconoscersi peccatori salvati, allontanando ogni presunzione di auto salvarsi. Bisogna abbandonarsi alla salvezza offerta gratuitamente da Dio che cerca la comunione con noi. Ecco che l’Eucaristia è sacramento della presenza di Cristo nella sua Chiesa e della comunione di chi crede in lui. Il gesto ancora ci convoca a fare come Gesù, ad autoconsegnarci ai nostri fratelli e al mondo. L’esempio di Gesù allora più che dare un imperativo morale vuole fare di noi, nel nostro amore radicale, altri Cristo. E’ un gesto allora divinizzante, perché dove « c’è carità e amore, qui c’è Dio ».
Questa sera – nel « memoriale », nel « rito perenne », di cui ci parla la prima lettura dell’Esodo, e che per noi è ormai l’Eucaristia – possiamo più intensamente misurare la carità che ci ha redento e che dobbiamo attestare.
Il rito della lavanda dei piedi è ricco di significato profetico: è la norma della vita interiore della Chiesa ( la carità), una testimonianza di fede. E’ rendere presente Dio, è la nostra beatitudine. Ci riporta al gesto umile di Gesù, che proclama il primato di chi serve il prossimo, non di chi lo domina. In questo gesto Gesù prefigura la sua passione, che è un servire e un dare la vita per la redenzione degli uomini. Gesù che lava i piedi ai discepoli richiama anche l’Eucaristia, dove prosegue il servizio di amore; richiama insieme la purezza di cuore per prendervi parte, e infine il sacramento del Battesimo, che lava e rende commensali di Cristo.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:07)
GESU’ ENTRA A GERUSALEMME OSANNATO COME FIGLIO DI DAVIDE.
5 APRILE - DOMENICA DELLE PALME
Con la Domenica delle Palme- l’ingresso di Gesu’ a Gerusalemme - apriamo la Settimana Santa, la principale settimana di tutto l’anno liturgico.
Se anche quest'anno, causa la quarantena per il Coronavirus, non possiamo vivere le celebra- zioni della Settimana Santa, con il Triduo e la solennità della Pasqua, possiamo partecipare alle celebrazioni che vengono proposte, anche se in maniere ridotta nei riti, nelle varie reti televisive o altri mezzi digitali che le varie Comunità parrocchiali possono attivare.
La riflessione sulla Parola di Dio che viene proposta nel nostro sito ci può aiutare a vivere più in-tensamenti i mistri della Cena, del Venerdì Santo e della Pasqua di Risurrezione.
Con la domenica delle Palme – l’ingresso di Gesù in Gerusalemme – apriamo la Settimana Santa, la principale settimana di tutto l’anno liturgico.
Essa è la più ricca delle memorie dei misteri della redenzione: la passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione del Signore. La comunità cristiana è chiamata a raccogliersi frequentemente:
- per l’ascolto della Parola di Dio, che rievoca, dalla Bibbia, i grandi momenti della nostra salvezza;
- per la preghiera, come risposta riconoscente e piena di lode ai gesti della misericordia divina che il Padre celeste ci concede nel suo Figlio.;
- per la celebrazione dell’Eucaristia, sacramento in cui ritroviamo, nei se- gni del pane e del vino, il Corpo di Gesù offerto per noi e il suo sangue del sparso per la remissione dei peccati;
- per la solenne adorazione della croce del Venerdì Santo, nel ricordo della passione del Signore;
- per la solenne Veglia di Pasqua.
Gesù, condivide la nostra fragilità umana, attraverso la sua umiliazione, il dolore, la sofferenza e la sua passione, ci insegna a superare questi limiti, e chiede di accogliere la volontà salvifica di Dio, confidando nella forza che viene da Lui e non nelle nostre forze.
Sono giorni di passione della Chiesa rivivendo in sé i dolori di Cristo; sono giorni di raccoglimento e di silenzio per meditare il disegno sorprendente e stupendo del Figlio di Dio che ci ha amati fino a morire in croce; sono giorni in cui dobbiamo nutrire la speranza, perché Cristo ha vinto il Male definitivamente e ha sostituito alla morte la risurrezione; giorni, quindi, che ci riempiono di serenità e di gioia, se scopriamo la forza della carità che ci ha riscattato e della vita nuova che ci viene da Gesù risorto, inizio e germe di vita risorta per tutti gli uomini.
In questa domenica delle Palme, che è come varcare una soglia dal clima della quaresima a quello più intimo e solenne della Settimana Santa, ripercorriamo spiritualmente l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. per entrare poi nel Triduo pasquale, in sintonia col mistero della Morte e Risurrezione del Signore.
Riviviamo gli eventi della salvezza facendo esperienza della grazia ricevuta già una volta nel battesimo; riscopriamo il significato della passione del giusto innocente, per continuare a fare tesoro dei meriti salvifici di Cristo, evitando che il ripercorrere gli eventi della passione ci coinvolga solo superficialmente.
Quello celebrato in questa domenica è un evento glorioso per Cristo acclamato come il re d’Israele, che viene nel nome del Signore. Ma, insieme, questa gloria e regalità di Cristo è solo preannunciata: Egli deve prima passare attraverso la passione. Con questa domenica si apre la Settimana Santa in cui Gesù apparirà come il Servo umiliato fino alla morte, che « consegnandosi a un’ingiusta condanna, porta il peso dei nostri peccati » e nella sua morte lava le nostre colpe.
La processione osannante di oggi, con i suoi canti e la sua festosità, non deve farci dimenticare che alla risurrezione non arriveremo per via diversa da quella che passa per il Calvario.« Chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione ».
Contempleremo Gesù che entra in Gerusalemme, non con i gesti osannanti come siamo stati abituati, ma seguiremo Gesù con fede viva e parteciperemo rivivendo questi momenti mentalmente. Viene accolto festosamente, lui che viene nella mitezza e nella semplicità.. Ma non illudiamoci troppo: dopo pochi giorni non mancherà chi lo vorrà crocifisso. Gesù va accolto nel cuore e imitato nel suo doloroso cammino. Soltanto così non lotradiremo mai.
Egli entra come un re nella città santa, e il suo dono è la pace. Noi ci affatichiamo invano di ottenerla se non dominiamo i nostri istinti di prepotenza, se non riconosciamo in Gesù, che cavalca umilmente un puledro, lo stesso Figlio di Dio, venuto a riconciliarci con il Padre e tra noi.
La Settimana Santa ha per scopo la venerazione della Passione di Gesù Cristo dal suo ingresso messianico in Gerusalemme.
Le ferie della Settimana Santa, dal lunedì al giovedì, hanno la precedenza su tutte le altre celebrazioni.
Il Giovedì della Settimana Santa, al mattino, il vescovo, celebrando la Messa col suo presbiterio, benedice gli oli santi e fa sacro il crisma.
I colori liturgici sono: rosso per la domenica delle Palme, viola per il lunedì, martedì, mercoledì, bianco per la Messa crismale.
Prima Lettura: Is 50,4-7.
Il Servo di Dio è esempio di docilità, di ascolto della Parola e della volontà divina. Destino misterioso è quello del Servo: Egli è fatto oggetto di flagelli, di sputo, di scherni e tuttavia non si ribella. In lui prevale l’accoglimento di un disegno per una missione di salvezza. Leggendo in questa domenica delle Palme il brano di Isaia, con la mente corriamo subito a colui che non è venuto per essere servito, ma per essere servo e offrire la propria vita come prezzo di per la nostra liberazione dal male.
Seconda Lettura: Fil 2,6-11.
San Paolo scrivendo ai Filippesi ci esorta a contemplare il mistero di Cristo, dalla sua preesistenza eterna fino alla sua glorificazione.
Nella prima parte dell’inno contempliamo Gesù che, condividendo con il Padre dall’eternità la sua condizione divina, ha assunto la condizione umana di servo, divenendo simile a noi. Nel mistero dell’incarnazione la divinità riduce se stessa a vantaggio dell’umanità, perché « non ritenne un privilegio l’essere come Dio »: ecco lo spogliamento del Figlio di Dio, che nell’umiliazione e nell’obbedienza, con atteggiamento di fedeltà estrema al Padre, giunge all’abbassamento della croce, in un’obbedienza fino alla morte nella sua forma più ignominiosa.
Nella seconda parte dell’inno, dopo l’umiliazione, dopo l’obbedienza, viene cantata la risurrezione, la esaltazione del Servo suo Figlio: se la croce è il suo « sì » di amore al Padre e di consenso alla fraternità, la esaltazione è la fedeltà del Padre verso il Figlio.
Nella passione e morte del Figlio, che non sono fine a se stesse, e nella sua risurrezione abbiamo, strettamente uniti tra loro, i due grandi misteri di morte e di esaltazione del Cristo, di colui che oggi e sempre è il Signore di tutto e che ha aperto l’umanità alla speranza cristiana della gloria.
Consapevoli della volontà salvifica del Padre, ottenuta per la obbedienza del Figlio, possiamo bandire ogni forma di scoraggiamento e di sfiducia nei momenti difficili e della croce, perché il Cristo « pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono » ( Eb 5,8-9).
Le espressioni che in alcuni momenti si è soliti dire:« Ma posso avere il perdono di Dio ? Per me non c’è possibilità di perdono …» non devono indurci alla disperazione, perché Dio, anche se a volte crediamo di essere immeritevoli di perdono, nella sua misericordia lo offre per il suo grande amore e per avere mostrato la sua volontà salvifica riguardo all’uomo nella croce redentrice di Cristo e nella sua glorificazione, da dove intercede perennemente per noi tutti.
Vangelo: Mt 26,14-27,66.
Ascolteremo la narrazione della passione di Gesù dal Vangelo di Matteo: dall’istituzione dell’Eucaristia fino alla passione e sepoltura. Anche per Matteo la passione di Gesù è l’adempimento delle Scritture che annunziano la salvezza. Più che di un l resoconto oggettivo, staccato, è una storia che non si deve solo ascoltare, dobbiamo risentire in noi questi avvenimenti: Cristo li ha patiti per noi. Nell’addentrarci nella Settimana Santa rivediamo il nostro atteggiamento:
- rispetto al nostro peccato, lato oscuro della nostra vita, possiamo, come Giuda che si suicida perché non ha più speranza se non nella morte, essere presi dalla disperazione;
- di fronte alla croce, invece, possiamo avere i sentimenti di Pietro, che parla, promette e, di fronte alla prova dei fatti, tradisce, fugge e lascia solo Gesù; ma al canto del gallo, in un profondo senso di pentimento, lava con le lacrime il suo peccato e apre il suo cuore al perdono di Gesù,
- o quelli del cireneo che, coinvolto per caso nella situazione, condivide la croce con Cristo e ci invita a portare la croce di Cristo, in tanti fratelli che abbiamo intorno e che ci chiedono di portare i pesi gli uni degli altri.
Nessuno può giudicare o condannare i protagonisti suddetti, perché tutti, iniziando dal primo peccato che, all’inizio della Quaresima, ci è stato ricordato, ne siamo coinvolti, per cui è necessario per tutti partecipare alla storia della salvezza che si compie sulla croce. Per la solidarietà che ci lega tutti e non solo quelli che erano presenti al tempo degli eventi della passione del Signore, ognuno, assumendo la responsabilità per il male che compie, deve dire: per me il Signore è stato tradito ed ha sudato sangue; per me ha subito gli sputi e gli schiaffi; per me è stato bastonato, ha portato la croce, è morto ed è stato sepolto.
Solo con questi atteggiamenti, riconoscendoci tutti peccatori, possiamo aprirci la via alla redenzione e alla salvezza.
Questa deve essere la passione che ripassa nel cuore di ogni discepolo, nel cuore della Chiesa, che la ripercorre con la sofferenza e la riconoscenza della Sposa fedele.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:05)
L'amore di Dio e la risurrezione dei morti.
29 MARZO – V DOMENICA DI QUARESIMA.
L’amore di Dio e la risurrezione dei morti.
Con il battesimo siamo entrati nella famiglia di Dio e, « inseriti come membra vive nel Cristo », dobbiamo vivere fedelmente questa nostra figliolanza. E’ nella comunione al Corpo e al Sangue del Signore che continua questo nostro essere uniti a Cristo. Questa è una relazione vitale che, se non ci sottrae alla fine dei nostri giorni terreni alla morte fisica, è tuttavia pegno di risurrezione.
Ma per entrare in questa risurrezione dobbiamo prima essere partecipi con Cristo alla sua passione redentrice, e l’Eucaristia, che ci dà la forza lungo il cammino terreno per giungere alla beata risurrezione, ne è pegno di gloria futura per partecipare al Corpo mistico glorioso.
La morte, nonostante i suoi sforzi che l’uomo compie, non può essere eliminata, solo è possibile rimandarla. Ma Gesù, dicendo di essere venuto « perché gli uomini abbiamo la vita e l’abbiano in abbondanza », ci dà la certezza che la nostra vita non è tolta da Dio, ma sarà trasformata alla maniera della vita del Cristo risorto, di cui la risurrezione dell’amico Lazzaro ne è un segno anticipatore..
Nella Colletta della Messa preghiamo dicendo: « Eterno Padre, la tua gloria è l’uomo vivente; tu che hai manifestato la tua compassione nel pianto di Gesù per l’amico Lazzaro, guarda oggi l’afflizione della Chiesa che piange e prega per i suoi figli morti a causa del peccato, e con la forza del Tuo Spirito richiamali alla vita nuova ».
Prima Lettura: Ez 37,12-14 .
Il Signore, per bocca del profeta Ezechiele, dice al suo popolo: « Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, vi condurrò nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore…. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra ».
L’esilio che finisce, i morti che escono dai sepolcri per la virtù rinnovatrice dello Spirito, che il profeta preannunzia, sono diventate per noi realtà con la risurrezione di Gesù Cristo, poiché, dopo l’ascensione alla destra del Padre, abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, che è principio della risurrezione. Ancora: la grazia del perdono, il ritorno alla vita divina avvengono sempre per opera dello Spirito e sono fin da questa terra una vera risurrezione nello Spirito, mentre la gloria del cielo sarà il suo compimento e la sua piena manifestazione. Nella Quaresima ci viene riproposto un itinerario di risurrezione.
Seconda Lettura: Rm 8,8-11.
San Paolo ci ricorda che con il battesimo siamo stati sottratti al potere di Satana e non siamo più « sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi », per cui se non abbiamo lo Spirito di Cristo non apparteniamo a lui. Cristo in noi ci fa morire alle opere del corpo, ma il suo Spirito ci dà la vita e la giustizia di Dio. Se dunque abbiamo in noi lo Spirito che ha fatto risorgere Gesù dai morti, il Padre celeste « darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in noi ».
Lo Spirito Santo di Dio che ci viene dato nell’intimo: « abita in noi », dice san Paolo, e ci fa appartenere a Cristo. Essere in grazia e nella comunione in Cristo vuol dire avere il suo Spirito. Da qui la speranza della risurrezione, a dispetto della mortalità ancora attuale del nostro corpo. Chi ha risuscitato Cristo, risusciterà anche noi, ci renderà conformi a lui nel suo stato glorioso. La fede, oltre le apparenze, ci fa percepire questa straordinaria condizione cristiana e ci fa sperare in una vita trasformata e migliore..
Vangelo: Gv 11,1-45.
Gesù dopo essersi presentato come il Buon Pastore, per non essere lapidato, si allontana da Gerusalemme, ma viene raggiunto dalla notizia della malattia grave del suo amico Lazzaro, fratello di Marta e Maria di Betania. Gesù si prende cura della loro sofferenza e, anche se non andrà subito a Betania, vi si reca per compiere qualcosa di più grande che la semplice guarigione dalla malattia dell’amico, pur sapendo che la risurrezione di Lazzaro indurrà i suoi nemici alla decisione di ucciderlo, confermando così le sue parole che « il buon Pastore dà la vita per le sue pecore » (Gv 10,11). Così, se la morte dell’amico rimanda alla sua morte e la risurrezione di Lazzaro alla sua risurrezione, la vita a cui è riportato l’amico rimanda alla sua missione di dare la sua vita di Pastore per gli uomini: « Io dò loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano » ( Gv 10,28).
Dopo due giorni dall’aver appreso la notizia della malattia dell’amico, Gesù dice ai discepoli: « Andiamo di nuovo in Giudea !». E poiché i discepoli lo dissuadono di andarvi dicendo che i Giudei cercavano di lapidarlo, Gesù, rivolgendosi loro, dice: « Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo ». Avendo essi capito che Lazzaro si sarebbe salvato, Gesù apertamente dice: « Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui! ».
Alla notizia dell’arrivo di Gesù, Marta gli corre incontro e, rivolgendosi a Gesù, gli dice: « Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà ». E Gesù le dice: « Tuo fratello risorgerà ». Marta professa dapprima la sua fede nella risurrezione escatologica, ma dopo che Gesù le dice: « Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo? » (Gv 11,25-26), ella precisa la sua fede in lui e, dopo aver risposto : «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo »( Gv 11,27), corre a chiamare la sorella Maria, compiendo così la sua missione di discepola che crede e testimonia.
Quando Maria, insieme ai Giudei che erano in casa per consolarla, giungono dove si trova Gesù, gettandosi ai suoi piedi, gli dice: « Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! ». Gesù allora, vedendo piangere lei e coloro che sono accorsi con lei, si commuove profondamente e, turbato, domanda dove l’hanno posto. Al loro invito di andare a vedere Gesù scoppia in pianto, suscitando nei presenti l’esclamazione: « Guarda come l’amava! ». Giunti intanto al sepolcro, alla richiesta di Gesù di rimuovere la pietra che era posta davanti all’ingresso, Marta gli dice: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni ». Ma Gesù la rassicura dicendole che se crede vedrà la gloria di Dio. Tolta la pietra, dopo una breve preghiera di Gesù al Padre, ringraziandolo perché sempre lo ha ascoltato, grida a gran voce: « Lazzaro, vieni fuori! ». All’apparire del morto, che viene fuori avvolto dal sudario e legato con bende, dice ai presenti: « Liberatelo e lasciatelo andare ». Conclude l’evangelista che molti dei Giudei, venuti da Marta e Maria, vedendo ciò credettero in lui.
La risurrezione di Lazzaro, ultimo segno, il più eccellente, il più evidente della sua identità: « Io sono la risurrezione e la vita », è un segno, un presagio di quanto avverrà per ciascuno di noi, quando saremo richiamati non tanto a un altro tratto di esistenza terrena, ma a quella celeste.
Gesù, per il suo amore, libera dalla morte coloro che si lasciano salvare da lui e gli sono fedeli.
Questa fedeltà a lui si manifesta innanzitutto nell’essere partecipi attraverso il battesimo « alla passione redentrice » di Gesù, morire come muore un seme; poi, nel tempo della sequela terrena, essere continuamente rinnovati nella vita nuova di grazia dalla forza dello Spirito che viene dall'Eucaristia; e infine divenire partecipi della sua gloriosa risurrezione nel cielo.
Così, alle soglie della Veglia Pasquale, richiamati di nuovo alla realtà battesimale, evento di grazia con il quale Dio ci ha fatto il dono di passare dalla morte del peccato alla sua vita divina e, innestati in Cristo, che si fa compagno compassionevole della nostra miseria, il Signore ci perdona ogni colpa. In una vita rinnovata continuamente dallo Spirito, siamo in cammino verso la vita eterna e alla risurrezione alla fine dei tempi.
Lazzaro immagine dell’umanità peccatrice.
Ciò che compie Gesù per l’amico Lazzaro rappresenta per l’umanità, che sta sotto il regime della schiavitù del peccato come nella morte, la promessa di risurrezione per coloro che credono in lui, che ha il potere sulla morte
L’onnipotenza di Dio viene in soccorso alla fragilità, al dolore umano e se, con i nostri peccati e debolezze, ci affidiamo a Dio, egli, da parte sua, ci libera dal dominio della morte.
Gesù sente tutta l’amarezza per la realtà della morte che colpisce tutti e la condivide, giungendo a piangere con coloro che piangono lo strappo di una persona amata. Ma la fede nella nostra risurrezione, come lo è stato per Cristo, dev’essere più forte del pianto: perché è superata la morte definitivamente. Allora neppure questa, che ancora ci prende, può indurci alla disperazione: « Io sono la risurrezione e la vita. Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno ». E’ tutto qui: essere in comunione con Gesù mediante la fede, che è il vincolo che ci lega a lui, ed è il passaggio, nello Spirito, ad una vita in Dio Padre, per l’eternità, come è stato per Gesù.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:02)