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ASSUNZIONE AL CIELO DELLA BEATA VERGINE MARIA, IN ANIMA E CORPO.
15 AGOSTO – ASSUNZIONE DI MARIA AL CIELO.
Quando diciamo « Padre nostro, che sei nei cieli » più che intendere un luogo materiale in cui dimora Dio( anche se Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo, come recitava un tempo la risposta alla domanda: Dov’è Dio), dobbiamo intendere una esistenza diversa da quella materiale, terrena in cui viviamo noi, una esistenza nello spirito e nella immaterialità. Celebrando la solennità della assunzione della Beata Vergine al cielo, allora, crediamo che anche Maria come Gesù, che in anima e corpo risorto vive nell’esistenza divina di Verbo del Padre, vive nell’esistenza immortale, nella comunione eterna di Dio, in anima e corpo. Celebrando Maria noi celebriamo la sorte gloriosa che attende tutti noi, perché lei, dopo Gesù, è segno di sicura speranza di risurrezione e di vita in Dio. Come Maria che già vive nella gloria di Dio e nella sua presenza, anche noiaspiriamo a vivere in piena comunione con Dio.
Maria assunta perché Madre di Dio.
Se la morte, dice la Scrittura, è entrata nel mondo come conseguenza del peccato originale e della disobbedienza dell’uomo a Dio ( Rm 5,17-21), così il Cristo, il Figlio di Dio, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria ( Lc 1,31.35), per la sua obbedienza “fino alla morte e a una morte di croce ( Fil 2,8), è divenuto causa di salvezza per coloro che gli obbediscono (Eb 5,9), e riconciliandoci con Padre, con la sua risurrezione è divenuto primizia di coloro che risorgono dai morti (Cor 1,15-28) e sono destinati alla risurrezione e alla vita in Dio.
Da ciò deriva che la Beata Vergine Maria, avendo ricevuto per singolare privilegio di essere esente dalla disobbedienza di Adamo, ed essendosi come Gesù resa obbediente al progetto di Dio con il suo “sì” alla Maternità del Figlio, non ha sperimentato la morte ed ha ottenuto un’esistenza in anima e corpo in Dio come il suo Figlio, partecipando della sua stessa gloria.
Maria, che ha accolto il Figlio di Dio con la fede nel suo cuore, lo ha generato nel suo grembo per opera dello Spirito, divenendo l’Arca di Colui che avrebbe instaurato una Nuova ed Eterna Alleanza ed è stata unita a lui in tutta la sua vita terrena, sempre per un “ conveniente dono di grazia” , partecipa pienamente della stessa gloria del Figlio nella Gerusalemme celeste. Anche in cielo Ella è “Arca dell’Alleanza”, come ci dice la Lettura dell’Apocalisse, “donna vestita di sole” che partorisce il bambino “rapito verso Dio e verso il suo trono”, compiendosi così “la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo”.
« Maria, attraverso la quale Dio ha realizzato sulla terra il suo progetto di salvezza, incarnandosi e portando a compimento la nuova alleanza, è Colei che gode della piena realizzazione dell’alleanza che si colloca oltre la storia umana, nel regno di Dio, nella risurrezione della carne, nel cielo ». (Dal Messale delle Domeniche e Feste,2013, Ed Elledici). E’in questa prospettiva di fede che i cristiani celebrano questa Festa solenne della Assunzione al cielo di Maria in anima e corpo.
Le grandi opere compiute in Maria dall’Onnipotente..
Ciò che celebriamo, l’Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria, è una delle tante meraviglie che Dio ha operato in lei. Tutto è opera di Dio e che Maria è stata scelta, nonostante la sua umiltà e fragilità, ad essere la Madre del Figlio di Dio, è un dono gratuito di predilezione del Padre. Anche noi siano, dalla creazione fino alla nostra definitiva salvezza operata da Cristo, oggetto dell’amore gratuito di predilezione di Dio Padre che, avendoci incorporati al suo Figlio mediante il battesimo, ce l’ha donata come nostra Madre. Per questo le tributiano la nostra venerazione e la poniamo accanto a Gesù, assunta in cielo, da dove esercita anche verso di noi la sua maternità.
Maria è la primizia dell’umanità salvata e rinnovata dalla misericordia di Dio per mezzo del suo Figlio ed è posta e celebrata come segno di speranza per noi che aneliamo al cielo per essere insieme a Cristo, nostro Capo, e a lei, nostra Madre.
Dio che « Rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi » compie le sua meraviglie quando l’uomo pone, non nell’abbondanza dei beni né nel potere o nell’onore del mondo, ma nella comunione e nell’amore con lui la sua vita. Maria, avendo vissuto qui in terra in comunione con la Trinità nel suo compito di Madre, oggi è in cielo, con tutto il suo essere, anima e corpo, a partecipare della pienezza della gioia e della gloria di Dio. Maria, primizia e immagine della Chiesa, segno di consolazione e di sicura speranza, attende noi suoi figli, ancora peregrinanti in questa terra d’esilio, e intercede per la nostra definitiva salvezza insieme al Figlio presso il Padre.
Maria ci ha preceduto nella gloria celeste.
Se Maria, per il suo ruolo nel progetto di Dio, è stata fatta oggetto di singolari privilegi, non vuol dire che noi dobbiamo porla su un piedistallo di grandezza discriminatoria, perché tutti in Cristo, per volontà del Padre. « siamo stati scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità » ( Ef1,4), predestinati ad essere figli adottivi ed eredi della stessa gloria del Figlio.
Come per Gesù, con il corpo risorto e asceso alla destra del Padre, e Maria, assunta anche lei con il corpo nella gloria, anche noi parteciperemo nella risurrezione alla loro stessa gloria: il nostro corpo si ricongiungerà al nostro spirito e con tutto il nostro essere vivremo nella pienezza di Dio.
L’Eucaristia che celebriamo, mediante l’opera dello Spirito Santo che rende presente Cristo con il suo Corpo e il suo Sangue, ci trasforma in Cristo e diveniamo già partecipi dei beni futuri, di cui essa è caparra e anticipazione di immortalità.
« L’Eucaristia è pane di vita eterna per la comunione con lo stesso Gesù che Maria ha portato in grembo e dunque con quel Gesù con cui vive nella pienezza della sua femminilità, maternità, familiarità, con le storie vissute e i sentimenti nutriti » (Messalino delle Domeniche e Feste, Ed.Elledici, 2013).
Prima Lettura: Ap 11,19.12,1-6.10.
La liturgia trova l’ evocazione di Maria nell’arca dell’alleanza del santuario celeste e nella donna vestita di sole che partorisce un figlio, sottratto alle forze del male rappresentate nel drago. L’Apocalisse descrive la parabola della Chiesa, poiché alla Chiesa immediatamente si riferisce l’immagine della donna incoronata da dodici stelle. Ma Maria è nella Chiesa, come tipo ed esemplare, a sostenere le vicissitudini del popolo nuovo che rivive il cammino del deserto, protetto dalla potenza e dalla regalità di Cristo.
Seconda Lettura: 1 Cor 15, 20-27.
Gesù è risorto come primo: a lui, e a sua immagine, seguiranno quelli che « sono di Cristo », cioè quelli che hanno creduto in lui e ne hanno ricevuto la vita. Tra tutti questi la prima è Maria, che di Cristo è la Madre.
Vangelo: Lc 1,39-56.
Maria è stata scelta da Dio per pura grazia. Questa consapevolezza fa scaturire in lei il gioioso riconoscimento della bontà di Dio, che compie opere grandi in quanti si affidano a lui e in lui pongono ogni speranza.
Sia Elisabetta sia Maria gioiscono in Dio, che riconoscono come loro Salvatore che ha realizzato le promesse incarnandosi, offrendo la sua vita per amore sulla croce e risorgendo. Alla realizzazione di queste promesse partecipa innanzitutto Maria, la Madre, Colei che ha creduto; vi partecipiamo poi anche noi, perché anche noi siamo destinati come il Cristo, di cui siamo membra, alla risurrezione e alla vita in Dio per l’eternità.
COMUNICAZIONI PARROCCHIALI
1) Il giorno 15 Agosto, Solennità della ASSUNZIONE al Cielo della BEATA VERGINE MARIA, le Sante MESSE saranno celebrate alle Ore 08.15 - 10.30 - 19.00.
2) Il giorno 16 Agosto, Festa della MADONNA DEL CARMELO, Patrona di Leonforte, la Santa MESSA sarà celebrata solo alle Ore 19.00.
3) Il giorno 18 Agosto, essendo Domenica e non potendo celebrarela Festa di Sant’ELENA nella Grotta a Lei dedicata, la celebrazione in suo onore e la Santa MESSA saranno trasferite al giorno 22 AGOSTO, alle ore 18.30, presso il sito archeologico.
4) Il giorno 26 Agosto, Lunedì, faremo la celebrazione d Santa Liberata , presso la Famiglia
Consentino. Il Parroco
Beati quei servi che il padrone troverà svegli.
10 AGOSTO – XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
La Domenica i figli di Dio rinnovano la gioia di ritrovarsi insieme e riscoprono la grazia e la gioia di invocare Dio, “Abba, Padre” e sentirsi, in forza del dono dello Spirito ricevuto, “figli adottivi”. In virtù di questa paternità e figliolanza riceviamo la fede e la forza per avvertirlo presente in tutti gli avvenimenti della nostra vita e della storia, anche quando siano chiamati ad affrontare con serenità le prove della vita, con tutte le difficoltà a volte ad essa connesse. Siamo chiamati ad affrontare le situazioni difficili, quali malattie, avversità varie, sofferenze, con la fiducia e la certezza che il Signore ci è vicino e che, come dice a san Paolo, davanti alle difficoltà da affrontare per l’annunzio del Vangelo: “Ti basta la mia grazia”.
Il Signore accompagna la sua Chiesa, sua Sposa, nel suo pellegrinare terreno, in attesa della contemplazione del volto dello Sposo nella Gerusalemme celeste. Quando ci raduniamo per celebrare i misteri della salvezza nel giorno del Signore accresciamo il desiderio della patria celeste e non per evadere dai nostri impegni quotidiani o perdere il nostro tempo, che crediamo prezioso per le cose passeggere ed effimere, ma che dobbiamo, pur contro nostra voglia, lasciare. Spesso dimentichiamo che dobbiamo vivere da figli di Dio e avere sempre fissi i nostri sguardi ai beni celesti verso cui siamo incamminati.
Nella Colletta della Messa di oggi preghiamo dicendo: « Arda nei nostri cuori, o Padre, la stessa fede che spinse Abramo a vivere sulla terra come pellegrino, e non si spenga la nostra lampada, perché vigilanti nell’attesa della tua ora siamo introdotti da te nella patria eterna ».
Prima Lettura: Sap 18,6-9.
Il Libro della Sapienza, oggi, ci dice che gli eventi della liberazione furono preannunziati ai padri, i quali, avendo con coraggio prestato fedeltà al giuramenti del Signore e atteso la salvezza dei giusti, sono stati glorificati e chiamati dal Signore. «I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero , concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri ».
Meditare sulle opere di Dio, i suoi interventi di grazia, la liberazione pasquale, gesti con cui Dio guida il suo popolo, è per i giusti un rinnovare la fedeltà al Signore, che premia i giusti e punisce chi si oppone al suo disegno. La speranza dei giusti è fondata sulla fedeltà di Dio, che non abbandona. Partecipare, allora, per i cristiani, lungo il loro pellegrinare terreno, agli eventi pasquali della salvezza operata da Cristo, non solo con la memoria ma rendendo grazie e celebrando, immergendovisi, il suo mistero di morte e di risurrezione, significa riprendere coraggio e rinnovare la fede, rafforzarsi nell’impegno di testimoniare il Signore, come avvenne con i discepoli di Emmaus: Cristo Eucaristia ci guida lungo questo glorioso pellegrinare.
Seconda Lettura: Eb 11,1-2.8-19.
La fede dei Padri, ci dice la Lettera agli Ebrei, « è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede ». Per questa fede essi sono stati approvati da Dio. Così Abramo per fede, chiamato da Dio, partì per ricevere da lui la terra promessa in cui soggiornò, sotto la tenda, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Ancora: Abramo aspettava la città dalle salde fondamenta, costruita da Dio stesso e Sara, anche lei per fede, pur essendo in tarda età, ebbe la possibilità di divenire madre, avendo ritenuto degno di fede colui che glielo aveva promesso. Così, dal solo Abramo, pur segnato anche lui dalla morte, nacque una numerosa discendenza più numerosa delle stelle del cielo. Tutti questi padri nella fede morirono senza aver ottenuto i doni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano pur dichiarandosi stranieri e pellegrini sulla terra. Sono quindi alla ricerca di una patria, non quella lasciata in cui potevano ritornare, ma aspirano ad una patria migliore, la celeste. .
La fede contrassegna gli amici di Dio e, per essa, si è approvati da lui che rende giusti ai suoi occhi. La fede comporta l’obbedienza al Signore. Essa fa sperare in Colui che è fedele, attendendo sulla sua infallibile parola ciò che Egli promette. La fede ci fa camminare, desiderare, ricercare la patria celeste come Abramo che fu messo alla prova, avendogli Dio chiesto di sacrificargli il figlio, poiché era convinto che « Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo ». Il credente è colui che fa l’esperienza della morte e della vita e si affida a Dio, il quale non mente e dà quello che promette, come è stato per suo Figlio, sacrificato per noi ma divenuto segno di risurrezione e primizia di vita eterna per tutti. Spesso però siamo tentati di diffidare, di non credere, di trattenerci nelle buone intenzioni senza abbandonarci fino in fondo al volere di Dio.
Vangelo: Lc 12,32-48.
Gesù ci esorta a vivere distaccati dalle cose terrene e a preparare un tesoro sicuro nei cieli, dove i ladri non arrivano né il tarlo consuma, ma a cui dobbiamo legare il nostro cuore. Per questo il Signore chiede di essere come servi svegli e vigilanti, pronti ad accoglierlo, quando egli viene a chiamarci, in qualunque momento della notte o del giorno o prima dell’alba. Se ci troverà così saremo beati e ci introdurrà con sé a vivere con lui nel suo regno. E come un padrone non si lascerebbe scassinare la casa se sapesse a quale ora il ladro lo farebbe, così dice a tutti Gesù: « Tenetevi pronti perché nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo ».
Alla domanda di Pietro, che chiede a Gesù se questo ammonimento lo ha detto per loro o per tutti, il Signore risponde che un servo sarà da ritenersi beato se come amministratore, fidato e prudente, messo dal padrone a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a suo tempo, sarà trovato da lui, che arriva all’improvviso, ad agire secondo la volontà del padrone, perché lo porrebbe a capo di tutti i suoi averi.
Se invece quel servo, illudendosi che il padrone tarda a venire, trattasse male i servi e le serve, mangiasse, bevesse e si ubriacasse, il padrone, arrivando in un giorno o in un’ora in cui non se l’ aspetta, lo punirebbe severamente, infliggendogli la sorte che meritano gli infedeli.
Gesù, allora, conclude dicendo: « Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche ». perché « A chiunque fu dato molto, molto sarà richiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più ».
I cristiani, anche se pochi, non devono sentirsi trascurati, perché ai piccoli, dice Gesù, sono rivelati i misteri del Regno preparato per loro dal Padre. Esso appartiene ai poveri e agli umili e per essere discepoli di Gesù bisogna distaccarsi dai beni terreni e porre il proprio cuore a preparare un tesoro celeste che nessuno può rubare e a cui deve legare il cuore: Cristo Gesù.
Allora il cristiano deve essere vigile e pronto, amministrare bene ciò che il Signore ci dona e non farsi prendere dal sonno ed essere indisposti: allora sarà Gesù stesso a invitarlo al banchetto celeste e a servirlo. Occorre essere fedeli e saggi. Se questo ammonimento vale per tutti, a maggior ragione vale per chi nella Chiesa assolve ad una precisa responsabilità che il Signore chiede di attuare.
Condividi i tuoi beni per arricchire davanti a Dio.
4 AGOSTO – XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nella celebrazione della Eucaristia non basta offrire al Padre il sacrificio della croce, Gesù, vittima gradita a Dio, è necessario che anche faccia parte di questa offerta la nostra vita, che viene trasformata insieme come offerta perenne. I segni del sacrificio del Cristo devono diventare anche i nostri segni, perché ogni aspetto della vita porti le impronte dell’amore di Cristo. Anche il lavoro e le attività quotidiane, se svolti con spirito di carità e di fraternità verso i poveri e i sofferenti, come ha fatto Cristo, esprimeranno il nostro servizio verso tutti gli uomini. Così ci rivolgiamo al Padre nella preghiera iniziale: «O Dio, principio e fine di tutte le cose, che in Cristo tuo Figlio ci hai chiamato a possedere il regno, fa’ che operando con le nostre forze a sottomettere la terra non ci lasciamo dominare dalla cupidigia e dall’egoismo, ma cerchiamo sempre ciò che vale davanti a te ».
Prima Lettura: Qo 1,2.2,21-23.
Nella lettura di oggi, dal libro di Qoèlet, siamo invitati a riflettere sulla vanità delle azioni che l’uomo compie: tutto, afferma Qoèlet, è la vanità: è un gran male. E’ vanità, se il lavoro che uno ha fatto con sapienza, scienza e successo, dovrà poi essere lasciato tutto ad un altro, che non vi ha faticato. Quale profitto viene all’uomo dalle sue fatiche e preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna? I suoi giorni sono dolori e fastidi e neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità. Poiché le realtà terrene sono inconsistenti e caduche e le attività dell’uomo sono intrise di inquietudine e affanno, perché l’uomo è tentato di appoggiarsi alle creature, di affannarsi vanamente, se tutto dovrà essere lasciato? Con ciò non bisogna pensare di darsi alla pigrizia, all’accidia o al pessimismo e allo scetticismo, ma bisogna pensare che solo affidandosi a Colui che non passa, che resiste alle mutevolezze delle vicende terrene, noi potremo pensare di non legare il cuore ad esse e ricercare invece tesori che non passano, che nessuno può rubare, né essere consumate dalle ruggine o dalla tignola, come dice Gesù.
Seconda Lettura: Col 3,1-5.9-11.
San Paolo scrivendo ai Colossesi, ci esorta, se siamo risorti con Cristo, ad una nuova mentalità, a non pensare alle cose della terra, ma a quelle del cielo, di lassù, dove è Cristo, assiso alla destra di Dio. Poiché come discepoli del Signore siamo morti alle « opere del mondo e della carne » e la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio, allora crediamo che quando Cristo, nostra vita, si sarà manifestato, anche noi appariremo con lui nella gloria. Esorta ancora a far morire in noi ciò che appartiene alla terra: impurità, passioni, desideri cattivi e ogni forma di cupidigia, per cui idolatriamo le realtà terrene. Ancora. Essendoci svestiti dell’uomo vecchio, con le sue azioni ed essendoci rivestiti dell’uomo nuovo, dobbiamo rinno-varci, con piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Così in Cristo è scomparso ogni distinzione di razza, nazionalità, di circoncisione o in circoncisione, di condizione sociale, e Lui è tutto in tutti.
Attraverso il battesimo, dunque, c’è in noi il germe della risurrezione, anche se lo sarà pienamente nella eternità di Dio. E’ già una realtà nascosta che attende di essere manifestata nella gloria. Il nostro sguardo intanto deve essere rivolto ad un orizzonte che va oltre questa terra: cioè la nostra condotta deve essere modellata avendo come principio Cristo risorto e nella mortificazione di tutto quello che è « terreno », in tutti quegli aspetti di peccato e che costituiscono il comportamento tipico dell’« uomo vecchio », che è dentro di noi e di cui il credente in Cristo si è spogliato, perché in lui ormai opera l’uomo risorto con Cristo. Accogliere questa mentalità nel battesimo, riscoprirla giorno per giorno, assaporarne il gusto spirituale, fa passare le realtà terrene in secondo ordine. La vita cristiana è allora attesa e anticipo della vita eterna.
Vangelo: Lc 12,13-21.
Gesù, in questo brano del Vangelo, partendo da una domanda che un tale della folla gli rivolge, chiamandolo a dirimere una questione di eredità che egli ha con il fratello, Gesù gli risponde: « O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi? ». E continua, rivolgendosi alla folla, a fare attenzione e a tenersi lontano da ogni cupidigia, perché la propria vita non dipende dall’abbondanza da ciò che si possiede. Racconta quindi la parabola dell’uomo ricco, i cui terreni avevano dato un raccolto abbondante, per cui pensa di demolire i magazzini esistenti e costruirne altri di più grandi per conservare tutto il grano e i beni. Mentre pensa, però, in se stesso:« Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti! », Dio gli dice: « Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? ». Così conclude Gesù è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce davanti a Dio.
L’avidità, la cupidigia, il desiderio smodato a possedere sempre di più e chiudere il proprio cuore egoisticamente, senza aprirsi alla solidarietà e con i fratelli che sono nel bisogno, significa non usare i beni, che la provvidenza di Dio ci dona, secondo l’esempio di Cristo che si è fatto uno di noi, povero, per arricchirci della sua divinità e dei beni eterni.
Gesù, con la beatitudine proclamata: « Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli », vuole indicarci una via e una mentalità, che ci faccia vivere il rapporto con le realtà terrene, le ricchezze, non come fine del nostro quotidiano affanno, ma come mezzi che ci aiutino a realizzare, per tutti quanti gli uomini, condizioni che consentano di vivere dignitosamente la quotidianità della vita, facendo sì che si possa, al di là di questa esistenza terrena, accumulare i beni spirituali ed eterni che sono quelli che ci ritroveremo nella vita in Dio. E’ illusorio e stolto, quindi, affidarsi alle ricchezze, che per la loro instabilità e insicurezza, hanno una radicale vanità. Si può sembrare ricchi materialmente, ed essere nella miseria estrema, mentre invece chi, a giudizio del mondo, sembra essere povero, possiede la vera ricchezza: la grazia e l’amore di Dio, la santità, le opere di carità, ricchezze che resistono all’usura del tempo e non sono soggette alla volubilità e alla inconsistenza delle cose del mondo.
Signore Gesù, insegnaci a pregare.
29 LUGLIO – XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Partecipare al sacrificio dell’Eucaristia vuol dire celebrare il memoriale della passione, morte e resurrezione del Signore che, in virtù dello Spirito Santo, attualizza nella vita del credente il suo mistero di salvezza. Lo Spirito, che trasforma il pane e il vino nella presenza reale di Cristo, ci dà la possibilità di « condividere il pane disceso dal cielo » alla mensa del Signore. L’accento, ancora una volta in questa Eucaristia, è posto sulla Pasqua domenicale e, nella preghiera iniziale, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « Rivelaci, o Padre, il mistero della preghiera filiale di Cristo, nostro fratello e donaci il tuo Spirito, perché invocandoti con fiducia e perseveranza, come egli ci ha insegnato, cresciamo nell’esperienza del tuo amore ». Tutto ciò che è necessario alla vita quotidiana, davanti a questi doni, deve essere ricercato e usato saggiamente, senza che intralci la continua ricerca dei beni celesti. E qualora dovesse intralciare questa ricerca bisogna essere capaci di rinunziare a ciò che ci ostacola nel cammino verso il Regno.
Prima Lettura: Gn 18,20-32.
Mentre i tre uomini, ospitati da Abramo, partono dalla sua tenda verso Sodoma, il cui grido è grande e il peccato dei suoi abitanti molto grave, egli rimane alla presenza del Signore. Avvicinandosi al Signore dice: « Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, cosi che il giusto sia trattato come l’empio: forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?».
Poiché il Signore, rispondendo ad Abramo, dice che se vi sono cinquanta giusti non distruggerà la città, egli, ardisce più volte rivolgersi al Signore e invocare la misericordia di Dio sulla città, anche vi fossero solo quarantacinque giusti, e poi quaranta, trenta e venti. Infine: e se anche ve ne fossero solo dieci, il Signore gli risponde: « Non la distruggerò per riguardo a quei dieci ».
Dio, nella sua pazienza, comprensione e disponibilità al perdono, è disposto ad assecondare le richieste di Abramo, anche se la sua è una invadente, ardimentosa preghiera, ma fatta con sentimento di umile coraggio. Ma poiché nelle due città non vi si trova neppure un giusto, per il quale Dio sarebbe disposto a perdonare, esse vengono distrutte. Bisogna, con fede e perse- veranza, osare nella preghiera ed affidarci alla longanimità di Dio ed egli per un « solo giusto, Cristo suo Figlio » è disposto a perdonare tutti i peccati di tutta l’umanità.
Seconda Lettura: Col 8, 12-14.
Paolo ai Colossesi ricorda che nel battesimo si « è sepolti», non corporalmente ma misticamente con Cristo, e « risorti mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti ». E poiché, a causa delle colpe e della non circoncisione della carne, gli uomini erano morti, Dio ci ha dato la vita nel suo Figlio, che ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce, «perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi, che con le prescrizioni, ci era contrario ». Così il Padre celeste, nel sacrificio del suo Figlio, ha dato all’umanità peccatrice di essere riconciliata con lui, annullando il nostro debito di peccato. Questo rinnovamento si realizza in noi quando, con il battesimo, morendo al peccato e risorgendo alla vita di Dio, con un breve rito ma con tanta grazia ed efficacia, siamo immersi nel mistero di morte e risurrezione del Signore, avvenimento di universale salvezza. Ripensare e riscoprire, allora, spesso il battesimo, che ci ha resi figli di Dio, significa accogliere continuamente questo mirabile dono, ren- dendolo fruttuoso per ora e per l’eternità.
Vangelo: Lc 11,1-13.
Gesù, ai discepoli che gli chiedono di insegnare loro a pregare, come Giovanni aveva fatto con i suoi discepoli, dice loro: « Quando pregate, dite : “ Padre sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci il pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione” ». Attraverso, poi, la parabola dell’amico, che va ad importunare, a mezzanotte, l’amico vicino chiedendogli tre pani, per dare da mangiare ad un improvvisato ospite a cui non ha nulla da offrirgli, e quegli, anche se a malavoglia, si alza per dargliene, non perché è suo amico ma per la sua invadenza, Gesù esorta gli ascoltatori dicendo: « Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chie- de riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto ». E come nessun padre, dice ancora Gesù, al figlio che gli chiede un pesce darà una serpe al posto del pesce, o se gli chiede un uovo gli darà scorpione, e se loro, cattivi come sono, sanno dare cose buone ai figli, « quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono! ».
Gesù, come maestro e modello di figliolanza, ci insegna cosa e come chiedere al Padre celeste: la sua glorificazione, l’avvento del suo regno e l’adempimento da parte degli uomini della sua santa volontà; il pane quotidiano, il perdono dei nostri peccati e imitarlo nel perdonare agli altri e, infine, che non ci abbandoni nei momenti della tentazione al potere di Satana.
Chiedere anche con perseveranza e quasi inopportunamente, affidandoci al cuore di Dio, che è il più tenero e il più accondiscendente dei padri. Abbandonarsi a Dio nella preghiera è questione decisiva per capire la paternità di Dio, che vuole solo il nostro bene e di tutti i suoi figli e che partecipino della salvezza operata dal suo Figlio.
I doni di Dio sono per chi sa ascoltare.
21 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo nella sua parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro e della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio, espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia preghiamo e diciamo: « Padre santo e misericordioso, donaci un cuore umile e mite, per ascoltare la parola del tuo Figlio che ancora risuona nella Chiesa, radunata nel suo nome, e per accoglierlo e servirlo come ospite nella persona dei nostri fratelli ».
Prima Lettura: Gn 18,1-10.
Abramo, mentre sta davanti alla sua tenda alle Querce di Mamre, vede tre uomini davanti a lui. Corre loro incontro e, prostrandosi ai loro piedi, dice: « Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare senza fermarti dal tuo servo ». Li invita quindi ad accettare i gesti dell’ospitalità: a lavarsi i piedi e accomodarsi sotto l’albero, a mangiare un boccone di pane e a ristorarsi e poi avrebbero proseguito il loro cammino. Avendo quelli risposto: « Fa’ pure come hai detto », Abramo va alla tenda e dice a Sara: « Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce ». Corre lui stesso all’armento e prende un vitello tenero e buono che dà al servo, che si affretta a prepararlo.
Prendendo ancora panna e latte fresco insieme con il vitello, li porge ai tre. Mentre essi mangiano egli rimane ritto in piedi davanti a loro. Poi chiedono ad Abramo dove è Sara, sua moglie. Avendo risposto che era nella tenda uno dei tre dice ad Abramo: « Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio ».
Abramo accoglie premurosamente gli ospiti di passaggio, perché in essi si rivela e si presenta il Signore. La sua generosità è premiata dalla promessa che il Signore gli fa di dargli un figlio , pur essendo sua moglie in tarda età. Poiché Sara, da dentro la tenda sente la promessa e, incredula, sorride, quel bambino promesso sarà chiamato “Isacco”, cioè il figlio del sorriso, poiché nulla è impossibile a Dio.
Seconda Lettura: Col 1,24-28.
San Paolo scrive ai Colossesi dicendo che egli è lieto delle sofferenze che sopporta per loro, dando, così, compimento nella sua carne a ciò che man- ca ai patimenti di Cristo a favore della Chiesa. Di essa è diventato ministro per la missione che Dio gli ha affidato: portare a compimento la parola di Dio, cioè » il mistero nascosto da secoli ma ora anifestato ai suoi santi «, ai quali « Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero, Cristo, speranza della gloria » . Così egli e gli altri santi apostoli lo annunziano, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
Paolo, dicendosi lieto delle sofferenze della vita apostolica che sopporta, vuol dirci che esse sono la continuazione della passione di Cristo, con cui il Signore ha salvato il mondo. Questo è il Vangelo che egli predica e per il quale sopporta anche le catene. Così egli, ministro del Vangelo secondo la missio- ne ricevuta, come ogni cristiano, che in quanto membro del Corpo mistico di Cristo soffre nel suo corpo per lui, contribuisce alla redenzione del mondo: per il cristiano la sofferenza sopportata in comunione con il Signore è partecipazione redentiva del mondo. Nella Chiesa, dunque, più che ricercare il dominio e predicare noi stessi, è da incarnare un servizio per predicare il Vangelo, ad esempio di Cristo, che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la vita in riscatto di tutti.
Vangelo: Lc 10,38-42
Il Vangelo, oggi, ci presenta una scena di accoglienza familiare che le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, fanno al Signore nella loro casa: Maria sta seduta ai piedi di Gesù e lo ascolta, Marta, invece, distolta dai molti servizi, si dà da fare per preparare le cose necessarie per una degna ospitalità. Quando que-sta dice a Gesù: « Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? », egli risponde: « Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una sola cosa c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta ».
Nella vita del discepolo l’accoglienza del Signore si realizza in maniera diversa a seconda delle scelte di vita che ognuno è chiamato a fare: nella vita contemplativa, certo, l’ascolto e l’ attenzione al Signore, non è perdita di tem- po, è anche servizio fatto a lui, perché, come per Santa Teresina del Bambino Gesù, le preghiere e l’offerta delle sofferenze sono unite, per amore, alla passione di Cristo e a beneficio di tutta la Chiesa. Ma anche il servire Cristo nei fratelli, in qualunque circostanza essi si trovano, per amore di lui, presente in loro, è servirlo, vincendo la nostra naturale ed egoistica pigrizia e non dimenticando però che l’ascolto, il colloquio e la comunione con il Signore sono fonte di gioia e forza per vivere la nostra fedeltà a lui nel servizio del prossimo. L’una o l’altra scelta di vita a cui si è chiamati, allora, deve saper contemperare i due aspetti di relazione con il Signore, tenendo presente il noto adagio: Fare sì una cosa, ma senza omettere l’altra.