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Gesù è il Buon Pastore, che salva e guida il suo gregge.
12 MAGGIO – IV DOMENICA DI PASQUA.
Gesù oggi si presenta a noi come il buon Pastore e noi formiamo il suo gregge. Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « O Dio, fonte d della gioia e della pace, che hai affidato al potere regale del tuo Figlio le sorti degli uomini e dei popoli, sostienici con la forza del tuo Spirito, e fa’ che nelle vicende del tempo, non ci separiamo mai dal nostro pastore che ci guida alle sorgenti della vita ».
In Cristo risorto, aderendo alla salvezza da lui operata come pecorelle del suo gregge, siamo chiamati a costituire un’ unica famiglia e a vivere nella gioia della figliolanza divina. Dobbiamo seguire Cristo Pastore con sapienza e costanza, riconoscere la sua voce e lasciarci guidare, nelle vicende della vita e tra le insidie del mondo, da lui. Egli ci conduce alle sorgenti della « vera vita » che viene alimentata dalla sua parola, dai suoi sacramenti e soprattutto dall’Eucaristia, suo Corpo e Sangue e nostro cibo. Gli uomini, dispersi e frammentati tra loro, in lui possono ritrovare l’unità di una « sola famiglia». Questa unità può aversi non solo perché è « dono di Dio », ma anche perché « ognuno è chiamato a superare e a vincere i motivi di divisione che ci sono tra gli uomini ».
Prima Lettura: At 13, 14.43-52.
Nella loro peregrinazione per l’annunzio della Parola del Signore, Paolo e Barnaba giungono a Perge e entrati, di sabato, nella sinagoga si intrattengono con Giudei e proseliti credenti in Dio, esortandoli a perseverare nella grazia di Dio. Ma il sabato seguente, essendosi radunata una moltitudine di gente, i Giudei, presi di gelosia, si mettono a contrastare le affermazioni di Paolo con parole ingiuriose. Allora Paolo e Barnaba, francamente dicono: « Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani », citando l’ordine del Signore: « Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra ». Così i pagani presenti si rallegrano e glorificano la parola del Signore e molti cedono, mentre la Parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei, sobillando le pie donne della nobiltà e notabili, suscitano atteggiamenti ostili verso i due apostoli ed essi, cacciati dal quel territorio, si recano ad Iconio, pieni di gioia e di Spirito Santo.
Davanti all’annunzio del Vangelo vi è chi rifiuta e respinge la salvezza di Cristo e chi si apre alla sua luce e alla gioia del Signore. Bisogna, certo, rallegrarsi della dignità di figli di Dio e discepoli di Cristo, ma si deve anche riflettere sul dono che Dio ci ha fatto e impegnarsi e perseverare nella sua grazia.
Non basta aver iniziato il percorso della salvezza: occorre proseguire vincendo le tentazioni della stanchezza e della mediocrità di vita, non scoraggiandosi di fronte agli ostacoli e vivendo nella coerenza della dignità cristiana di figli. Se la fedeltà a Cristo, certo, non costa poco, tuttavia ci si deve sforzare di corrispondere con amore al gesto di amore di Cristo, che ha donato la sua vita per noi.
Seconda Lettura: Ap 7, 9.14-17
Nel brano dell’Apocalisse, Giovanni vede attorno al trono di Dio e all’Agnello una moltitudine immensa, di ogni nazione, popolo, tribù, lingua. Tutti hanno vesti candide e tengono palme nelle mani. E uno degli anziani dice: « Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavatole loro vesti, rendendole candide con il sangue dell’Agnello ». Questi sono quelli che davanti al trono di Dio gli rendono servizio e su di loro Dio stenderà la sua tenda. Essi non soffriranno più né fame né sete, né alcuna altra cosa, perché l’ Agnello che sta in mezzo al trono sarà per loro pastore, li guiderà alle fonti della vita e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi: Gesù è l’Agnello che ha dato la sua vita per lavarci dalle colpe e il pastore che guida verso le fonti della vita eterna. Nella visione celeste della comunità dei salvati, ormai al cospetto di Dio, vi sono i martiri e tutti coloro che, passati dalla tribolazione, sono ormai nella gioiosa comunione con Cristo. Tutti siamo chiamati a rendere la nostra vita monda dal male e a vivere, anche nelle prove, nella fedeltà al Signore e nell’incrollabile certezza che alla sofferenza e alla passione seguirà la gioia e la consolazione che si avrà nella gloriosa comunione con Dio. In Gesù, redentore e Signore universale di tutti, non ci sarà nessuna distinzione di lingua o di razza. Ma fin da ora possiamo attingere, attraverso i sacramenti, alla fonti della vita, di cui l’Eucaristia ne è la principale, perché in essa ci nutriamo del Corpo e Sangue del Signore, e lo Spirito ci disseta e santifica.
Vangelo: Gv 10,27-30.
Nel brano evangelico Gesù ci dice: « Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono ». Il Signore per salvarci ha dato la vita per noi, sue pecorelle, liberandoci dal potere di Satana e, dopo esserci smarriti nelle vie del male, ci ha riportato all’amore di Dio e ci ha donato la sua vita divina. Da lui guidati, con la sua protezione, nessuno può strapparci dalla sua mano. Noi apparteniamo a lui poiché il Padre celeste, « che più grande di tutti », a lui ci ha affidati, per cui « nessuno può strapparci dalla mano del Padre » né di Gesù, essendo il Padre e Gesù una cosa sola. Gesù è un pastore singolare, particolare, che ci conosce profondamente e ci ha legati a sé, insieme al Padre, con un legame profondo dal quale nessuno può strapparci: intima, profonda e solida è questa unione. Gesù ci guida con la sua parola e il suo esempio, ci nutre con il suo Corpo e il suo Sangue, e ci conduce verso i pascoli della vita eterna. Questo vincolo di carità, che ci stringe a Cristo e al Padre, è il fondamento e la ragione per cui non dobbiamo lasciarci abbattere da nessun evento, pur anche negativo, o disavventura.
Gesù risorto, apparendo ai discepoli, li invita a mangiare.
5 MAGGIO – TERZA DOMENICA DI PASQUA. (Anno C)
Cristo risorto è presente nella sua Chiesa, comunità dei credenti in lui, soprattutto con l’Eucaristia e con i sacramenti pasquali, con cui comunica la salvezza. Nella Eucaristia riconosciamo il Signore crocifisso e risorto che ci accompagna, come comunità di fratelli, lungo il cammino dell’esistenza terrena, cosi come con i discepoli di Emmaus. La comunità del Signore, raccogliendosi per lo spezzare il pane, pone il segno della nuova umanità, pacificata nell’ amore e nella pace, doni elargiti da Cristo agli uomini, divenuti suoi fratelli, per i quali si è offerto come vittima di espiazione dei loro peccati. Come figli di Dio e fratelli del Signore dobbiamo allora vivere con la carità del risorto.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « O Padre misericordioso, accresci in noi la luce della fede, perché nei segni sacramentali della Chiesa riconosciamo il tuo Figlio, che continua a manifestarsi ai suoi discepoli, e donaci il tuo Spirito, per proclamare davanti a tutti che Gesù è il Signore ».
Prima Lettura: At 5, 27-32.40-41.
In questa pagina degli Atti degli Apostoli, Pietro, davanti alla reiterata proibizione, fatta nel sinedrio dal sommo sacerdote, di non insegnare nel nome di Gesù, per la cui morte era stato fatto ricadere su di loro il suo sangue, risponde insieme agli apostoli: « Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare ad Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che obbediscono ». Dopo averli fatti flagellare e intimato loro di non insegnare nel nome di Gesù, li rimettono in libertà. Gli apostoli se ne vanno lieti per essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.
Gli apostoli, timorosi durante la passione di Gesù, adesso sostenuti dalla forza dello Spirito Santo, non vengono intimoriti da nessuna minaccia: affermano con coraggio che Gesù, condannato alla croce, è risorto e che Salvatore chiede che ci si penta dei peccati e ci si converta nel suo nome, perché non c’è altro nome, sotto il cielo, nel quale ci si possa salvare. Dall’amore per il nome di Gesù, essi traggono forza e coraggio e nessuno oltraggio è per loro motivo di avvilimento o di rinunzia alla loro testimonianza del Signore.
Seconda Lettura: Ap 5,11-14.
Nella visione dell’Apocalisse della lettura della Parola di Dio di oggi, Giovanni vide e udì attorno al trono di Dio miriadi e migliaia di migliaia di angeli insieme agli esseri viventi e agli anziani che dicevano: « L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione ». Anche tutte le creature e gli esseri viventi nel cielo e sulla terra e nel mare dicevano: « A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli ». mentre i quattro esseri viventi dicevano: « Amen » e gli anziani si prostrarono in adorazione. Dalla immolazione dell’Agnello ne viene gloria eterna. Egli a causa della sua morte è stato costituito Signore, davanti al quale ogni ginocchio deve prostrarsi in adorazione da parte di ogni creatura del cielo e della terra. Tutta quanta la creazione e anche noi diciamo il nostro “Amen” di consenso e di amore a Colui che si è offerto per riconciliarci con Padre. Vivere in Cristo significa essere nella vera libertà, dataci da lui per averci sottratto alla schiavitù di Satana e del peccato.
Vangelo: Gv 21,1-19.
Mentre, nel mare di Tiberiade, Tommaso, Natanaele di Cana, i fratelli Giacomo e Giovanni e altri due discepoli si trovano insieme a Simon Pietro, e questi dice loro: « Io vado a pescare » e, andando tutti insieme con la barca a pescare, quella notte non prendono nulla, Gesù, sul far dell’alba, stando sulla riva, si manifesta loro di nuovo. Ad essi che non si sono accorti che era Gesù, dice: « Figlioli, non avete nulla da mangiare? ». Rispondendogli di no, Egli dice loro: « Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete ». Lo fanno e prendono una grande quantità di pesci da non riuscire a trascinare la rete sulla barca. Il discepolo che Gesù amava, riconoscendo Gesù, dice a Pietro che è il Signore colui che ha detto di pescare nella parte destra. Pietro allora, cingendosi la veste ai fianchi, si getta in mare per raggiungere il Signore, mentre gli altri, ritornando a riva, trascinano la rete con i pesci. A riva trovano un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Gesù dice loro di portare del pesce e, mentre Simon Pietro trae a terra la rete piena di cento centocinquantatre pesci, li invita a mangiare. Poiché nessuno dei discepoli osa chiedere chi sia, avendo riconosciuto che è il Signore, Gesù, avvicinandosi, prende del pane e del pesce e li dà loro. E’ così la terza volta che egli si manifesta, da risorto, ai discepoli.
Dopo aver mangiato, Gesù chiede a Pietro, una prima volta, se lo ama più degli altri ed egli risponde: « Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene ». E Gesù gli dice: « Pasci i miei agnelli ». Chiedendogli una seconda volta se lo ami, Pietro risponde di nuovo; «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene » e Gesù: « Pasci le mie pecore ».Poiché per la terza volta Gesù gli chiede se gli vuole bene, Pietro, addolorato, gli risponde: « Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene ». Gesù gli dice: « Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi ». Gli indica così con quale morte Pietro avrebbe glorificato Dio e gli aggiunse: « Seguimi ».
Gli apostoli, nella Chiesa, Comunità del risorto, mandati da Gesù a predi- care il suo messaggio e ad essere « pescatori di uomini », potranno operare una pesca miracolosa tra gli uomini perché è Cristo che dà incremento alla loro opera di salvezza. L’invito del Cristo rivolto ai discepoli: « Venite a man-giare », egli lo rivolge anche a noi affinché, partecipando dell’Eucaristia e mangiando il suo Corpo e bevendo il suo Sangue, possiamo avere il coraggio, manifestato dagli apostoli davanti al sinedrio, di testimoniare il Signore Risorto, speranza di nuova umanità. La Chiesa, costituita « da pecorelle e da agnelli », non è proprietà di Pietro e degli apostoli a cui è stata affidata, ma appartiene a Cristo « Pastore supremo delle vostre anime », scrive Pietro. E’ Cristo che pasce la sua Chiesa e chi la guida nel suo nome, nelle vicende della storia, deve guidarla con amore, un amore unico e singolare. A Pietro, affidandogli di guidargli la Chiesa, gli chiede, con la triplice richiesta se lo ami, la condizione di amarlo più degli altri. La comunità cristiana gioisce di avere in Pietro e in coloro che succedono al suo ministero un pastore visibile che è segno di Cristo. E come Gesù ha fatto, anche la Chiesa deve pregare per Pietro, perché non venga meno in lui l’amore, più degli altri, al Signore.
Domenica in "Albis" o della " Divina Misericordia.
28 APRILE – SECONDA DOMENICA DI PASQUA
Domenica in Albis o « della misericordia ».
In questa Domenica « in Albis », chiamata così per la veste bianca, simbolo della rigenerazione avvenuta nel battesimo ricevuto la notte di Pasqua, o anche « della divina Misericordia », per il mandato che Gesù dona agli apostoli, la sera della risurrezione, apparendo loro e dando lo Spirito Santo, la Chiesa ripensa all’opera di Cristo, morto per gli uomini, e ci fa riprendere coscienza del nostro Battesimo, che è stato il nostro ingresso nel suo mistero pasquale. Alle meraviglie operate da Dio in noi, alla rigenerazione operata in Cristo, mediante la nostra partecipazione alla sua morte e risurrezione, dobbiamo far corrispondere il frutto di una vita nuova, dando una testimonianza nelle nostre opere di Gesù Vivente.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Padre dicendo: «O Dio, che in ogni Pasqua domenicale ci fai vivere le meraviglie della salvezza, fa’ che riconosciamo con la grazia dello Spirito il Signore presente nell’ assemblea dei fratelli, per rendere testimonianza della sua risurrezione ».
Prima Lettura: At 32-35.
Oggi la Parola di Dio dagli Atti degli Apostoli ci ripropone la testimonianza delle prime comunità cristiane, nate dall’ evento della risurrezione del Signore, in cui tutti si amavano e ponevano tutto in comune, escludendo qualsiasi forma di discriminazione tra ricchi e poveri. I cristiani, anche oggi, devono avere « un cuor solo e un’anima sola », cosicché, come allora « nessuno tra loro era bisognoso e fra loro tutto era comune ». Così essi esprimano questa fraternità nelle situazioni attuali di vita, incidendo e permeando la società con questa modalità di vita. Le leggi, certo, possono concorrere a tale finalità, ma non è con la costrizione esterna che ciò si può realizzare; è necessaria la fede che deve generare la carità vicendevole con opere di carità visibile.
Quando non apriamo il nostro cuore ai fratelli che sono nel bisogno, condividendo ciò che possediamo, allora dobbiamo dubitare della consistenza del nostro amore e della autenticità della nostra fede.
Seconda Lettura: 1Gv 5,1-6.
La fede in Gesù, il Cristo, generato da Dio, ci dice San Giovanni, ci rende figli di Dio e dobbiamo, come Gesù, amarlo da figli, osservando di conseguenza i suoi comandamenti, che non dobbiamo sentire come un peso. Se non si ama Dio non si amano neanche i fratelli che da lui sono stati generati a figli. La consistenza dell’amore a Dio trova il suo criterio nell’amore al prossimo: queste due manifestazioni di amore non sono né giustapposte né in alternativa. L’amore a Dio è il primo e l’amore ai fratelli, che sono ad immagine di Dio, è una conseguenza del primo. San Giovanni ancora precisa che chi è generato da Dio e vive con la fede in Gesù, Figlio di Dio, venuto con acqua e sangue in cui gli uomini sono stati rigenerati con il dono dello Spirito, vince il mondo come lo ha vinto Lui: la morte e la risurrezione di Cristo sono la vittoria sul mondo e sul peccato, sul male e su Satana.
Vangelo: Gv 20,19-31.
Fissiamo la nostra attenzione su tre aspetti dell’incontro di Gesù risorto con i discepoli. Anzitutto il dono della pace, che è l’insieme dei beni che il mistero della Pasqua ha procurato agli uomini: la grazia divina, la gioia, la speranza.
Poi l’effusione dello Spirito, per cui ci possono essere rimessi i peccati: la Chiesa, con la missione affidata ad essa tramite il ministero degli apostoli, è il luogo e il sacramento della misericordia e del perdono, dal momento che in essa vive lo Spirito Santo. I ministri della Chiesa non trasmettono la propria santità ma lo Spirito che sa rinnovare e purificare la vita. Infine notiamo la professione di fede di Tommaso, il quale riconosce Gesù come Signore e Dio. Se noi, come dice Gesù a Tommaso, crediamo, senza aver visto e sperimentato, saremo beati. E se accogliamo i segni che sono stati scritti su Gesù e la sua opera, credendo che Egli è il Cristo, il Figlio di Dio, allora avremo la sua vita divina nel suo nome.
Ecco chi è Gesù ed ecco a che cosa tende la predicazione e la narrazione stessa del Vangelo: a fare scoprire in lui il vero Dio e il Signore glorioso. Per questo siamo chiamati fedeli e discepoli. Solo che la nostra fede non deve vacillare.
La Cena del Signore - Passione di Cristo.
18 APRILE - GIOVEDI’ SANTO
Nel Triduo pasquale, in cui celebriamo il mistero della morte e risurrezione, il primo grande incontro di questo evento del mistero pasquale è l’ultima Cena, l’istituzione dell’Eucaristia.
L’Eucaristia è il sacramento della passione e della morte di Gesù, che egli lascia ai discepoli prima di consegnarsi ai suoi carnefici per rendere la sua presenza nel tempo della sua assenza. La celebrazione della Cena è un dono che ancora oggi accompagna la vita della Chiesa ed è un impegno di vita per coloro che si pongono alla sua sequela. Nel banchetto del pane e del vino i discepoli faranno memoria del Signore ed entreranno in comunione con il suo Corpo e con il suo Sangue.
Nell’Eucaristia Gesù rende presente e disponibile la sua carità, il suo consegnarsi per noi. In essa egli ha affidato « alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore ». Quello che egli fa è all’opposto di ciò che compie Giuda. Questi lo vende, come fosse una cosa; Gesù invece si offre, come « vittima di salvezza ». Restiamo stupefatti e partecipi di questa umiltà di Cristo, che ci purifica dalle colpe, che si mette ai nostri piedi, che continua a lavarci la coscienza, che ci insegna a prendere l’ultimo posto, che genera ala nostra fraternità. Soprattutto questa sera sentiamo di formare, « qui riuniti, un solo corpo », perché Cristo ci ha raccolti. « Via le lotte maligne, via le liti, e regni in mezzo a noi Cristo Dio ».
Prima Lettura: Es 12,1-8.11-14.
Nello sfondo della Pasqua ebraica, in cui Israele deve mangiare l’agnello e con il sangue, a protezione, tingere gli stupiti delle case, segno e memoriale del passaggio di Dio e della liberazione, si colloca la celebrazione dell’Ultima Cena di Gesù. Intuiamo immediatamente che si tratta di un simbolo dell’Agnello di Dio, Gesù, che, immolato, toglie i peccati del mondo e muore sulla croce come l’agnello pasquale vero, nel cui sangue siamo liberati dal peccato. Ogni volta che riceviamo l’Eucaristia rinnoviamo la Pasqua e mangiamo del vero agnello, Cristo Gesù, immolato sulla croce.
Seconda Lettura: 1 Cor 11,23-26.
La Chiesa di Corinto aveva perso il senso dell’Eucaristia. Paolo allora traccia l’immagine originale del banchetto cristiano. Esso, che è la Cena del Signore, risale all’iniziativa e all’invenzione di Cristo, che all’Ultima Cena, nel segno del pane e del vino, consegna il suo Corpo e il suo Sangue, cioè il sacrificio di se stesso. Non vi si può prendere parte in qualunque modo, ma con il proposito di entrare in comunione viva con la passione e la morte di Gesù, per risorgere con lui.
Vangelo: Gv 13,1-15.
Per l’evangelista Giovanni, nella celebrazione della « Festa di Pasqua », Gesù vuole celebrare una Pasqua diversa da quella ebraica « sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre ». Accogliendo liberamente la volontà del Padre, offre, nella sua passione e morte, la vita per amore degli uomini. Nel contesto della sua Passione, che ha per contraltare l’istituzione dell’Eucaristia, raccontata dai Sinottici a questo punto della vita di Gesù, è la chiave per comprendere il gesto che Giovanni, nel vangelo di oggi, racconta: l’umile gesto della lavanda dei piedi che Gesù fa ai discepoli. Egli « avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine »: e il segno di questo amore estremo, illimitato, è il dono che egli fa di se stesso. E’ la sua vita resa usufruibile per i suoi. La lavanda dei piedi è come il simbolo di questa donazione: Gesù è venuto per servire. L’amore non è vero se non serve. Gesù sa di essere « il Signore e il Maestro », ma non per questo eserciterà la potenza ma porterà al massimo l’amore.
C’è un richiamo all’interno del vangelo di Giovanni: sulla croce, morendo Gesù dice: « Tutto è compiuto». Usa la stessa parola che, posta in questi due momenti dell’ultima Cena e della croce, dice la qualità dell’amore. Questo estremo amore si esprime con il gesto del deporre le vesti e cingersi il panno. Del gesto Gesù dice due cose: « Se non ti laverò i piedi non avrai parte »; e : « Vi ho dato un esempio, infatti, perché come ho fatto io, facciate anche voi ». Il gesto di Gesù ci interroga: l’estremo limite dell’amore dice povertà radicale, umiltà, servizio. Questa povertà ben espressa dall’Eucaristia. Dietro quella povera forma vi è la gloria del Risorto. Il sacramento più caro alla Chiesa, così estremamente debole.
Resistenze all’amore; amore divinizzante.
Il povero gesto di Gesù, così denso di significato, non è compreso neppure da Pietro. Un amore così radicale, che cerca la comunione muove subito delle resistenze. Pietro, come noi, è resistente alla radicalità di una tale gratuità. Vi possono essere diverse cause di resistenza. Per accettare un tale amore bisogna riconoscersi peccatori salvati, allontanando ogni presunzione di auto salvarsi. Bisogna abbandonarsi alla salvezza offerta gratuitamente da Dio che cerca la comunione con noi. Ecco che l’Eucaristia è sacramento della presenza di Cristo nella sua Chiesa e della comunione di chi crede in lui. Il gesto ancora ci convoca a fare come Gesù, ad consegnarci ai nostri fratelli e al mondo. L’esempio di Gesù allora più che dare un imperativo morale vuole fare di noi, nel nostro amore radicale, altri Cristo. E’ un gesto allora divinizzante, perché dove « c’è carità e amore, qui c’è Dio ».
Il rito della lavanda dei piedi è ricco di significato profetico: è la norma della vita interiore della Chiesa ( la carità), una testimonianza di fede. E’ rendere presente Dio, è la nostra beatitudine. Ci riporta al gesto umile di Gesù, che proclama il primato di chi serve il prossimo, non di chi lo domina. In questo gesto Gesù prefigura la sua passione, che è un servire e un dare la vita per la redenzione degli uomini. Gesù che lava i piedi ai discepoli richiama anche l’Eucaristia, dove prosegue il servizio di amore; richiama insieme la purezza di cuore per prendervi parte, e infine il sacramento del Battesimo, che lava e rende commensali di Cristo
19 APRILE – Venerdi’ Santo « In PASSIONE DOMINI »
Commemoriamo nel Venerdì Santo la morte del Signore. Lo vediamo come il Servo; su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati gli uomini.
Oggi è il giorno dell’immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale.
Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell’adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo.
Siamo sempre sotto la croce. Non c’è momento, non c’è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.
Prima Lettura: Is 52,13-53.12.
Dal « Servo di Dio «, « schiacciato per le nostre iniquità », e dalla sua intercessione per i peccatori, ci viene la liberazione e il perdono. Questo servo misterioso porta già in sé i segni e le vicende della passione e del dolore di Cristo, per mezzo del quale sarà compiuta « la volontà del Signore », cioè il piano di redenzione del genere umano.
Seconda Lettura: Eb 4,14-16; 5,7-9.
Non dobbiamo trascurare l’aspetto doloroso della nostra redenzione, cioè la sofferenza e il sacrificio del Figlio di Dio sulla croce, la sua consegna al Padre, la sua obbedienza e preghiera che Dio ha ascoltato, richiamandolo dalla morte con la risurrezione. Per questa obbedienza, che ce lo ha reso intimamente socio e partecipe della nostra umanità, il suo sacrificio è stato gradito e noi siamo stati salvati. Dobbiamo essere in comunione con l’obbedienza di Gesù: questo vuol dire fare la volontà di Dio.
L’intercessione di Cristo continua, ed è garanzia della sua fedeltà a noi, ed è aiuto per la nostra risposta a lui.
Vangelo: Gv 18,1-19.42.
Gesù compie la sua passione nell’affidamento totale al Padre, nella piena libertà del suo dono. E’ lasciato solo, tradito, rinnegato: è « l’uomo solo » che muore « per il popolo ». E tuttavia appare nella sua regalità. I segni di essa, presi per irrisione dai soldati e dagli altri, ne sono l’indice profetico e misterioso. Ma per capirlo bisogna essere dalla parte della Verità, bisogna entrare nel disegno di Dio.
« Io sono re » dice Gesù « Chiunque è dalla Verità, ascolta la mia voce ». Noi incontriamo Cristo e ne siamo redenti a questa condizione. Pilato con la sua cieca e pavida viltà non si trova da questa parte e lo consegna. Lo consegniamo ogni volta che pecchiamo, che preferiamo la menzogna.
Emerge nella passione la lucidità, la determinazione di Cristo. Egli non è uno offuscato e spezzato. In quel momento è tutta la Scrittura che si compie in lui, ed egli è consapevole. Ascoltiamo le sua parole, e accogliamo il suo testamento. Ci lascia la Madre sua, Maria; e proclama la sua sete: è la sete che ha dell’amore del Padre e degli uomini.
E’ l’agnello vero pasquale; la fonte dell’acqua e del sangue, dello Spirito che disseta, e del sacrifico che redime. E’ il trafitto che attrae lo sguardo e il desiderio dei popoli. Sul Calvario avvengono le vicende in Gesù che interessano la storia di tutto il mondo, di ogni tempo: la storia della nostra comunità che sta celebrando la Pasqua, della nostra anima che una volta ancora riceve la grazia di questa contemplazione e dei suoi frutti. L’avvenimento è passato, ma il suo segno, la sua grazia, la sua efficacia, rimangono.
Ultimo aggiornamento (Giovedì 18 Aprile 2019 21:59)
Osanna al Figlio di Davide !
14 APRILE – DOMENICA DELLE PALME.
Con la domenica delle Palme – l’ingresso di Gesù in Gerusalemme – si apre la Settimana Santa, la principale di tutto l’anno liturgico. Essa è la più ricca delle memorie dei misteri della redenzione: la passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione del Signore. La comunità cristiana è chiamata a raccogliersi frequentemente:
- per l’ascolto della Parola di Dio, che rievoca, dalla Bibbia, i grandi momenti della nostra salvezza;
- per la preghiera, risposta riconoscente e piena di lode ai gesti della misericordia divina;
- per la celebrazione dell’Eucaristia, che è il sacramento dove ritroviamo, nei segni del pane e del vino, il Corpo di Gesù offerto per noi e il suo sangue effuso per la remissione dei peccati;
- per la solenne adorazione della croce del Venerdì Santo;
- per la solenne Veglia di Pasqua.
Gesù, condividendo la nostra fragilità umana, attraverso la sua umiliazione, il dolore, la sofferenza e la sua passione, ci ha insegnato a superare questi limiti, accogliendo la volontà salvifica di Dio nell’obbedienza della croce e confidando nella forza che viene da Lui e non nelle nostre forze.
Sono giorni di passione della Chiesa, che rivive in sé i dolori di Cristo; giorni di raccoglimento e di silenzio, nella meditazione del disegno sorprendente e stupendo del Figlio di Dio che ci ha amati fino a morire in croce; giorni di speranza, perché il Male è stato vinto definitivamente e alla morte si è sostituita la risurrezione; giorni, quindi, di serenità e di gioia, via via che scopriamo la forza della carità che ci ha riscattato e della vita nuova che esce dal sepolcro di Gesù, inizio e germe di vita risorta per tutti gli uomini.
In questa domenica delle Palme, che è come varcare una soglia, dal clima della quaresima a quello più intimo e solenne della Settimana Santa, ripercorriamo spiritualmente l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. per entrare poi nel Triduo pasquale, in sintonia col mistero della Morte e Risurrezione del Signore.
Riviviamo gli eventi della salvezza facendo esperienza della grazia ricevuta già una volta nel battesimo; riscopriamo il significato della passione del giusto innocente, per continuare a fare tesoro dei meriti salvifici di Cristo, evitando che il ripercorrere gli eventi della passione ci coinvolga solo superficialmente.
Quello celebrato in questa domenica è un evento glorioso per Cristo, acclamato come il re d’Israele, che viene nel nome del Signore. Ma, insieme, questa gloria e regalità di Cristo è solo preannunciata: Egli deve prima passare attraverso la passione. Con questa domenica si apre la Settimana Santa in cui Gesù apparirà come il Servo umiliato fino alla morte, preannunziato da Isaia, che « consegnan- dosi a un’ingiusta condanna, porta il peso dei nostri peccati » e nella sua morte lava le nostre colpe.
La processione osannante di oggi, con i suoi canti e la sua festosità, non deve farci dimenticare che alla risurrezione non arriveremo per via diversa da quella che passa per il Calvario.« Chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione ».
Gesù entra in Gerusalemme non con la prepotenza ma con l’umile mitezza. Viene accolto festosamente. Ma non illudiamoci troppo: dopo pochi giorni non mancherà chi lo vorrà crocifisso. Gesù va accolto nel cuore e imitato nel suo doloroso cammino. Soltanto così non lo tradiremo mai. Egli entra come un re nella città santa, e il suo dono è la pace. Noi ci affatichiamo invano di ottenerla se non dominiamo i nostri istinti di prepotenza, se non riconosciamo in Gesù, che cavalca umilmente un puledro, lo stesso Figlio di Dio, venuto a riconciliarci con il Padre e tra noi.
La Settimana Santa ha per scopo la venerazione della Passione di Gesù Cristo dal suo ingresso messianico in Gerusalemme.
I giorni di questa Settimana, dal lunedì al giovedì, hanno la precedenza su tutte le altre celebrazioni.
Il Giovedì della Settimana Santa, al mattino, il vescovo, celebrando la Messa col suo presbiterio, benedice gli oli santi e fa sacro il crisma. I colori liturgici sono: rosso per la domenica delle Palme, viola per il lunedì, martedì, mercoledì, bianco per la Messa crismale.
15 APRILE : Ore 18.30 – Santa Messa.
16 APRILE : Ore 18.00 – Santa Messa.
17 APRILE : Ore 16.00 – Santa Messa.
TRIDUO PASQUALE
18 APRILE : Ore 18.30 – CELEBRAZIONE DELLA CENA DEL SIGNORE.
Ore 21.00-24.00 ADORAZIONE EUCARISTICA.
19 APRILE : Ore 15.00 – SOLENNE ADORAZIONE DELLA CROCE.
20 APRILE : Ore 23.00 - VEGLIA PASQUALE
21 APRILE : Ore 08.15 – SANTA MESSA DI PASQUA.
10.30 – SANTA MESSA SOLENNE DI PASQUA.
19.00 - SANTA MESSA VESPERTINA DI PASQUA..
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N.B. Da lunedì a sabato della Settimana Santa, alle ore 7.00 verranno
Celebrate le Lodi e recitato il S. Rosario, con i Figli dell’Amore di
Gesù e Maria.
- Per coloro che desiderano avere benedetta la casa nel periodo pas-
quale devono scrivere il proprio nominativo nel foglio posto nel
tavolino all’ingresso della Chiesa.
Il Parroco
Ultimo aggiornamento (Sabato 13 Aprile 2019 17:04)