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Gesù è il Buon Pastore, che dona la sua vita per il suo gregge.
3 MAGGIO – IV DOMENICA DI PASQUA.
Cristo Gesù che ci libera, ci conduce alla salvezza.
Gesù, che si presenta come il buon pastore è, ancora oggi, colui che accudisce, guida e conduce il popolo di Dio. Egli dice che al di fuori di lui non c’è salvezza e senza la sua croce non c’è risurrezione.
La Chiesa, che ha come origine e punto di arrivo Cristo, è chiamata a mettersi a servizio dell’umanità e a rinnovarla con il suo sacrificio.
A volte, presi dal dubbio, più o meno doloroso, più o meno violento ci domandiamo: “E se Dio non esistesse?”. Tale situazione di crisi può essere positiva per una fede più autentica. Infatti, a seconda di come pensiamo Dio, assumiamo, di conseguenza, atteggiamenti e realizziamo relazioni diverse con lui.
Ogni credente dovrebbe porsi la domanda: « Chi è Dio per me? »;« In chi ripongo la mia fiducia di salvezza? ». Il cristiano, come dice San Pietro, accoglie nella fede il messaggio che « Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che avete crocifisso ». Se fossimo stati anche noi lì, pur non implicati in solido e materialmente per la crocifissione del Signore, come gli undici, dovremmo convincerci che Gesù non è stato crocifisso solo per il peccato di quelli soli. La sua morte ha una portata universale: è morto per tutti, di ogni tempo e di ogni luogo.
L’incredulità può essere vinta con l’atteggiamento di abbandono in Dio, come ha fatto Gesù nel momento della prova.
Gesù, attraverso la parabola del Buon Pastore, vuol farci comprendere che egli conosce, chiama, conduce, cammina davanti a tutti coloro che, come sue pecore, vogliono seguirlo, ed essi, riconoscendo la sua voce, lo seguono. Con questa similitudine, che facilmente comprendevano gli uomini di allora, Gesù vuol dirci quale relazione si pone tra lui e i suoi discepoli: una relazione di appartenenza « siamo sue pecore », di affezione « ci conosce uno ad uno e ama », di guida « come il pastore che sta alla testa delle sue pecore » che lo seguono con fedeltà e amore. Il pastore conduce le pecore verso la libertà di « pascoli ubertosi ».
Con questa immagine del buon Pastore, che si prende cura delle sue pecore con amore e sollecitudine, egli vuol dirci che dobbiamo avere una diversa comprensione di Dio, di cui non dobbiamo avere timore, ma che da parte nostra, sue pecore, dobbiamo vivere con lui una relazione esclusiva con il Pastore: relazione nuova che ci fa accogliere Cristo come porta d’ingresso nella salvezza: egli si presenta come rivelazione del Padre, mediazione unica fra Lui e l’umanità, unica guida alla vera libertà, che è dono gratuito, salvezza ricevuta, accettata e corrisposta con amore.
Nella colletta dell’Eucaristia di oggi preghiamo dicendo:« O Dio, nostro Padre, che nel tuo Figlio ci hai riaperto la porta della salvezza, infondi in noi la sapienza dello Spirito, perché fra le insidie del mondo sappiamo riconoscere la voce di Cristo, buon pastore, che ci dona l’abbondanza della vita ».
La giustificazione che Dio ci dà, per la nostra adesione e il nostro abbandono fiducioso in lui, è sempre un dono gratuito. Dobbiamo, allora, seguire, se vogliamo essere suo “ umile gregge “, Cristo con sapienza e costanza, riconoscerne la voce e lasciarci condurre da lui, mentre siamo « fra le insidie del mondo ». Saremmo sprovveduti se chiudessimo gli occhi su queste insidie o se pensassimo di potercene preservare da soli. Come pastore, Cristo « ci guida alle sorgenti della vita»: Egli con la sua parola, con i suoi sacramenti, che ci risanano e ci legano a lui, è la nostra vita. L’immagine del gregge richiama quella dell’unità. Gesù « raduna gli uomini dispersi nell’unità di una sola famiglia ». L’unità dipende anche da ciascuno di noi, nella misura in cui supera e vince tutti i motivi di divisione, anche i più nascosti.
Prima Lettura: At 2,14.36-41.
« Gesù di Nazaret, il Crocifisso, - dice san Pietro - è stato costituito Signore e Messia » : questo annunzio suscita in quelli che hanno messo in croce il Cristo una trafittura del cuore e insieme il pentimento e la domanda di cosa devono fare. E l’apostolo li esorta a ricevere il Battesimo che, accolto, porta in essi, come frutti, la remissione dei peccati, l’effusione dello Spirito Santo e l’appartenenza alla comunità dei cristiani. Anche in noi, che abbiamo ricevuto il battesimo, è avvenuta la conversione, ci è stato dato il perdono, la grazia dello Spirito e siamo stati, per dono gratuito di Dio, inseriti nella Chiesa. Se la conversione non ha preceduto il nostro Battesimo, che abbiamo ricevuto da bambini, nella fede della Chiesa, essa deve avvenire giorno per giorno; e se anche non siamo stati partecipi materialmente alla crocifissione di Gesù, i nostri peccati l’ hanno gravato.
Seconda Lettura: 1Pt 2,20-25.
Gesù, scrive nella sua lettera ai cristiani san Pietro, è modello, esempio di vita e artefice della salvezza, che è frutto dell’obbedienza di Gesù al Padre e al progetto di salvezza che il Padre ha predisposti in lui. Così con il gesto del pastore che è disposto a dare la vita per le sue pecore, a difenderle davanti a chi vuole strappargliele e a guidarli verso i pascoli ubertosi della vita, Gesù esprime la sua solidarietà con gli uomini che vengono costituiti suoi fratelli. Egli raduna “i figli di Dio che erano dispersi”, come il pastore raduna le sue pecore, e custodisce le anime dei credenti nell’ « ovile del Padre ». Realizza così la figura biblica del Messia pastore. Ma la salvezza che egli porta passa attraverso il dolore del Servo sofferente, che come agnello viene portato alla croce (1Pt 2,24), che diventa strumento della nostra vita divina, perché Gesù dice di « essere venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore »(Gv 10,10-11).
Così per gli uomini, la sopportazione paziente della sofferenza ha un modello concreto: Cristo, che, soffrendo per noi, ha accettato, con fiducia, la passione e la croce per liberarci dai nostri peccati.
Poiché anche per i cristiani, varie situazioni sono oggetto di persecuzione, di ingiustizie, non può mancare in loro l‘atteggiamento fondamentale e decisivo, cioè l’affidamento che rimette la nostra causa « a colui che giudica con giustizia », a Dio che tiene conto di tutto. Questa certezza induce anche al timore. Non illudiamoci: Dio ci giudicherà con giustizia e, se anche riusciamo ad ingannare gli uomini, non possiamo certamente Dio.
Vangelo: Gv 10,1-10.
Gesù ci viene presentato dal brano del Vangelo di Giovanni come il pastore ideale che guida i credenti in lui. Gesù, dice ancora Giovanni, afferma solennemente che egli è la « porta delle pecore », attraverso la quale esse passano per entrare nell’ovile e per uscire al pascolo. Così con questa immagine Gesù si presenta come mediatore di salvezza: non ci sono altri spazi e altri passaggi di salvezza: « Se uno entra attraverso di me, sarà salvato ». Gesù con la sua opera copre tutta l’area della salvezza. Da lui solo, venuto a dare la vita e a darla in abbondanza con il dono di se stesso, può aversi la salvezza. Cristo è così l’antitesi del ladro, dello sfruttatore. Il Signore risorto è il pastore della Chiesa: ed è solo lui che essa deve ascoltare e di lui seguirne il cammino. Bisogna fare attenzione a non seguire altre voci e altri capi: sono estranei tutti quelli che non passano da lui. Questo è un richiamo a quanti nella Chiesa hanno il ministero, perché rappresentino fedelmente Cristo; ed è un invito a rendere grazie perché nell’episcopato, in comunione con il Papa, siamo sicuri di trovare il segno visibile di Gesù, pastore e porta.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:32)
L'EUCARISTIA: INCONTRO CON IL RISORTO CHE SPEZZA IL PANE PER NOI.
26 – APRILE - 3a DOMENICA DI PASQUA
L’incontro con i due discepoli di Emmaus.
Con la risurrezione di Gesù inizia il cammino della Chiesa e quello dei due discepoli, che vanno verso Emmaus e lo riconoscono nello spezzare il pane.
Questo cammino rappresenta il percorso di fede che, partendo dall’ascolto delle Scritture, culmina nello spezzare il pane dell’Eucaristia, memoriale del sacrificio di Cristo, e rimette i discepoli in cammino di testimonianza di quello che hanno sperimentato con il Signore risorto.
I discepoli di Emmaus fanno trasparire delusione e tristezza, perché gli eventi che attendevano non si sono verificati e, perciò, la loro speranza è infranta. Sono frustrati per il fraintendimento che essi hanno della figura del Messia, che non contempla la passione, per cui la notizia della risurrezione di Gesù resta per loro inaccessibile. Essi, mentre si allontanano da Gerusalemme, si allontanano dal luogo della crocifissione, dalla comunità dei discepoli. Conversano e discutono manifestando una memoria conflittuale degli eventi accorsi a Gesù e nel pellegrino, che si accompagna loro lungo il cammino, non riescono a riconoscerlo e comprenderlo risorto.
Il pellegrino, a differenza dei due, interpreta le Scritture e gli eventi partendo dalla gloria: « Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria ?» (Lc 24,26). Gesù inserisce la passione all’interno del piano di salvezza che ha il suo centro nella risurrezione. Egli, con delicatezza, accompagna i due nel cammino di fede, così come la Chiesa è chiamata a fare con gli uomini di oggi, accostandoli, ascoltandoli, camminando con loro e accompagnandoli con pazienza, fino a far loro scoprire la sua presenza: « quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro » (Lc 24,30).
Con il richiamo dell’Ultima Cena, Gesù lega l’Eucaristia agli eventi pasquali e viceversa, rendendoli attuali ed efficaci quando vengono rivissuti nel suo memoriale. Così i discepoli, riconoscendolo nello stesso momento in cui scompare e sostituendo alla vista e percezione fisica la fede in lui, rileggono il loro cammino e la vicenda di Gesù alla luce dell’esperienza del Risorto.
Nella colletta iniziale ci rivolgiamo a Dio dicendo:« O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane ».
La comunità ricostruita.
Incontrare Gesù risorto comporta un ritornare dagli altri fratelli, per raccontare la propria esperienza del Signore e, come i due, « Ritrovare riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro »(Lc 23,33). Così ci si riconosce nella comunione ecclesiale, dalla quale ci si allontana per vari motivi, e che, intorno alla fede nel Risorto, viene ritessuta.
In tutte le letture della Parola di Dio di questa domenica centrale è la narrazione degli eventi pasquali, con tutte le emozioni e livelli di comprensione propri dei vari personaggi a cui Gesù appare.
Il Cristo risorto è sempre presente nella Chiesa, specialmente nei sacramenti pasquali, cioè nell’Eucaristia. In essa noi lo riconosciamo come il Cristo crocifisso e risorto, che ci accompagna nel nostro pellegrinaggio nel mondo. Lo riconosciamo non separati l’uno dall’altro, ma tutti insieme. La comunità cristiana, che si raccoglie per spezzare il pane, è il segno dell’ « umanità nuova pacificata nell’amore », l’amore che deriva dal Figlio di Dio, « vittima di espiazione per i nostri peccati ».
Siamo fratelli, dotati dell’identica e della più grande dignità che è quella di essere figli di Dio. Parte da qui la carità vicendevole e la speranza di essere un giorno in comunione con Gesù risorto. Rimeditando questo e applicandoci a metterlo in pratica, facciamo l’esperienza della « rinnovata giovinezza dello spirito » di cui parla una colletta. Gli anni che trascorrono possono sì lasciare in noi tracce di vecchiezza, ma non nella vita interiore che già è una condivisione della risurrezione di Gesù.
Prima Lettura: At 2,14.22-33.
Dopo la passione, sopportata per dare compimento alla volontà del Padre nel suo disegno misterioso e salvifico, Gesù è risuscitato dal Padre. Così, quello che sembrava un fallimento risulta una riuscita. Ma quel che ora è importante è accogliere tutta la grazia che è contenuta nel mistero della morte e della risurrezione del Cristo redentore. E’ difficile per l’uomo comprendere la ragione per cui Dio abbia scelto il cammino della croce per salvare l’umanità: appartiene al suo segreto insondabile. Di fatto dalla croce fluisce la grazia che ci riconcilia con lui e ci reintegra nel rapporto di amore che Dio aveva stabilito creandoci.
Seconda Lettura: 1 Pt 1,17-21.
La lettura degli eventi pasquali, sui quali siamo chiamati a riflettere, vuole condurci a meditare sui risvolti pratici che essi hanno nella vita dei credenti: la Chiesa, costituita da coloro che accolgono la predicazione apostolica e si fanno battezzare, è la comunità di coloro che credono in Dio e si riconoscono nella comune fede nel Cristo crocifisso e risorto.
Siamo stati liberati dal peccato con un prezzo altissimo, impensabile, il Sangue di Gesù: da ciò comprendiamo che siamo stati amati con un amore davvero grande, immenso, poiché il Figlio di Dio, come aveva detto agli apostoli, ha dato per noi la sua vita e ci ha posti in rapporto filiale col Padre (1 Pt 1,21).
L’uomo, è importante agli occhi di Dio, se per liberarlo Gesù ha sopportato la passione ed è morto in croce. E’ un disegno – come dice san Pietro – che è stato oggetto della scelta divina « già prima della fondazione del mondo »: disegno eterno, manifestatosi negli ultimi tempi « per voi ». E’ per tutti noi, e per ogni uomo che in Gesù è stato concepito e salvato.
Se i cristiani, nel mondo, vivono come stranieri, perché perseguono una patria che non è di questo mondo visibile, ciò non significa che sono alieni. Anzi, il cristiano deve, anche se si sente straniero, partecipare attivamente e con pieno coinvolgimento nella terra dove abita per il bene e la salvezza degli uomini, ma contemporaneamente sa di essere cittadino di un’altra patria, verso cui il cristiano si sente in cammino. Questo è il senso del camminare dei due discepoli del Vangelo verso l’Emmaus, come anche il nostro: siamo, lungo la nostra esistenza in cammino e condividendo un tratto di percorso, accompagnati da Gesù che ci spiega le Scritture, quando ci sentiamo tristi e sfiduciati. Egli ci fa comprendere, coinvolgendoci, le sue vicende, fino a riconoscerlo risorto, quando spezziamo il pane dell’Eucaristia, come avvenne nell’Ultima Cena, e tutte le volte che la comunità la celebra in sua memoria.
Vangelo: Lc 24,13-35.
I discepoli di Emmaus sono guidati da Gesù a rileggere la Scrittura e a comprendere che la passione, sopportata dal Signore, non è stato un incidente improvviso e contrario al disegno di Dio, ma ne è stata il compimento della sua vicenda terrena, passaggio per entrare nella sua gloria. Questa « provvidenza » della passione ora prosegue in noi, non senza suscitare incomprensione a motivo della tardezza e ottusità del nostro cuore. Dobbiamo anche noi tornare alle Scritture per attingervi conforto alla fede e alla speranza. Dobbiamo chiedere a Gesù che sia lui a introdurci in esse e a spiegarcele in modo tale che ci arda il cuore, come ai due discepoli.
Osserviamo poi che Gesù è riconosciuto alla frazione del pane: così anche da noi nell’Eucaristia viene avvertita la sua presenza e la sua compagnia. Spiegazione delle Scritture e frazione del pane: è già la nostra Messa, cui prendiamo parte per poter compiere con Gesù la nostra Pasqua.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:31)
La Misericordia del Padre, elargita dal Figlio risorto attraverso Lo Spirito Santo.
19 APRILE - IIa DOMENICA DI PASQUA.
Domenica in « albis » o della « Divina Misericordia ».
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto.
Ogni domenica commemoriamo la Pasqua del Signore, la sua risurrezione, che noi accogliamo nella fede, per cui, come disse Gesù a Tommaso « siamo beati perché crediamo senza aver visto ».
Gesù risorto appare agli apostoli che lo riconoscono e noi sulla loro testimonianza fondiamo la nostra fede, che ha sorretto lungo i secoli, in mezzo alla tribolazioni e il martirio, i credenti in lui.
Nella colletta iniziale preghiamo dicendo: « Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati ad una speranza viva mediante la risurrezione del tuo Figlio, accresci in noi, sulla testimonianza degli apostoli, la fede pasquale, perché aderendo a lui pur senza averlo visto riceviamo i frutti della vita nuova ».
Prima Lettura: At, 2, 42-47.
La primitiva comunità cristiana viveva nell’ascolto della parola degli apostoli e nella carità vicendevole, celebrava l’Eucaristia, e pregavano insieme. Tutto questo era motivo di gioia che veniva trasmessa a coloro che si avvicinava alla comunità, che così godeva della stima da parte di tutto il popolo. Un altro segno privilegiato che i credenti vivevano era che « avevano ogni cosa in comune ». Fede e amore reciproco erano strettamente uniti nella vita degli apostoli e di tutti coloro che aderivano al Signore. Separare questi due aspetti, credendo che la fede sia vera e sufficiente anche quando non sia animata e provata dalla carità è certamente una visione falsata e riduttiva della testimonianza cristiana. In un cuore chiuso alla carità fraterna non vi può più abitare la Parola di Dio; e quando non sono presenti nel credente l’amore a Dio e la sua Parola incarnati attraverso la pratica della carità fraterna la fede si spegne.
Dalla fede nel Risorto, per coloro che credono in lui, nasce un nuovo stile di vita. Ripensiamo al sangue che ci ha liberato, allo Spirito che abbiamo ricevuto, e quindi in modo particolare al Battesimo che è stato l’inizio della nostra comunione al mistero pasquale.
A queste meraviglie della salvezza deve corrispondere « il frutto della vita nuova » e la testimonianza a Gesù Vivente che, nelle nostre opere, comporta: - l’essere assidui « nell’insegnamento degli apostoli, ( ascolto del vangelo ); - nella « comunione fraterna » (condivisione dei beni ); - nello «spezzare il pane » ( celebrazione dell’Eucaristia); - nelle « preghiere » ( pratica costante della relazione con Dio ) ». Con questa testimonianza, che comporta ciò che la comunità deve vivere e realizzare e non fidando in progetti e marketing, « Il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati ».
Al « timore dei giudei », forti della presenza dello Spirito, i discepoli e i credenti in Gesù sostituirono una missionarietà fondata sulla fedeltà al mandato di Gesù di annunziare la sua risurrezione, anche a costo di andare incontro a persecuzioni o peripezie varie. Chiudersi nella propria referenzialità o nella pigrizia della propria intima testimonianza senza il coraggio dell’annunzio, badare solo alla propria sopravvivenza nell’ambito della propria comunità o nel proprio gruppo , significa tradire, come Chiesa, come comunità più o meno grande che sia, la propria natura missionaria che Cristo ci ha comandato di avere, per continuare la sua missione: « Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi » (Gv 20,21).
Questo compito nobile, entusiasmante, è capace di aprire, nel nome del Signore, nuovi orizzonti, sperimentare nuovi linguaggi, percorrere nuove vie di evangelizzazione, che lo Spirito del Risorto suggerisce e per cui dà forza e coraggio per realizzarle.
Seconda Lettura: 1 Pt 1,3-9.
La risurrezione di Cristo è, come dice San Paolo, per il nostro cuore fonte di speranza « viva », capace di farci raggiungere l’eredità dei cieli, ed essere così nella comunione gloriosa con il Signore Gesù risorto. L’apostolo ci ricorda ancora che questa eredità è tutta diversa da quella che viene trasmessa da un padre al figlio: quella cristiana « Non si corrompe, non marcisce ».
L’eredità terrena è sempre precaria esposta a vari rischi e al deperimento. Spesso è causa di implacabili risse e divisioni anche nell’ambito degli stessi eredi. Sperare di raggiungere l’eredità del cielo, cioè – la vita eterna con Cristo – è fonte di gioia, la quale è ben diversa da quella superficiale e passeggera che spesso ricerchiamo. Nella speranza e nella gioia che speriamo ci conseguire nel cielo riusciamo a sopportare le prove che ci affliggono. Queste ci purificano e danno pregio alla fede e la rendono purifi- cata, come l’oro che viene provato con il fuoco. Sarebbe troppo facile dichiararci credenti, se ci tirassimo indietro e non seguissimo il Signore che ci chiama ad associarci alla sua passione. Non è scansando la croce, ma morendoci sopra che Gesù ci ha acquistato l’eredità che non perisce.
Vangelo : Gv 20, 19-31.
Gesù risorto, apparendo agli apostoli, augura la pace, con l’insieme dei beni che il mistero della Pasqua ha procurato agli uomini: la grazia divina, la gioia, la speranza. Poi l’effusione dello Spirito, per cui ci possono essere rimessi i peccati.
La Chiesa è il luogo e il sacramento della misericordia e del perdono, dal momento che in essa vive lo Spirito Santo. Non sono i ministri della Chiesa che trasmettono la propria santità ma è lo Spirito che sa rinnovare e purifi- care la vita degli uomini.
L’episodio di Tommaso, che non vuole credere se prima non tocca e non vede, ha fatto di lui un discepolo incredulo, un resistente alla fede, ma è il prototipo dell’uomo di sempre. Egli, che aveva visto la radicalità e la potenza della morte di Gesù, non può accettare la sua risurrezione. E se il Risorto non fosse il crocifisso? Avrà pensato. Se così, l’annunzio degli apostoli non avrebbe avuto valore. Ma otto giorni dopo, quando anche Tommaso è con gli altri nel Cenacolo, davanti a Gesù che lo invita a toccarlo e a mettere le sue dita nel foro dei chiodi e la sua mano nel costato, egli, profondamente sconvolto, professa la sua fede dicendo : « Mio Signore e mio Dio ». Questo di Tommaso è un traguardo a cui giunge attraverso un travaglio interiore, di ricerca, di domanda e di sfida per una fede facile e superficiale. Come a Tommaso, anche a noi, Gesù dice di « non essere più increduli, ma credenti »: davanti al problema del male è facile cadere nell’incredulità. E Gesù allora proclama « beati quelli che non hanno visto e hanno creduto ». La vicenda di Tommaso, con la sua preghiera-adorazione – come risposta al Risorto, può essere anche la nostra.
Così il mostrare le piaghe da parte di Gesù risorto nel suo corpo glorioso accentua lo scandalo del male, perché segni della sua passione.
Davanti all’enigma del male, a cui l’uomo con la sua riflessione teologica, filosofica, psicologica non ha saputo dare una soddisfacente spiegazione, Dio, nel suo Figlio, lo affronta e lo vince e non dà spiegazioni razionali di esso, se non ponendo l’atteggiamento dell’amore, che per dimostrarlo a chi si ama, si è disposti a donare la vita.
La professione di fede di Tommaso, che riconosce Gesù come Signore e Dio è un altro momento dell’incontro di Gesù risorto con gli apostoli. Gesù affida quindi l’impegno della predicazione e la narrazione stessa del Vangelo affinché gli uomini scoprano in lui il vero Dio e il Signore glorioso. Per questo siamo chiamati fedeli e discepoli. Solo che la nostra fede non deve vacillare ».
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:27)
E' LA PASQUA DEL SIGNORE:ALLELUIA! CRISTO E' RISORTO.
E’ RISORTO
Alba nuova è il giorno
in cui Cristo è risorto,
nel tacito silenzio
un tempo nuovo è sorto.
Gesù lascia il sepolcro
Senza squilli di tromba,
mentre tutto intorno
gran rumore rimbomba.
L’alleluia di Pasqua
ti risuoni nel cuore,
perché, oggi, è risorto
il Cristo Signore.
Rintoccan le campane
con suono sommesso,
ma la gioia nel cuore
ridonda lo stesso.
L’angelo annunzia
a Maria Maddalena
che la morte è sconfitta
per vita più piena.
Il Maestro la chiama
col suo nome: “Maria!”.
La voce le ridona,
al cuor, armonia.
Prostrata ai suoi piedi
la solleva e comanda
d’andar dai discepoli
ai quali li manda
a dir che è risorto,
come aveva predetto,
che ha vinto la morte
a cui fu soggetto.
Sorpresi all’annunzio,
dal luogo dove stanno,
correndo, i discepoli
al sepolcro vanno.
Lo trovano vuoto,
col lenzuolo piegato
e pur anche il sudario
vicino è piegato.
La sera loro appare,
nel Cenacol riuniti,
e augurando la pace
son d’essa riempiti.
Manca solo Tommaso
che all’annunzio non crede,
se il costato e le piaghe
non tocca e non vede.
All’ottava, apparendo,
al risorto, col cuore,
Tommaso gli dice:
“Mio Dio e mio Signore”.
Alla cena di Emmaus
ai due si manifesta
e dagli altri essi tornan
col cuore in festa.
Il Risorto, oggi, dice
anche a noi che crediamo
che beati saremo
se pur non vediamo.
Auguriamoci allora
di risorger con Cristo,
per essere un giorno
nello stesso posto.
Leonforte, 12 Aprile 2020 don A. Lo Grasso
Auguri per una Santa Pasqua
di risurrezione e di vita nuova
nel Signore.
Un affettuoso e cordiale abbraccio
a tutti.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:26)
ALLELUIA: LODIAMO IL SIGNORE, CRISTO NOSTRA SPERANZA E' RISORTO.
12 APRILE – PASQUA DI RISURREZIONE DEL SIGNORE
Il « Giorno dopo il Sabato » primo giorno della settimana Gesù risorge da morte, perché con questo evento inizia una nuova creazione, che irrompe nella storia. Ma la fede de i protagonisti dell'evento è incapace di vedere la luce che brilla per l'umanità per la risurrezione del Cristo.
Tutti corrono al sepolcro, compiendo un percorso di fede, attratti dalla notizia, data da Maria di Magdala che si è recata al sepolcro, spinta dal suo amore per il maestro, desiderosa di compiere un gesto di pietà per il suo corpo, ma il cadavere di Gesù non è più dove l'avevano deposto.
Avendo visto la pietra ribaltata, corre dai discepoli portando un annunzio di tristezza: « Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto! » Ella pensa ad un furto. Pietro e Giovanni, vanno di corsa, ma senza la gioia di ciò che l'annunzio voleva dare, la risurrezione del maestro. Entrambi, arrivati, vedono i teli posati là in disparte, ma costatano solo segni di morte. Tutto sembra dire che la morte ha avuto il sopravvento. Forse anche noi abbiamo lo stesso senso di morte quando vediamo immigrati sommersi nel mare, malati che cercano pace e trovano violenza, popoli che cercano cibo e acqua e si scontrano contro leggi dell'economia che sono solo a favori degli interessi di pochi. In noi regnano spessi segni di morte, anche se siamo vivi biologicamente. I segni che i due osservano sono muti, ma Giovanni, con due soli verbi, « vide e credette », esprime l'inizio della sua fede, perché « non avevano ancora la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti ». I segni, che la fede ci propone, sono muti, se non sono letti alla luce della Scrittura, letta e ascoltata a partire dall'esperienza dell'amore di Dio, come lo fu per Giovanni che, aprendosi alla relazione d'amore con Dio, comprese l'eloquenza di quei segni, che così diventano segni del trionfo della vita del Risorto. E' al risurrezione che vince la morte
Il significato della Pasqua è tracciato in sintesi dal gioioso prefazio di questa santa messa: è il canto dell’umanità all’ « Agnello che ha tolto i peccati del mondo », che « morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato la vita ». Non sono termini vuoti, se abbiamo passato questi giorni nell’accoglienza della Parola di Dio, nella conversione che ha cambiato il cuore, nell’esperienza del perdono.
A giudizio esterno, non illuminato dalla fede e quindi superficiale, tutto sembrerebbe come prima, come sempre. Non è così per il cristiano, il quale giudica secondo la valutazione di Dio e di Gesù Cristo. Portiamo ciascuno nel cuore e nell’esistenza la certezza: « Cristo, mia speranza, è risorto ». Ma se è così, cambia tutto.
Prima Lettura: At 10,34.37-43.
Pietro riassume la vicenda di Gesù di Nazaret: non una vicenda qualsiasi ma l’esito fedele dell’annunzio dei profeti. Iniziata sotto il segno dello Spirito, svolta nell’esercizio della bontà e della potenza risanatrice e liberante, finita nella crocifissione, la vita di Gesù si è conclusa nella risurrezione. Gesù di Nazaret è costituito il Giudice universale. Adesso si tratta di aderire a lui con la fede, poiché da lui proviene la remissione dei peccati. Tutti gli uomini sono coinvolti negli avvenimenti di Gesù che la celebrazione pasquale della Chiesa ha ripreso e riproclamato solennemente, risentendo la testimonianza di Pietro e degli altri, che hanno vissuto il contatto con il Cristo terreno e con il Cristo risorto.
Quindi non si tratta di avvenimenti superati, appartenenti alla cronaca o alla storia del passato. La vita di Gesù e la sua esistenza, ci interpellano adesso, dalla nostra risposta dipende la nostra salvezza.
Seconda Lettura: Col 3,1-4.
Per san Paolo un cristiano è uno già risuscitato con Cristo. Infatti un cristiano è tale perché riceve lo Spirito Santo, che porta nel nostro cuore Gesù risorto da morte. Ma se questo è vero, dice l’apostolo, il desiderio del cristiano aspira a Gesù, glorioso alla destra del Padre. Un vincolo reale lo lega al Signore, lo nasconde in lui.
Si direbbe che la vita del cristiano ha due livelli: quello che si vede, e che non è il più vero e il più consistente, e quello che non si vede, e che invece è il più autentico ed è costituito dalla sua relazione con Gesù Cristo.
Seconda Lettura: 1Cor 5,6-8.
Il credente è una creatura tutta nuova: nessun legame, nessun lievito, dice san Paolo, deve implicarlo con la vita di prima. Il lievito significa la malizia, l’insincerità, la menzogna: in una parola, tutto quanto non costituisce la vita redenta, ma quella ancora che sta sotto la forma, il segno e la forza del peccato.
Vangelo: Gv 20,1-9.
Davanti alle prove, alle tracce che Cristo è risorto, e nonostante la parola stessa di Gesù che l’aveva preannunziato, gli apostoli fanno fatica a credere che egli è risorto da morte. Per Maria di Magdala l’hanno portato via. Se Pietro entra nel sepolcro e constata soltanto, nel discepolo che Gesù amava subito si accende la certezza della fede: dinanzi a quei segni non si limita a vedere, crede, Sarà laboriosa a nascere e a imporsi a loro la fede nella risurrezione. Poi diventerà l’irresistibile convinzione, che darà senso a tutta la missione e a tutta la vita degli apostoli, testimoni del Risorto.
E’ RISORTO
Alba nuova è il giorno
in cui Cristo è risorto,
nel tacito silenzio
un tempo nuovo è sorto.
Gesù lascia il sepolcro,
Senza squilli di tromba,
mentre tutto intorno
gran rumore rimbomba.
L’alleluia di Pasqua
ti risuoni nel cuore,
perché, oggi, è risorto
il Cristo Signore.
Rintoccan le campane
con suono sommesso,
ma la gioia nel cuore
ridonda lo stesso.
L’angelo annunzia
a Maria Maddalena
che la morte è sconfitta
per vita più piena.
Il Maestro la chiama
col suo nome: “Maria!”.
La voce le ridona,
al cuor, armonia.
Prostrata ai suoi piedi
la solleva e comanda
d’andar dai discepoli
ai quali li manda.
A dir che è risorto,
come aveva predetto,
che ha vinto la morte
a cui fu soggetto.
Sorpresi all’annunzio,
dal luogo dove stanno,
correndo, i discepoli
al sepolcro vanno.
Lo trovano vuoto,
col lenzuolo piegato
e pur anche il sudario
vicino è piegato.
La sera loro appare,
nel Cenacol riuniti,
e augurando la pace
son d’essa riempiti.
Manca solo Tommaso
che all’annunzio non crede,
se il costato e le piaghe
non tocca e non vede.
All’ottava, apparendo,
al risorto, col cuore,
Tommaso gli dice:
“Mio Dio e mio Signore”.
Alla cena di Emmaus
ai due si manifesta
e dagli altri essi tornan
col cuore in festa.
Il Risorto, oggi, dice
anche a noi che crediamo
che beati saremo
se pur non vediamo.
Auguriamoci allora
di risorger con Cristo,
per essere un giorno
nello stesso posto.
Leonforte, 12 Aprile 2020 don A. Lo Grasso
Auguri per una Santa Pasqua
di risurrezione e di vita nuova
nel Signore.
Un affettuoso e cordiale abbraccio
a tutti.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:24)