LA PROMESSA DI DIO E' SALVEZZA E GIUSTIZIA PER TUTTI I POPOLI.
16 AGOSTO – XX DOMENICA del Tempo Ordinario.
Nell’incontro dell’Eucaristia domenicale Cristo Signore si dona a noi con il suo Corpo e il suo Sangue. E mentre noi offriamo pane e vino, semplici doni, che la Provvidenza del Padre ci elargisce, noi riceviamo in cambio, per la potenza dello Spirito di Dio che li santifica, il dono incommensurabile della presenza di Cristo Signore, che si dona, con il suo Corpo e Sangue, come cibo e bevanda di vita: viviamo un misterioso scambio tra la nostra povertà e la sua ricchezza divina in questo banchetto, in cui Dio Padre ci invita ad essere commensali. Ecco perché è una gioia vivere la Domenica come giorno del Signore, giorno di “ringraziamento” e di lode a Dio insieme ai fratelli per le meraviglie operate per noi. La Domenica non possiamo né dobbiamo ridurla ad un incontro superficiale o spinti solo dall’obbligo morale di adempiere ad un precetto. Bisogna viverla come incontro con Cristo nel nome di Dio Padre, Creatore e Signore.
Nel giorno della risurrezione del Signore cantiamo e celebriamo anche la nostra risurrezione finale. Questa partecipazione al banchetto eucaristico nel tempo, se vissuto degnamente, diventa caparra e anticipo del banchetto eterno del cielo. Ma da questo incontro con il Signore siamo invitati a testimoniare con le parole e le opere la gioia della salvezza, evitando di ritornare nel peccato.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Padre, che nell’ accondiscendenza del tuo Figlio mite ed umile di cuore hai compiuto il disegno universale di salvezza, rivestici dei suoi sentimenti, perché rendiamo continua testimonianza con le opere e con le opere al tuo amore eterno e fedele ».
Prima Lettura: Is 56,1.6-7.
E’ volontà di Dio che tutti gli uomini partecipino della salvezza preannunziata da Isaia, ma è necessario che ogni uomo aderisca e corrisponda al suo amore nella fedeltà, si guardi dal profanare il sabato e resti fermo nella sua alleanza: « Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi ». In questo disegno, che non è solo per Israele, Dio lo ha posto come strumento per tutti gli uomini. Tutti, israeliti e non, purché abbiano aderito al Signore, per essere suoi servi, che non hanno profanato il Sabato e resteranno saldi nella sua alleanza, Dio li condurrà sul suo santo monte e li colmerà di gioia nella sua casa di preghiera, perché la si chiamerà « Casa di preghiera per tutti i popoli ». Questa parola del profeta, all’avvento del Messia, si realizzerà, perché la salvezza operata da Cristo, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, oltrepasserà i confini del popolo d’Israele e tutti, anche quelli che sono “stranieri”, gli “altri”, “gli estranei”, ma che sono importanti per Dio, potranno ricevere la grazia redentrice e sperimentare la misericordia di Dio.
Non solo quindi i poveri e i piccoli, ma è per tutti la misericordia che Dio ci dispensa, non per i nostri meriti ma per la sua grande bontà e grazia.
Se cerchiamo nella nostra vita, diceva un padre della Chiesa in una riflessione, gesti, sentimenti, comportamenti che ci avrebbero fatto meritare tanto amore di Dio, non troviamo che peccati.
Seconda Lettura: Rm 11,13-15,29-32.
Paolo, con il suo impegno apostolico, come apostolo delle genti, annunzia Cristo e vuole suscitare negli Israeliti, suoi consanguinei, la gelosia per il Cristo, che egli ha accolto nella sua vita come Signore, affinché anch’essi lo accolgano. Egli si chiede: « Se il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, cosa sarà la loro riammissione se non un riavere la vita di comunione con Dio e la risurrezione dai morti? ».
Se gli uomini, scrive ai Romani, un tempo disobbedienti a Dio, hanno ottenuto la misericordia da lui per la disobbedienza degli Israeliti, ora anche questi, a motivo della stessa misericordia, possono ottenere misericordia e perdono, avendo Dio racchiuso tutti nella disobbedienza, per usare così verso tutti misericordia.
Così si manifesta l’amore gratuito di Dio, meritato per gli uomini dal sacrificio di Cristo, segno incomparabile della misericordia divina, della sua benevolenza e pietà. Impariamo, allora, non tanto a cercare in noi meriti quanto a rendere grazie al Signore per tutti i benefici e meraviglie operate per noi, pensando, come scrive Paolo, che i doni e la chiamata di Dio per tutti sono irrevocabili.
Vangelo: Mt 15,21-28.
Nel brano del Vangelo di oggi, anche se assistiamo all’apparente contraddizione del comportamento di Gesù nei confronti della donna cananea, si apre un orizzonte di speranza per tutti gli uomini. Come fu per il centurione romano, anche lui “straniero”, ma lodato per la sua grande fede, che il suo servo malato fu guarito, così avviene anche per questa donna: per la sua grande fede, la sua figlia è guarita dal demonio.
Dopo la sua risurrezione, Gesù, inviando nel mondo i suoi discepoli, allargherà la missione della Chiesa rivolta a tutti i popoli.
In una zona di confine tra Tiro e Sidone, nel sud della Siro-fenicia e al nord della Galilea, terra considerata impura e pagana, dove si è recato dopo una polemica con gli inviati da Gerusalemme, Gesù viene avvicinato da una donna cananea che chiede insistentemente di intervenire a favore della figlia indemoniata.
Gesù, pur affermando di fronte agli apostoli, che gli chiedevano di esaudire la richiesta della donna di guarirne la figlia, di essere stato mandato per le pecore perdute della casa di Israele, tuttavia, dopo il dialogo che intratterrà con la donna, non resta indifferente davanti al dolore di quella madre per la sofferenza della figlia e accoglie la sua supplica. L’iniziale rifiuto di Gesù con la frase: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”, suscita nella donna, con la risposta che questa da’ :“... eppure anche i cagnolini , mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”, una tale fede, che se pur sembra piccola e insignificante come una briciola, davanti a Dio è così grande da essere lodata dal Signore tanto da farle ottenere la grazia.
Il Signore Gesù ci esorta a vincere la nostra incredulità e ad accogliere i doni che è venuto a portarci da parte del Padre, cioè la salvezza universale, la gioia della redenzione, il suo amore: doni che Egli accorda a tutti, e ciò avviene non tanto per i nostri meriti ma per la sua grazia e la sua immensa misericordia.
Ognuno di noi sperimenta nella vita un proprio percorso di fede, che se è vissuto con un attenta accoglienza della Parola di Dio, nell’umiltà e nel desiderio di seguire Gesù: così, riconoscendo le proprie miserie, la propria pochezza e affidandosi nelle mani del Padre celeste, potrà disporre il cuore ad accogliere la salvezza che egli ci offre.
14 AGOSTO- Ore 19.00 – Santa Messa prefestiva dell’ ASSUNTA.
15 AGOSTO- Le Sante Messe sono come le Domeniche:
Ore 8.15 - 10.30 - 19.00.
16 AGOSTO – DOMENICA -- SOLENNITA’ DELLA MADONNA DEL CARMELO
Le sante Messe saranno celebrate alle ore
Ore 8.15 - 10.30 - 18.30
18 AGOSTO – Ore 19-00 - SANTA MESSA IN ONORE DI SANT’ELENA
(Quest’anno, causa la pandemia, la santa Messa sarà celebrata nella Parrocchia della Catena)
MARIA, RISPLENDENTE DI LUCE, TRIONFA CON CRISTO IN ETERNO.
15 AGOSTO – ASSUNZIONE DI MARIA AL CIELO..
Quando diciamo “Padre nostro che sei nei cieli” non dobbiamo intendere un luogo materiale in cui dimora Dio, ma una esistenza diversa da quella materiale, terrena in cui viviamo noi, una esistenza nello spirito e nella immaterialità. Celebrando la solennità della assunzione della Beata Vergine al cielo, allora, crediamo che anche Maria come Gesù, che in anima e corpo risorto vive nell’esistenza divina di Verbo del Padre, vive nell’esistenza immortale, nella comunione eterna di Dio, in anima e corpo. Celebrando Maria noi celebriamo la sorte gloriosa che attende tutti noi, perché lei, dopo Gesù, è segno di sicura speranza di risurrezione e di vita in Dio. Come Maria, che già vive nella gloria di Dio e nella sua presenza, anche noi aspiriamo a vivere in piena comunione con Dio.
Maria assunta perché Madre di Dio.
Se la morte, dice la Scrittura, è entrata nel mondo come conseguenza del peccato originale e della disobbedienza dell’uomo a Dio ( Rm 5,17-21), il Cristo, il Figlio di Dio, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria ( Lc 1,31.35), per la sua obbedienza “fino alla morte e a una morte di croce ( Fil 2,8), è divenuto causa di salvezza per coloro che gli obbediscono (Eb 5,9). Riconciliandoci con Padre, con la sua risurrezione è divenuto primizia di coloro che risorgono dai morti (Cor 1,15-28) e sono destinati alla risurrezione e alla vita in DioDa ciò deriva che la Beata Vergine Maria, avendo ricevuto per singolare privilegio di essere esente dalla disobbedienza di Adamo, ed essendosi come Gesù resa obbediente al progetto di Dio con il suo “sì” alla Maternità del Figlio, non ha sperimentato la morte ed ha ottenuto un’esistenza in anima e corpo in Dio come il suo Figlio, partecipando della sua stessa gloria.
Maria, che ha accolto il Figlio di Dio con la fede nel suo cuore, lo ha generato nel suo grembo, divenendo l’Arca di Colui che avrebbe instaurato una Nuova ed Eterna Alleanza ed è stata unita a lui in tutta la sua vita terrena, sempre per un “ conveniente dono di grazia” , partecipa pienamente della stessa gloria del Figlio nella Gerusalemme celeste. Anche in cielo Ella è “Arca dell’Alleanza”, come ci dice la Lettura dell’Apocalisse, “donna vestita di sole” che partorisce il bambino “rapito verso Dio e verso il suo trono”, compiendosi così “la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo”.
« Colei attraverso la quale Dio ha realizzato sulla terra il suo progetto di salvezza, incarnandosi e portando a compimento la nuova alleanza, gode della piena realizzazione dell’alleanza che si colloca oltre la storia umana, nel regno di Dio, nella risurrezione della carne, nel cielo ». ( Dal Messale delle Domeniche e Feste,2013, Ed Elledici). E’ in questa prospettiva di fede che i cristiani celebrano questa Festa solenne della Assunzione al cielo di Maria in anima e corpo.
Le grandi opere compiute in Maria dall’Onnipotente..
Ciò che celebriamo, l’Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria, è una delle tante meraviglie che Dio ha operato in lei. Tutto è opera di Dio e che Maria è stata scelta, nonostante la sua umiltà e fragilità, ad essere la Madre del Figlio di Dio, è un dono gratuito di predilezione del Padre. Anche noi siano, dalla creazione fino alla nostra definitiva salvezza operata da Cristo, oggetto dell’amore gratuito di predilezione di Dio Padre che, avendoci incorporati al suo Figlio mediante il battesimo, ce l’ha donata come nostra Madre. Per questo le tributiano la nostra venerazione e la poniamo accanto a Gesù, assunta in cielo, da dove esercita anche verso di noi la sua maternità.
Maria è la primizia dell’umanità salvata e rinnovata dalla misericordia di Dio per mezzo del suo Figlio ed è posta e celebrata come segno di speranza per noi, che aneliamo al cielo per essere insieme a Cristo, nostro Capo, e a lei, nostra Madre.
Dio che « Rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi » compie le sua meraviglie quando l’uomo pone, non nell’abbondanza dei beni né nel potere o nell’onore del mondo, ma nella comunione e nell’amore con lui la sua vita. Maria, avendo vissuto qui in terra in comunione con la Trinità nel suo compito di Madre, oggi è in cielo, con tutto il suo essere, anima e corpo, a partecipare della pienezza della gioia e della gloria di Dio. Maria, primizia e immagine della Chiesa, segno di consolazione e di sicura speranza, attende noi suoi figli ancora peregrinanti in questa terra d’esilio e intercede per la nostra definitiva salvezza insieme al Figlio presso il Padre.
Maria ci ha preceduto nella gloria celeste.
Se Maria, per il suo ruolo nel progetto di Dio, è stata fatta oggetto di singolari privilegi, non vuol dire che noi dobbiamo porla su un piedistallo di grandezza discriminatoria, perché tutti in Cristo, per volontà del Padre. « siamo stati scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità » ( Ef1,4), predestinati ad essere figli adottivi ed eredi della stessa gloria del Figlio.
Come per Gesù, con il corpo risorto e asceso alla destra del Padre, e Maria, assunta anche lei con il corpo nella gloria, anche noi parteciperemo nella risurrezione alla loro stessa gloria: il nostro corpo si ricongiungerà al nostro spirito e con tutto il nostro essere vivremo nella pienezza di Dio.
L’Eucaristia che celebriamo, mediante l’opera dello Spirito Santo che rende presente Cristo con il suo Corpo e il suo Sangue, ci trasforma in Cristo e diveniamo già partecipi dei beni futuri, di cui essa è caparra e anticipazione di immortalità.
« L’Eucaristia è pane di vita eterna per la comunione con lo stesso Gesù che Maria ha portato in grembo e dunque con quel Gesù con cui vive nella pienezza della sua femminilità, maternità, familiarità, con le storie vissute e i sentimenti nutriti » (Messalino delle Domeniche e Feste, Ed.Elledici, 2013).
Prima Lettura: Ap 11,19.12,1-6.10.
La liturgia trova l’ evocazione di Maria nell’arca dell’alleanza del santuario celeste e nella donna vestita di sole che partorisce un figlio, sottratto alle forze del male rappresentate nel drago. L’Apocalisse descrive la parabola della Chiesa, poiché alla Chiesa immediatamente si riferisce l’immagine della donna incoronata da dodici stelle. Ma Maria è nella Chiesa, come tipo ed esemplare, a sostenere le vicissitudini del popolo nuovo che rivive il cammino del deserto, protetto dalla potenza e dalla regalità di Cristo.
Seconda Lettura: 1 Cor 15, 20-27.
Gesù è risorto come primo: a lui, e a sua immagine, seguiranno quelli che « sono di Cristo », cioè quelli che hanno creduto in lui e ne hanno ricevuto la vita. Tra tutti questi la prima è Maria, che di Cristo è la Madre.
Vangelo: Lc 1,39-56.
Maria è stata scelta da Dio per pura grazia. Questa consapevolezza fa scaturire in lei il gioioso riconoscimento della bontà di Dio, che compie opere grandi in quanti si affidano a lui e in lui pongono ogni speranza.
Sia Elisabetta sia Maria gioiscono in Dio, che riconoscono come loro Salvatore che ha realizzato le promesse incarnandosi, offrendo la sua vita per amore sulla croce e risorgendo. Alla realizzazione di queste promesse partecipa innanzitutto Maria, la Madre, Colei che ha creduto; vi partecipiamo poi anche noi, perché anche noi siamo destinati come il Cristo, di cui siamo membra, alla risurrezione e alla vita in Dio per l’eternità.
14 AGOSTO- Ore 19.00 – Santa Messa prefestiva dell’ ASSUNTA.
15 AGOSTO- Le Sante Messe sono come le Domeniche:
Ore 8.15 - 10.30 - 19.00.
16 AGOSTO – DOMENICA - SOLENNITA’ DELLA MADONNA DEL CARMELO
Le sante Messe saranno celebrate alle ore
8.15 - 10.30 - 18.30
18 AGOSTO – Ore 19-00 – la SANTA MESSA IN ONORE DI SANT’ELENA
(Quest’anno, causa la pandemia, la santa Messa sarà celebrata nella Parrocchia della Catena)
Ultimo aggiornamento (Venerdì 14 Agosto 2020 10:38)
"CORAGGIO, SONO IO, NON ABBIATE PAURA".
9 AGOSTO-XIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO
Soprattutto la domenica, in cui Dio Padre ci raduna insieme come famiglia dei credenti e di figli adottivi, possiamo con il Figlio Gesù sperimentare la sua paternità e, nella fede, ricevere la grazia di sentire la sua azione nella nostra vita e in quella degli uomini tutti, così da poter superare le prove di ogni giorno: egli è sempre presente nella vita delle sue creature e dei suoi figli.
Affrontare con la serenità dei figli di Dio, ad imitazione di Gesù, le prove quotidiane, vuol dire vivere le difficoltà, i travagli della vita e, anche la sofferenza, con la fiducia e la certezza che il Signore ci è vicino. Egli accompagna ogni sua creatura, tutti i suoi figli, la sua Chiesa in mezzo ai marosi nel mondo, finché non giungiamo alla contemplazione della luce del volto di Dio nel cielo. Nel giorno del Signore, vivere il nostro incontro con lui accresce il desiderio del cielo, pregustando fin d’ora la gioia che ci sarà data in pienezza nell’ eternità.
Nella preghiera della Colletta diciamo a Dio:« Onnipotente Signore, che domini tutto il creato, rafforza la nostra fede e fa’ che ti riconosciamo presente in ogni avvenimento della vita e della storia, per affrontare serenamente ogni prova e camminare con Cristo verso la tua pace ».
Prima Lettura: 1 Re 19,9.11-13.
Nel lungo cammino nel deserto, fortificato dal cibo che Dio gli provvede, Elia giunge sul monte Oreb, dove incontra Dio che gli si manifesta, non nell’esperienza eclatante del vento impetuoso e gagliardo, non nel terremoto o nel fuoco, come lo fu per Mosè, ma in una brezza leggera e, al suo passaggio, si copre il volto con il mantello. Così Elia riceve la conferma della missione a cui Dio lo manda. E,’ quella di Elia, un’esperienza misteriosa di intimità e di quiete. Pur stando Elia « alla presenza del Signore » e avvertirla, egli si ferma all’ingresso della caverna. Solo con la rivelazione che il Figlio fa del Padre è possibile vedere il volto di Dio, perché, dice Gesù, chi vede lui vede il Padre.
Seconda Lettura: Rm 9,1-5.
Paolo avverte nell’ animo un’angosciosa sofferenza, tanto da voler essere, se potesse, anatema, cioè staccato da Cristo, che egli pur ama intensamente, a vantaggio dei suoi fratelli israeliti a lui consanguinei. Questo perché essi, che « Sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo », non l’hanno accolto come il Messia, pur essendo anch’egli israelita secondo la generazione umana, venuto per realizzare le promesse divine. L’apostolo, di questo misterioso ed enigmatico comportamento non sa darne una spiegazione, ma si affida a Dio, che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli, certo che la sua misericordia divina si manifesta verso tutti e sopra tutti. Sia questo consegnarsi all’ insondabile disegno di Dio, sia questa passione per la conversione dei fratelli israeliti, deve spingere i credenti nel Cristo come i fratelli ebrei, più che ad atteggiamenti di inimicizia e di ostilità, a vivere momenti di fraternità e accoglienza e di collaborazione. Tutti siamo raggiunti dalla misericordia di Dio per mezzo del suo Figlio,(cfr.Rm 3,21-31).
Vangelo: Mt 14,22-33.
Dopo la moltiplicazione dei pani, per cui la folla ammirò la straordinaria potenza di Gesù, egli costringe i discepoli a precederlo sull’ altra riva del lago e « sapendo che venivano per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo, a pregare ». Nel Vangelo di Matteo la moltiplicazione dei pani era stata un segno della sua messianicità, anche se fraintesa da parte dei discepoli e da quelli che avevano assistito all' evento , volendolo fare re. Così congeda la folla e li costringe a partire, affinché non cedessero alla tentazione della gloria.
Nella sua pedagogia Gesù vuole insegnare ai suoi discepoli che non ci si deve appropriare dei segni della benevolenza di Dio, né di chi ha sperimentato un evento o un dono di grazia di Dio, per ottenere, a proprio beneficio o interesse, il consenso o soddisfare la propria sete di dominio sugli altri.
Ancora. Nella preghiera solitaria e a contatto con il Padre celeste, Gesù vuole vincere la tentazione di rivelarsi nella sua identità di Messia e di Figlio di Dio, perché vuole ancora una volta insegnarci che il bene, che i suoi discepoli fanno, deve portare gli uomini a dare gloria al Padre celeste e a porre Dio al centro della propria testimonianza e non alla ricerca di gloria o di successi propri: tentazione sempre presente nella vita di ognuno e della sua Chiesa, a cui difficilmente si sfugge, se si perde il vero senso del rapporto con Dio che, nella preghiera e nel rapporto intimo con lui, ci fa riscoprire la nostra identità di figli nella sua giusta luce.
Essere saliti sulla barca di Cristo, la sua Chiesa, e trovarsi in mezzo al lago della storia, agitato da forte vento e da onde paurose, è certamente anche un altro momento che ci può cogliere come discepoli di Gesù e di credenti in lui, lungo la nostra vita e nella vita della Chiesa. Se allora Gesù è assente, come lo era nella barca, nell’ episodio del vangelo di oggi, la comunità del Signore è incapace di compiere serenamente la traversata verso l’altra riva e si è presi facilmente dalla paura degli eventi più o meno sconvolgenti che agitano la nostra e la vita della Chiesa e del mondo. Solo se si crede alla reale presenza di Gesù in mezzo alla vita degli uomini e della sua Chiesa, e non lo si crede un fantasma, e se ascoltiamo la sua parola: « Coraggio, sono io, non abbiate paura! », con cui manifesta la sua identità divina, allora la sua presenza ci dà coraggio e serenità.
E anche quando come Pietro, rassicurati dalla sua presenza e dal calmarsi dei travagli e delle vicende tormentate della nostra esistenza, gli chiediamo di camminare verso di lui, chiamandoci a svolgere una missione, non dobbiamo perdere la nostra fede in lui e non aver paura, perché rischiamo di affondare.
In quel momento, solo rivolgendoci a lui e non pensando alle difficoltà e ai travagli in cui versiamo, gridando come Pietro: « Signore, salvami! », potremo aggrapparci alla mano che Gesù ci tende e trovare salvezza nella rinnovata fiducia in Lui.
Con la presenza di Gesù tra noi, ogni tempesta si placa, ogni dissidio si risolve, ogni difficoltà si supera, ogni turbamento si rasserena e, facendo esperienza della sua presenza anche a noi ci viene spontaneo rinnovare la stessa professione di fede degli apostoli: « Davvero tu sei il Figlio di Dio ». Dall’ accogliere nella fede questa identità di Gesù ci viene la nostra serenità e la forza per vincere ogni forma di timore che può sorprenderci nella “traversata della vita nostra, della Chiesa e dell'umanità tutta”.
" DATE LORO VOI STESSI DA MANGIARE"
2 AGOSTO- XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. (Anno A).
Nella celebrazione della Eucaristia non basta offrire al Padre il sacrificio della croce, Gesù, vittima gradita a Dio, è necessario che anche faccia parte di questa offerta la nostra vita, che viene trasformata insieme come offerta perenne. I segni del sacrificio del Cristo devono diventare anche i nostri segni, perché ogni aspetto della vita porti le impronte dell’amore di Cristo. Anche il lavoro e le attività quotidiane, se svolti con spirito di carità e di fraternità verso i poveri e i sofferenti, come ha fatto Cristo, esprimeranno il nostro servizio verso tutti gli uomini. Così ci rivolgiamo al Padre nella preghiera iniziale:« O Dio, principio e fine di tutte le cose, che in Cristo tuo Figlio ci hai chiamato a possedere il regno, fa’ che operando con le nostre forze a sottomettere la terra non ci lasciamo dominare dalla cupidigia e dall’ egoismo, ma cerchiamo sempre ciò che vale davanti a te ».
Gesù soddisfa il nostro desiderio di Dio.
Le realtà terrene, di cui l’uomo ha bisogno, come il cibo, la casa, il vestito, sono certo necessarie, ma anche l’amore, la speranza, la gioia, sono realtà che desideriamo e perseguiamo con tenacia. Che tipo di fame noi abbiamo? Chi è benestante non esaurisce spesso nel cibo, nei beni terreni, nel denaro, nel sesso, nell’ apparire il suo orizzonte esistenziale?
Dio solo, vuol dirci Gesù moltiplicando i pani, appaga la fame dell’uomo; non solo la fame di cibo, ma anche quella spirituale attraverso la sua parola, le realtà divine, poiché “ Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, e ci insegna così che non possiamo limitarci al solo orizzonte terreno.
Davanti alle diverse forme di fame che l’uomo sperimenta e che Dio può soddisfare, la Chiesa ci ricorda che, non possiamo deresponsabilizzarci di fronte ai bisogni dell’umanità, standocene con le mani in mano, aspettando tutto da Dio, perché la sua provvidenza giunge all’ uomo attraverso la giustizia, la uguaglianza e la solidarietà economica tra i popoli e, in supplenza, attraverso la carità, come dice Gesù ai discepoli: « Voi stessi date loro da mangiare ». Davanti alla nostra indigenza, come a quella sperimentata dagli apostoli, segno dell’incapacità umana di soddisfare le necessità dell’umanità, Gesù che moltiplica i pani, come il nuovo Mosè che guida il popolo e lo sazia in « un luogo deserto », dice: « Portatemi qui i pani che avete »: così la nostra povertà è resa sovrabbondante dalla potenza di Dio.
Prima Lettura: Is 55,1-3.
Il banchetto dell’era messianica.
Come la provvidenza di Dio, nei quarantanni del deserto, venne incontro al popolo ebraico, così il profeta Isaia ai deportati di Babilonia, preannunzia le promesse di Dio, che sfamerà gratuitamente il suo popolo: « O voi tutti assetati, venite all’ acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? » (Is 55,1-2).
Un’acqua che disseta e un cibo gratuito e buono è ciò che Dio promette al popolo degli esiliati : meglio, a quelli che tornano a lui con la conversione e con l’ascolto della sua parola. L’alleanza vera, nonostante le apparenze, non è distrutta. Anzi Dio ne promette una eterna.
Il profeta, quindi, non si riferisce solo al cibo materiale, ma anche alle realtà spirituali della dignità, della speranza di libertà di cui quello è simbolo, che Dio realizzerà rinnovando l’alleanza fondata, non sui meriti o la fedeltà del popolo, ma sul suo amore: « Io stabilirò per voi un’alleanza eterna »(Is 55,3).
Dietro il linguaggio immaginoso sta la realtà della grazia che viene elargita quando l’alleanza è stabilita da Dio nel suo stesso Figlio che, nel suo ministero, pone la sua opera a sfamare nel deserto la folla in maniera gratuita e sovrabbondante, nel suo Sangue pone una inscindibile comunione con il Signore e imbandisce il banchetto dell’Eucaristia, dov’ è distribuita la vera sapienza ed è elargito il dono dello Spirito, la vera acqua che disseta per sempre e che sgorga dal cuore di Gesù.
Seconda Lettura: Rm 8,35.37-39.
Il legame, che unisce il cristiano a Gesù Cristo è talmente forte, che non c’è condizione, pur difficile o disagevole che sia, che valga a scioglierlo.
Gesù è il segno assoluto dell’amore di Dio per gli uomini. E’ un amore forte quello di Dio, datoci nel suo Figlio, per cui Paolo ci ricorda che nessuno « Potrà separarci dall’ amore di Cristo »,
C’è poi la forza di « colui che ci ha amati ». Questo amore divino resiste davanti a qualsiasi aggressione, davanti al tentativo di qualsiasi creatura e in tutte le difficoltà « noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati … né morte né vita … né presente né avvenire … né alcun altra creatura potrà mai separarci dall’ amore di Dio, che è in Cristo Gesù » ( Rm 8,39). Si tratta di credere a questa carità, che ci precede e che ha trovato la sua manifestazione in Cristo.
Vangelo: Mt 14,13-21.
Gesù, dopo aver appreso della morte di Giovanni il Battista, si ritira nel deserto e la gente lo cerca, lo segue, lo trova, perché spera di poter essere soddisfatta nel bisogno di una guarigione, nei desideri e nelle varie attese, anche se non sempre tutte queste cose corrispondono a ciò che Gesù rivela di sé e di Dio. L’uomo, ma soprattutto il credente, deve valutare e vagliare se i propri desideri o le proprie attese corrispondono a ciò che Dio vuole da lui e, per il cristiano, se sono conformi alle istanze evangeliche.
Gesù, vedendo tutta quella folla che lo seguiva ormai da più giorni, « sentì compassione per loro », non resta indifferente, mette al servizio dell’umanità la sua potenza, guarendo i malati e moltiplicando i pani. Manifesta così la sollecitudine fattiva di Dio per l’uomo. Fin dall’ inizio della sua attività, Gesù ha guarito malati, scacciato demoni, rivelando che la potenza di Dio è più forte del male, che pur manifestando, dopo la tragedia del peccato originale, il suo dominio sull’ uomo, Dio però non ha abbandonato l’uomo. Come attesta la storia biblica e la vita di Gesù, Dio non accetta, né permette, né sopporta, ma solo tollera il male che affligge l’uomo, così come dimostra tutta l’attività di Gesù e la sua stessa morte, che viene vinta dalla sua risurrezione.
Ma dietro al miracolo, già intravvediamo l’istituzione dell’Eucaristia, dove Gesù stesso è il Pane della vita per la Chiesa lungo il cammino, nel tempo del suo esodo. Il miracolo della moltiplicazione dei pani si rinnova, a livello ancora più sorprendente e portentoso, ogni volta che prendiamo parte alla mensa del Signore, specialmente nel giorno del Signore, la Domenica.
Non basta, però, offrire al Padre il sacrificio della croce, cioè Gesù, la vittima assolutamente gradita al Padre. Bisogna a nostra volta entrare realmente a far parte di quell’ offerta. L’Eucaristia deve trasformare « in offerta perenne tutta la nostra vita ». E’ questo quello che devono manifestare i segni del sacrificio di Cristo, diventato nostro sacrificio. Ogni aspetto dell’esistenza deve portare le impronte della carità di Cristo, anche il lavoro e l’attività quotidiana, svolti con spirito di carità e fraternità verso « i poveri e i sofferenti » a imitazione di Cristo, e con impegno di dialogo e di servizio verso tutti gli uomini.
IL REGNO DEI CIELI E' SIMILE AD UN TESORO, AD UNA PERLA, AD UNA RETE.
26 LUGLIO-XVII DOMENICA - TEMPO ORDINARIO (Anno A)
Partecipare al sacrificio dell’Eucaristia vuol dire celebrare il memoriale della passione, morte e resurrezione del Signore che, in virtù dello Spirito Santo, attualizza nella vita del credente il suo mistero di salvezza. Lo Spirito, che trasforma il pane e il vino nella presenza reale di Cristo, ci dà la possibilità, alla mensa del Signore, di « condividere il pane disceso dal cielo ». L’accento, ancora una volta in questa Eucaristia, è posto sulla Pasqua domenicale e, nella preghiera iniziale, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Padre, fonte di sapienza, che ci hai rivelato in Cristo il tesoro nascosto e la perla preziosa, concedi a noi il discernimento dello Spirito, perché sappiamo apprezzare fra le cose del mondo il valore inestimabile del tuo regno, pronti ad ogni rinunzia per l’acquisto del tuo dono ». Tutto ciò che è necessario alla vita quotidiana, davanti a questi doni, deve essere ricercato e usato saggiamente, senza che l’impegno per le realtà quotidiane ostacoli la continua ricerca dei beni celesti. E qualora dovesse intralciare questa ricerca bisogna essere capaci di rinunziare a ciò che ci ostacola nel cammino verso il Regno, che è il vero tesoro nascosto e la perla preziosa..
Prima Lettura : 1 Re 3,5.7-12.
Salomone al Signore che, in sogno, gli dice di chiedergli ciò che vuole che Egli gli conceda, risponde pregando: « Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e distinguere il bene e il male ». Poiché piacque al Signore ciò che aveva chiesto, Dio gli disse: « Poiché mi hai chiesto questa cosa e non molti giorni, né hai domandato per te ricchezze, né la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole ». Il Signore gli concesse « un cuore saggio e intelligente »,cosicché come lui non ci fu nessuno prima, né ne sorgerà uno dopo.
Salomone domanda al Signore la saggezza nel governare e il Signore la concede largamente al re. La saggezza è una grazia che vale molto più della longevità, delle ricchezze e delle vittorie. Essa è necessaria ad ognuno di noi, cosicché sappiamo distinguere il bene dal male, per essere giusti e non farci facilmente prendere dai pregiudizi, dalla vanità, dal tornaconto, dalla passione, dalla tracotanza, dalla presunzione. Il dono della sapienza è un dono dello Spirito Santo e lo possiede un’anima in grazia e chi domanda un « cuore docile », attento, disposto a lasciarsi guidare. Anche la nostra vita ha bisogno di un saggio governo spirituale.
Seconda Lettura: Rm 8,28-30.
San Paolo scrive ai Romani dicendo che siamo oggetto dell’amore provvidenziale del Padre celeste, per cui « tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono chiamati secondo il suo disegno ». Infatti, quelli che da sempre egli ha conosciuto, li ha « anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, primogenito tra molti fratelli », li ha chiamati, li ha anche giustificati e, infine, li ha anche glorificati. Nessuna condizione o situazione, per difficile e complicata che sia, può far fallire il piano d’amore che Dio Padre ha su noi. Considerando quanto Dio ha fatto per noi, che ci ha predestinati ad essere conformi al suo stesso Figlio, divenuto nostro fratello e, con tale destinazione, ci ha chiamati alla vita, ci ha giustificati e redenti mediante il sangue di Cristo, siamo ormai avviati e attesi per la gloria. Con questi punti fermi della storia di salvezza, predisposta dal Padre delle misericordie, nutriamo la speranza che Dio non ci abbandonerà mai, ma ci tiene cari e ci sorregge: questa è la ragione dell’ottimismo cristiano.
Vangelo: Mt 13, 44-52.
Ancora attraverso le parabole del regno che l’evangelista Matteo ci narra, Gesù vuole farci scoprire l’importanza che deve avere per noi il regno di Dio.
Esso viene paragonato ad un « tesoro » che un contadino trova nel campo e decide di vendere tutti i suoi averi e compra il campo; o ad una « perla » che un mercante, avendone trovata una di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora Gesù paragona il Regno di Dio ad una « rete », gettata dai pescatori nel mare,« che raccoglie ogni genere di pesci » e quando è piena viene tirata a riva e « i pescatori, stando a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi ».E Gesù conclude dicendo che così avverrà alla fine del mondo quando gli angeli separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente. Chiedendo Gesù agli apostoli se hanno compreso tutto quel discorso, avendo essi risposto affermativamente, egli conclude dicendo: « Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche ».
Fare nella vita anche scelte radicali secondo la sapienza del Signore è essere evangelicamente saggi. Per chi intraprende questo cammino le cose che prima parevano acquistare valore, passano in secondo ordine e si diventa capaci anche di rinunziarvi, per acquistare realtà più preziose.
Il Vangelo di oggi ci propone un’istanza opposta a quella di un cupo cristianesimo. La fede cristiana è un’ esperienza da viversi con gioia benché sia un cammino ascetico. Certamente si esclude la gioia se si pone l’accento solo nell’ascesi, necessaria per la vita spirituale. Una visione cupa del cristianesimo, un’accentuazione della sofferenza e delle penitenze, un’esaltazione del dolore rendono la sequela di Cristo non conforme alla visione evangelica della vita cristiana.
Riformulare la concezione e le pratiche di vita ascetica e mistica, riscoprendo il perché di certe scelte, è come restaurare un’opera d’arte per recuperarla nella sua originaria bellezza e farla fruire agli appassionati. Così, accogliendo l’esortazione del Vangelo, il discepolo di Gesù « è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche »(Mt 13,52). In questo tesoro vi sono cose antiche, ma non per questo vecchie, inutilizzabili, come la preghiera, lo spirito di rinunzia, l’esigenza di accettare le sofferenze della vita con la rassegnazione evangelica, le esigenze della sequela del Signore, e cose nuove, come le esigenze , le domande e le scoperte dell’oggi che rinnovano e riattivano le cose antiche.
I personaggi delle parabole, l’agricoltore, il mercante che trovano oggetti di grande valore sono « pieni di gioia » e, di conseguenza, sono motivati a vendere tutto pur di acquistare il campo o comprare la perla preziosa. Così la gioia della scoperta di cose preziose e le conseguenti scelte nulla tolgono all’agire prudente del saggio: la gioia, allora, è compatibile con le difficoltà e le conseguenze che le scelte comportano: Se capissimo il valore del Regno di Dio, che è poi il valore di Gesù Cristo!
Di fronte a lui tutto diviene invalido e si deprezza. Tutto si vende; da tutto ci si distacca: si supera ogni difficoltà, pur di averlo: è il tesoro nascosto e la perla preziosa. I veri discepoli lasciano ogni cosa per lui: tutto è riferito a Lui. Ma questo – si noti – deve valere per ogni cristiano, che semplicemente abbia compreso il Vangelo.
Una concezione corretta e non patetica della gioia sa distinguere tra la serenità d’animo, pacificante, inalterabile, anche di fronte alle difficoltà, e l’esaltazione dell’euforia tanto vivace quanto effimera. La scelta del Regno è motivata da una gioia che è capace di reggere lo sforzo ascetico, vissuto non come fine a se stesso ma come predilezione per Gesù e per il Regno, che richiede discernimento, virtù spirituale volta all’azione, come fa Salomone nella preghiera al Signore, a cui chiede il discernimento per governare e amministrare la giustizia e assolvere meglio al proprio compito come servizio a Dio e al popolo.
Se scegliere di seguire Cristo e il Regno comporta un orientamento di fondo della propria esistenza, bisogna poi saper incarnare tale scelta con azioni concrete in cui ognuno si trova, per porsi sempre al servizio di Dio e dei fratelli.
Tra le difficoltà e il conflitto di interessi e il valore del Regno, i primi possono soffocare la scelta del secondo, così come accade con il giovane ricco, che mosso da un autentico desiderio di perfezione, davanti alla risposta radicale di Gesù, che comportava un prezzo non indifferente, il vendere i suoi beni e seguirlo, « se ne andò, triste » (Mt19,22).
Cristo è però anche il punto di confronto per il giudizio: alla fine della vita, al termine della storia, avverrà la grande divisione, il decisivo discernimento, la separazione del bene dal male, tra pesci buoni e cattivi, dopo che in questa vita avrà avuto luogo la confusione.
Dobbiamo vivere e fare le nostre scelte con questo punto di confronto finale, scelte che oggi facciamo rispetto a ciò che vogliamo essere, quasi anticipando ogni volta il giudizio che poi verrà dato sulle nostre azioni.