





SIAMO RIVESTITI DI CRISTO.
11 OTTOBRE - XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Ricevendo il Corpo e il Sangue di Gesù, nell’Eucaristia, noi comunichiamo con la sua vita divina. Questa non è una partecipazione simbolica ma reale alla vita del Signore, perché il pane e il vino, per la potenza dello Spirito Santo, sono trasformati nel suo Corpo e Sangue, che Gesù ha lasciato come nutrimento del nostro spirito. La nostra partecipazione al convito eucaristico dobbiamo viverla con la disposizione interiore di coloro che, animati dall’amore e dalla grazia di Dio, indossano la veste bianca dell’abito nuziale.
Dio che scruta i nostri sentimenti e i nostri pensieri desidera che noi abbandoniamo le nostre umane sicurezze e ricchezze per essere liberi e poveri, e poterci saziare di lui.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Padre, che inviti il mondo intero alle nozze del tuo Figlio, donaci la sapienza del tuo Spirito, perché possiamo testimoniare qual è la speranza della nostra chiamata, e nessun uomo abbia mai a rifiutare il banchetto della vita eterna o a entrarvi senza l’abito nuziale ».
Is 25,6-10.
Il Signore degli eserciti,per mezzo del profeta Isaia,preannunzia che per tutti i popoli preparerà « un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi raffinati… toglierà il velo che co- priva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni ».
Inoltre avrebbe eliminato la morte e asciugato le lacrime su ogni volto, tolto l’ignominia del suo popolo da tutta la terra. Coloro che avranno sperato nel Signore sperimenteranno la sua salvezza, per cui bisogna rallegrarsi ed esultare,perché la mano del Signore si poserà sul monte. Affidarsi al Signore, sperare in lui, che è il Signore della storia, significa partecipare a ciò che egli preparerà. E per noi cristiani queste realtà, preannunziate dal profeta, hanno avuto inizio con Cristo, che ci ha lasciato il convito dell’Eucaristia, certezza della vittoria sulla morte e della risurrezione, in attesa di realizzarsi perfettamente nel regno dei cieli.
Fil 4,12-14.19-20.
Paolo scrive ai Filippesi dicendo che egli può tutto in colui che gli dà forza: vivere in povertà o nell’abbondanza; è allenato a tutto, alla sazietà e alla fame. Riconosce loro, ringraziandoli, di aver fatto bene per aver preso parte alle sue tribolazioni, e augura loro che il suo Dio colmerà ogni loro bisogno, con magnificenza, secondo la sua ricchezza, in Cristo Gesù. Come Paolo, che è capace di vivere e sopportare ogni evento, ogni cristiano dovrebbe affrontare ogni situazione con la stessa serenità, confidando solamente in colui che può dare la forza e prendendo parte alle necessità dei fratelli bisognosi secondo le proprie disponibilità.
Vangelo Mt 22,1-14.
Gesù, nella parabola del Vangelo di oggi, paragona il banchetto messianico del regno dei cieli alla festa che un re ha preparato per le nozze del suo figlio. Il re, avendo fatto degli inviti, mandò i suoi servi a chiamare gli invitati, ma questi non vollero andare. Mandò, allora, altri servi, dando ordine di dire agli invitati: « Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze! ». Ma essi di nuovo non si curarono di andare, adducendo varie ragioni; anzi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Indignatosi, il re mandò le sue truppe e fece uccidere quegli assassini. Mandò quindi i suoi servi, poiché gli invitati non ne erano stati degni, ad andare nei crocicchi delle strade e invitare tutti quelli che avrebbero trovato, cattivi e buoni, e così la sala si riempì.
Il re, essendo entro nella sala del banchetto per vedere i commensali, ne scorse uno che non indossava l’abito nuziale e gli disse: “ Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Allora ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. E Gesù concluse dicendo che molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti.
Ciò che Isaia aveva preannunziato, Dio lo ha preparato per mezzo del suo Figlio. Attraverso la parabola Gesù ci dice che tutti gli uomini sono chiamati ad accogliere l’invito del Padre celeste a partecipare al banchetto messianico preparato per l’umanità e ad entrare nel progetto di salvezza realizzato dal sacrificio di Cristo. Ma la partecipazione comporta l’indossare un abito di festa, che è la comunione di grazia con Dio. Non tutti però accettano di parteciparvi e con varie scuse ci si esime dall’accogliere l’invito di Dio. E se nei primi invitati si allude al rifiuto di Israele di parteciparvi, anche tra gli altri invitati, poiché l’invito è rivolto a tutti gli uomini, è necessario indossare l’abito nuziale della festa, cioè prepararsi, nella fedeltà e con la coerenza della vita, a vivere in comunione con Dio.
Il vivere in conformità alla vita divina della grazia, ricevuta nel sacramento del battesimo, per la quale siamo nella Chiesa e possiamo partecipare al banchetto dell’Eucaristia, è la condizione necessaria per vivere in anticipo quella realtà che sarà pienamente realizzata nel convito messianico del regno dei cieli.
COLTIVARE LA SANTITA', IMITANDO, DIO, CREATORE E SIGNORE.
4 OTTOBRE – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. (Anno A)
Il Signore si prende cura della sua “vigna”.
Nella preghiera iniziale della Eucaristia di questa domenica ci rivolgiamo al Padre celeste perché « vegli incessantemente sulla Chiesa, che non abbandoni la vigna che egli ha piantato e che la coltivi e la arricchisca di scelti germogli, perché innestata in Cristo » che è la vera vite, cosicché porti abbondanti frutti di vita eterna. Così Dio nella sua misericordia non solo perdona agli uomini le loro colpe ma anche li arricchisce delle sue grazie e dei suoi doni. Dio esaudisce le nostre suppliche al di là di ogni nostro desiderio, di ogni merito e ogni aspettativa. Bisogna, allora, pregare con fede che, pur se piccola, è molto efficace.
Prima Lettura: Is 5,1-7.
Il popolo d’ Israele rappresenta la vigna del Signore. Egli la cura con amore, la protegge, la dissoda e vi pianta viti pregiate, la dota di una torre, di un tino e di tutto ciò che è necessario perché possa produrre buon vino. La risposta però a tanto amore da parte del suo popolo è una continua infedeltà all’alleanza, per cui invece della giustizia e della rettitudine crescono in essa « spargimento di sangue e oppressione dei poveri », cioè essa produce acini acerbi. Il Signore si attendeva che producesse uva dopo tutto quello che aveva fatto alla sua vigna. Anche da noi, popolo della nuova alleanza, innestati in Cristo, il Signore si attende frutti abbondanti, perché ci coltiva con la sua parola, che illumina il nostro operare, ci nutre con il Corpo e il Sangue del suo Figlio, ci sostiene con la forza del suo Spirito e ci colma di tutti i beni, doni e carismi, che servono perché possiamo portare molto frutto. Ma la nostra risposta non è, a volte, come quella di Israele? Come aveva Dio intenzione di fare con il suo popolo che, cioè, avrebbe tolto alla sua “vigna” ogni protezione, l’ avrebbe trasformata in pascolo, rendendola un deserto e luogo selvatico dove vi crescono rovi e pruni, non potrebbe fare lo stesso anche con noi? Il Signore non si aspetta, come era per il popolo d’Israele, dagli uomini di buona volontà, da ogni credente in Dio, e anche da noi, credenti nel Cristo, opere di giustizia e non di oppressione e diseguaglianze, di pace e non di divisioni e guerre fratricide, di benevolenza e non di odio? La storia potrebbe ripetersi: anche con noi, per il nostro modo di vivere opulento e infedele in contrasto con l’amore infinito da parte di Dio per noi, poiché, spesso, siamo ingrati e ribelli ai suoi insegnamenti, ai suoi comandamenti?
Seconda Lettura: Fil 4,6-9.
In questo brano, Paolo, come i Filippesi, esorta anche noi ad abbandonarci a Dio, senza angustie, angosce o agitazioni, a presentare a lui le nostre suppliche, le nostre richieste e i nostri ringraziamenti, con preghiera umile e filiale, fiduciosi che la pace di Dio ci custodirà, nell’intimo del cuore e della mente, al di là delle nostre aspettative, nel suo Figlio Gesù. Ma da parte nostra è necessario che ricerchiamo, nei nostri pensieri, non solo tutto ciò « che è vero, che è nobile, quello che è giusto, che è puro, quello che è amabile, quelle che è onorato, ciò che è virtù e merita lode », ma anche quelle opere che Il Signore ci fa conoscere, comprendere e vedere, testimoniate da coloro che gli sono fedeli, perché siano messe in pratica da tutti quelli che vogliono seguirlo nella fedeltà e nell’amore. E’ un programma quello che, oggi, l’apostolo ci propone, per essere la « vigna del Signore, che si aspetta frutti abbondanti di fedeltà, di giustizia e di amore ».
Vangelo: Mt 21, 33-43.
Nella parabola della vigna del Vangelo di oggi, Gesù riprende tutto quello che il profeta Isaia aveva cantato di Dio in riferimento al suo popolo, di come l’aveva curato e amato. La vigna, cioè Israele, era stata affidata alla cura di vignaioli, sacerdoti, profeti e suoi inviati, che però non l’hanno coltivato e nella loro infedeltà, rendendosi indegni dell’elezione divina, hanno fatto i loro interessi e non hanno dato i frutti che Dio, padrone della vigna, si attendeva.
Anzi, bastonando alcuni profeti e uccidendone altri, cioè coloro che Dio mandava, e infine uccidendo il suo stesso Figlio, di cui non hanno avuto riguardo, si sono resi indegni del regno loro promesso, il quale sarebbe stato loro tolto e dato ad un « nuovo popolo che lo farà fruttificare », dice Gesù. Questo popolo nuovo è quello che è costituito nella nuova alleanza che Dio stipula con l’umanità rinnovata dal sacrificio del Cristo e nel suo Sangue.
Quella del rapporto tra Dio e Israele, ma anche tra Dio e i credenti, è una storia di ribellione e di rigetto del progetto di Dio, di cui neanche noi siamo a volte indenni, poiché in questa nuova realtà, dopo essere stati innestati in Cristo, edificati in lui pietra angolare, ciascuno di noi dovrebbe ma, a volte, non porta effettivamente frutto secondo il desiderio e il volere di Dio.
Dio, con la sua misericordia, è vicino a chi lo cerca.
27 SETTEMBRE – XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO.
Dio, con la sua misericordia, è vicino a chi lo cerca.
Se le vie di Dio non sono le nostre vie e la sua giustizia non corrisponde alla nostra giustizia, come ci diceva la Parola di Dio domenica scorsa, oggi, il Signore ci dice che egli tiene conto del nostro cammino di conversione, per vivere secondo la sua giustizia, camminare nelle sue vie e vivere secondo la sua volontà.
Tutte le volte che viviamo l’Eucaristia noi prendiamo parte al memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore. In essa sperimentiamo la misericordia del Signore, che continua ad accogliere i peccatori pentiti nel cuore, promette « vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia », rende con il suo Spirito docili alla sua parola e dona gli stessi sentimenti del suo Figlio Gesù Cristo. Dall’ essere commensali alla stessa mensa non possiamo non condividere con i fratelli ciò che il Signore nella sua provvidenza ci dona, così non possiamo ammettere l’ingiustizia, il disprezzo dei fratelli che sono nelle necessità: dalla condivisione del pane eucaristico deve derivare l’impegno di aiutare i fratelli, affinché nessuno soffra la necessità, e conseguire i beni promessi della eredità eterna.
Nel nostro rapporto con Dio, anche noi, spesso, per le nostre debolezze, non ci poniamo in sintonia con la volontà di Dio. Ma il Signore nel Vangelo e il profeta Ezechiele ci dicono che colui che si allontana dal male commesso e si pente o chi, come il figlio della parabola, ripensando al suo rifiuto, si dispone a compiere la volontà di Dio e a lavorare per il suo regno, allora può sperare nella sua misericordia, che perdona e riaccoglie.
I farisei, a cui Gesù chiese chi avesse adempiuto alla volontà del padre, se colui che ha detto “ di non averne voglia ” ma " poi " l’ha adempiuta o l’altro che ha detto prima “sì” ma “poi” non l’ha fatta, risposero che il primo, pentendosi, si era adeguato al volere del Padre. Così Gesù, dice loro, che i peccatori, pubblicani e prostitute, sarebbero passati avanti nel Regno di Dio, perché questi hanno creduto nella via della giustizia predicata da Giovanni, loro invece no.
Per il Signore, infatti, c’è un “prima” e un “poi”, che fa la differenza, un tempo esistenziale di ripensamento, di ravvedimento, lungo o corto che sia, che può far cambiare dinanzi al Signore, la nostra prospettiva di vita, per il “nostro oggi” e per il “domani nel suo Regno”.
Nella colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù ».
Prima Lettura: Ez 18,25-28.
Ognuno è responsabile personalmente delle proprie azioni, del bene o del male che compie. Così, dice il profeta nel nome di Dio, « se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, e a causa di questo muore, egli muore per il male commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità … e compie ciò che è retto e giusto, fa vivere se stesso ». L’uomo, nella libertà di cui Dio lo ha dotato, può compiere azioni buone o azioni malvagie e, in base a queste, egli viene o condannato o fatto vivere. In base a questa possibilità di ritrarsi dal male il peccatore può allontanarsi dalle colpe commesse e vivere.
Seconda Lettura: Fil 2,1-11.
Il cristiano che è animato dalla carità, dal conforto di Dio, dalla comunione di spirito, da sentimenti di amore e compassione, deve vivere nella concordia e avere sentimenti unanimi, escludendo ogni forma di rivalità o vanagloria nel relazionarsi con gli altri e operare con « umiltà e senza cercare il proprio interesse ma quello degli altri ». In tutto questo si deve avere come modello Gesù Cristo, il quale pur essendo nella condizione di Dio, non « ritenne un privilegio essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo … umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. …. Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome …». Così, conclude Paolo, bisogna avere gli stessi sentimenti che hanno animato Cristo e di proseguire, nel suo spirito, il suo modello di realizzazione della nostra dignità di figli di Dio.
Vangelo: Mt 21,28-32.
Davanti a Dio non bastano le buone intenzioni, bisogna agire operando la volontà di Dio come ha fatto Gesù e fare come il figlio della parabola che pur avendo detto, in un primo momento, di “non averne voglia” di andare a lavorare nella vigna, poi, pentitosi, vi andò, a differenza del secondo che disse subito di “sì”, ma poi non andò. Così, dice Gesù, i pubblicani e i peccatori pentiti, con la loro fede e conversione, precedono nel Regno di Dio tutti quelli che, ritenendosi giusti, non compiono la volontà del Signore. Deve esserci sempre un ravvedimento, a cui deve seguire la presa di coscienza di essersi allontanati dalla dignità di figli di Dio, ritornando pentiti e convertiti a lui, come pure è detto della parabola del figlio prodigo che, “ritornò in sé” e “pentito”, ritornò all’abbraccio del padre, che lo attendeva. Anche nella vicenda di Zaccheo, avviene questo cambiamento stabile di vita, con il proposito di restituire ciò che aveva rubato. I peccatori, che avvertono la consapevolezza di essere nel male, sono più aperti e ricettivi di coloro che, appagati da una giustizia formale, non corrispondono a quella che Dio vuole da loro, non accolgono l’invito a convertirsi e si chiudono al dono della grazia di Dio. Chi allora non si pente e non accoglie nella sua vita la volontà di Dio, pur avendo visto e sperimentato tutto ciò che Dio ha fatto e detto, non può entrare nel suo Regno: chi, infatti presume di essere già giusto non ha orecchie per ascoltare il vangelo della misericordia che Dio ha rivelato nel suo Figlio, il quale è venuto perché il mondo sia riconciliato e salvato.
Da quello che il Vangelo, nelle varie situazioni in cui si trova l’uomo, ci ha mostrato, davanti a Dio non contano solo parole di risposta alla sua volontà, ma l’adempimento di essa, non eseguita solo formalmente, ma con la consapevolezza di fede e di amore che dobbiamo a Dio, ad imitazione di Gesù. Camminando nel nostro “oggi”, se per la nostra fragilità sperimentiamo il male, non dobbiamo disperare della misericordia che il Signore ha riversato sull’uomo. Bisogna pregare perché il Signore ci faccia conoscere le sue vie e ci guidi nella sua fedeltà. Che il Signore non ricordi i peccati e le nostre ribellioni, ma si ricordi di noi nella sua misericordia, che ci indichi la via e ci guidi, nella nostra povertà, secondo la sua giustizia.
PROGRAMMA DELLA FESTA DELLA MADONNA DELLA CATENA
Dal 2 al 10 Ottobre celebriamo la NOVENA IN ONORE della MADONNA DELLA CATENA
Ore 17.00 Santo Rosario – 17.30 Santa Messa
2 Ottobre, venerdì: Maria conduce i bambini a Gesù.
3 Ottobre, sabato: Maria modello di santità per i nostri giovani, che la onorano
come Madre.
4 Ottobre, Domenica : Maria, sposa di Giuseppe e Madre di Gesù: Gli sposi cristiani
attorno a Maria.
5 Ottobre, Lunedì : Maria” Prega per noi, ora e nell’ora della nostra morte"
Preghiera per i nostri defunti.
6 Ottobre, Martedì : Maria ci insegna a portare Cri sto al mondo: Celebrazione mis-
sionaria.
7 Ottobre, Mercoledì : Maria ci insegna ad amare Cristo nei fratelli: giornata dedica-
ta alla Carità.
8 Ottobre, Giovedì : Maria ci guida nel cammino: Benedizione delle Automobili.
9 Ottobre, Venerdì : Maria ci conforta nel momento della Croce:
Preghiera per i Malati.
10 Ottobre, Sabato : Maria ci insegna a Pregare: Santo Rosario meditato.
11 Ottobre, Domenica: FESTA IN ONORE DI MARIA DELLA CATENA.
Sante Messe : Ore 07.00 – 8.30 – 11.30
Ore 10.00 Messa Cantata.
Ore 18.00 Solenne Santa Messa Presieduta daS. E. Mons. S. MURATORE.
N. B. La partecipazione alle sante Messe, per la contingente pandemia, saranno con un
Numero limitato di fedeli, ( 80-85 massimo). E’ necessario essere muniti di mascherina, igienizzarsi le mani all’ingresso, rispettare il distanziamento anche se si potrà partecipare dall’esterno tramite altoparlanti e verrà rilevata, per chi prende posto all’interno, la temperatura.
E' nostro premio appartenere a Dio.
20 SETTEMBRE - XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Dio, nella sua bontà e generosità, è più grande dei nostri meriti.
Tutti siamo chiamati dal Padre celeste a lavorare nella sua vigna, ovvero nel suo regno, ognuno nel suo tempo e quando ci raggiunge il suo invito, la sua chiamata. Anche le vie e le modalità con cui il Signore ci chiama sono diverse da quelle che possono essere le nostre vedute o le nostre modalità di ricompensa per averlo seguito. Tutti, senza discriminare nessuno, Dio Padre invita a partecipare al banchetto di nozze del suo Figlio, banchetto che siamo chiamati a vivere nell’ Eucaristia, celebrata, la Domenica, nel giorno della risurrezione del suo Figlio. « Le sue vie, - diciamo nella preghiera iniziale di questa domenica - distano dalle nostre vie quanto il cielo dalla terra » e chiediamo al Signore: « apri il nostro cuore all’ intelligenza delle parole del tuo Figlio, perché comprendiamo l’impagabile onore di lavorare nella tua vigna fin dal mattino ». Siamo, allora, invitati a aprire il nostro cuore e la nostra mente alle parole del Signore Gesù, sull ’impegno di lavorare nella sua vigna. Comprendiamo ciò solo se siamo animati da quell ’amore che Gesù ci chiede di vivere, verso il Padre, lui e verso i fratelli, in un servizio per il suo regno e non tanto per quella che potrà essere la ricompensa, che ne deriva dall’ aver speso il nostro tempo, più o meno lungo, della nostra vita. La grandezza evangelica del discepolo sta appunto nell’ imitare il Signore che ha detto di essere venuto per servire.
Non si può neanche biasimare Dio perché coniuga giustizia e misericordia secondo il suo insondabile agire: vorremmo forse applicare a Dio i nostri parametri, molto spesso intrisi di egoismo, di interessi umani, di compromessi poco onorabili? Vorremmo forse un Dio a nostra immagine o dobbiamo noi agire e pensare secondo Lui, di cui siamo immagine? Dio agisce ed opera nei confronti degli uomini nella gratuità e nell’ amore e non come noi che pensiamo di meritare di più perché pensiamo di essere buoni e possiamo aver servito di più il Signore.
Che immagine abbiamo di Dio che agisca e pensi come noi? Il suo agire è imprevedibile e non è soggetto a sentimentalismi, ad umori vari o ad interessi di felicità o di altro genere: egli ci ha amato tanto da dare, dice Gesù a Nicodemo, il suo stesso Figlio, come vittima per i nostri peccati e così riconciliarci con lui. Quello di Dio è un amore di gratuità che ci precede e supera i nostri schemi.
Da tutto ciò, forse, dovremmo ricomprendere la corretta relazione che dobbiamo avere con Dio, Creatore e Padre.
Prima lettura: Is 55,6-9.
Il brano del profeta Isaia invita alla conversione al Signore non solo l’empio, a cui si fa riferimento in maniera particolare, ma ogni uomo, perché, se l’empio abbandona la sua via e l’iniquo i suoi pensieri e ritornano al Signore, essi trovano in lui misericordia, in quanto Dio è disposto a perdonare largamente.
Cercare il Signore e invocarlo, ritornare a lui come ci viene detto dal profeta, è nell’ Antico Testamento un messaggio ricorrente che ridà all’ uomo peccatore la speranza di potere sempre corrispondere all’ amore di Dio. Il modo di pensare e di agire di Dio non è quello degli uomini che, spesso, sono propensi ad operare in maniera diametralmente opposta a quella di Dio: le sue vie non sono le nostre vie, né i suoi pensieri i nostri; questi e quelle ci sovrastano e ci superano abbondantemente, tanto da non poterne misurare le distanze. Solo allontanandosi dal male e ritornando pentiti al Signore possiamo trovare perdono e restaurare la nostra vita, che i peccati di superbia, di orgoglio o di iniquità di ogni genere deturpano.
Per il popolo d’Israele, deportato in Babilonia, è molto più importante cercare il Signore che non una patria terrena. La liberazione che i deportati attendevano è diversa da quella che il Signore vuole realizzare per tutti gli uomini.
Seconda Lettura: Fil 1,20-24.27.
San Paolo ci ricorda che noi siamo e apparteniamo al Signore, sia che viviamo, sia che moriamo. La nostra vita di creature, fatte a immagine e somiglianza di Dio, non possiamo viverla sganciati da Lui. Se moriamo graditi al Signore è un guadagno per noi, sostiene Paolo; se continuiamo a vivere in Cristo e per lui, se la nostra vita serve per lavorare con frutto nella “vigna del Signore” e per il suo Vangelo, che ben continui la nostra esistenza. Si porrebbe per tanti la difficoltà di scelta: e quale uomo, e anche il cristiano, non sceglierebbe, forse, di restare in vita, specie se siamo attaccati a questa vita più che a quella che avremmo in Dio? Occorre, allora, essere disponibile all’ una o all’ altra scelta e accogliere quel che il Signore dispone per ognuno di noi. Lavorare nella vigna del Signore è certamente cosa importante, se questo dovesse, nella volontà di Dio, servire per il bene della comunità e farla progredire nella fede..
Vangelo: Mt 20,1-16.
Ascoltando oggi la parabola evangelica dei vignaioli, chiamati a lavorare nella vigna di quel padrone che dà, alla fine della giornata di lavoro, la stessa paga, pur avendo ognuno lavorato un periodo più o meno lungo della giornata, siamo chiamati a ricomprendere la corretta relazione che dobbiamo porre nei confronti di Dio, Creatore e Padre: viverla alla maniera con cui Gesù l’ha vissuta, cioè nella piena disponibilità alla sua volontà, pensando ed agendo secondo le sue vie e i suoi pensieri.
Dio, nella sua generosità, poiché agisce per amore verso tutte le sue creature e non per tornaconto, elargisce i suoi doni secondo il suo modo divino di agire e non secondo il modo di pensare o operare dei vignaioli . Se noi guardiamo più al merito per il lavoro svolto bene o al tempo lavorativo, Dio guarda alle necessità che può avere ogni uomo nella gestione della propria esistenza e di coloro con cui la condivide, così da dare un senso al lavoro e alla dignità di tutti coloro che lavorano per il suo regno. Non possiamo essere invidiosi di come Dio elargisce i suoi doni, né sindacare sul suo insondabile disegno di salvezza. Come nel dare la retribuzione il padrone inizia dagli ultimi dando un denaro a testa e coloro che protestano, pur avendo faticato tutto il giorno, ricevano anch’ essi la stessa paga, Gesù, volendo far risaltare il modo giusto di agire di quel padrone che dà ai primi chiamati quanto pattuito e agli ultimi « Quello che è giusto ve lo darò », vuole farci comprendere che la misura del giusto è secondo il metro di Dio e non secondo il nostro. Se guardiamo alla logica degli uomini, cioè di come ragionano i primi lavoratori che volevano di più per la fatica di tutto il giorno, il padrone sarebbe ingiusto, ma non lo è perché ha dato quanto aveva pattuito con loro: “tu hai prestato il tuo lavoro e io ti ho ricompensato con quello pattuito”. Così anche Dio non è ingiusto se, per pura gratuità e benevolenza, dà la stessa ricompensa per chi lavora per il suo regno.
Anche nella parabola del Figlio prodigo, la reazione del figlio maggiore all’atteggiamento di amore del padre parte da una logica puramente di interesse umano che non comprende l’agire misericordioso del padre, che riabbraccia il figlio ritornato pentito.
Se si continua a pensare a Dio in forma antropologica, elevando a lui, alla somma potenza, la proiezione della nostra umanità, anche e solo negli aspetti di bontà nostra, allora non possiamo comprendere la logica e l’operato del Dio di Gesù, che agisce secondo la sua misericordia, la sua generosità, il suo desiderio di riportare l’uomo al suo amore e secondo giustizia, ma intrisa di amore gratuito.
Nel significato evangelico non possono accampare più diritti, né il popolo ebreo, chiamato per primo a partecipare al regno di Dio, né i cristiani delle prime ore dell’annunzio evangelico rispetto ai pagani, chiamati all’ ultimo momento, né dobbiamo essere invidiosi noi di fronte alla bontà e alla generosità di Dio. Bisogna essere contenti di ciò che Dio nella sua immensa bontà elargisce ad ognuno, al di là del merito di ognuno di noi. Chi può vantare d’ altronde davanti a Dio un qualche merito?
Ultimo aggiornamento (Sabato 19 Settembre 2020 09:06)
Come Dio, per amore, perdona le nostre colpe, cosi dobbiamo noi perdonare i fratelli.
13 SETTEMBRE – XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. (Anno A)
Quando la comunità cristiana nella Domenica, giorno del Signore, celebra l’Eucaristia e riceve il Corpo e Sangue di Cristo, per mezzo dello Spirito Santo, la potenza del Signore trasforma la nostra vita, i nostri sentimenti, e ci trasfigura interiormente. Nelle preghiere eucaristiche l’azione dello Spirito Santo rende presente il Cristo nel pane e nel vino, che diventano il suo Corpo e il suo Sangue. Così la Chiesa, raccolta attorno a Cristo è nutrita dalla sua Parola e dalla sua presenza sacramentale.
Ancora. L’assemblea liturgica riceve il perdono di Dio, che ci rinnova nel cuore e lo Spirito Santo, aprendoci al pentimento e alla conversione, ci dà un cuore nuovo, la forza di perdonare a nostra volta i fratelli, la luce che ci guida nelle scelte quotidiane. Dio, nella sua liberalità e non per i nostri meriti, per la mediazione di Cristo suo Figlio, ci fa dono del suo Spirito che rende gioiosa la nostra vita.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio di giustizia e di amore, che perdoni a noi se perdoniamo ai nostri fratelli, crea in noi un cuore nuovo a immagine del tuo Figlio, un cuore sempre più grande di ogni offesa, per ricordare al mondo come tu ci ami ».
Prima Lettura: Sir 27.30-28.7
Un forte ammonimento ci viene oggi dalla lettura del Libro del Siracide: non dobbiamo covare odio, rancore e vendetta nel nostro cuore, perché questi sentimenti di peccato sono sempre presenti davanti al Signore. Il perdono dato al prossimo per le offese e la preghiera ci ottengono la remissione dei nostri peccati. L’uomo, che è soltanto carne e che conserva rancore verso il proprio simile, non può ottenere guarigione dalla collera se non usa misericordia nei suoi confronti, né può supplicare e ottenere il perdono da Dio per i propri peccati. Ci esorta infine a ricordarci della nostra dissoluzione e della morte, a smettere di odiare, a restare fedeli ai comandamenti e ai precetti, a non odiare il prossimo, a dimenticare gli errori altrui e a restare fedeli all’ Alleanza dell’Altissimo. Tutte queste cose Gesù ce li ricorda nella preghiera del Padre nostro, e ci esorta, ancora, in una delle beatitudini, ad essere misericordiosi verso i fratelli se vogliamo trovare misericordia e perdono per le nostre colpe. Né possiamo dimenticare che il perdono, specie in diverse circostanze, ci viene difficile esercitarlo verso gli altri senza la grazia di Dio e la forza e ci viene da Lui.
Il Salmo, ci esorta a benedire Dio e il suo santo nome per tutti i suoi benefici e perché eserciti il suo perdono, guarisca tutte le nostre infermità, ci circondi di bontà e misericordia. Dio, poiché verso l’uomo la sua ira non rimane in eterno, non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe, Egli chiede, alle sue creature a ai suoi figli, di avere gli stessi sentimenti e atteggiamenti verso i propri simili.
Seconda Lettura: Rm 14,7-9
L’apostolo Paolo ci ricorda che noi tutti viviamo o moriamo non per noi stessi, ma se viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Siamo del Signore e a lui apparteniamo, perché Cristo è morto ed è risorto alla vita: egli è infatti il Signore dei morti e dei vivi. Fondati in questa coscienza di essere non per noi stessi ma per il Signore, di appartenere a lui, dobbiamo rispettare e accogliere la diversità dei nostri fratelli e dei nostri simili, e trattarli come vorremmo essere trattati noi, avendo verso di loro gli stessi sentimenti e atteggiamenti che Dio ha per ognuno di noi, così da eliminare divisioni, odi, rotture e costruire relazioni di fraternità, di amore, di perdono e collaborazione fraterna.
Vangelo: Mt 18,21-35
Gesù, a Pietro che gli chiede quante volte deve perdonare al suo fratello che commette colpe contro di lui, se fino a sette volte, risponde: « Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette ». Volendo far comprendere ciò, Gesù racconta la parabola del re che vuole regolare i conti con i suoi servi. Se il re condona i diecimila talenti al servo che lo supplica di non vendere lui, la moglie, i figli e quanto possedeva per saldare il grosso debito, che non poteva restituire, e che quel servo a sua volta avrebbe dovuto condonare il debito ad un suo compagno che gli doveva la somma irrisoria di cento denari, Gesù ci insegna che è necessario che noi perdoniamo facilmente di cuore agli altri le loro colpe se vogliamo il perdono del Padre celeste per le nostre, che sono più gravi di quelle che gli altri contraggono con noi. Poiché noi abbiamo sempre bisogno del perdono di Dio per tutte le volte che gli chiediamo di perdonare le nostre colpe, così dobbiamo perdonare le offese degli altri verso di noi. Siamo, allora, quasi noi a dare a Dio la misura del perdono per i nostri peccati: quante volte vogliamo il perdono da Dio per noi, tante volte dobbiamo esercitarlo di cuore verso i fratelli che ci offendono. Il perdono verso gli altri deve essere autentico come lo è quello di Dio, che ce lo rinnova e lo rende presente nell’ Eucaristia, donandoci il Corpo e il Sangue di Gesù, versato per la remissione dei nostri peccati.