ESSERE TESTIMONI DELLA VERITA' E DELLA BELLEZZA DEL REGNO DI DIO.
19 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo: nella sua Parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro ed espressione della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio: espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella Colletta di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « Ci sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della tua Chiesa, perché si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova, che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno ».
Prima Lettura: Sap 12,13.16-19.
Il libro della Sapienza, oggi, ci dice che non c’è Dio fuori di lui, che si prende cura delle cose create, perché debba difendersi dall’accusa di essere giudice ingiusto. Poiché Dio è padrone di tutte le cose ed è indulgente, la sua forza è principio della giustizia e la mostra « quando non si crede alla pienezza del suo potere » ed egli rigetta « l’insolenza di coloro che pur la conoscono».
Poiché, ancora, può tutto, egli giudica con mitezza e ci governa con indulgenza. Così agendo, Dio insegna « come il giusto deve amare gli uomini » e dà ai suoi figli « la buona speranza, che, dopo i peccati » concede il perdono.
Mentre tra gli uomini possiamo constatare la protervia del potere, unito alla violenza e al dominio, nei confronti degli altri uomini, Dio esercita la sua forza e potenza, in maniera diversa, con giustizia e pazienza, perché altrimenti chi potrebbe resistergli. Ma se Egli esercita, nei nostri confronti, la sua infinita pazienza e misericordia, perché ci attende nonostante i nostri fallimenti, applica anche per ognuno di noi la sua giustizia.
A questo modo di agire si deve conformare il nostro comportamento, specie quando vorremmo un intervento più preciso e puntuale nel reprimere il male da parte di Dio o della giustizia degli uomini. Questa maniera di fare di Dio deve infonderci la speranza che Dio non abbandona le sue creature e ci assicura che « dopo i peccati » dà sempre la possibilità di pentirsi. Occorre molta pazienza e fiducia, che accompagnano i nostri sentimenti e le nostre inquietudini. D’altra parte, non dimentichiamo che è anche detto che Dio « rigetta l’insolenza ».
Seconda Lettura: Rm 8,26-27.
San Paolo, scrivendo ai Romani, li esorta ad avere sempre fiducia in Dio, poiché lo Spirito del Signore ci soccorre nella nostre debolezze e, non sapendo pregare come si conviene, lo stesso Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili. Colui, poi, che scruta i cuori conosce cosa desidera lo Spirito, poiché « egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio ».
Se crediamo veramente che in noi abita lo Spirito Santo e ciò non è solo una certezza più o meno astratta, ma che realmente è in noi, prega dentro di noi e ci suggerisce le intenzioni nella preghiera, dobbiamo solo lasciarci guidare da lui, che ci conforma nella volontà di Dio.
Vangelo: Mt 13,24-43.
La Parola del Vangelo della Liturgia di oggi ci presenta diverse parabole, che mettono in rapporto due realtà, il Regno di Dio, con al sua potenza e forza, e il male che vuole contrastare l’espandersi del bene e della realtà del Regno.
Nella campo del regno dei cieli è seminato il buon seme della Parola di Dio ma, mentre i servi dormono, il nemico vi semina la zizzania. Lo spuntar di entrambi allarma i servi del padrone che gli chiedono di estirpare la zizzania. Ma il padrone, constatando che un nemico aveva gettato la zizzania, dice loro: « “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece mettetelo nel mio granaio”».
Nel piccolo seme di senape, che seminato nel campo cresce e diventa arbusto e gli uccelli vi fanno il nido, Gesù esprime la capacità che ha il regno dei cieli che, da piccola realtà iniziale, diventa capace di accogliere tutti coloro che vogliono parteciparvi. Inoltre, come il lievito, mescolato dalla donna nella farina, la lievita e fermenta tutta, così il regno dei cieli permea e trasforma tutti coloro che lo accolgono.
Parlando Gesù in parabole attua la profezia che dice: « Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo ».
Gesù, spiegando la parabola della zizzania ai discepoli, dice che il Figlio dell’uomo è il seminatore del buon grano e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e chi l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e gli angeli i mietitori, a cui verrà detto alla fine di raccogliere la zizzania e bruciarla, cioè di raccogliere dal regno « tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità che saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. I giusti risplenderanno, invece, come il sole nel Regno del Padre loro ». Conclude Gesù dicendo: « Chi ha orecchi, ascolti! ».
La zizzania.
Così, nei primordi dell’annunzio del Regno, molti pensarono che esso si sarebbe realizzato nell'’immediato, ma il passare delle generazioni e dei secoli hanno smorzato l’entusiasmo iniziale e ci è resi conto che lavorare per l’avvento del Regno di Dio non è facile, perché bisogna resistere nelle tentazione, tra le persecuzioni e gli scandali derivanti da comportamenti di infedeltà dei peccatori all’ interno della Chiesa stessa.
A parte il seme che cade lungo la strada ed è beccato, quello che cade in terreno sassoso e secca, tra il buon seme della sua Parola, seminato dal Signore nel suo campo, come nella parabola del Vangelo di oggi, spunta anche la zizzania. Non è stato certo solo nella Chiesa delle origini che si è faticato per non perdere la tensione verso il Regno, ma anche oggi i cristiani devono affrontare le varie resistenze che si oppongono alla realizzazione del Regno di Dio.
Ma tutto il tempo della storia è tempo di misericordia di Dio, perché gli uomini si convertano. La libertà, di cui Dio ha dotato l’uomo, può trascinarlo nelle sue quotidiane scelte di vita, a tradurre gli ideali di bene e le sue capacità, le sue ispirazioni, la sua Parola, seminate nel suo cuore, da buon grano in zizzania. Per ognuno la propria vita è tempo per imparare a discernere il bene e il male, non quello di giudicare il buono e il malvagio. La parabola ci insegna che questo è il tempo della misericordia, della pazienza e del non peccare di presunzione, volendo chiedere a Dio di affrettare il suo giudizio, per estirpare il male.
La parabola della zizzania ci invita, nel nostro oggi, a prendere posizione a favore del Regno di Dio, ad averlo nelle nostre scelte e nei nostri desideri con l’ampio orizzonte di Dio, trovando in esso il senso del nostro agire.
Le altre parabole, quella del granellino di senape e del lievito, se fanno risaltare la sproporzione tra la piccolezza del seme e la grandezza del realizzarsi finale del Regno di Dio, devono anche farcelo concepire non come un avvenimento clamoroso, invadente, che subito s’imponga. Il Vangelo cresce a poco a poco, con una forza interna, capace di permeare tutta la massa dell’umanità nelle varie epoche di vita degli uomini, qualora questi mostrassero la disponibilità ad accoglierlo nella propria vita. E’ perciò necessario che il seme muoia per poter crescere rigoglioso. Si deve credere, quindi, alla sua forza interna, simile – dice Gesù – a quella del granellino di senape, dagli inizi insignificanti: la croce di Cristo e la sua morte umana, realtà piccole e deboli, hanno espresso la potenza di Dio per l’inizio e l’incremento del Regno.
Il lievito solo sciogliendosi e confondendosi con la farina può farla fermentare, non certo il restare separati e distinti.
La piccolezza del seme e la commistione tra lievito e farina, realtà piccole, producono un effetto grandioso: frutto di una operatività che sfugge all’uomo, che dovrebbe saper vivere realizzando il bene anche in mezzo alle resistenze, alle contraddizioni, alle difficoltà e alle incompiutezze.
La tentazione di accelerare i tempi per il giudizio, che certo ci sarà, ma che è nel tempo e nelle mani di Dio e non nostri, significa non voler accettare l’interiorizzazione delle leggi del Regno, che sono la piccolezza, la commistione di puro e impuro.
Tre insegnamenti dalla pagina del Vangelo che leggiamo.
- Dio non interviene subito nella storia dell’uomo, come noi vorremmo.
- E’ paziente. Aspetta. Ma alla fine il male sarà strappato ed eliminato.
- Non dobbiamo lasciarci sconvolgere dalla presenza del male nel mondo; dobbiamo sopportarlo ed avere fiducia insieme nella giustizia e nella misericordia del Signore. « I figli del Maligno », « quelli che commettono iniquità » non avranno riuscita. Occorre fare il bene con serenità e con la certezza che « i giusti splenderanno ».Se nella vita degli uomini una medesima realtà può essere vissuta in maniera diversa a seconda delle capacità di ognuno, ma anche per le finalità che poniamo nel nostro agire, nel pensare, sognare in grande e, di conseguenza, operare per partecipare ad un grande progetto non significa illudersi. Se i grandi orizzonti, anche un po’ visionari, danno un senso al nostro agire concreto, bisogna, però, mettere in conto le difficoltà che si incontreranno lungo il cammino: far fronte allo smarrimento, che può essere causato dalla derisione della gente, affrontare il disincanto di coloro che non condividono il nostro orizzonte, l’assenza di risultati immediati, ecc. Si raggiungono le grandi mete imparando a superare le difficoltà, le deviazioni, le contraddizioni che si incontrano lungo il cammino: esse si raggiungono con fatica e un percorso accidentato può far facilmente scoraggiare.
ESSERE TESTIMONI DELLA VERITA' E DELLA BELLEZZA DEL REGNO DI DIO.
19 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo: nella sua Parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro ed espressione della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio: espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella Colletta di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « Ci sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della tua Chiesa, perché si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova, che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno ».
Prima Lettura: Sap 12,13.16-19.
Il libro della Sapienza, oggi, ci dice che non c’è Dio fuori di lui, che si prende cura delle cose create, perché debba difendersi dall’accusa di essere giudice ingiusto. Poiché Dio è padrone di tutte le cose ed è indulgente, la sua forza è principio della giustizia e la mostra « quando non si crede alla pienezza del suo potere » ed egli rigetta « l’insolenza di coloro che pur la conoscono».
Poiché, ancora, può tutto, egli giudica con mitezza e ci governa con indulgenza. Così agendo, Dio insegna « come il giusto deve amare gli uomini » e dà ai suoi figli « la buona speranza, che, dopo i peccati » concede il perdono.
Mentre tra gli uomini possiamo constatare la protervia del potere, unito alla violenza e al dominio, nei confronti degli altri uomini, Dio esercita la sua forza e potenza, in maniera diversa, con giustizia e pazienza, perché altrimenti chi potrebbe resistergli. Ma se Egli esercita, nei nostri confronti, la sua infinita pazienza e misericordia, perché ci attende nonostante i nostri fallimenti, applica anche per ognuno di noi la sua giustizia.
A questo modo di agire si deve conformare il nostro comportamento, specie quando vorremmo un intervento più preciso e puntuale nel reprimere il male da parte di Dio o della giustizia degli uomini. Questa maniera di fare di Dio deve infonderci la speranza che Dio non abbandona le sue creature e ci assicura che « dopo i peccati » dà sempre la possibilità di pentirsi. Occorre molta pazienza e fiducia, che accompagnano i nostri sentimenti e le nostre inquietudini. D’altra parte, non dimentichiamo che è anche detto che Dio « rigetta l’insolenza ».
Seconda Lettura: Rm 8,26-27.
San Paolo, scrivendo ai Romani, li esorta ad avere sempre fiducia in Dio, poiché lo Spirito del Signore ci soccorre nella nostre debolezze e, non sapendo pregare come si conviene, lo stesso Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili. Colui, poi, che scruta i cuori conosce cosa desidera lo Spirito, poiché « egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio ».
Se crediamo veramente che in noi abita lo Spirito Santo e ciò non è solo una certezza più o meno astratta, ma che realmente è in noi, prega dentro di noi e ci suggerisce le intenzioni nella preghiera, dobbiamo solo lasciarci guidare da lui, che ci conforma nella volontà di Dio.
Vangelo: Mt 13,24-43.
La Parola del Vangelo della Liturgia di oggi ci presenta diverse parabole, che mettono in rapporto due realtà, il Regno di Dio, con al sua potenza e forza, e il male che vuole contrastare l’espandersi del bene e della realtà del Regno.
Nella campo del regno dei cieli è seminato il buon seme della Parola di Dio ma, mentre i servi dormono, il nemico vi semina la zizzania. Lo spuntar di entrambi allarma i servi del padrone che gli chiedono di estirpare la zizzania. Ma il padrone, constatando che un nemico aveva gettato la zizzania, dice loro: « “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece mettetelo nel mio granaio”».
Nel piccolo seme di senape, che seminato nel campo cresce e diventa arbusto e gli uccelli vi fanno il nido, Gesù esprime la capacità che ha il regno dei cieli che, da piccola realtà iniziale, diventa capace di accogliere tutti coloro che vogliono parteciparvi. Inoltre, come il lievito, mescolato dalla donna nella farina, la lievita e fermenta tutta, così il regno dei cieli permea e trasforma tutti coloro che lo accolgono.
Parlando Gesù in parabole attua la profezia che dice: « Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo ».
Gesù, spiegando la parabola della zizzania ai discepoli, dice che il Figlio dell’uomo è il seminatore del buon grano e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e chi l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e gli angeli i mietitori, a cui verrà detto alla fine di raccogliere la zizzania e bruciarla, cioè di raccogliere dal regno « tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità che saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. I giusti risplenderanno, invece, come il sole nel Regno del Padre loro ». Conclude Gesù dicendo: « Chi ha orecchi, ascolti! ».
La zizzania.
Così, nei primordi dell’annunzio del Regno, molti pensarono che esso si sarebbe realizzato nell'’immediato, ma il passare delle generazioni e dei secoli hanno smorzato l’entusiasmo iniziale e ci è resi conto che lavorare per l’avvento del Regno di Dio non è facile, perché bisogna resistere nelle tentazione, tra le persecuzioni e gli scandali derivanti da comportamenti di infedeltà dei peccatori all’ interno della Chiesa stessa.
A parte il seme che cade lungo la strada ed è beccato, quello che cade in terreno sassoso e secca, tra il buon seme della sua Parola, seminato dal Signore nel suo campo, come nella parabola del Vangelo di oggi, spunta anche la zizzania. Non è stato certo solo nella Chiesa delle origini che si è faticato per non perdere la tensione verso il Regno, ma anche oggi i cristiani devono affrontare le varie resistenze che si oppongono alla realizzazione del Regno di Dio.
Ma tutto il tempo della storia è tempo di misericordia di Dio, perché gli uomini si convertano. La libertà, di cui Dio ha dotato l’uomo, può trascinarlo nelle sue quotidiane scelte di vita, a tradurre gli ideali di bene e le sue capacità, le sue ispirazioni, la sua Parola, seminate nel suo cuore, da buon grano in zizzania. Per ognuno la propria vita è tempo per imparare a discernere il bene e il male, non quello di giudicare il buono e il malvagio. La parabola ci insegna che questo è il tempo della misericordia, della pazienza e del non peccare di presunzione, volendo chiedere a Dio di affrettare il suo giudizio, per estirpare il male.
La parabola della zizzania ci invita, nel nostro oggi, a prendere posizione a favore del Regno di Dio, ad averlo nelle nostre scelte e nei nostri desideri con l’ampio orizzonte di Dio, trovando in esso il senso del nostro agire.
Le altre parabole, quella del granellino di senape e del lievito, se fanno risaltare la sproporzione tra la piccolezza del seme e la grandezza del realizzarsi finale del Regno di Dio, devono anche farcelo concepire non come un avvenimento clamoroso, invadente, che subito s’imponga. Il Vangelo cresce a poco a poco, con una forza interna, capace di permeare tutta la massa dell’umanità nelle varie epoche di vita degli uomini, qualora questi mostrassero la disponibilità ad accoglierlo nella propria vita. E’ perciò necessario che il seme muoia per poter crescere rigoglioso. Si deve credere, quindi, alla sua forza interna, simile – dice Gesù – a quella del granellino di senape, dagli inizi insignificanti: la croce di Cristo e la sua morte umana, realtà piccole e deboli, hanno espresso la potenza di Dio per l’inizio e l’incremento del Regno.
Il lievito solo sciogliendosi e confondendosi con la farina può farla fermentare, non certo il restare separati e distinti.
La piccolezza del seme e la commistione tra lievito e farina, realtà piccole, producono un effetto grandioso: frutto di una operatività che sfugge all’uomo, che dovrebbe saper vivere realizzando il bene anche in mezzo alle resistenze, alle contraddizioni, alle difficoltà e alle incompiutezze.
La tentazione di accelerare i tempi per il giudizio, che certo ci sarà, ma che è nel tempo e nelle mani di Dio e non nostri, significa non voler accettare l’interiorizzazione delle leggi del Regno, che sono la piccolezza, la commistione di puro e impuro.
Tre insegnamenti dalla pagina del Vangelo che leggiamo.
- Dio non interviene subito nella storia dell’uomo, come noi vorremmo.
- E’ paziente. Aspetta. Ma alla fine il male sarà strappato ed eliminato.
- Non dobbiamo lasciarci sconvolgere dalla presenza del male nel mondo; dobbiamo sopportarlo ed avere fiducia insieme nella giustizia e nella misericordia del Signore. « I figli del Maligno », « quelli che commettono iniquità » non avranno riuscita. Occorre fare il bene con serenità e con la certezza che « i giusti splenderanno ».Se nella vita degli uomini una medesima realtà può essere vissuta in maniera diversa a seconda delle capacità di ognuno, ma anche per le finalità che poniamo nel nostro agire, nel pensare, sognare in grande e, di conseguenza, operare per partecipare ad un grande progetto non significa illudersi. Se i grandi orizzonti, anche un po’ visionari, danno un senso al nostro agire concreto, bisogna, però, mettere in conto le difficoltà che si incontreranno lungo il cammino: far fronte allo smarrimento, che può essere causato dalla derisione della gente, affrontare il disincanto di coloro che non condividono il nostro orizzonte, l’assenza di risultati immediati, ecc. Si raggiungono le grandi mete imparando a superare le difficoltà, le deviazioni, le contraddizioni che si incontrano lungo il cammino: esse si raggiungono con fatica e un percorso accidentato può far facilmente scoraggiare.
LA PAROLA E' VIVA ED EFFICACE.
XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - Anno A
L’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, è stato dotato della libertà. Ma ci domandiamo: quale uso fa l’uomo della sua libertà nel suo rapporto con il Creatore? L’uomo può accogliere o rifiutare il dialogo e la parola con cui Dio lo interpella, anche se ciò è avvenuto attraverso il suo stesso Figlio, venuto tra noi. A seconda della disponibilità o indisponibilità dell’uomo, la Parola di Dio può portare il suo frutto nel cuore di chi l’accoglie: il seme è gettato, ma potrebbe andare disperso.
Nel Vangelo di oggi, la parabola del Buon Seminatore, se nella prima parte è messo in risalto il lavoro del seminatore, che sparge il seme, nella seconda parte viene sottolineato quale frutto matura nelle varie situazioni del terreno in cui il seme è sparso.
Tutti gli ascoltatori, a cui Gesù si rivolge annunziando la lieta novella del Regno, comprendono il significato della parabola, se agli apostoli Gesù ne spiega il significato? Secondo la profezia di Isaia, citata nel brano, coloro a cui Gesù si rivolge, udrebbero sì, ma non comprenderebbero, guarderebbero ma non vedrebbero a causa dell’insensibilità del loro cuore, della durezza dei loro orecchi, e della cecità dei loro occhi.
Gesù, che è il seminatore, nel narrare la parabola, ci permette di contemplarne il significato nella sua persona e nella predicazione che egli fa. Anche a noi Gesù ripete: « Chi ha orecchi, ascolti ». Cristo, nel nome del Padre, per sua libera iniziativa, semina la Parola del Regno che è dono elargito all’uomo, Parola rivolta a tutti senza distinzione di sorta.
Sembra, però, che l’opera della semina sia quasi fallimentare, se si pensa che solo nella quarta tipologia di terreno il seme porta frutto, mentre nelle altre tipologie il seme, pur spuntando, viene impedito nel suo sviluppo dalle situazioni del terreno e non per difetto del seme, che è sempre buono e capace di produrre.
Nei cuori degli uomini i quattro tipi di terreno non si trovano cosi nettamente connotati. Spesso il cuore di ognuno è un misto dei quattro tipi, o contemporaneamente o in tempi diversi. Fare in modo che il proprio cuore diventi terreno produttivo senza compromessi è il compito affidato a ciascuno, durante il cammino di purificazione lungo la propria esistenza. Siamo chiamati nel percorso della nostra vita spirituale ad evitare che il nostro cuore si indurisca, evitare che pur “sentendo non ascoltiamo, pur vedendo non vediamo e non comprendiamo”. E’ la lotta contro il Maligno che ruba la Parola; contro l’incostanza che non resiste alle tribolazioni; contro “le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza”. Saremo allora produttivi se faremo, con la grazia di Dio e la forza dello Spirito, germogliare il seme che ci è stato donato e lo faremo fruttare nella vita di fede e nella vita di orazione, anche dopo una inesausta lotta contro tutto ciò che vi si oppone.
La profezia citata spiegherebbe la difficoltà che ha il seme di svilupparsi e portare frutto. Se il Regno di Dio non è accolto non è per una ristrettezza di Dio nell’annunziarlo, non è per una predestinazione divina alla dannazione. E’ per la indisponibilità dell’uomo all’ascolto. Dio per parte sua è magnanimo, anche nel rispettare la libertà dell’uomo. Ogni uomo è affidato alla propria libertà, alla propria responsabilità. Per esempio, i miracoli di Gesù, da parte dei sapienti e dei dotti, sono considerati eventi prodigiosi e non vengono accolti; per i “piccoli” sono eventi che aprono alla fede. Così vi sono alcuni che “guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono” (Mt 13,13).
Chi apre invece il cuore all’ascolto, allora la Parola porta frutto e rende “ beati gli occhi perché vedono e gli orecchi perché ascoltano e comprendono”.
Ascoltare e comprendere: sono i due atteggiamenti di chi porge orecchio attento, disponibile, libero e di conseguenza traduce in prassi di vita l’appello della Parola.
Ci professiamo cristiani. Non si tratta di un’etichetta o di una distinzione esteriore, ma di un impegno e di uno stile di vita. Dobbiamo coerentemente « respingere ciò che è contrario a questo nome » e « seguire ciò che gli è conforme ». Le orazioni di questa domenica ritornano su questa esigenza e parlano di « opere di giustizia e di pace »; di annunzio dello Spirito « con la fede e con le opere »; di « cuore attento e generoso verso le sofferenze e le miserie dei fratelli ». Non illudiamoci che basti insistere su questo tema nella liturgia per rendere concreta questa fraternità, che sia sufficiente parlarne. Spesso la consistenza delle nostre azioni è inversamente proporzionata alla frequenza e all’insistenza con cui ne parliamo.
Prima Lettura: Is 55,10-11.
Per quanti ostacoli gli uomini credono di porre di fronte alla Parola e al piano di Dio, essa riuscirà certamente. Ha in sé la virtù di operare. Dio riesce, a dispetto di tutte le apparenze e di tutte le interferenze e opposizioni che l’uomo possa frapporre. E’ un motivo di impegno e di speranza. Ma per parte nostra dobbiamo ricevere questa Parola.
Seconda Lettura : Rm 8,18-23
Siamo già stati redenti, ma ancora siamo sottoposti al travaglio della sofferenza, perché questa redenzione deve diffondersi, purificare, accrescersi. E’ una vita nuova che deve venire alla luce gradatamente. Lo Spirito Santo agisce già, ci è già stato dato come un anticipo, una primizia, dice sempre Paolo. Per tale Spirito siamo a poco a poco liberati dal male e dai suoi condizionamenti. La riuscita è sicura: il termine sarà la redenzione completa e la perfetta conformità con Cristo risorto. Ma la « gloria dei figli di Dio » va aspettata attivamente con la sofferenza delle scelte liberatrici. Il bene è sempre doloroso, è una passione quaggiù, m ha in sé il germe della risurrezione.
Vangelo: Mt 13,1-23.
E’ narrata la vicenda del seme, immagine della Parola di Dio e della sua vicissitudine. Tale Parola riesce certamente, ma di fronte ad essa l’accoglienza può essere assai diversa. Accanto all’accoglienza generosa c’è l'accoglienza incerta, disimpegnata, dubbiosa, incostante, non piena e libera. E persino ci può essere il rifiuto: neppure l’inizio della salvezza. Sono così ritratte varie categorie di uomini e di cristiani. Ascoltare, comprendere e produrre. Ecco l’impegno di ognuno. Per non soggiacere alla condanna di chi ha ricevuto l’annunzio, ma l’ha trascurato, ne ha avuto paura, si è ostinato nel male. La parabola di Gesù era detta agli Ebrei; valeva per la Chiesa primitiva e le sue circostanze; vale per la comunità di oggi e per ognuno di noi.
ANDIAMO INCONTRO AL SIGNORE, PACE E RISTORO DEI "PICCOLI".
5 LUGLIO – XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nella preghiera della colletta di oggi chiediamo al Signore dicendo: «O Dio, che ti riveli ai piccoli e doni ai miti l’eredità del tuo regno, rendici poveri, liberi ed esultanti, a imitazione del Cristo tuo Figlio, per portare con lui il giogo soave della croce e annunziare agli uomini la gioia che viene da te ». La gioia che viene dal Signore, che si rinnova con la grazia che Dio ci dona nella domenica, pasqua settimanale della Chiesa, ci fa essere capaci di imitare Gesù, essere poveri, liberi, esultanti anche nel portare la croce e di annunziarla a tutti.
La condizione di questa gioia è che dobbiamo essere « liberi dall’oppressione della colpa », dal giogo del peccato che, facendoci chiudere nel nostro egoismo, ci immiserisce sempre più. « Il giogo soave della croce », che ci sgombra il cuore, ci fa imitare Cristo nella sua « umiliazione », e quindi ci rende disponibili, proprio perché non saremo più attaccati a noi stessi, a portare « in ogni ambiente di vita la parola d’amore e di pace », il Vangelo che è annunzio ed esperienza di gioia pasquale.
Le letture della liturgia di oggi ci parlano di un Messia umile. Secondo le parole del profeta Zaccaria egli si manifesta al mondo cavalcando un asino. E’ Gesù il Messia, mite ed umile di cuore annunziato dal profeta, che chiama a sé gli affaticati e porta la salvezza del Padre.
Prima Lettura: Zc 9,9-10.
Il profeta Zaccaria invita la figlia di Sion, la figlia di Gerusalemme, ad esultare e giubilare, annunziando che il suo re, giusto e vittorioso, umile, cavalcante un asino, viene a lei. Egli farà sparire la guerra, l’arco di guerra sarà spezzato e verrà annunziata la pace alle nazioni. Il suo dominio sarà esteso fino ai confini della terra.
Non nella prepotenza o con le armi ma nella giustizia e nella pace si realizzerà la vittoria di Colui che Dio manda in Gerusalemme, poiché sarà un re mite ed umile, senza segni che appartengono alla mentalità terrena. La sua non sarà una regalità mondana, come era l’aspettava Israele, saranno la mitezza, l’umiltà, la giustizia e la pace a trasformare gli uomini..
Sarà Gesù di Nazaret, che entra in Gerusalemme con questi segni, cavalcando un puledro, a realizzare questa profezia di Zaccaria e a portare la pace, la giustizia e la regalità di Dio, che non sono di questo mondo come dice Gesù a Pilato.
Seconda Lettura: Rm 8,9.11-13.
San Paolo scrive ai Romani, che, essendo diventati figli di Dio attraverso il battesimo, animati dal suo Spirito, appartengono a Cristo e non sono più sotto il dominio della carne, e li esorta a vivere secondo lo Spirito di Dio che abita in loro.« E se lo Spirito di Dio » continua « che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi ». Dunque, conclude, che non sono più debitori verso la carne per vivere secondo i desideri carnali che conducono alla morte, ma mediante lo Spirito devono far morire le opere della carne per avere la vita divina in loro.
L’appartenenza a Cristo dell’uomo, rinato dallo Spirito di Dio, gli assicura la risurrezione del suo corpo mortale a condizione che egli faccia vivere in lui le opere dello Spirito di Cristo. Liberato dal potere della carne, con la grazia che Dio gli offre, l’uomo può, dunque, vivere la vita divina e attendere, nella speranza, la risurrezione finale, che lo introdurrà nella realtà eterna di Dio. Tutta la condotta del cristiano deve manifestare questa novità di vita secondo lo Spirito di Dio, attraverso i frutti dello Spirito che sono amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, come scrive ancora san Paolo ai Galati. Far morire le opere della carne non vuol dire far morire la vita nella sua corporeità fisica, ma quella vita di male che conduce alla morte spirituale.
L’uomo di carne è inteso, secondo il pensiero di san Paolo, non come corpo o nella sessualità, ma in tutta la sua realtà di fragilità, di debolezza, di condizione di schiavitù sotto il potere del peccato e in quanto si oppone a Dio, alla sua azione e alla sua signoria.
Il dominio della carne si manifesta quando la superbia, l’orgoglio, peccati difficili da riconoscere e più pericolosi, possono rivestirsi esteriormente di devozione e inducono l’uomo a ridurre Dio ad oggetto del proprio pensiero, manipolandolo, possedendolo e dominandolo, pervertendo così le dimensioni più nobili dell’animo umano.
L’uomo spirituale invece che è abitato dallo Spirito di Cristo, è colui che vive nel regno della grazia, che vive unito a Cristo, gli appartiene e Il Signore gli assicura la risurrezione con lui. La condotta del cristiano deve rivelare la presenza in lui dell’azione dello Spirito di Cristo e manifestare l’assoluta novità del suo modo di vivere.
Vangelo: Mt 11,25-30.
Gesù, nel brano del Vangelo di oggi, ringrazia e loda il Padre celeste perché, nella sua benevolenza, ha deciso di nascondere ai sapienti e ai dotti della terra i misteri del regno dei cieli, mentre li ha rivelati ai piccoli. Avendo il Padre dato a lui tutto, dice Gesù, nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui questi lo rivela.
Gesù ancora esorta tutti coloro che sono stanchi ed oppressi ad andare a lui per trovare ristoro; a prendere su di sé il suo « giogo » che è dolce e il suo « peso » leggero e ad imparare da lui che è mite ed umile di cuore, se si vuole trovare ristoro nella propria vita.
Nella relazione con Dio l’uomo spirituale riconosce che tutto gli viene per grazia e, nel percepire la sproporzione della gratuità, diventa cosciente del dono di sé che Dio, immeritatamente, gli offre.
In un contesto di rifiuto della rivelazione che Gesù fa e delle sue opere, la fede dei piccoli, degli umili, più che essere conquista deve essere libera risposta dell’uomo alla Parola che lo raggiunge, lo interpella e lo coinvolge e non orgogliosa presunzione di sapere su Dio, che si rivela ai semplici, ai piccoli e agli umili nella « sua benevolenza »(Mt11,26).
Chi è superbamente gonfio di sé, nei propri pregiudizi, nella propria bravura e nella propria illusoria giustizia, non riesce a comprendere il mistero di Gesù e della sua unità col Padre. Non riesce a conoscerlo e ad amarlo. La rivelazione di Gesù è concessa come grazia « ai piccoli », agli umili, aperti alla Parola di Dio. Questi, affidandosi a Cristo nei loro affanni, nella loro situazione di dolore, di disagio, di rifiuto da parte dei potenti, di prova, trovano serenità e pace. Nella ricerca teologica o nell’accogliere la rivelazione di Dio da parte di qualunque credente, è necessario un atteggiamento di umiltà, la consapevolezza della propria piccolezza in ragione della sproporzione che vi è fra lui e Dio. Il Vangelo non è un giogo che schiaccia, ma un sollievo per chi lo viva con sincerità e coerenza.
IL SIGNORE PER NOI E' TUTTO: FORZA, SCUDO E PREMIO.
28 LUGLIO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Il Signore, nella liturgia della Domenica, attraverso i segni sacramentali, compie il progetto della redenzione, liberando gli uomini dalle tenebre del male e del peccato. Donandoci lo Spirito Santo, con la sua luce della verità, ci libera dal nostro egoismo e con la grazia del Cristo, povero e crocifisso, addolcisce le nostre asprezze con la dolcezza e la forza del suo amore.
Verificare ogni giorno questo cammino di santità è certo un compito a cui siano chiamati, ma dobbiamo ritenerlo un dono di grazia elargito dal Signore, dono che non dobbiamo mettere in dubbio di fronte all’esperienza di ogni giorno, in cui i sentimenti sono diversi da quelli che il Signore chiede.
Così non dobbiamo avvilirci né scoraggiarci e, convinti della continuità del suo aiuto, dobbiamo camminare nella via della santità con serenità e costanza.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Padre celeste dicendo: « Infondi in noi, o Padre, la sapienza e la forza del tuo Spirito, perché camminiamo con Cristo sulla via della croce, pronti a far dono della nostra vita per manifestare al mondo la speranza del tuo regno ».
Prima Lettura: 2 RE 4,8-11.14-16.
Eliseo, ritenuto uomo di Dio dalla donna della città di Sunem, venne da essa ospitato tutte le volte che il profeta passava da quel luogo. L’ospitalità della donna giunse a predisporre nella sua casa, al piano di sopra una cameretta in muratura, con un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere, perché vi potesse riposare. Un giorno Eliseo, chiedendo cosa avrebbero potuto fare per quella donna, così ospitale, al suo servo Giezi, questi gli riferì che, essendo lei e suo marito anziani, non avevano figli. Eliseo, fattala chiamare, disse alla donna che l’anno prossimo avrebbe stretto fra le sue braccia un figlio. Attraverso la figliolanza l’ospitalità di quella donna viene ricambiata, perché Dio, autore della vita vince la sterilità, lungo la storia della salvezza, molte volte si rende presente con tali eventi. Così questo gesto della donna prelude alla ospitalità che bisogna dare, come dice Gesù, a lui o al fratello più piccolo, poiché sarà data per essa una ricompensa.
Seconda Lettura: Rm 6,3-4.8-11.
San Paolo scrive ai Romani dicendo che attraverso il Battesimo, essendo battezzati nella morte di Cristo e sepolti nella morte di lui, come Cristo è risuscitato dai morti, essi sono chiamati a camminare in una vita nuova. Ancora: se si è morti con Cristo bisogna credere che vivremo con lui, poiché, essendo egli risorto, non muore più. Egli che è morto, una volta per tutte, per il peccato, ora vive per Dio, così essi devono considerarsi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. Il battesimo più che un gesto esteriore è un segno sacramentale che ci rende partecipi dell’amore di Cristo e della sua risurrezione, preludio e speranza della risurrezione futura. Allontanandoci dal peccato la forza della risurrezione ci fa vivere e operare in maniera nuova. Il peccato ci fa regredire nel cammino di risurrezione che il Battesimo ci ha fatto iniziare e non cresciamo nella comunione con Dio e nella vita divina.
Vangelo: Mt 10, 37-42.
Nel brano del Vangelo di Matteo, Gesù ci esorta ad anteporre l’amore per lui all’affetto per il padre, la madre, per il figlio o la figlia, se si vuole essere degni di lui; a prendere la propria croce e seguirlo per essere degni di lui.
Chi poi non avrà tenuto la propria vita per sé ma l’avrà perduta per la sua causa la troverà; chi avrà accolto i suoi discepoli avrà accolto lui e avrà accolto anche colui che l’ha mandato. Chi avrà accolto il profeta o il giusto avrà la ricompensa del profeta o del giusto. Anche per aver dato un bicchiere d’acqua fresca ad uno dei fratelli più piccoli, perché è un discepolo, non si perderà la ricompensa. Gesù esige una amore e una dedizione totale e prioritaria, deve essere amato prima di tutti e di tutto. I legami più intimi non vengono aboliti, ma devono cedere il passo all’amore per Cristo e per Dio. Essi non possono entrare in concorrenza tra loro. La sequela del Cristo, per chi vuole essere suo discepolo, non può evitare di portare la croce dietro a Lui: mistero difficile da capire e accettare. L’accoglienza del profeta, del discepolo che viene nel nome di Gesù è un accogliere lui. Anche nel più piccolo missionario o predicatore si deve vedere Cristo in persona, come pure in ogni uomo, specie nel povero, ammalato, diseredato deve vedersi la persona di Cristo stesso e servirlo con amore e premura.
Ultimo aggiornamento (Sabato 27 Giugno 2020 08:36)