





Un solo Dio, nella Trinità delle Persone divine.
7 GIUGNO - SOLENNITA’ DELLA SANTISSIMA TRINITA’
Quello della SS. Trinità è il primo mistero principale della fede cristiana, rivelatoci da Dio. Noi professiamo la fede in un Dio, uno e unico, in Tre Persone, uguali e distinte, ma non separate. La Teologia cristiana, accogliendo la rivelazione che Dio ha fatto, ha cercato lungo i secoli di indagarne il mistero, usando le categorie epistemologiche-conoscitive di ogni epoca, pur sapendo, ( come scrive san Agostino nel libro "De Trinitate", il quale immagina di vedere, sulla spiaggia del mare di Tegaste, un bambino che con un cucchiaio tenta di svuotare tutto il mare trasportandone l’acqua in una buca), che un mistero così grande non può essere pienamente compreso da una mente umana finita e limitata, quale è quella dell’uomo, nel senso di una limitatezza come coscienza delle proprie possibilità e impossibilità.
Alla Santissima Trinità – al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo – rivolgiamo sempre la nostra preghiera di adorazione, di lode, di onore e il nostro rendimento di grazie. A questo mistero, che non deve essere creduto come verità astratta e lontana, i cristiani vi dedichiamo una festa tutta partico- lare, proprio perché questo mistero si è fatto vicino a noi e conclude il periodo dell’anno liturgico del mistero di salvezza che viviamo nella Liturgia dall’Avvento alla Pentecoste. E’ un mistero di relazione, di amore, comunione e intimità fra le tre Persone. La SS. Trinità è un Dio che costantemente si dona all’ uomo rendendolo partecipe di questa relazione, fino al punto di comunicarsi a lui. Il mistero di Dio ci è stato rivelato pienamente, quando ci è stato inviato come nostro redentore Gesù, il Figlio stesso di Dio, che ci ha riconciliati con la sua morte e risurrezione e quando ci è stato inviato « lo Spirito Santo d’amore », che ci ha santificato. Così ci è stato rivelato « il mistero della vita di Dio », che è Trinità Santissima, anche se la sua comprensione ci sfugge. Tuttavia l’ inabitazione in noi delle tre Persone divine, è un’esperienza, anche se ancora pur velata, verso cui siamo incamminati « nella pazienza e nella speranza », e tesi verso la « piena conoscenza » di Dio « amore e vita ».
Nella Colletta dell’Eucaristia preghiamo dicendo: « Padre, fedele e misericordioso, che ci hai rivelato il mistero della tua vita donandoci il Figlio unigenito e lo Spirito d’amore, sostieni la nostra fede e ispiraci sentimenti di pace e di speranza, perché riuniti nella comunione della tua Chiesa benediciamo il tuo nome santo e glorioso ».
Prima Lettura: Es 34,4-6.8-9
Il nostro Dio è un Dio per noi, per la nostra salvezza, Dio di misericordia, « ricco di amore ». Nella rivelazione che Dio fa di sé per la seconda volta a Mosè ridona le tavole della Legge, poiché una prima volta il popolo aveva deviato dalla fedeltà agli impegni dell’alleanza. Infatti, essendosi dato all’ idolatria e prostratosi in adorazione davanti al vitello d’oro, fatto da Aronne, aveva attribuito ad esso l’opera della liberazione dall’ Egitto. Nonostante questa infedeltà, Dio, per intercessione di Mosè, perdona al suo popolo perché è « il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ ira e ricco di amore e di fedeltà ».Ma Mosè sente Dio vicino e pieno di grazia, perché è un Dio che cammina in mezzo al suo popolo, che perdona le sue colpe,« anche se è di dura cervice ». Mosè davanti a Dio riconosce il peccato di tutto il popolo e chiede che lo scelga e lo tratti come suo possesso. La presenza di Dio sarà pienamente realizzata quando a camminare in mezzo a noi sarà lo stesso Figlio di Dio e, dal Padre e dal Figlio, lo Spirito Santo sarà inviato come dono. Allora potremo comprendere maggiormente la vicinanza di Dio: Trinità Santissima, rivelata e comunicata agli uomini.
Seconda Lettura: 2 Cor 13,11-13
Nel saluto che Paolo solitamente rivolge ai cristiani nelle sue Lettere sono proclamate le Tre Persone divine della Santissima Trinità. Paolo augura che l’amore di Dio Padre, la grazia del Signore Gesù e la comunione dello Spirito Santo sia con loro. Ma questo saluto non è una astratta enunciazione del mistero trinitario: del Padre è sottolineato l’amore,del Figlio Gesù la grazia che ha meritato per gli uomini e dello Spirito Santo la comunione che crea tra essi. Il mistero della Santissima Trinità ci è stato rivelato dal Figlio, che ci ha redenti mediante la sua morte e resurrezione, e con il dono dello Spirito ce ne ha dato una più profonda conoscenza. Più che riflettere, allora, per capire, siamo chiamati ad accoglierlo e a realizzare un rapporto di amore con la Trinità tutta, dal momento che le Tre Persone divine sono in viva relazione con noi, come ci ha detto Gesù, perché lo Spirito fa dimorare il Padre e il Figlio nel cuore di chi è in grazia.
Vangelo: Gv 3,16-18.
Del dono di Dio all’ uomo ci parla Gesù nel suo colloquio con Nicodemo a cui svela il progetto di salvezza del Padre, che per sua iniziativa d’amore sovrabbondante, generoso e oblativo, manda il suo Figlio, consegnato per la salvezza del mondo. Questo mondo a volte si oppone a Dio, lo contrasta e rifiuta il suo amore, mentre altre volte, riconoscendo l’uomo il proprio stato di prostrazione, lo ricerca e si rivolge a lui. Nell’ insegnamento e nella rivelazione che Gesù fa di Dio il mondo, cioè l’umanità tutta, è oggetto dell’amore di Dio che, avendola creata, la cerca e la attira al suo amore.
Così abbiamo saputo del Padre quando Gesù ha detto a Nicodemo che Dio Padre, per amore degli uomini, ha mandato il suo Figlio Unigenito per la salvezza del mondo e per dare loro, credendo in Dio, la vita eterna.
Il Padre, per sua libera iniziativa, ha affidato la missione della salvezza al Figlio, che venuto tra noi ha assunto e condiviso, perché potessimo avere la vita di Dio in noi. A questa iniziativa di Dio deve corrispondere, da parte nostra,nella fede, l’accoglienza di questo Dono del Padre, nel quale ricevia- mo la salvezza, se nella fede accogliamo le parole, le opere e i gesti di Gesù. La fede, come affidamento a Dio e al suo progetto di salvezza realizzato in Cristo, è a fondamento della conoscenza del mistero di comunione a cui Dio ci ha chiamati. Il mistero del Padre e del Figlio appare così non come verità difficile ad accogliersi, ma come partecipazione nostra alla vita di Dio, vita divina, meritataci dal Figlio, morto e risorto per noi, ma che ci viene data grazie allo Spirito Santo: infatti noi nasciamo di nuovo, dall’ alto, per virtù dello Spirito e alimentiamo questa vita attraverso i sacramenti che sono realizzati dalla terza Persona della Santissima Trinità.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:38)
PENTECOSTE: EFFUSIONE DELLO SPIRITO PROMESSO E L'INIZIO DELLA CHIESA.
31 MAGGIO – SOLENNITA’ di PENTECOSTE.(Anno A).
Lo Spirito vi renderà miei testimoni.
In questa solennità, che porta a compimento il mistero pasquale, per i credenti e per tutti coloro che lo accolgono, si realizza ciò che Gesù promise nell’ultima Cena, assicurandoci che non ci avrebbe lasciati soli, ma che avrebbe, salito al Padre, inviato Il Consolatore, lo Spirito di verità. Lo Spirito, in questa liturgia, ci invita a vedere l’opera di Dio nel mondo e ci illumina, esorta e ci dà la forza di corrispondere al suo amore, portando ad una maggiore pienezza il cammino di fede. Questo giorno ricorda e attualizza, in ogni tempo e latitudine, la Pentecoste, il tempo nuovo della Chiesa, che accoglie lo Spirito e i suoi benefici effetti nella sua vita.
La Chiesa, corpo di Cristo, sostenuta dallo Spirito, meritato da Gesù in croce e inviato da lui risorto nel giorno di Pentecoste, cresce e si espande nel mondo. Nella comunità della nuova alleanza, costituita dallo Spirito, è presente il Signore e ad essa possono aggregarsi tutti i popoli che accolgono l’annunzio della salvezza, realizzando così il mistero pasquale, come afferma il prefazio: « Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo ». In ogni sacramento agisce lo Spirito Santo. Lo Spirito inabita dentro di noi come alito di vita e, con le sue illuminazioni, ci suggerisce e dà impulso alle nostre azioni.
Accesi dal fuoco di questo Spirito, si alimenta in noi la comunione col Corpo e Sangue del Signore, comunione che si attua nella « carità ardente », di cui parla l’orazione sulle offerte della Messa vespertina della vigilia. Così lo Spirito, rinnovando il prodigio dell’unità, raccoglie gli uomini dispersi e, trasformando qualitativamente le nostre azioni, ci fa agire secondo la volontà di Dio e ci dona la consolazione nell’intimo, anche nei momenti difficili della testimonianza della fede.
La vita « spirituale » che ha come maestro e come suggeritore lo Spirito Santo, è quella che ci fa vivere da risorti a vita nuova nel tempo e permetterà di ridestarci, con i nostri corpi, nella risurrezione finale. Lasciarsi guidare dallo Spirito del Signore non è cosa eccezionale e, se ci affidiamo a lui, sarà un fatto semplice e sereno – pur se straordinario – di ogni giorno.
Ancora. L’evento della Pentecoste è significato nella colletta della Messa:« O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo ». Lo Spirito Santo, che anima la comunità cristiana, porta per mezzo di essa il Vangelo di Gesù Cristo, ci introduce nella conoscenza del suo mistero e lo rende efficace. Lo Spirito, ancora, ci fa crescere nelle opere di giustizia , che compiamo per sua ispirazione ed energia, essendo stati da lui rinnovati nel cuore e resi giusti. La solennità della Pentecoste, concludendo il lungo e meraviglioso tempo pasquale che ci ha fatto meditare ed approfondire il mistero della morte e risurrezione del Signore, ci introduce nel tempo della Chiesa. Si realizza così in noi, in ogni giorno dell’anno liturgico, con la presenza dello Spirito Santo, il mistero di morte e risurrezione del Signore, per cui conducendo la vita nuova di risorti, diveniamo sempre più conformi a Lui.
Prima Lettura: At 2,1-11.
I discepoli, obbedendo al comando di Gesù. hanno atteso lo Spirito Santo promesso, che si manifesta nel segno del fuoco : « apparvero lingue come di fuoco ». e della parola, perché, con la venuta dello Spirito, ha inizio l’evangelizzazione, l'annunzio delle « grandi opere di Dio », che si riassumono nell’avvenimento della morte e della risurrezione di Gesù. Sorprende che ognuno di coloro che si sono riuniti, dopo aver sentito« All’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, che riempì tutta la casa dove stavano », pur essendo di diverse nazionalità, sentì la gioiosa proclamazione nella propria lingua nativa del messaggio degli apostoli, pur essendo dei Galilei a parlare. La pretesa degli uomini che tentarono di scalare il cielo nella costruzione della torre di Babele e il castigo della confusione sono vinti con la proclamazione del Vangelo. La fede, annunziata a popoli, lingue, tradizioni diverse, crea l’unità, perché tutti sono chiamati a diventare figli di Dio, come proclama la liturgia del prefazio: « la confusione che la superbia aveva portato tra gli uomini è ricomposta in unità dallo Spirito Santo ». Siamo, oggi, chiamati a essere cooperatori di unità, ad allontanare ogni atteggiamento che alimenta la discordia e, se rompiamo il cerchio che ci chiude in noi stessi, sapremo uscire verso gli altri e creeremo comunione.
Seconda Lettura: 1 Cor 12,3-7.12-13.
San Paolo, in questo brano 1a Corinti, descrive quali sono le funzioni dello Spirito Santo. La prima e fondamentale, è che, sotto la sua azione, nessuno può dire: « Gesù è Signore » , il Figlio di Dio risorto e glorioso, se non sotto l’azione dello Spirito Santo, che ci disvela l’intimo mistero di Cristo. Dall’unico Spirito poi derivano nella Chiesa i vari carismi e i diversi doni, che, pur essendo diversi come espressione, tutti hanno la stessa origine, dallo Spirito che li dona e l’identico fine: quello di edificare la comunità cristiana. L’apostolo quindi offre alla Chiesa i criteri per riconoscerli in ogni situazione: nessuno li possiede tutti, ma ciascuno ne possiede qualcuno. Il criterio più importante per discernerli è che sono doni dati non perché servano alla nostra vanagloria, ma al « bene comune »: se edificano e fanno crescere la comunità sono dallo Spirito, come avviene delle diverse membra del corpo, le quali, con le varie funzioni, sono tutte destinate al benessere del corpo; se invece dividono, frazionano, creano partiti e gruppi di pressione, se smembrano la comunità, non sono dallo Spirito. Essi ci vengono dati nel Battesimo dall’identico e unico Spirito. Non bisogna farsi affascinare troppo dai carismi più evidenti, perché possono esserci carismi grandi e importanti nell’ordinarietà della vita e che spesso vengono sottovalutati. San Paolo, con le sue considerazioni, ci spinge a collaborare con generosità e con gratuità nella comunità cui apparteniamo, non guardando agli interessi o al ricavo personale come unico scopo del nostro lavoro; a mettere volentieri in comune i doni che Dio ci ha fatto; e a far contenti gli altri. Vari sono allora i modi con cui possiamo vivere la dimensione comunitaria della fede e della esperienza cristiana.
Vangelo: Gv 20,19-23.
Secondo Giovanni la stessa sera di Pasqua Gesù risorto effonde sui discepoli lo Spirito Santo. Ormai Gesù era stato glorificato, e quindi aveva il potere di effondere il Dono di Dio per eccellenza, il « primo Dono » ai credenti.
Questa effusione pasquale dello Spirito sugli apostoli e il racconto della Pentecoste, pur essendo episodi diversi, realizzano la promessa fatta da Gesù nella Cena: di non lasciarli orfani e di inviare lo Spirito. E se l’episodio pasquale, a porte chiese, vuole, con il dono dello Spirito, far allontanare dagli apostoli la paura e l’incredulità, assicurando loro la presenza costante di Gesù nella loro vita e in quella della comunità, la Pentecoste, rende presente il Dono per tutti gli uomini, che così potranno essere radunati da ogni parte del mondo in unità, esprimendo la molteplicità dei linguaggi con cui sarebbe stato annunciato e testimoniato il Vangelo della salvezza universale, operata da Gesù e attuata, per il ministero della Chiesa, dallo Spirito del Signore.
Gesù, con il dono della pace pasquale augurata ai discepoli mostrando le sue piaghe, vuole mostrare che la via della passione, assunzione del male che affligge l’uomo, e della risurrezione, sconfitta totale e definitiva di esso, è il percorso che deve essere seguito per conseguire la pace vera, quella che solo lui può dare e non come la dà il mondo.
Augurando per la seconda volta la pace ed effondendo lo Spirito, Gesù vuole consegnare alla Chiesa il principio per la remissione dei peccati: come conseguenza della sua vittoria sul male; donare la pienezza di ogni benedizione divina e il potere di perdonare i peccati, perché il male, i conflitti e le tribolazioni non possono rendere inefficace la salvezza, che è dono, e nella quale riposa la speranza cristiana. La Chiesa, quindi, è a servizio dello Spirito per il perdono. Potrà anche non rimettere i peccati quando manchi la conversione del cuore, senza della quale la porta allo Spirito rimane chiusa.
Gesù, soffiando lo Spirito e richiamando l’azione creativa di Dio della Genesi, instaura nei discepoli e nel mondo una nuova creazione, inaugurata dalla sua risurrezione, di cui godono e fanno parte per grazia tutti coloro che credono. Con lo Spirito donato inizia, come continuazione della sua, anche la missione della Chiesa, che si esplica nell’annunzio del perdono di cui ha fatto esperienza. Questa missione inizia con la Pentecoste, nuova effusione dello Spirito, quando gli apostoli parlano varie lingue e tutti i presenti odono e comprendono il messaggio da loro annunziato: messaggio unico e uguale nei secoli ma esprimibile in modo che possano comprenderlo, perché destinato a tutti, anche se ognuno dovrà sentirselo dire in modo a lui comprensibile. Spetta poi agli evangelizzatori essere creativi ed esprimerlo con modi e formule adeguate ai tempi.
Molti sono i modi con cui possiamo invocare e ricevere lo Spirito del Signore, ma dall’Eucaristia – sacramento del Corpo di Cristo – continua in particolare a esserci dato lo Spirito di Gesù. Nell’orazione dopo la comunione chiederemo:« la partecipazione alla tua mensa, o Padre, ci comunichi il fervore dello Spirito ». Del resto è lo Spirito Santo che rende presente Gesù Cristo nell’Eucaristia.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:37)
Ascendendo al cielo, Gesù porta con sè la nostra umanità.
24 MAGGIO – SOLENNITA’ DELL’ ASCENSIONE DEL SIGNORE
Gesù, che ha vinto il peccato e la morte, ci dice la liturgia del prefazio di questa solennità, «ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria »: e ciò dobbiamo tenerlo presente in ogni giorno della vita. Con Gesù, che con la sua umanità è presso il Padre, siamo già in qualche modo presenti anche noi, perché egli è il Capo del corpo di cui noi siamo membra. Possiamo quindi sperare la salvezza e la gloria eterna perché egli l’ha acquistata per sé e per noi. Noi – ci dice ancora il prefazio -poiché adesso ci è donata la grazia di Cristo che attende di maturare nella sua stessa gloria, non siamo lasciati soli. Con lui, che alla destra del Padre è nostro Intercessore e Mediatore, siamo già legati con Dio.
Ma se lungo il cammino terreno siamo presi dal dubbio e ci sentiamo smarriti nella ordinarietà e monotonia della nostra vita e di quella della Chiesa, non dobbiamo, però, credere che egli ci abbia abbandonato, perché la sua presenza, resa costante dallo Spirito inviato, ci accompagna nella missione nel mondo e ci fa attendere con fiducia e operosità il sua ritorno futuro, come dicono gli angeli nel momento in cui sale verso il cielo. Questa operosità dimostra il nostro impegno a vivere in maniera degna di essere accolti nella sua gioia di Signore risorto.
Nella Colletta dell’Eucaristia chiediamo a Dio: « Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro Capo, nella gloria ».
Prima Lettura: At 1,1-11.
Gesù, dopo aver confermato i suoi discepoli nella certezza della sua risurrezione, di cui avevano dubitato in varie occasioni e, anche ora, in Galilea, sul monte, dove aveva loro indicato di recarsi « quando essi lo videro, si prostrarono », ma ugualmente dubitarono, egli sale al cielo. Non li abban- dona e non se ne allontana se non visibilmente, perché, dalla destra del Padre, invia lo Spirito, che , ricevuto da essi in pienezza, li rende fortificati per la testimonianza che devono rendere al Risorto. Lo Spirito del Padre e del Figlio accompagna i discepoli nella loro missione. Essi, però, nell’attesa della venuta gloriosa di Gesù non devono rimanere inattivi e non devono preoccuparsi di quando sarà la fine del mondo e il termine della storia. Egli assicura che ritornerà ed essi, in questo tempo di attesa, dovranno manifestare la loro testimonianza nel continuare l’opera del Maestro, specialmente nelle opere della fede e della carità, nelle quali dimostrano il desiderio di riunirsi al Signore.
Ma se da una parte la comunità del Signore, sempre lungo la sua storia, come lo fu dall’inizio, può sperimentare momenti e fatti che non l’hanno resa splendida Sposa di Cristo, dall'altra ha anche molte pagine di testimonianza discreta e, oggi, con frequenza, eroica di tanti martiri. D’altronde Gesù stesso lo aveva detto: « Sarete perseguitati, ma riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra » (At 1,8-9). Così la Chiesa, pur fragile e ferita, può continuare a dare speranza agli uomini e ognuno trovare il proprio spazio di crescita umana e spirituale, poiché non è fatta di puri, ma è costituita come comunità, che nel nome del Signore accoglie i peccatori, i quali, pur zoppicando, si sforzano di imitarlo.
Seconda Lettura: Ef 1, 17-23.
Paolo scrive ai cristiani di Efeso e augura loro che il Dio del Signore Gesù dia loro uno« spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui: illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo ». Tutti i discepoli del Signore dobbiamo dunque aspettare un’eredità, anche i più poveri ai quali non sia mai avvenuto di ereditare: è’ il tesoro della gloria che si riceverà con tutti i santi e che sarà donata in Gesù, Signore risorto e glorioso. Anche noi, dunque, partecipiamo dello stesso destino di Cristo, come membra del suo corpo, la Chiesa, « la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose ». Domandiamo per noi e per tutti quanto san Paolo chiedeva per la sua comunità di Efeso: « uno spirito di sapienza per una più profonda conoscenza del Dio del Signore nostro Gesù Cristo »; domandiamo di avere gli « occhi del cuore» per comprendere la nostra speranza. Finché non raggiungiamo questa comprensione, ogni notizia sul mondo, sulle cose, sulla storia a poco ci giova. Colui che ha compreso l’opera di Gesù e vi prende parte assaporandola, gustandola e vivendola ha acquistato la vera scienza. Di conseguenza tutto il resto acquista una proporzione nuova, perché disponiamo di un criterio che ci fa valutare veramente e in maniera diversa le cose, per superarle e disincantarle. E’ il criterio dei santi e che consiste nel distacco che essi hanno vissuto dalle cose terrene, nutrendo solo il desiderio supremo del Signore.
Vangelo: Mt 28, 16-20.
Gesù risorto, incontrando i discepoli sul monte della Galilea, dove aveva dato appuntamento, dà loro il potere, come lui l’ha ricevuto dal Padre, di andare in tutto il mondo e fare suoi discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome delle Tre Persone della Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo e insegnare loro ad osservare tutto ciò che ha comandato loro. Promette che egli sarebbe stato sempre con loro per dare valore alla predicazione, ai sacramenti e al loro ministero.
La Chiesa, comunità di santi e di peccatori, in obbedienza a questo comando di Gesù (Mt28,10), convocata da lui, che l’ha beneficiato della rivelazione di sé nel suo corpo glorioso e investita di una dignità altissima, intraprende, fin dal tempo apostolico, la missione di testimoniare e realizzare, non a proprio nome ma a nome della Trinità tutta, l’opera salvatrice dell’umanità da lui iniziata.
La missione che affida loro esprime il potere di Signore risorto: è lui, quindi, che invia e rende efficaci gli atti di quelli che sono mandati. E’ lui che è presente e, per mezzo del suo Spirito, dà incremento alla sua opera perché la sua salvezza si estenda in tutto il mondo. La sua ascensione al cielo non lo allontana da loro, al contrario lo ravvicina in ogni tempo e spazio e, con lo Spirito Santo e il loro ministero, Gesù stabilisce il rapporto di salvezza con colui che crede. Le sue ultime parole ci sono motivo di conforto e di speranza:
« Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ». Nessun momento della storia più è vuoto e privo della presenza del Signore. Se l’orazione personale, come colloquio ed esperienza personale di Cristo, fa sentire questa presenza, il vertice di questa presenza e di questa comunione si trova nell’Eucaristia, in cui la relazione con Gesù, asceso al cielo, raggiunge la sua espressione più perfetta: dove c’è Gesù Cristo, là c’è il Padre, c’è il cielo. Allora non è fuor di luogo dire che l’Eucaristia ci fa già pregustare in anticipo la Vita eterna.
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 2 sull’Ascensione 1, 4; PL 54, 397-399)
L’Ascensione del Signore accresce la nostra fede
Nella festa di Pasqua la risurrezione del Signore è stata per noi motivo di grande letizia. Così ora è causa di ineffabile gioia la sua ascensione al cielo. Oggi infatti ricordiamo e celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre, al di sopra di tutte le milizie celesti, sopra tutte le gerarchie angeliche, sopra l’altezza di tutte le potestà. L’intera esistenza cristiana si fonda e si eleva su un’arcana serie di azioni divine per le quali l’amore di Dio rivela maggiormente tutti i suoi prodigi. Pur trattandosi di misteri che trascendono la percezione umana e che ispirano un profondo timore riverenziale, non per questo vien meno la fede, vacilla la speranza e si raffredda la carità.
Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, o come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi?
Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali. Perché poi la fede risultasse più autentica e ferma, alla osservazione diretta è succeduto il magistero, la cui autorità avrebbero ormai seguito i cuori dei fedeli, rischiarati dalla luce superna.
Questa fede si accrebbe con l’ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. Non riuscirono ad eliminarla con il loro spavento né le catene, né il carcere, né l’esilio, né la fame o il fuoco, né i morsi delle fiere, né i supplizi più raffinati, escogitati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo hanno combattuto fino a versare il sangue, non solo uomini, ma anche donne; non solo fanciulli, ma anche tenere fanciulle. Questa fede ha messo in fuga i demoni, ha vinto le malattie, ha risuscitato i morti.
Gli stessi santi apostoli, nonostante la conferma di numerosi miracoli e benché istruiti da tanti discorsi, si erano lasciati atterrire dalla tremenda passione del Signore e avevano accolto, non senza esitazione, la realtà della sua risurrezione. Però dopo seppero trarre tanto vantaggio dall’ascensione del Signore, da mutare in letizia tutto ciò che prima aveva causato loro timore. La loro anima era tutta rivolta a contemplare la divinità del Cristo, assiso alla destra del Padre. Non erano più impediti, per la presenza visibile del suo corpo, dal fissare lo sguardo della mente nel Verbo, che, pur discendendo dal Padre, non l’aveva mai lasciato, e, pur risalendo al Padre, non si era allontanato dai discepoli.
Proprio allora, o dilettissimi, il Figlio dell’uomo si diede a conoscere nella maniera più sublime e più santa come Figlio di Dio, quando rientrò nella gloria della maestà del Padre, e cominciò in modo ineffabile a farsi più presente per la sua divinità, lui che, nella sua umanità visibile, si era fatto più distante da noi.
Allora la fede, più illuminata, fu in condizione di percepire in misura sempre maggiore l’identità del Figlio con il Padre, e cominciò a non aver più bisogno di toccare nel Cristo quella sostanza corporea, secondo la quale è inferiore al Padre. Infatti, pur rimanendo nel Cristo glorificato la natura del corpo, la fede dei credenti era condotta in quella sfera in cui avrebbe potuto toccare l’Unigenito uguale al Padre, non più per contatto fisico, ma per la contemplazione dello spirito.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:35)