GESU’ ENTRA A GERUSALEMME OSANNATO COME FIGLIO DI DAVIDE.
5 APRILE - DOMENICA DELLE PALME
Con la Domenica delle Palme- l’ingresso di Gesu’ a Gerusalemme - apriamo la Settimana Santa, la principale settimana di tutto l’anno liturgico.
Se anche quest'anno, causa la quarantena per il Coronavirus, non possiamo vivere le celebra- zioni della Settimana Santa, con il Triduo e la solennità della Pasqua, possiamo partecipare alle celebrazioni che vengono proposte, anche se in maniere ridotta nei riti, nelle varie reti televisive o altri mezzi digitali che le varie Comunità parrocchiali possono attivare.
La riflessione sulla Parola di Dio che viene proposta nel nostro sito ci può aiutare a vivere più in-tensamenti i mistri della Cena, del Venerdì Santo e della Pasqua di Risurrezione.
Con la domenica delle Palme – l’ingresso di Gesù in Gerusalemme – apriamo la Settimana Santa, la principale settimana di tutto l’anno liturgico.
Essa è la più ricca delle memorie dei misteri della redenzione: la passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione del Signore. La comunità cristiana è chiamata a raccogliersi frequentemente:
- per l’ascolto della Parola di Dio, che rievoca, dalla Bibbia, i grandi momenti della nostra salvezza;
- per la preghiera, come risposta riconoscente e piena di lode ai gesti della misericordia divina che il Padre celeste ci concede nel suo Figlio.;
- per la celebrazione dell’Eucaristia, sacramento in cui ritroviamo, nei se- gni del pane e del vino, il Corpo di Gesù offerto per noi e il suo sangue del sparso per la remissione dei peccati;
- per la solenne adorazione della croce del Venerdì Santo, nel ricordo della passione del Signore;
- per la solenne Veglia di Pasqua.
Gesù, condivide la nostra fragilità umana, attraverso la sua umiliazione, il dolore, la sofferenza e la sua passione, ci insegna a superare questi limiti, e chiede di accogliere la volontà salvifica di Dio, confidando nella forza che viene da Lui e non nelle nostre forze.
Sono giorni di passione della Chiesa rivivendo in sé i dolori di Cristo; sono giorni di raccoglimento e di silenzio per meditare il disegno sorprendente e stupendo del Figlio di Dio che ci ha amati fino a morire in croce; sono giorni in cui dobbiamo nutrire la speranza, perché Cristo ha vinto il Male definitivamente e ha sostituito alla morte la risurrezione; giorni, quindi, che ci riempiono di serenità e di gioia, se scopriamo la forza della carità che ci ha riscattato e della vita nuova che ci viene da Gesù risorto, inizio e germe di vita risorta per tutti gli uomini.
In questa domenica delle Palme, che è come varcare una soglia dal clima della quaresima a quello più intimo e solenne della Settimana Santa, ripercorriamo spiritualmente l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. per entrare poi nel Triduo pasquale, in sintonia col mistero della Morte e Risurrezione del Signore.
Riviviamo gli eventi della salvezza facendo esperienza della grazia ricevuta già una volta nel battesimo; riscopriamo il significato della passione del giusto innocente, per continuare a fare tesoro dei meriti salvifici di Cristo, evitando che il ripercorrere gli eventi della passione ci coinvolga solo superficialmente.
Quello celebrato in questa domenica è un evento glorioso per Cristo acclamato come il re d’Israele, che viene nel nome del Signore. Ma, insieme, questa gloria e regalità di Cristo è solo preannunciata: Egli deve prima passare attraverso la passione. Con questa domenica si apre la Settimana Santa in cui Gesù apparirà come il Servo umiliato fino alla morte, che « consegnandosi a un’ingiusta condanna, porta il peso dei nostri peccati » e nella sua morte lava le nostre colpe.
La processione osannante di oggi, con i suoi canti e la sua festosità, non deve farci dimenticare che alla risurrezione non arriveremo per via diversa da quella che passa per il Calvario.« Chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione ».
Contempleremo Gesù che entra in Gerusalemme, non con i gesti osannanti come siamo stati abituati, ma seguiremo Gesù con fede viva e parteciperemo rivivendo questi momenti mentalmente. Viene accolto festosamente, lui che viene nella mitezza e nella semplicità.. Ma non illudiamoci troppo: dopo pochi giorni non mancherà chi lo vorrà crocifisso. Gesù va accolto nel cuore e imitato nel suo doloroso cammino. Soltanto così non lotradiremo mai.
Egli entra come un re nella città santa, e il suo dono è la pace. Noi ci affatichiamo invano di ottenerla se non dominiamo i nostri istinti di prepotenza, se non riconosciamo in Gesù, che cavalca umilmente un puledro, lo stesso Figlio di Dio, venuto a riconciliarci con il Padre e tra noi.
La Settimana Santa ha per scopo la venerazione della Passione di Gesù Cristo dal suo ingresso messianico in Gerusalemme.
Le ferie della Settimana Santa, dal lunedì al giovedì, hanno la precedenza su tutte le altre celebrazioni.
Il Giovedì della Settimana Santa, al mattino, il vescovo, celebrando la Messa col suo presbiterio, benedice gli oli santi e fa sacro il crisma.
I colori liturgici sono: rosso per la domenica delle Palme, viola per il lunedì, martedì, mercoledì, bianco per la Messa crismale.
Prima Lettura: Is 50,4-7.
Il Servo di Dio è esempio di docilità, di ascolto della Parola e della volontà divina. Destino misterioso è quello del Servo: Egli è fatto oggetto di flagelli, di sputo, di scherni e tuttavia non si ribella. In lui prevale l’accoglimento di un disegno per una missione di salvezza. Leggendo in questa domenica delle Palme il brano di Isaia, con la mente corriamo subito a colui che non è venuto per essere servito, ma per essere servo e offrire la propria vita come prezzo di per la nostra liberazione dal male.
Seconda Lettura: Fil 2,6-11.
San Paolo scrivendo ai Filippesi ci esorta a contemplare il mistero di Cristo, dalla sua preesistenza eterna fino alla sua glorificazione.
Nella prima parte dell’inno contempliamo Gesù che, condividendo con il Padre dall’eternità la sua condizione divina, ha assunto la condizione umana di servo, divenendo simile a noi. Nel mistero dell’incarnazione la divinità riduce se stessa a vantaggio dell’umanità, perché « non ritenne un privilegio l’essere come Dio »: ecco lo spogliamento del Figlio di Dio, che nell’umiliazione e nell’obbedienza, con atteggiamento di fedeltà estrema al Padre, giunge all’abbassamento della croce, in un’obbedienza fino alla morte nella sua forma più ignominiosa.
Nella seconda parte dell’inno, dopo l’umiliazione, dopo l’obbedienza, viene cantata la risurrezione, la esaltazione del Servo suo Figlio: se la croce è il suo « sì » di amore al Padre e di consenso alla fraternità, la esaltazione è la fedeltà del Padre verso il Figlio.
Nella passione e morte del Figlio, che non sono fine a se stesse, e nella sua risurrezione abbiamo, strettamente uniti tra loro, i due grandi misteri di morte e di esaltazione del Cristo, di colui che oggi e sempre è il Signore di tutto e che ha aperto l’umanità alla speranza cristiana della gloria.
Consapevoli della volontà salvifica del Padre, ottenuta per la obbedienza del Figlio, possiamo bandire ogni forma di scoraggiamento e di sfiducia nei momenti difficili e della croce, perché il Cristo « pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono » ( Eb 5,8-9).
Le espressioni che in alcuni momenti si è soliti dire:« Ma posso avere il perdono di Dio ? Per me non c’è possibilità di perdono …» non devono indurci alla disperazione, perché Dio, anche se a volte crediamo di essere immeritevoli di perdono, nella sua misericordia lo offre per il suo grande amore e per avere mostrato la sua volontà salvifica riguardo all’uomo nella croce redentrice di Cristo e nella sua glorificazione, da dove intercede perennemente per noi tutti.
Vangelo: Mt 26,14-27,66.
Ascolteremo la narrazione della passione di Gesù dal Vangelo di Matteo: dall’istituzione dell’Eucaristia fino alla passione e sepoltura. Anche per Matteo la passione di Gesù è l’adempimento delle Scritture che annunziano la salvezza. Più che di un l resoconto oggettivo, staccato, è una storia che non si deve solo ascoltare, dobbiamo risentire in noi questi avvenimenti: Cristo li ha patiti per noi. Nell’addentrarci nella Settimana Santa rivediamo il nostro atteggiamento:
- rispetto al nostro peccato, lato oscuro della nostra vita, possiamo, come Giuda che si suicida perché non ha più speranza se non nella morte, essere presi dalla disperazione;
- di fronte alla croce, invece, possiamo avere i sentimenti di Pietro, che parla, promette e, di fronte alla prova dei fatti, tradisce, fugge e lascia solo Gesù; ma al canto del gallo, in un profondo senso di pentimento, lava con le lacrime il suo peccato e apre il suo cuore al perdono di Gesù,
- o quelli del cireneo che, coinvolto per caso nella situazione, condivide la croce con Cristo e ci invita a portare la croce di Cristo, in tanti fratelli che abbiamo intorno e che ci chiedono di portare i pesi gli uni degli altri.
Nessuno può giudicare o condannare i protagonisti suddetti, perché tutti, iniziando dal primo peccato che, all’inizio della Quaresima, ci è stato ricordato, ne siamo coinvolti, per cui è necessario per tutti partecipare alla storia della salvezza che si compie sulla croce. Per la solidarietà che ci lega tutti e non solo quelli che erano presenti al tempo degli eventi della passione del Signore, ognuno, assumendo la responsabilità per il male che compie, deve dire: per me il Signore è stato tradito ed ha sudato sangue; per me ha subito gli sputi e gli schiaffi; per me è stato bastonato, ha portato la croce, è morto ed è stato sepolto.
Solo con questi atteggiamenti, riconoscendoci tutti peccatori, possiamo aprirci la via alla redenzione e alla salvezza.
Questa deve essere la passione che ripassa nel cuore di ogni discepolo, nel cuore della Chiesa, che la ripercorre con la sofferenza e la riconoscenza della Sposa fedele.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:05)
L'amore di Dio e la risurrezione dei morti.
29 MARZO – V DOMENICA DI QUARESIMA.
L’amore di Dio e la risurrezione dei morti.
Con il battesimo siamo entrati nella famiglia di Dio e, « inseriti come membra vive nel Cristo », dobbiamo vivere fedelmente questa nostra figliolanza. E’ nella comunione al Corpo e al Sangue del Signore che continua questo nostro essere uniti a Cristo. Questa è una relazione vitale che, se non ci sottrae alla fine dei nostri giorni terreni alla morte fisica, è tuttavia pegno di risurrezione.
Ma per entrare in questa risurrezione dobbiamo prima essere partecipi con Cristo alla sua passione redentrice, e l’Eucaristia, che ci dà la forza lungo il cammino terreno per giungere alla beata risurrezione, ne è pegno di gloria futura per partecipare al Corpo mistico glorioso.
La morte, nonostante i suoi sforzi che l’uomo compie, non può essere eliminata, solo è possibile rimandarla. Ma Gesù, dicendo di essere venuto « perché gli uomini abbiamo la vita e l’abbiano in abbondanza », ci dà la certezza che la nostra vita non è tolta da Dio, ma sarà trasformata alla maniera della vita del Cristo risorto, di cui la risurrezione dell’amico Lazzaro ne è un segno anticipatore..
Nella Colletta della Messa preghiamo dicendo: « Eterno Padre, la tua gloria è l’uomo vivente; tu che hai manifestato la tua compassione nel pianto di Gesù per l’amico Lazzaro, guarda oggi l’afflizione della Chiesa che piange e prega per i suoi figli morti a causa del peccato, e con la forza del Tuo Spirito richiamali alla vita nuova ».
Prima Lettura: Ez 37,12-14 .
Il Signore, per bocca del profeta Ezechiele, dice al suo popolo: « Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, vi condurrò nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore…. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra ».
L’esilio che finisce, i morti che escono dai sepolcri per la virtù rinnovatrice dello Spirito, che il profeta preannunzia, sono diventate per noi realtà con la risurrezione di Gesù Cristo, poiché, dopo l’ascensione alla destra del Padre, abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, che è principio della risurrezione. Ancora: la grazia del perdono, il ritorno alla vita divina avvengono sempre per opera dello Spirito e sono fin da questa terra una vera risurrezione nello Spirito, mentre la gloria del cielo sarà il suo compimento e la sua piena manifestazione. Nella Quaresima ci viene riproposto un itinerario di risurrezione.
Seconda Lettura: Rm 8,8-11.
San Paolo ci ricorda che con il battesimo siamo stati sottratti al potere di Satana e non siamo più « sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi », per cui se non abbiamo lo Spirito di Cristo non apparteniamo a lui. Cristo in noi ci fa morire alle opere del corpo, ma il suo Spirito ci dà la vita e la giustizia di Dio. Se dunque abbiamo in noi lo Spirito che ha fatto risorgere Gesù dai morti, il Padre celeste « darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in noi ».
Lo Spirito Santo di Dio che ci viene dato nell’intimo: « abita in noi », dice san Paolo, e ci fa appartenere a Cristo. Essere in grazia e nella comunione in Cristo vuol dire avere il suo Spirito. Da qui la speranza della risurrezione, a dispetto della mortalità ancora attuale del nostro corpo. Chi ha risuscitato Cristo, risusciterà anche noi, ci renderà conformi a lui nel suo stato glorioso. La fede, oltre le apparenze, ci fa percepire questa straordinaria condizione cristiana e ci fa sperare in una vita trasformata e migliore..
Vangelo: Gv 11,1-45.
Gesù dopo essersi presentato come il Buon Pastore, per non essere lapidato, si allontana da Gerusalemme, ma viene raggiunto dalla notizia della malattia grave del suo amico Lazzaro, fratello di Marta e Maria di Betania. Gesù si prende cura della loro sofferenza e, anche se non andrà subito a Betania, vi si reca per compiere qualcosa di più grande che la semplice guarigione dalla malattia dell’amico, pur sapendo che la risurrezione di Lazzaro indurrà i suoi nemici alla decisione di ucciderlo, confermando così le sue parole che « il buon Pastore dà la vita per le sue pecore » (Gv 10,11). Così, se la morte dell’amico rimanda alla sua morte e la risurrezione di Lazzaro alla sua risurrezione, la vita a cui è riportato l’amico rimanda alla sua missione di dare la sua vita di Pastore per gli uomini: « Io dò loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano » ( Gv 10,28).
Dopo due giorni dall’aver appreso la notizia della malattia dell’amico, Gesù dice ai discepoli: « Andiamo di nuovo in Giudea !». E poiché i discepoli lo dissuadono di andarvi dicendo che i Giudei cercavano di lapidarlo, Gesù, rivolgendosi loro, dice: « Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo ». Avendo essi capito che Lazzaro si sarebbe salvato, Gesù apertamente dice: « Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui! ».
Alla notizia dell’arrivo di Gesù, Marta gli corre incontro e, rivolgendosi a Gesù, gli dice: « Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà ». E Gesù le dice: « Tuo fratello risorgerà ». Marta professa dapprima la sua fede nella risurrezione escatologica, ma dopo che Gesù le dice: « Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo? » (Gv 11,25-26), ella precisa la sua fede in lui e, dopo aver risposto : «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo »( Gv 11,27), corre a chiamare la sorella Maria, compiendo così la sua missione di discepola che crede e testimonia.
Quando Maria, insieme ai Giudei che erano in casa per consolarla, giungono dove si trova Gesù, gettandosi ai suoi piedi, gli dice: « Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! ». Gesù allora, vedendo piangere lei e coloro che sono accorsi con lei, si commuove profondamente e, turbato, domanda dove l’hanno posto. Al loro invito di andare a vedere Gesù scoppia in pianto, suscitando nei presenti l’esclamazione: « Guarda come l’amava! ». Giunti intanto al sepolcro, alla richiesta di Gesù di rimuovere la pietra che era posta davanti all’ingresso, Marta gli dice: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni ». Ma Gesù la rassicura dicendole che se crede vedrà la gloria di Dio. Tolta la pietra, dopo una breve preghiera di Gesù al Padre, ringraziandolo perché sempre lo ha ascoltato, grida a gran voce: « Lazzaro, vieni fuori! ». All’apparire del morto, che viene fuori avvolto dal sudario e legato con bende, dice ai presenti: « Liberatelo e lasciatelo andare ». Conclude l’evangelista che molti dei Giudei, venuti da Marta e Maria, vedendo ciò credettero in lui.
La risurrezione di Lazzaro, ultimo segno, il più eccellente, il più evidente della sua identità: « Io sono la risurrezione e la vita », è un segno, un presagio di quanto avverrà per ciascuno di noi, quando saremo richiamati non tanto a un altro tratto di esistenza terrena, ma a quella celeste.
Gesù, per il suo amore, libera dalla morte coloro che si lasciano salvare da lui e gli sono fedeli.
Questa fedeltà a lui si manifesta innanzitutto nell’essere partecipi attraverso il battesimo « alla passione redentrice » di Gesù, morire come muore un seme; poi, nel tempo della sequela terrena, essere continuamente rinnovati nella vita nuova di grazia dalla forza dello Spirito che viene dall'Eucaristia; e infine divenire partecipi della sua gloriosa risurrezione nel cielo.
Così, alle soglie della Veglia Pasquale, richiamati di nuovo alla realtà battesimale, evento di grazia con il quale Dio ci ha fatto il dono di passare dalla morte del peccato alla sua vita divina e, innestati in Cristo, che si fa compagno compassionevole della nostra miseria, il Signore ci perdona ogni colpa. In una vita rinnovata continuamente dallo Spirito, siamo in cammino verso la vita eterna e alla risurrezione alla fine dei tempi.
Lazzaro immagine dell’umanità peccatrice.
Ciò che compie Gesù per l’amico Lazzaro rappresenta per l’umanità, che sta sotto il regime della schiavitù del peccato come nella morte, la promessa di risurrezione per coloro che credono in lui, che ha il potere sulla morte
L’onnipotenza di Dio viene in soccorso alla fragilità, al dolore umano e se, con i nostri peccati e debolezze, ci affidiamo a Dio, egli, da parte sua, ci libera dal dominio della morte.
Gesù sente tutta l’amarezza per la realtà della morte che colpisce tutti e la condivide, giungendo a piangere con coloro che piangono lo strappo di una persona amata. Ma la fede nella nostra risurrezione, come lo è stato per Cristo, dev’essere più forte del pianto: perché è superata la morte definitivamente. Allora neppure questa, che ancora ci prende, può indurci alla disperazione: « Io sono la risurrezione e la vita. Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno ». E’ tutto qui: essere in comunione con Gesù mediante la fede, che è il vincolo che ci lega a lui, ed è il passaggio, nello Spirito, ad una vita in Dio Padre, per l’eternità, come è stato per Gesù.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:02)
Gesu’ luce del mondo. e a condannarle
22MARZO - IV. DOMENICA DI. QUARESIMA.
Dio Padre in Gesu’ tende la mano all’uomo, che cosi’ e’ messo nella possibilita’ di afferrarla. Sta alla liberta’ dell’ uomo volerla. Come il cieco nato guarito da Gesu’ anche noi siamo raggiunti dalla grazia di Dio, ma siamo disponibili a farci illuminare da lui, per crescere in una fede matura?
San Paolo scrive agli Efesini e, illustrando loro la nuova idendita’ derivata dal battesimo, poiche’ dalle tenebre di prima sono passati alla luce del Signore, li esorta a camminare nella luce di Cristo, che guarisce e giudica. Infatti « Tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce » ( Ef 5,13).
La guarigione del cieco nato, la cui cecita’ non deriva da nessun peccato, ne’ personale ne’ dei suoi genitori, e’ simbolo di una condizione di cecita’ spirituale di tutta l’umanita’: la situazione del peccatore che ritiene di essere nella luce.
Gesu’ passa, vede il cieco e di sua iniziativa gli fa la grazia della vista. Cosi’ compiendo il gesto del fango spalmato sugli occhi, che rimanda all’evento della creazione, gli ripristina l’opera divina della creazione e, attraverso la terra, la saliva del Figlio di Dio e l’acqua, ricrea il cieco ridandogli la vista, sia nel corpo che dello spirito attraverso la fede.
Inviandolo a lavarsi alla piscina di Siloe, egli chiede al cieco la collaborazione all’evento della sua guarigione, cosi’ come nel battesimo, in cui Dio ci fa dono della sua grazia, frutto della sua benevolenza, ci ricrea e chiede all’uomo di corrispondere al suo dono con una vita illuminata dalla sua luce.
Nella Colletta di questa Domenica preghiamo dicendo: « O Dio, Padre della luce, tu vedi le profondita’ del nostro cuore: non permettere che ci domini il potere della tenebre, ma apri i nostri occhi con la grazia del tuo Spirito, perche’ vediamo colui che hai mandato a illuminare il mondo, e crediamo in lui solo, Gesu’ Cristo, tuo Figlio, nostro Signore ».
PrimaLettura: 1 Sam 16,1-4.6-7.10-13.
Dio, in tutte le sue iniziative, non si lascia impressionare dall’ esteriorita’: per lui « Non conta quel che vede l’uomo. L’ uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore ». Egli per realizzare i suoi disegni sceglie chi e’ umuli, chi ha consapevolezza della sua poverta’ r che, confidando in lui, si affida alle mani del Signore. Non tanto i nostri meriti devono risaltare, quanto la potenza della sua grazia. Per questo Dio mands da Iesse, il Betlemmita, il Profeta Samuele che, passati in rassegna tutti i suoi figli presenti in casa, e dpo aver chiesto se tutti fossero presenti, alla risposta di Iesse che mancava il piu’ piccolo, gli dice fi mandarlo a prendere, perche’ non si sarebbero messi a tavola se non fossero stati tutti. Vedendo venire il giovane Davide, che era « fulvo, con begli occhi e bello di aspetto » il Signore dice a Samuele:« Alzati e ungilo: e’ lui!». Il profeta allora « prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli e lo Sprito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi ». Cosi’ Dio scegliera’Maria, che si proclama l’ umile ancella del Signore, per adempiere il sui disegno di salvezza. E Gesu’ dira’ che gli umili saranno esaltati mentre i superbi saranno abbassati: l’orgoglio e la superbia sono rigettati e’ “ primo “ e’ chi si fa ultimo per amore.
Seconda Lettura Ef 5,8-14.
San Paolo esorta gli Efesini, diventati dalle tenebre luce nel Signore, a comportarsi come figli della luce, compiendo frutti di bonta’, di giustizia e verita’; a non partecipare alle opere delle tenebre e a condannarle apertamente e cercando di capire cio’ che e’ gradito al Signore.
La condotta di in cristiano deve essere totalmente limpida da non avere nulla da coprire e da nascondere e di cui vergognarsi, non cercando la complicita’ delle tenebre per non essere visti del male che si compie. Quella dei cristiani e’ una vita nuova. In Quaresima dobbiamo spesso esaminare la nostra condotta alla luce del Vangelo, di scandagliare i luoghi piu’ segreti della coscienza, le intenzioni piu’ recondite che ci spingono nelle scelte quotidiane, che firse non riveliamo neanche a noi stessi, spinti da una istintiva paura.Paoloesorta quindi dicendo ad ognuno: « Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminera ».
Vangelo: Gv 9,1-41
Gesu’ , ai suoi discepoli che lo interrogano, vedendo un cieco dalla nascita, se abbia peccato lui o i suoi genitori, risponde: « Ne’ lui ha peccato ne’ i suoi genitori, ma e’ perché’ in lui siano manifestate le opere di Dio »: egli infatti e’ venuto per compiere le opere di colui che lo ha mandato... « Finché’ sono nel mondo , sono la luce del mondo ». Così’ dopo aver fatto con la saliva e un po’ di terra del fango, spalmandoglielo sugli occhi, gli intima di andarci a lavar nella piscina di Siloe. E quegli va e torna guarito, che ci vede.
L’evento della guarigione operata da Gesù’ suscita discussioni e interrogativi: nei vicini, ai quali, riconoscendo colui che chiedeva l’elemosina perché’ cieco e si domandavano se e’ lui o no, dice quello che gli ha fatto colui che si chiama Gesù’; nei farisei, davanti ai quali portano il cieco guarito, a cui chiedono come abbia riacquistato la vista. Egli allora risponde loro:« Mi ha messo del fango negli occhi, mi sono lavato e ci vedo ». Allora alcuni dei farisei dicono che Gesu’non viene da Dio perché’ in osserva il sabato, altri si chiedono come un peccatore possa compiere segni di quel genere. Di nuovo o chiedono al cieco:« Tu cosa dici di lui dal momento che ti ha aperto gli occhi? ». I farisei davanti alla risposta del guarito che dice:« E’ un profeta! » e non credendo che sia stato cieco e che abbia riacquistato la vista, chiamano i genitori del guarito e li interrogano sulla cecità’ del figlio e come ora ci veda. Poiché’ essi rispondono che e’ nato cieco, ma non sanno come ora ci veda e non conoscono chi gli ha ridato la vista, dicono, per paura, di chiederlo a lui, che ha la sua età’.
Richiamato il cieco guarito gli dicono: « Da gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo e’ un peccatore ». E quello risponde: « Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo ». Avendogli chiesto i farisei di ridire come come aveva avuto la vista, risponde loro:« Ve lo già’ detto e non mi avete ascoltato; perché’ volete udirlo di nuovo ? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli? ». Sentendosi insultati ribattono che essi sono discepoli di Mose’ a cui Dio ha parlato; mentre di Gesù’ , che lo ha guarito, non sanno di dove sia. Il cieco guarito allora risponde: « Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori , ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà’ , egli lo ascolta. Da che mondo e’ mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».
Così’, irritati da questa risposta, dicono : « Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi? ». E lo cacciarono fuori dalla sinagoga.
Dopo questi fatti, Gesù’ lo incontra e gli chiede: «Tu credi nel Figlio dell’ Uomo? ». Egli risponde: « E chi e’, Signore, perché’ io creda in lui? Gli dice Gesù’: « Lo hai visto: e’ colui che parla con te ». E il guarito dice: « Credo, Signore!». E si prostra dinanzi a lui.
Ai farisei astanti Gesù’ dice che e’ venuto in questo mondo perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono diventino ciechi. Essi dico a Gesù: « Siamo ciechi anche noi? ». E Gesù conclude:« Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
I farisei esperti in cose religiose, che vogliono conferme ai loro pregiudizi manifestando un‘ostilità di fondo nei confronti di Gesù, il quale non rispetterebbe il sabato avendo guarito il cieco, non comprendono che il Sabato è il giorno del compimento della creazione e che il miracolo della ti-creazione compiuto da Gesù ne e’ conferma, non trasgressione. I farisei si pongono sempre più in at- teggiamento di giudizio nei confronti di Gesù.
Per il cieco guarito, rispondere alle domande dei farisei e’ il modo con cui può dare testimonianza e crescere nella fede in Gesù , ritenendolo dapprima come profeta e, poiché gli ha aperto gli occhi, riconoscere che in lui opera Dio, diversamente dai farisei che ritengono Gesù peccatore, perché viola il sabato.
Gesù da inquisito, si trasforma in giudice, perché il suo miracolo ha diviso i presenti tra coloro che credono e coloro che non credono. Rivolgendosi ai farisei che credono di vedere dice che sono che sono ciechi, mentre ricevono la vista coloro che sono ciechi e chiedono di vedere, come il cieco nato guarito. Gesù conclude dicendo: « Se foste ciechi, non avreste nessun peccato, ma siccome dite:” Noi vediamo”, il vostro peccato rimane ».
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 17:01)
Gesù, come alla Samaritana, anche a noi dona l'acqua del suo Spirito.
15 – MARZO - III DOMENICA DI QUARESIMA
Cristo, fonte di acqua viva.
In un mondo pervaso dal peccato e dalle divisione Gesù annunzia la salvezza. Nella incapacità ad essere fedele a Dio e ai valori profondi dell’uomo, la nostra umanità è divisa da appartenenza etniche, religiose e siamo, nella nostra debolezza, invasi dalla sfiducia. Cristo, davanti al peccato dell’uomo, che nella Samaritana ha un prototipo, rivolge verso di lui in suo amore, per renderlo capace di amare Dio e di adorarlo in spirito e verità. Cristo, in questa Quaresima ci chiama a fare un cammino di conversione e non ci abbandona alla solitudine della nostra colpa. Ci offre la sua misericordia, come un giorno alla Samaritana ha offerto l’ acqua che purifica e rigenera, cioè lo Spirito Santo, che sarebbe scaturito dal suo fianco aperto sulla croce.
L’acqua, come simbolo ambivalente, nella Bibbia, se nel diluvio è stata simbolo apportatrice di morte, solitamente è considerata come il simbolo della vita, della Parola di Dio, della Legge, dello Spirito Santo.
Gesù ancora adesso elargisce « all’umanità riarsa l’acqua viva della grazia », così noi diventiamo « tempio vivo » dell’amore di Dio. Il cammino della conversione, della ripresa interiore, della riparazione della colpa passa attraverso il digiuno, la preghiera e le opere della carità fraterna. Su questa strada – quando non si limita ad essere proclamata nella liturgia, ma diventa esperienza concreta di vita – viene vinto il nostro egoismo e infranta « la durezza della mente e del cuore ».
Nella Colletta di questa eucaristia domenicale preghiamo Dio dicendo: « O Dio, sorgente della vita, tu offri all’umanità riarsa dalla sete l’acqua viva della grazia che scaturisce dalla roccia, Cristo salvatore, concedi al tuo popolo il dono dello Spirito, perché sappia professare con forza la sua fede, e annunzi con gioia le meraviglie del tuo amore ».
Prima Lettura: Es 17,3-7
Gli ebrei, di fronte ai disagi del deserto, presi dalla sfiducia in Mosè, mormorano e contestano Mosè, e di conseguenza Dio stesso. Così più che riconoscere che l’esodo sia stato una grazia lo ritengono un gesto irresponsabile:« Perché ci ha fatti salire dall’Egitto per farci morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame? ». Dio, davanti alle lamentele di Mosè che gridò al Signore dicendo: « Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno », placa la protesta e comanda a Mosè di passare davanti al popolo con alcuni anziani, e con il bastone in mano, come aveva percosso il Nilo, percuotere la roccia sull’Oreb. Così con l’acqua che scaturisce dalla roccia, segno della sua presenza in mezzo al popolo liberato, soddisfa la loro sete..
Anche noi, in certi momenti bui e tristi della vita, ci sentiamo come gli ebrei, quando pare che Dio ci abbia abbandonato e non ci viene incontro nelle necessità.. Allora ricordandoci dell’esempio di Gesù nel deserto e della sua fiducia nella Parola di Dio, del suo consenso alla volontà del Padre, possiamo anche noi abbandonarci a Dio e certamente Egli ci verrà incontro.
Seconda Lettura : Rm 5,1-2.5-8.
San Paolo ci ricorda che, essendo per fede giustificati da Dio, siamo in pace con lui per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo e, avendo pure accesso alla sua grazia, siamo saldi nella speranza della gloria di Dio. Mentre, infatti, eravamo ancora deboli Cristo è morto per gli empi e, se « Ora, si trova a stento qualcuno disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona », Dio dimostra il suo amore per gli uomini, perché per mezzo di Gesù, suo Figlio che muore sulla croce per noi peccatori, ci ha riconciliati con sé e giustificati. Di fronte a un amore così grande, che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo non dobbiamo lasciare spazio ad alcun timore. In questo amore incondizionato di Dio per noi, la nostra speranza ha un fondamento incrollabile e non potrà andare incontro a delusione.
Questa è la condizione del cristiano. Spesso, non ce ne rendiamo conto, e allora conduciamo un’esistenza inquieta, insoddisfatta e superficiale.
Vangelo : Gv 4,5-42.
Gesù, in cammino verso la Samaria, stanco, sì per il viaggio, ma soprattutto per il lavoro apostolico, si siede al pozzo di Giacobbe, dove attende la donna Samaritana, a cui chiede da bere. Egli, però, non ha sete tanto di acqua, quanto della salvezza della donna, a cui promette di dare lui dell’acqua.
E così, via via che la donna samaritana si libera della sua diffidenza verso il Giudeo Gesù, le appare il mistero di Cristo, che non è più lo straniero e il nemico che chiede da bere, ma come colui che è il « pozzo dell’acqua viva », che dona lo Spirito. Essa, allora, assetata, gli chiede: « Signore, dammi di quest’acqua, perché io non abbia più sete »( Gv 4,15). E Gesù, per la donna, a conclusione del colloquio, non è tanto un profeta che dice che Dio va adorato in spirito e verità, ma è il Messia stesso, che le ha rivelato tutta la sua vita passata. E’ per la Samaritana la scoperta, che anche noi siamo chiamati a fare, del Cristo, « sorgente dello Spirito che lava le colpe, soddisfa il cuore; Messia al quale ci associamo per dedicarci al Padre con un amore rinnovato dallo Spirito Santo »..
La donna, dopo aver trovato la vera acqua, si fa missionaria verso i suoi concittadini: lascia l’anfora con cui attingeva l’acqua materiale, per avere quella che Gesù le dà e che le estingue la sete, e, andando a chiamare gli altri, desidera che anche questi siano dissetati dalla medesima acqua.
Se inizialmente i samaritani vogliono conoscere Gesù per le parole della donna, a cui Gesù aveva detto il suo passato, quando incontrano Gesù anch’essi restano ammirati, lo invitano a restare con loro, e le dicono: « Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo ».
La ricerca spirituale di Dio porta con sé la scoperta della propria umanità nella sua fragilità, per cui solo così ci si può aprire ad accogliere la salvezza, che estingue la fame e la sete di Dio, come scrive Isaia: « Non li colpirà più né la fame né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua »( Is 49-10)
Nel deserto dell’esistenza, in cui sperimentiamo la fame e la sete di gioia, di pienezza di vita, di valori perenni e di ricerca di Dio, se la testimonianza dei cristiani può stimolare altri ad andare a Lui, solo con l’esperienza diretta di Dio e sostando con Gesù si può estinguere la sete di Lui, si può giungere alla professione di fede e dire come i samaritani: « E’ veramente il salvatore del mondo »
Anche Gesù ha sete, causata dalla sua missione per la salvezza dell'umanità e per cui assume la natura umana: così nel massimo della sua rivelazione, nell’ora della prova, della sofferenza e della croce, dirà ancora una volta: « Ho sete» (Gv 19,28).
Gesù prende su di sé la sete della Samaritana e di tutto l’uomo , la sua lontananza da Dio, il suo peccato e la stessa ricerca di Dio. Egli non è venuto per giudicare o condannare l’uomo, ma indica a tutti che la ricerca di Dio non può che passare attraverso il riconoscimento doloroso della propria fragilità e del proprio peccato.
Gesù, come alla Samaritana, anche a noi dona l'acqua del suo Spirito.
15 – MARZO - III DOMENICA DI QUARESIMA
Cristo, fonte di acqua viva.
In un mondo pervaso dal peccato e dalle divisione Gesù annunzia la salvezza. Nella incapacità ad essere fedele a Dio e ai valori profondi dell’uomo, la nostra umanità è divisa da appartenenza etniche, religiose e siamo, nella nostra debolezza, invasi dalla sfiducia. Cristo, davanti al peccato dell’uomo, che nella Samaritana ha un prototipo, rivolge verso di lui in suo amore, per renderlo capace di amare Dio e di adorarlo in spirito e verità. Cristo, in questa Quaresima ci chiama a fare un cammino di conversione e non ci abbandona alla solitudine della nostra colpa. Ci offre la sua misericordia, come un giorno alla Samaritana ha offerto l’ acqua che purifica e rigenera, cioè lo Spirito Santo, che sarebbe scaturito dal suo fianco aperto sulla croce.
L’acqua, come simbolo ambivalente, nella Bibbia, se nel diluvio è stata simbolo apportatrice di morte, solitamente è considerata come il simbolo della vita, della Parola di Dio, della Legge, dello Spirito Santo.
Gesù ancora adesso elargisce « all’umanità riarsa l’acqua viva della grazia », così noi diventiamo « tempio vivo » dell’amore di Dio. Il cammino della conversione, della ripresa interiore, della riparazione della colpa passa attraverso il digiuno, la preghiera e le opere della carità fraterna. Su questa strada – quando non si limita ad essere proclamata nella liturgia, ma diventa esperienza concreta di vita – viene vinto il nostro egoismo e infranta « la durezza della mente e del cuore ».
Nella Colletta di questa eucaristia domenicale preghiamo Dio dicendo: « O Dio, sorgente della vita, tu offri all’umanità riarsa dalla sete l’acqua viva della grazia che scaturisce dalla roccia, Cristo salvatore, concedi al tuo popolo il dono dello Spirito, perché sappia professare con forza la sua fede, e annunzi con gioia le meraviglie del tuo amore ».
Prima Lettura: Es 17,3-7
Gli ebrei, di fronte ai disagi del deserto, presi dalla sfiducia in Mosè, mormorano e contestano Mosè, e di conseguenza Dio stesso. Così più che riconoscere che l’esodo sia stato una grazia lo ritengono un gesto irresponsabile:« Perché ci ha fatti salire dall’Egitto per farci morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame? ». Dio, davanti alle lamentele di Mosè che gridò al Signore dicendo: « Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno », placa la protesta e comanda a Mosè di passare davanti al popolo con alcuni anziani, e con il bastone in mano, come aveva percosso il Nilo, percuotere la roccia sull’Oreb. Così con l’acqua che scaturisce dalla roccia, segno della sua presenza in mezzo al popolo liberato, soddisfa la loro sete..
Anche noi, in certi momenti bui e tristi della vita, ci sentiamo come gli ebrei, quando pare che Dio ci abbia abbandonato e non ci viene incontro nelle necessità.. Allora ricordandoci dell’esempio di Gesù nel deserto e della sua fiducia nella Parola di Dio, del suo consenso alla volontà del Padre, possiamo anche noi abbandonarci a Dio e certamente Egli ci verrà incontro.
Seconda Lettura : Rm 5,1-2.5-8.
San Paolo ci ricorda che, essendo per fede giustificati da Dio, siamo in pace con lui per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo e, avendo pure accesso alla sua grazia, siamo saldi nella speranza della gloria di Dio. Mentre, infatti, eravamo ancora deboli Cristo è morto per gli empi e, se « Ora, si trova a stento qualcuno disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona », Dio dimostra il suo amore per gli uomini, perché per mezzo di Gesù, suo Figlio che muore sulla croce per noi peccatori, ci ha riconciliati con sé e giustificati. Di fronte a un amore così grande, che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo non dobbiamo lasciare spazio ad alcun timore. In questo amore incondizionato di Dio per noi, la nostra speranza ha un fondamento incrollabile e non potrà andare incontro a delusione.
Questa è la condizione del cristiano. Spesso, non ce ne rendiamo conto, e allora conduciamo un’esistenza inquieta, insoddisfatta e superficiale.
Vangelo : Gv 4,5-42.
Gesù, in cammino verso la Samaria, stanco, sì per il viaggio, ma soprattutto per il lavoro apostolico, si siede al pozzo di Giacobbe, dove attende la donna Samaritana, a cui chiede da bere. Egli, però, non ha sete tanto di acqua, quanto della salvezza della donna, a cui promette di dare lui dell’acqua.
E così, via via che la donna samaritana si libera della sua diffidenza verso il Giudeo Gesù, le appare il mistero di Cristo, che non è più lo straniero e il nemico che chiede da bere, ma come colui che è il « pozzo dell’acqua viva », che dona lo Spirito. Essa, allora, assetata, gli chiede: « Signore, dammi di quest’acqua, perché io non abbia più sete »( Gv 4,15). E Gesù, per la donna, a conclusione del colloquio, non è tanto un profeta che dice che Dio va adorato in spirito e verità, ma è il Messia stesso, che le ha rivelato tutta la sua vita passata. E’ per la Samaritana la scoperta, che anche noi siamo chiamati a fare, del Cristo, « sorgente dello Spirito che lava le colpe, soddisfa il cuore; Messia al quale ci associamo per dedicarci al Padre con un amore rinnovato dallo Spirito Santo »..
La donna, dopo aver trovato la vera acqua, si fa missionaria verso i suoi concittadini: lascia l’anfora con cui attingeva l’acqua materiale, per avere quella che Gesù le dà e che le estingue la sete, e, andando a chiamare gli altri, desidera che anche questi siano dissetati dalla medesima acqua.
Se inizialmente i samaritani vogliono conoscere Gesù per le parole della donna, a cui Gesù aveva detto il suo passato, quando incontrano Gesù anch’essi restano ammirati, lo invitano a restare con loro, e le dicono: « Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo ».
La ricerca spirituale di Dio porta con sé la scoperta della propria umanità nella sua fragilità, per cui solo così ci si può aprire ad accogliere la salvezza, che estingue la fame e la sete di Dio, come scrive Isaia: « Non li colpirà più né la fame né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua »( Is 49-10)
Nel deserto dell’esistenza, in cui sperimentiamo la fame e la sete di gioia, di pienezza di vita, di valori perenni e di ricerca di Dio, se la testimonianza dei cristiani può stimolare altri ad andare a Lui, solo con l’esperienza diretta di Dio e sostando con Gesù si può estinguere la sete di Lui, si può giungere alla professione di fede e dire come i samaritani: « E’ veramente il salvatore del mondo »
Anche Gesù ha sete, causata dalla sua missione per la salvezza dell'umanità e per cui assume la natura umana: così nel massimo della sua rivelazione, nell’ora della prova, della sofferenza e della croce, dirà ancora una volta: « Ho sete» (Gv 19,28).
Gesù prende su di sé la sete della Samaritana e di tutto l’uomo , la sua lontananza da Dio, il suo peccato e la stessa ricerca di Dio. Egli non è venuto per giudicare o condannare l’uomo, ma indica a tutti che la ricerca di Dio non può che passare attraverso il riconoscimento doloroso della propria fragilità e del proprio peccato.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2020 16:59)