





NELLA COMUNIONE CON DIO ATTENDIAMO NELLA SPERANZA CONSOLAZIONE E PACE, NEL TEMPO E NELL'ETERNITÀ
6 LUGLIO - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
NELLA COMUNIONE CON DIO ATTENDIAMO NELLA SPERANZA CONSOLAZIONE E PACE
NEL TEMPO E NELL'ETERNITÀ.
Dio parla agli uomini con i profeti e soprattutto con il suo Figlio. Nella orazione di oggi preghiamo dicendo:« Dio di consolazione e di pace, che chiami alla comunione con te tutti i viventi, fa’ che la Chiesa annunci la venuta del tuo regno confidando solo nella forza del Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Chiediamo al Padre di poter riconoscere in Gesù che si umilia, facendosi obbediente al Padre, la sua gloria e nelle nostre infermità possiamo essere sostenuti dalla speranza e della forza della sua risurrezione. Liberati dall’oppressione della colpa, per la potenza della croce di Gesù, dobbiamo conformarci a lui crocifisso nella sua umiliazione, sgombrando il nostro cuore da tutto ciò che non ci rende poveri ed esultanti. Liberi dall’attaccamento a noi stessi portiamo, anche in mezzo alle infermità umane, la testimonianza della gioia pasquale della risurrezione.
Prima Lettura: Is 66,10-14.
Il Signore per bocca del profeta invita gli esiliati in Babilonia a rallegrarsi, esultare e sfavillare di gioia per Gerusalemme. Potranno così essere allattati, saziarsi al suo seno delle sue consolazioni, succhiare e deliziarsi della sua gloria, perché il Signore, dice il profeta, farà scorrere verso di essa, come un fiume, la pace e la gloria delle genti. « Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati ». Saranno a Gerusalemme consolati dal Signore, come una madre consola il suo figlio, vedranno il Signore, il loro cuore gioirà e le loro ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi.
Il Signore, per mezzo del profeta, annunzia quindi un’era nuova di pace, di consolazione, perché cesserà l’esilio e vi sarà la liberazione: Dio, che conduce la storia di Israele, non è bloccato da nessuna forza umana, ma la parola del profeta, al di là dell’evento storico dell’esilio, presagisce la venuta del Messia, di Cristo, il liberatore.
Seconda Lettura: Gal 6,14-18.
Paolo scrive ai Gàlati dicendo che per lui non vi altro vanto che nella croce di Cristo, per mezzo della quale il mondo per lui è stato crocifisso e lui per il mondo. Nella morte e risurrezione del Signore gli uomini possono diventare nuove creature, perché non conta più la circoncisione o la non circoncisio-ne. Così, sia per quelli che credono nella morte redentrice del Signore, sia su tutto l’Israele di Dio sia pace e misericordia. Augurando ai Galati, infine, che la grazia del Signore Gesù sia con il loro spirito, dice che nessuno, sia dei connazionali sia dei pagani, può dargli fastidio, perché egli porta nel suo corpo le stigmate di Gesù Cristo.
L’essere nuove creature in Cristo crocifisso significa confidare solo sulla grazia che è sgorgata dalla sua morte e non nei propri meriti e virtù. Ad imitazione di Gesù, il cristiano, come diceva Paolo di sé, è un crocifisso: la salvezza dell’uomo, realizzazione della regalità di Dio, passa attraverso la croce, perché da essa viene la pace, la riconciliazione dell’umanità con Dio e l’abbondanza della sua misericordia. Nella vita, imitando Cristo, dobbiamo portare anche noi le « stigmate di Gesù », nella fedeltà al Vangelo e alle opere compiute in conformità alla volontà di Dio.
Vangelo: Lc 10,1-12.17-20.
Gesù, inviando avanti a sé a due a due i discepoli dove stava per recarsi, diceva: « La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe !». Li manda come agnelli in mezzo ai lupi e non devono portare né borsa, né sacca, né sandali e non devono fermarsi a salutare nessuno. Entrando nelle case devono augurare la pace che, se sarà accolta, scenderà in esse perché vi saranno figli della pace.
Se accolti, dovranno restare nelle case mangiando e bevendo di quello che si ha, perché si ha diritto alla ricompensa. Devono, ancora, nelle città dove vengono accolti, guarire i malati e annunziare che è “Vicino a voi il regno di Dio”. Nelle città dove non si sarà accolti, bisogna scuotere la povere che si è attaccata ai loro piedi, dicendo: « Sappiate, però, che il regno di Dio è vicino », perché nel giorno del giudizio, Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città. Di ritorno, i settantadue dicono al Signore: « Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome ». E Gesù:« Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi! Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Poiché il Regno di Dio, la redenzione è vicina, Gesù invia i discepoli ad annunziare al mondo la pace, la consolazione. Le caratteristiche che accompagnano il discepolo devono essere la povertà, la fiducia, l’austerità, facendo affidamento sulla forza di Cristo che libera dalle malattie e preoccupato solo di annunziare la salvezza. Chi non accogliesse o rifiutasse questo annunzio di salvezza incorrerebbe nella condanna, perché si rifiuterebbe la grazia e il giudizio di Dio incomberebbe su di lui, che sarebbe trattato più duramente degli abitanti di Sodoma, in cui non sono stati compiuti i segni che sono stati compiuti da Cristo e dai suoi discepoli.À
SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO.
29 GIUGNO 2025: SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI
PIETRO E PAOLO.
In questa XII Domenica la Chiesa celebra la solennità dei Santi Pietro e Paolo, coloro che sono due grandi colonne della fede cattolica. Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia chiediamo al Signore: « O Dio, che ci doni la grande gioia di celebrare in questo giorno la solennità dei santi Pietro e Paolo, fa’ che la tua Chiesa segua sempre l’insegnamento degli apostoli, dai quali ha ricevuto il primo annunzio della fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo… »
Gli apostoli Pietro e Paolo, con i loro scritti, ma soprattutto con la testimonianza della loro vita, avvalorata con il martirio sostenuto per Cristo, oggi vengono onorati insieme. Entrambi sono , pur per vie diverse, Pietro con la chiamata diretta ad essere apostolo lungo la vita terrena di Gesù, Paolo, dopo la risurrezione del Signore, sulla via di Damasco , mandati ad annunziare Cristo Signore, morto e risorto, realizzando la missione che Gesù affidò loro insieme agli altri apostoli, per la salvezza degli uomini
At. 12, 1-12
Leggiamo negli Atti dei Apostoli che Erode, perseguitando i membri della Chiesa e aver fatto uccidere Giacomo, fratello di Giovanni, fa arrestare Pietro, che messo in prigione e custodito scrupolosamente in carcere, viene liberato miracolosamente per le preghiere che la Chiesa eleva a Dio. L’angelo invita Pietro ad alzarsi, a vestirsi e a seguirlo in fretta, anche se egli non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo. Oltrepassando le guardie, anche la porta di ferro si aprì, mentre nel frattempo l’angelo si allontanò da lui.
Il Signore non abbandona Pietro e mediante il suo angelo lo libera avendogli il Signore promesso la sua assistenza. L’apostolo è arrestato perché discepolo, ma viene liberato dalla schiavitù del male. Anche la Chiesa, nelle vicende della sua storia dovrà ripetere come Pietro la sua professione di fede nel Cristo e confidare in lui, suo Signore.
Seconda lettura: 2Tm 4,6-8.17-18.
Paolo, riguardando, alla fine della sua vita. le vicende del suo passato, posseduto da Cristo che, sulla via di Damasco, lo ha chiamato ad essere suo discepolo, dice che egli sta per essere versato in offerta perché è giunto in momento che « egli lasci questa vita », in cui ha combattuto la buona battaglia, terminando così la sua corsa, avendo conservato la fede nel Signore, pur attraverso tempeste e ansietà della vita, pericoli per terra e per mare, ostacoli, lotte, persecuzioni, confronti aspri, discussioni dottrinali (riguardo alla risurrezione del Signore, ecc. tanto che scrive di essere stato liberato dalla bocca del leone. In ultimo, come un atleta, soffre per la tensione per la vittoria, effondendo tutte le sue energie per conseguire la corona di giustizia, che non appassisce, da parte del Suo Signore Gesù, per il quale ha speso tutta la sua vita.
Vangelo: Mt 16,13-19.
In questo brano del Vangelo, Gesù, giunto a Cesarea di Filippo, chiede ai discepoli di dire cosa la gente pensa del Figlio dell’Uomo. Dopo le varie risposte di essere, per la gente, Giovanni il Battista, Elia, Geremia o un qualche profeta, Gesù chiede espressamente ai discepoli chi egli sia per loro. Pietro risponde « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Gesù gli dice: « Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli ».
Gesù allora cambiandogli il nome gli dice: « Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa ». Cambiandogli il nome, Gesù gli cambia anche il destino. Perché non sarà più pescatore di pesci, ma di uomini e diviene anche roccia sulla quale Gesù getta le basi dell’edificio della Chiesa, di cui, però , egli sarà la pietra angolare, esprimendo così un vincolo di partecipazione in tale costituzione. Gesù continua:« A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto quello che scioglierai sulla terra sarà sciolto dei cieli ». Le chiavi sono il simbolo di responsabilità e dominio su di essa. Sono immagine efficace della potestà che Cristo trasmette a Pietro: Cristo è il fondatore e il sovrano del regno che egli costituisce, ma il responsabile immediato, nelle vicende storiche della Chiesa è Pietro e i suoi successori che deve esercitare il potere in modo delegato.
Il simbolo del legare e sciogliere è riferito al potere di permettere e proibire nell’ambito degli insegnamenti che riguardano la dottrina di fede e della vita morale. L’apostolo Pietro, in comunione con il collegio apostolico è chiamato ad insegnare, evangelizzare e decidere sulle qualità morali delle scelte umane alla luce della fede, della Parola di Dio e di Cristo.
TUTTI MANGIARONO A SAZIETA’ ,
23 GIUGNO - SOLENNITA’ DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE.
,Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall'Egitto E averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore, come comunità, non può dimenticare la sua dimensione comunitaria, in cui la fede è vissuta e celebrata, specie nella Eucaristia, che è il « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto. Tale memoriale non è un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore, resa possibile dall’azione dello Spirito Santo che viene invocato. Nella celebrazione dell’Eucaristia noi offriamo il sacrificio della nuova alleanza, viene ripresentato il sacrificio della croce dove Gesù, Agnello senza macchia, s’è offerto. Nell’altare, che è anche la mensa della sua cena, noi vi attingiamo il cibo che ci sostiene lungo il « viaggio della nostra vita », in attesa di essere partecipi del convito eterno del regno celeste.
Attorno all’altare, uniti in « assemblea festosa » a rendere grazie a Dio, ci riconosciamo fratelli, perché il Padre celeste, nel sangue di Cristo, ci ha rigenerati come fratelli e ci ha costituiti come suo popolo, legato nella medesima fede e dall’ identica unità e carità, rappresentate nell’ unico pane e nell’ unico calice. Noi riceviamo nell’Eucaristia lo Spirito, che scaturisce dal Corpo di Cristo, e veniamo purificati da ogni colpa.
Tutto questo deve farci fugare i rischi di considerare la comunità in termini psicologici o ridurla come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, per colmare situazioni compensatorie nelle proprie fragilità: una tale comunità rischierebbe di produrre un gruppo di immaturi che cercano un ovattamento alla vita. Oppure percepire la comunità in termini sociologici, perché l’affermazione conciliare sulla Chiesa, come « popolo di Dio », è da intendersi in maniera teologica non sociologica, costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Infine bisogna evitare un ultimo rischio che è quello di considerare la Comunità come aggregazione per eventi o iniziative di tipo organizzativo, con poco dispendio di energie e con scarsa intensità di comunione spirituale.
Non si può parlare di comunità senza parlare di « comunione » : come relazione spirituale e di amore fraterno, che lega sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti. La comunione trova il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo la prerogativa testé esposta realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che dovesse rimanere dopo la celebrazione della Messa è presenza reale di Cristo, che realizza la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo che è presente nel tabernacolo va quindi la nostra adorazione e il nostro culto.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Signore dicendo: « Signore del cielo e della terra, che ci raduni in festosa assemblea per celebrare il mistero pasquale del Corpo e del Sangue del tuo Figlio, fa’ che nella partecipazione all’unico pane e all’unico calice impariamo a condividere con i fratelli i beni della terra e quelli del cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: Gn 14,18-20.
In questa prima lettura della Genesi viene ricordato il gesto fatto da A bramo che offrì la decima di tutto a Melchisedek, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, e questi, in cambio, offrì pane e vino e lo benedisse dicendo: « Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
Melchisedek, figura misteriosa del Vecchio Testamento, che offre pane e vino a Dio, prefigura e preannunzia l’offerta che farà il vero Sommo Sacerdote, Cristo Gesù, a cui il Padre ha conferito, nel suo ingresso nel mondo, l’incarico di Sommo Sacerdote con queste parole: « Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek ». Cristo così, immolandosi sulla croce, offre se stesso come vittima e, nei segni del banchetto eucaristico, consegna il suo Corpo e il suo Sangue, in sua memoria.
Seconda Lettura: 1 Cor 11,21-26.
San Paolo, trasmettendo ai Corinti quello che ha ricevuto dal Signore, desscrive ciò che fece Gesù nella notte in cui veniva tradito: « Prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, i memoria di me”», e conclude il racconto dicendo che, ogni volta che essi mangiano questo pane e bevono al calice annunziano la morte del Signore, finché egli venga.
Quando Gesù veniva tradito ha consegnato agli apostoli, che l’hanno tramandato alla comunità della Chiesa, l’Eucaristia, cioè ha dato il suo Corpo e il suo Sangue nei segni del pane e del vino, dando anche il comando di ripetere quel gesto in sua memoria. Celebrare l’Eucaristia, Cena del Signore, in ogni tempo e luogo, significa, nella fede, essere stati presenti in quella notte in cui il Signore si offre in sacrificio e si dà come cibo e bevanda di salvezza, e partecipare, così, della nuova ed eterna alleanza, che Dio ha reso possibile nel sacrificio in croce del suo Figlio.
Ancora. Paolo esorta i Corinti a partecipare degnamente all’Eucaristia, da cui deriva l’impegno a fare comunione con i fratelli di fede, perché fare la comunione e poi non vivere nell’amore dei fratelli sarebbe una gravissima incongruenza: l’Eucaristia è il Sacramento in cui l’amore di Dio, manifestato in Cristo, per opera dello Spirito Santo, deve permeare la vita dei discepoli sia nel versante di Dio che in quello dei fratelli.
Vangelo: Lc 9,11b-17.Gesù, dopo aver parlato del Regno di Dio e guarito dei malati, sul far della sera dice ai discepoli di congedare la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne a cercare del cibo. Ma aggiunge: « Voi stessi date loro da mangiare ». Poiché essi rispondono di aver solo cinque pani e due pesci, ben poca cosa per tutta quella folla, a meno che vadano a comprare viveri, Gesù dice agli apostoli: « Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa ». Quando furono tutti seduti, Gesù prende i pani e i pesci, alzando gli occhi al cielo, recita su di essi la benedizione, li spezza e li da ai discepoli perché li distribuiscano alla folla ». Tutti ne mangiano a sazietà e ne raccolgono i pezzi avanzati in dodici ceste.
Gesù invita gli apostoli a dare loro da mangiare, ma essi avvertono che non possono sfamare tutta quella gente. Così Gesù moltiplica quei pochi pani e pesci e, dopo avere reso grazie, li spezza, li fa distribuire e tutti se ne saziano.
Con questo gesto Egli prelude all’Eucaristia, che avrebbe istituito nell’Ultima Cena e affidata al ministero degli apostoli e della Chiesa, con cui avrebbe alimentato la vita eterna come aveva detto: « Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna ». Il Signore così non ci lascia con la nostra fame di vita, poiché egli ci sazia con il dono di sé tramite il ministero dei sacerdoti, che continuano il servizio affidato agli apostoli, per la santificazione dei credenti in lui.
ATTIVITA’ PARROCCHIALI.
1) Il giorno 22, SOLENNITA’ DEL CORPUS DOMINI le sante Messe saranno celebrate alle ore 8.15 – 10.30 – 19.00.
2) Il giorno 23 sarà celebrata la Giornata Eucaristica parrocchiale:
La SANTA MESSA SARA’ CELEBRATA alle ore 18.30 nella Cappellina di Santa LIBERATA, presso la famiglia Consentino e la PROCESSIONE con GESU’ EUCARISTICO si snoderà, nel Corso Umberto, fino alla stazione di servizio ESSO, la piazza Livatino, la via Torretta e ritornando, lungo il Corso, via Leopardi, Via Paranà e via Rindone e Via Michelangelo e di ritorno in Parrocchia.
Leonforte, 22 Giugno 2025 Il Parroco.
LA VIRTÙ DELLA SPERANZA DATACI DA DIO NEL BATTESIMO NON DELUDE.
15 GIUGNO – SOLENNITA’ DELLA SS. TRINIT
LA VIRTÙ DELLA SPERANZA DATACI DA DIO NEL BATTESIMO NON DELUDE.
La solennità della SS. Trinità, nel nome dalla quale ci segniamo all’inizio della nostra preghiera liturgica, individuale e in tante altre occasioni, celebra il primo mistero principale della fede cristiana, con cui crediamo in un solo Dio, ma nella trinità delle Persone divine: Padre, Figlio e Spirito Santo, distinte nell’unità di un solo Dio ma non separate. Mistero non astratto né lontano dalla nostra esistenza, rivelato da Gesù, che si è dichiarato Figlio di Dio, uguale al Padre, dicendo a Filippo: « Chi vede me, vede il Padre! » e dallo Spirito Santo, che il Padre e il Figlio hanno inviato per far ricordare e comprendere ai discepoli quello che Gesù aveva detto e realizzato. Tale mistero sfugge alla nostra piena comprensione e tuttavia inabita in noi: l’esperienza di Dio Trinità è certamente ancora velata, ma sarà piena nel cielo quando tale conoscenza di Dio, amore, verità e vita, avverrà faccia a faccia con lui.
Nella preghiera della Colletta diciamo: « O Padre santo e misericordioso, che nel tuo Figlio ci hai redenti e nello Spirito ci hai santificati, donaci di crescere nella speranza che non delude, perché abiti in noi la tua sapienza. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: Prv 8,22-31.
La Sapienza di Dio, nel libro dei Proverbi, parla e rivela se stessa come colei
che dall’eternità e fin dal principio è stata generata, presente nell’attività creativa di Dio e posta e formata nelle cose. Generata quando non esistevano gli abissi, nonvi erano le sorgenti cariche d’acqua, prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, quando ancora la terra e i campi non erano stati fatti. Essa era come artefice, quando Dio fissava i cieli, tracciava un cerchio nell’abisso, condensava in alto le nubi, fissava le sorgenti dell’abisso, stabiliva al mare i limiti perché non fossero oltrepassati, disponeva le fondamenta della terra.
Essa era la sua delizia ogni giorno: « Giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo ». Nella Sapienza generata prima di ogni altro essere l’evangelista Giovanni vi riconosce « il Verbo che era presso Dio, era Dio e tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste »(Gv 1,1-3). Essa non è distaccata dall’umanità, perché il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi e Dio l’ha posta nelle cose create. Vi è, dunque, la Sapienza increata, cioè generata dall’eternità, il Verbo che si fa carne e che abita in comunione con il Padre e vi è la sapienza creata che Dio ha posto nelle cose da lui create: il bene, la bellezza, l’ordine, l’armonia e la sua immagine nell’uomo, ecc. Tutta questa creazione è stata realizzata sul modello della Sapienza, cioè del Verbo, L’Unigenito del Padre, che abita « tra i figli dell’uomo », perché venuto tra noi.
Seconda Lettura : Rm 5,1-5.
Dio, per la fede che abbiamo in Lui, ci giustifica per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo e sempre per la fede in lui possiamo accedere alla grazia « nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio », scrive san Paolo ai Romani. Anche nelle tribolazioni il credente in lui continua a essere fedele, perché le tribolazioni producono la pazienza, la pazienza produce una virtù provata e questa la speranza. La speranza, poi, non delude essendo stato riversato nei nostri cuori l’amore di Dio per mezzo dello Spirito Santo donato. Lo Spirito presente ci rassicura dell’amore del Padre, che ci ha riconciliati mediante il Figlio e ci ha resi suoi figli adottivi. Se questo è vero, e lo si crede con grande fede, non vi è ragione di perdere la fiducia e la speranza di essere un giorno in comunione con il Cristo risorto nella gloria, essendo stati conformi a lui nella sua passione. La Santissima Trinità, allora, ci conferma nella fede verso il Padre che ci ama, che manda il Figlio per redimerci, e ci offre lo Spirito Santo come segno e pegno e pegno della risurrezione. Nella fede trinitaria non c’è posto per diffidenza, disperazione per l’uomo, anche se si trova nelle prove che la vita ci riserva.
Vangelo: Gv 16,12-15.
Gesù, oggi, dice ai discepoli che, avendo ancora molte cose da dir loro e non essendo essi capaci di portarne il peso, devono ricevere lo Spirito della verità, che quando verrà, da lui e dal Padre inviato, li « guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future ». Lo Spirito poi lo glorificherà, perché prenderà da quel che appartiene a Gesù e glielo annuncerà. Conclude dicendo loro, assicurandoli, che « Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà ».La presenza dello Spirito Santo, assicurato da Gesù ai suoi Apostoli e alla Chiesa dopo di loro, renderà continuamente presente il Signore risorto in mezzo a loro con la sua Parola di verità, con i sacramenti della grazia salvifica e darà la forza per testimoniare fedelmente nelle opere l’ amore, la fraternità, la giustizia per i fratelli, come pure il coraggio e la fermezza anche in mezzo alle tribolazioni e persecuzioni.
La fede nella Santissima Trinità non deve esprimersi solo in una accettazione teologicamente corretta del mistero principale della nostra fede ma, anche e soprattutto, in un rapporto con le tre Persone divine, presenti nell’intimo dei nostri cuori. E se anche di Dio-Trinità non ne abbiamo una esperienza sensibile Egli, per la fede, è tuttavia presente veramente nel cuore del credente. Nella preghiera dobbiamo sempre tenere viva questa consapevolezza, affinché il nostro rapporto d’amore per Dio cresca di giorno in giorno.