SOLENNITA' DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE.
3 GIUGNO-SOLENNITA’ DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE
Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall'Egitto, averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore, come comunità, non può dimenticare la sua dimensione comunitaria, in cui la fede è vissuta e celebrata, specie nella Eucaristia, che è il « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto. Tale memoriale non è un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore, resa possibile dall’azione dello Spirito Santo che viene invocato. Nella celebrazione dell’Eucaristia noi offriamo il sacrificio della nuova alleanza, viene ripresentato il sacrificio della croce, dove Gesù, Agnello senza macchia, s’è offerto. Nell’altare che è anche la mensa della sua cena noi vi attingiamo il cibo che ci sostiene lungo il « viaggio della nostra vita », in attesa di essere partecipi del convito eterno del regno celeste.
Attorno all’altare, uniti in « assemblea festosa » a rendere grazie a Dio, ci riconosciamo fratelli, perché il Padre celeste, nel sangue di Cristo, ci ha rigenerati come fratelli e ci ha costituiti come suo popolo, legato nella medesima fede e dall’ identica unità e carità, rappresentate nell’ unico pane e nell’ unico calice. Noi riceviamo nell’Eucaristia lo Spirito che scaturisce dal Corpo di Cristo e veniamo purificati da ogni colpa.
Tutto questo deve farci fugare i rischi di considerare la comunità in termini psicologici, o ridurla come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, per colmare situazioni compensatorie nelle proprie fragilità: una tale comunità rischierebbe di produrre un gruppo di immaturi che cercano un ovattamento alla vita. Oppure percepire la comunità in termini sociologici, perché l’affermazione conciliare sulla Chiesa, come « popolo di Dio », è da intendersi in maniera teologica non sociologica, costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Infine bisogna evitare un ultimo rischio che è quello di considerare la Comunità come aggregazione per eventi o iniziative di tipo organizzativo, con poco dispendio di energie e con scarsa intensità di comunione spirituale.
Non si può parlare di comunità senza parlare di « comunione », come relazione spirituale e di amore fraterno, che lega sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti. La comunione trova il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo, e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo la prerogativa testé esposta realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che dovesse rimanere dopo la celebrazione della Messa è presenza reale di Cristo, che realizza la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo che è presente nel tabernacolo va quindi la nostra adorazione e il nostro culto.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Signore dicendo: « Signore, Dio vivente, guarda il tuo popolo radunato attorno a questo altare, per offrirti il sacrificio della nuova Alleanza: purifica i nostri cuori, perché alla cena dell’Agnello possiamo pregustare la Pasqua eterna nella Gerusalemme del cielo ».
Prima Lettura: Es 24,3-8.
Dopo che Mosè riferì le parole del Signore al popolo e gli Israeliti, tutti uniti in una sola voce, si impegnarono dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo », venne eretto un altare con dodici stele e vennero offerti sacrifici di comunione per il Signore. Mosè, allora, lesse il libro dell’alleanza e il popolo rinnovò l’impegno di fedeltà ad eseguire ciò che il Signore chiedeva. Con il sangue degli animali sacrificati fu asperso il popolo con queste parole: « Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole! ». Con questo gesto di aspersione viene solennemente sancita l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Anche Gesù dirà sul vino, che sarà trasformato dalla potenza dello Spirito, « questo è il sangue dell’alleanza » dandolo da bere durante l’ultima Cena. Gesù infatti offrirà la sua vita per la remissione dei peccati e pone la « nuova alleanza » come alleanza eterna, impegnando noi a vivere, a nostra volta, nell’amore e nella fedeltà.
Seconda Lettura: Eb 9,11-15.
La Lettera agli Ebrei, che oggi la Liturgia ci fa ascoltare, ci presenta Cristo come Sacerdote dei beni futuri, perché egli, mediante il suo sacrificio e in virtù dello spargimento del suo sangue e non più per quello di animali, per ottenerci una redenzione eterna, è entrato nel santuario del cielo attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non appartiene a questa creazione. Il sangue di Cristo, sparso da lui che è senza macchia, offerto una volta per tutte, purifica e santifica la nostra coscienza dalle opere di morte, dal peccato, perché serviamo al Dio vivente: la redenzione di Cristo, operata sulla croce, è eterna, valida per tutti i tempi, e non ha bisogno di essere ripetuta. Così Gesù è « mediatore di una nuova alleanza, perché, con la sua morte ,intervenuta in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa ».
Vangelo: Mc 14,12-16.22-26.
Alla vigilia della sua Passione, Gesù manda due discepoli a preparare la cena della Pasqua. In questo contesto egli opera una trasformazione: al posto dell’agnello che gli ebrei consumavano in ricordo della Pasqua dell’Esodo, Gesù offre il suo Corpo, che immolerà sulla croce. Così, come il sangue dell’agnello, posto sugli stipiti delle porte, liberò i figli degli ebrei dalla morte, ora Cristo ci libera dai peccati e ci custodisce nel suo amore.
L’Eucaristia che celebriamo è la nostra Pasqua, mentre attendiamo di celebrare quella eterna nel cielo. L’Eucaristia è l’anticipo, qui in terra, del banchetto eterno del regno celeste; non è una illusione futura, ma una verità che ci fa sperare di raggiungere la realtà di Dio, verso la quale siamo incamminati. Nella Comunità della Chiesa, in ogni celebrazione dell’Eucaristia, i gesti e le parole di Gesù ripetuti dal ministro, rendono presente per noi ciò che Gesù fece allora: così mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue. Ci cibiamo di tutto il Cristo: del suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità.
SOLENNITA' DELLA SANTISSIMA TRINITA'.
27 MAGGIO - SOLENNITA’ DELLA SANTISSIMA TRINITA’.
Quello della SS. Trinità è il primo mistero principale della fede cristiana, rivelatoci da Dio. Noi professiamo la fede in un solo Dio, in Tre Persone uguali e distinte, ma non separate. La Teologia cristiana, accogliendo la rivelazione che Dio ha fatto, ha cercato lungo i secoli di indagarne il mistero usando le categorie epistemologiche-conoscitive di ogni epoca e, come scrive san Agostino nel libro "De Trinitate", vedendo sulla spiaggia del mare di Tegaste un bambino che con un cucchiaio tenta di svuotare il mare trasportandone l’ acqua in una buca, questo è un mistero così grande che non può essere pienamente compreso da una mente umana finita e limitata, nel senso di una limitatezza come coscienza delle proprie possibilità e impossibilità.
Alla Santissima Trinità – al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo – i cristiani rivolgono la loro preghiera e il loro rendimento di grazie. Questo mistero non deve essere creduto in maniera astratta e lontana. Anzi ne parliamo e, con questa festa dedicata alla Trinità, vogliamo sentire questo mistero vicino, rivelato dal Cristo, il Figlio di Dio. Quando ci è stato elargito lo Spirito d’amore, inviatoci da Padre e dal Figlio, che ci ha riconciliato e santificato, noi comprendiamo, in qualche maniera, la realtà della SS. Trinità: questo è il mistero della vita di Dio ». La Trinità Santissima se sfugge alla nostra comprensione, tuttavia inabita in noi, è un’esperienza. Quella di Dio-Trinità è ancora un’esperienza velata, ma « nella pazienza e nella speranza » siamo incamminati e tesi verso la « piena conoscenza » di Dio « amore e vita » nell’eternità.
Prima Lettura: Dt 4,32.34.39-4 Mosè, parlando al popolo, dice che fin dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra non si è mai sentito che un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco e rimanere vivo; né che un Dio sia andato «a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come ha fatto il Signore con loro, in Egitto sotto i loro occhi ». Così Mosè esorta il popolo a meditare nel suo cuore che il Signore è un Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra e che non ve n’è altro. Ancora di osservare la sue leggi e i comandi che Dio dà, perché possa essere felice per le generazioni e restare nel paese che Dio dà loro. Dio, nel segreto della sua misteriosa e inesauribile vita, conduce la storia di Israele, che è il simbolo della storia di tutta l’umanità. Quando il Figlio di Dio si fa uomo noi iniziamo a sperimentare l’intimità della presenza di Dio, nelle tre persone divine. Nella obbedienza ai comandamenti che Dio dà, noi esprimiamo la nostra obbedienza, perché imitiamo Gesù, rendendoci conformi al suo « Sì », pronunziato in forza dell’amore e della libertà, che lo Spirito crea in noi.
Seconda Lettura: Rm 8, 14-17.
San Paolo ci ricorda in questa lettera ai Romani che abbiamo ricevuto non uno spirito da schiavi ma lo Spirito di Dio, che rende figli adottivi, ad immagine di Gesù, per cui dal nostro cuore sale a Dio la nostra preghiera, il grido d’amore che ci fa gridare: « Abbà! Padre! ». Lo Spirito quindi presente in noi ci attesta che siamo figli di Dio e, poiché siamo figli, siamo anche eredi di Dio, e saremo coeredi di Cristo se condividiamo le sue sofferenze e la sua Passione. In questo brano Paolo esprime il mistero trinitario e la nostra vocazione a essere figli, che accolgono la figliolanza che Dio ci dà, perché rigenerati per la grazia dello Spirito Santo che ci è dato. Dobbiamo allora vivere da Figli di Dio.
Vangelo: Mt 28,16-20.
Il Signore Gesù, sul monte della Galilea che aveva indicato agli undici, i quali vedendolo gli si prostrarono innanzi benché ancora dubitavano, dà loro la missione dicendo: « Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ». Accettare di credere nel Signore Gesù, ricevere il Battesimo e gli altri sacramenti, come anche accogliere la Parola di Dio, tutto viene vissuto nel nome, con l’autorità e con la grazia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Accogliendo il Vangelo della salvezza, siamo chiamati ad aderire al mistero della vita divina, che è vita trinitaria. Vita di corrispondenza all’amore del Padre, che ci ha creati, rigenerati come suoi figli; all’amore del Figlio che ha dato la vita per noi, come vittima di espiazione per i nostri peccati meritandoci la grazia; all’amore dello Spirito Santo che ci viene dato per santificarci, realizzando in noi l’opera compiuta da Gesù per volontà del Padre.
PENTECOSTE: lo Spirito Santo, inviato dal Padre e dal Figlio, attualizza la salvezza del Signore.
20 MAGGIO – DOMENICA DI PENTECOSTE.
Lo Spirito vi renderà miei testimoni.
Questa solennità porta a compimento il mistero pasquale. Per i credenti e per coloro che lo accolgono, si realizza ciò che Gesù nell’ultima Cena promise, che cioè, salito al Padre, ci avrebbe inviato il Consolatore, lo Spirito di Verità, per cui non ci avrebbe lasciato orfani,. Lo Spirito Santo, in questa liturgia, ci invita a vedere le meraviglie compiute da Dio nel mondo, ci esorta a essere fedeli alla missione che affida alla Chiesa, ci illumina e ci dà la forza di corrispondere al suo amore, cosicché possiamo compiere il cammino di fede con maggiore pienezza. In questo giorno lo Spirito Santo attualizza, in ogni tempo e latitudine, la Pentecoste: è il tempo della storia in cui lo Spirito rinnova la Chiesa, l’umanità, perché chi accoglie lo Spirito riceve i suoi benefici effetti nella sua vita.
Così la Chiesa, corpo di Cristo, sostenuta e fatta crescere dallo Spirito, inviato da Gesù risorto nel giorno di Pentecoste, è la comunità della nuova alleanza, che aggrega nell’unità di un solo linguaggio tutti i popoli per i quali si attua il mistero pasquale. Nel prefazio la Chiesa proclama: « Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo ». Poiché in ogni sacramento agisce lo Spirito Santo, che opera con i suoi molteplici effetti, quando riceviamo un sacramento in noi inabita lo Spirito del Padre e del Figlio, come alito di vita, dando suggerimento, impulso ed efficacia alle nostre azioni.
Accesi dal fuoco di questo Spirito, si alimenta ad ogni comunione col Corpo e Sangue del Signore la vita divina, e cresce la « carità ardente » di cui parla l’orazione sulle offerte della Messa vespertina: «Scenda, o Padre, il tuo Santo Spirito sui doni che ti offriamo e susciti nella tua Chiesa la carità ardente, che rivela a tutti gli uomini il mistero della salvezza». Si rinnova così il prodigio dell’unità che raccoglie gli uomini dispersi in molti linguaggi in un unico linguaggio di fede e che trasforma qualitativamente le nostre azioni, facendoci agire secondo lo Spirito di Cristo e in conformità alla volontà di Dio.
La vita « spirituale » del credente è quella che ha come maestro e come suggeritore lo Spirito Santo, che ridesterà i nostri corpi per la risurrezione. Il lasciarsi condurre da lui non è un fatto eccezionale, se molti, nella loro semplicità esistenziale, hanno raggiunto alte vette di santità, pur immersi nella quotidianità della loro vita..
La colletta della Messa che recita :« O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo », ci dà il significato della Pentecoste che celebriamo. Lo Spirito Santo anima la comunità cristiana, porta e rende efficace il Vangelo di Gesù Cristo e ci introduce nella conoscenza del mistero. Lo Spirito, con i doni che elargisce, ci fa crescere nelle opere di giustizia, ispirate da lui e da noi, rinnovati e resi giusti nel cuore, compiute per la sua energia. La solennità di oggi conclude il lungo e meraviglioso tempo pasquale in cui abbiamo meditato e approfondito il mistero della morte e risurrezione del Signore, che ci offre la prospettiva con cui siamo chiamati a vivere ogni giorno. L’impronta della morte e risurrezione del Signore, nella vita nuova sorta dallo Spirito, ci conduce, ci fa operare e ci prepara ad essere conformi con il Signore risorto, ora nel tempo e domani nell’eternità.
Prima Lettura: At 2,1-11.
Al cinquantesimo giorno dall’evento della risurrezione del Signore, nella festa di Pentecoste, sugli Apostoli e coloro che erano in attesa della promessa di Gesù, lo Spirito discende, « dal cielo con improvviso fragore, quasi come vento che si abbatte impetuoso, riempiendo tutta la casa », in forma di lingue di fuoco che si posarono su ciascuno di loro. Furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue. Comincia così l’evangelizzazione, l’annunzio delle opere che Dio compite nell’evento della morte e risurrezione di Gesù. Tutti coloro che erano a Gerusalemme in quei giorni, pur parlando molteplici lingue, sentono ognuno il gioioso annunzio nella propria lingua. La confusione delle lingue, iniziata con la torre di Babele, è vinta dalla proclamazione del Vangelo: nell’unica fede in Gesù salvatore, morto e risorto, si ricompone l’unità dei figli di Dio, dispersi e divisi dal peccato. La fede raccoglie nell’unità popoli, lingue e tradizioni diverse. « La confusione che la superbia aveva portato tra gli uomini, - recita il Prefazio – è ricomposta in unità dallo Spirito Santo ». Invocando e ricevendo oggi lo Spirito dobbiamo essere portatori di unità e non essere frantumati dalle discordie. Uscendo da noi stessi, dal nostro egoismo e superbia creiamo la comunione e la fraternità.
Seconda Lettura: Gal 5,16-25.
San Paolo esorta i Galati a camminare nello Spirito di Cristo e a non soddisfare i desideri della carne, che sono contrari ai desideri dello Spirito.
E le opere della carne enumerate: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere, sono opere in cui l’uomo spesso si ritrova a vivere pur non volendole e detestandole. Lo stile di una vita ispirata dallo Spirito di Cristo conduce a vivere e portare frutti di amore, di gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà,mitezza, dominio di sé. Il cristiano che vuole seguire Cristo crocifisso deve crocifiggere in sé la carne con i suoi desideri e passioni, quei vizi e peccati che il cuore dell’uomo produce quando in lui non opera la forza e la novità dello Spirito. Lo Spirito, più che realtà vaga, è il dono per eccellenza del Cristo risorto, dono che dobbiamo invocare e ricevere nella sua realtà concreta, con umiltà, nel nostro intimo e lasciarci condurre e plasmare dalla sua presenza divina.
Vangelo: Gv 15,26-27; 16,12-15.
Lo Spirito, il Paràclito, il Consolatore, che Gesù invierà ai discepoli dal Padre, è lo Spirito della verità che procede dal Padre e gli dà testimonianza. Allora anch’essi gli daranno testimonianza. Inoltre lo Spirito di verità li avrebbe introdotti e guidati a tutta la verità, non essendo ancora capaci di portare il peso di tutte le cose che aveva ancora da dire loro. Lo Spirito che Gesù promette comunicherà tutto quello che avrebbe preso da lui e lo glorificherà perché prenderà del suo e lo annunzierà loro. Gesù rivela ancora che « Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annunzierà ». Senza lo Spirito il Vangelo è incomprensibile e la testimonianza diventa inefficiente. Lo Spirito ci consegna la verità di Cristo e nell’Eucaristia e nei sacramenti, è da lui che riceviamo la grazia della salvezza e la forza per conservarla e conseguirla.
Ultimo aggiornamento (Sabato 19 Maggio 2018 08:33)
Gesù ascende al cielo portando con sè nella gloria la nostra umanità.
13 MAGGIO - ASCENSIONE DEL SIGNORE
La Chiesa oggi nel prefazio canta: « Gesù, vincitore della peccato e della morte, ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena speranza che dove è lui, capo e primogenito , saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria ». Ma dobbiamo tener presente, in ogni giorno della vita, che il Signore, con questa celebrazione, vuol dirci che egli ci attende nella sua stessa gloria. Gesù, con la sua umanità presso il Padre, già in qualche modo, ci ha portati con sé, perché egli è il Capo del corpo che siamo noi, salvati dalla sua morte e risurrezione e innastati in lui con il battesimo. Allora speriamo di poter conseguire la salvezza e la gloria eterna perché egli l’ha acquistata per sé e per noi. Nella nostra povera umanità il Signore non ci ha lasciati soli – canta ancora la Chiesa nel prefazio -: adesso ci è donata la grazia di Cristo che attende di maturare nella sua stessa gloria. Da lui che è il Mediatore siamo già legati con Dio.
Ma se lungo l’esistenza terrena siamo presi dal dubbio e avvertiamo lo smarrimento, nell’ordina- rietà e monotonia della nostra vita e di quella della Chiesa, dobbiamo nutrire la speranza che egli non ci ha abbandonato, perché la sua presenza ci accompagna nella missione nel mondo, assistiti costantemente dal suo Spirito che ci ha inviato. Dobbiamo allora attendere, con fiducia e operosità, il suo ritorno futuro, come dicono gli angeli nel momento in cui sale verso il cielo. Operosità vuol dire impegno a vivere in maniera degna per essere accolti nella sua gioia di Signore risorto.
Prima Lettura: At 1,1-11
Dopo che gli apostoli e gli altri discepoli sono stati confermati nella certezza della risurrezione di Gesù, di cui avevano dubitato in diverse circostanze e davanti al quale, dice Matteo, « quando essi lo videro, si prostrarono », egli è salito al cielo. Oggi Gesù, anche se non visto come in quei quaranta giorni, non abbandona né si allontana dalla nostra umanità: dalla destra del Padre Cristo invia lo Spirito che, ricevuto in pienezza dagli apostoli, li fortifica per la testimonianza che devono rendere al Risorto e li accompagna nella loro missione. Essi, aspettando la venuta gloriosa di Gesù, non devono rimanere inattivi né devono preoccuparsi di quando sarà la fine del mondo e il termine della storia. Devono continuare la missione che il Maestro ha loro assegnato: predicare la conversione e il perdono dei peccati perché gli uomini conseguano la salvezza. Sicuramente il Maestro tornerà, come dicono gli angeli. Durante questo tempo di attesa, la testimonianza di tutti coloro che credono in lui si manifesta specialmente nel continuare a compiere le opere del regno messianico, quelle della fede e della carità, che esprimono il desiderio di riunirsi al Signore.
Seconda Lettura: Ef 4,1-13.
Paolo, scrivendo agli Efesini, prigioniero del Signore, li esorta a corrispondere alla vocazione che hanno ricevuto. Devono, cioè, dar testimonianza di umiltà, dolcezza, magnanimità, sopportazione vicendevole nell’amore e, per mezzo della carità, conservare il vincolo della pace. Nell’unità di un solo spirito, di una sola speranza, di una sola comune vocazione nel Signore, i cristiani sono chiamati a vivere uniti, a testimoniare e vivere una sola fede, un solo battesimo, credere in un solo Dio, Padre di tutti, che opere in tutti e in tutti è presente. La Chiesa, i cui figli sono pellegrini su questa terra e che non sempre vivono secondo l’ideale del suo Signore, è costituita come comunità che, nel nome del Signore, accogliendo i peccatori pentiti, i quali pur zoppicando si sforzano di imitarlo, deve anche esortarli a vivere uniti e compiere ognuno il proprio ministero per la perfezione di ogni suo membro.
Così la Chiesa, pur nella sua fragilità e nelle sue ferite, può continuare a dare speranza agli uomini.
In essa e per suo mezzo, rispondendo alla grazia data, ognuno, « secondo la misura del dono di Cristo », deve trovare il proprio spazio di crescita umana e spirituale. Infatti, ascendendo al cielo, da cui era disceso, il Signore Gesù « ha distribuito doni agli uomini … e ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Dio » (Ef.4,11-13).
I diversi doni, di cui Cristo ha arricchito la Chiesa, sono finalizzati, quindi, all’edificazione del Corpo di Cristo e nessuno può appropriarsi il dono, ma deve solo riconoscerlo e metterlo a disposizione e per l’utilità di tutti. Bisogna, allora, mettere da parte la pigrizia, la superbia, l’orgoglio e avere consapevolezza che tutto ci è dato dal Signore per il bene della Chiesa.
Se la Chiesa del Signore, costituita santa, lungo la sua storia, sperimenta momenti e fatti che non l’hanno resa splendida Sposa di Cristo, registra anche pagine di testimonianza discreta e, oggi con frequenza, eroica di tanti martiri.
Gesù stesso, d’altra parte, lo aveva detto: « Sarete perseguitati, ma riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra » (At 1,8-9).
Vangelo: Mc 16,15-20.
Gesù accompagna dal cielo il ministero affidato agli apostoli e a tutta la Chiesa. Esso consiste nell’annunziare il Vangelo e nell’ introdurre nell’ esperienza della Pasqua, attraverso il battesimo, coloro che lo accolgono, come disse Gesù: « Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato ». Così, dopo che Gesù ascende al cielo allontanandosi da loro, essi partirono e predicarono dappertutto e il Signore agiva in loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano, come scacciare i demoni, parlare lingue nuove, prendere in mano serpenti, imporre le mani ai malati e guarirli. Accogliere o rifiutare il Vangelo significa accogliere o rifiutare la salvezza da lui operata. In questa opera di salvezza degli uomini, la Chiesa intera non è lasciata sola. Cristo l’accompagna con la presenza del suo Spirito, che con la sua forza può vincere il male, liberarla e guarirla.
Gesù dice agli apostoli:"Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri".
6 MAGGIO - VI DOMENICA DI PASQUA.
Il tempo pasquale è un inno alla pace e alla gioia, espresso con il grido gioioso dell’Alleluia (Lodate il Signore), per le meraviglie compiute da Dio per la redenzione, operata da Cristo, per la salvezza degli uomini. La gioia del cristiano, che però ugualmente conosce motivi di ansia e di tristezza, deriva dalla certezza che Dio ci ha liberati dal peccato, il quale è la vera causa della tristezza. Cristo Gesù, risorgendo, ci riporta a vivere la speranza che un giorno saremo con lui nella beatitudine e nella gloria, perché egli è andato a prepararci un posto nel cielo.
Ripensando allora a tutto ciò che Gesù ha detto e fatto, noi, immersi nel mistero pasquale di Cristo, rinnoviamo il motivo della nostra gioia. Se, come Gesù, usciamo dal nostro egoismo e sappiamo dare la vita per gli altri, allora la carità del donarsi si trasformerà in letizia qui in terra, e sarà il preludio di quella celeste. Per questo preghiamo dicendo: « O Dio, che ci hai amato per primo e ci hai donato il tuo Figlio, perché riceviamo la vita per mezzo di lui, fa’ che nel tuo Spirito impariamo ad amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati, fino a dare la vita per i fratelli ».
Prima Lettura: At 10,25-26; 34-35.44-48.
San Pietro a Cornelio, che gli si prostra ai piedi per rendergli omaggio, dice umilmente: « Alzati: anch’io sono un uomo! ». Riconosce così che davanti a Dio, il quale non fa preferenze di persone, tutti siamo sue creature e « accoglie chi lo teme e pratica la giustizia a qualunque nazione appartenga ».
Avviene allora per coloro che sono in casa di Cornelio, che pure è ancora un pagano, la Pentecoste, poiché « lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola ». La cosa stupisce i fedeli circoncisi ebrei venuti con Pietro, essendosi effuso anche su quei pagani lo Spirito del Signore, che li fa parlare in altre lingue e glorificare Dio.
Da ciò Pietro comprende che tutti gli uomini, anche i non ebrei, sono chiamati a ricevere il Battesimo, a ricevere lo Spirito, la buona Novella, perché amati da Dio: così Pietro ordina che tutti siano battezzati nel nome di Gesù Cristo.
Così nella Chiesa, anche se si è ministri, si è rappresentanti del Signore e nessuno può sostituirsi a Lui. Nessuno può vantarsi di avere dei diritti o meriti. Come fratelli in Cristo, tutti siamo chiamati alla vita eterna e a lodare e cantare le meraviglie della misericordia di Dio.
Seconda Lettura: 1Gv 4,7-10.
San Giovanni, ancora una volta, ci ricorda che dobbiamo amarci gli uni gli altri, perché chiunque ama è stato generato da Dio e ha in sé la facoltà di conoscere Dio. Se non si ama, allora, non si conosce Dio, che rimane un estraneo per chi non ama. Non i libri, né l’intelligenza o l’acutezza della mente bastano per conoscerlo, è necessario l’amore e la carità del cuore. Se si riconosce che Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui, allora accogliamo l’amore che Dio ci ha manifestato e dato. E’ stato Dio ad amarci per primo e « ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati ».
L’amore del Padre è arrivato ad un gesto estremo nella missione affidata al Figlio che, morendo in croce, lascia sconcertati e attoniti, come dice l’inno di Pasqua: « Gli angeli guardano attoniti il supplizio della croce, da cui l’innocente e il reo salgono insieme al trionfo ». L’amore e la misericordia di Dio confondono la superbia e l’alterigia dell’uomo.
Vangelo: Gv 15,9-17.
Per Gesù il donare la vita è la più alta espressione dell’amore per chi si dice di amare. Egli ha dato la sua vita e non poteva fare di più. Al suo amore si risponde amandolo a nostra volta, anche se non possiamo raggiunge l’intensità di questo suo amore. Egli ci ha amati come il Padre ha amato lui e chiede, a chi accetta di amarlo, di rimanere nel suo amore. La prova del rimanere in questo amore è l’osservanza dei comandamenti, come ha fatto Gesù nei confronti del Padre. Il Signore Gesù, che ci ha scelti, ci chiama amici non servi e ci fa conoscere ciò che ha udito dal Padre. Ci dice che siamo suoi amici se facciamo ciò che egli ci comanda, cioè se ci amiamo gli uni gli altri, non a parole, ma con la vita. Questo è certamente arduo e rischioso, perché se il modello dell’amore fraterno è il suo amore per noi, la carità va dimostrata fino all’eroismo. La forza per realizzare tale amore ci viene dall’Eucaristia, da cui attingiamo « vita e fortezza », per avere il coraggio di amare. Amandoci vicendevolmente, come lui ha amato noi, attingiamo dall’amore del Signore la gioia divina e piena, otteniamo dal Padre ciò che gli chiediamo nel suo nome e portiamo frutti che rimangono.
Ultimo aggiornamento (Sabato 05 Maggio 2018 22:56)