





Accogliamo nel nome di Cristo i piccoli e gli umili.
30 SETTEMBRE – XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
La domenica siamo invitati da Dio, riuniti nel nome della Santa Trinità, a prendere parte al memoriale della passione del suo Figlio. Nella sua misericordia Dio manifesta la sua onnipotenza donandoci il suo perdono. Pur essendo noi peccatori, il Padre celeste ci accoglie e ci fa partecipi, come commensali, del banchetto eucaristico, in cui dona il suo Figlio, come cibo e bevanda di vita. Attorno a Cristo, assisi alla stessa mensa, non possiamo più ammettere ingiustizie, separazioni, discriminazioni, disprezzo per un qualunque fratello. Non possiamo sentirci tranquilli restando nel nostro egoismo e non condividendo la provvidenza di Dio con chi è nel bisogno. L’Eucaristia ci fa aprire verso i beni dell’eredità eterna che godremo con Cristo nel cielo, ma che già pregustiamo in questo convito domenicale. Da questa sorgente deriva per la Chiesa ogni benedizione.
Nella preghiera iniziale della Colletta diciamo: « O Dio, tu non privasti mai il tuo popolo della voce dei profeti; effondi il tuo Spirito sul nuovo Israele, perché ogni uomo sia ricco del tuo dono e a tutti i popoli della terra siano annunziate le meraviglie del tuo amore ».
Prima Lettura: Nm 11,25-29.
Il Signore dona il suo spirito ai settanta anziani di Israele che profetizzano nel suo nome. Anche su Eldad e Medad, che sono tra gli iscritti, ma non sono andati alla tenda, viene effuso lo spirito, che li fa profetizzare nell’accampamento. A Mosè, che è informato da un giovane del fatto, Giosuè chiede di impedire ai due di continuare a profetizzare. Ma Mosè gli dice: « Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito ». Dio dispensa i suoi doni ad ognuno e non bisogna essere gelosi del doni degli altri, perché non siamo noi a stabilire e fissare il tempo, lo spazio e quali doni di grazia Dio debba dare ad ognuno.
Al contrario, quando vediamo un dono di Dio nel nostro fratello dobbiamo rallegrarcene e non essere invidiosi, perché in questo caso ricercheremmo noi stessi e non la gloria di Dio, il servizio al prossimo e il bene della Chiesa. Come Mosè, anche noi dobbiamo augurarci che Dio effonda il suo spirito di profezia su ogni uomo e pregare perché nessuno lo rifiuti o lo trascuri e invece si lasci trasportare dalla sua azione.
Seconda Lettura: Gc 5,1-6.
Anche nel nostro tempo, come allora, le parole forti e sferzanti della seconda lettura di oggi, tratta dalla Lettera di San Giacomo, interpellano, noi credenti e ogni uomo, a ripensare il rapporto che bisogna avere con le ricchezze che, se usate con egoismo e superbia, accumulate con latrocinio e ingiustizie, con sfruttamento e oppressione, rendono marcio il cuore.
L’oro, l’argento, gli abiti di lusso, i tesori accumulati per gli ultimi giorni, ecc. sono consumati dalle tarme e dalla ruggine, che si alzeranno ad accusare coloro che li avranno usati con atteggiamento egoistico e divoreranno le loro carni. E ancora: « Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage ». Come non ripensare in queste invettive la Parabola del ricco epulone?
Il linguaggio dell’apostolo non è raffinato, ammorbidito, soft, è rude e duro. Forte dell’insegnamento di Gesù, Giacomo ci ricorda che le ricchezze egoisticamente possedute si dissolveranno, non potremo portarle con noi dopo la nostra morte e saranno motivo di condanna nel giorno del giudizio.
Con ciò non si devono demonizzare i beni di questo mondo, che servono perché ogni uomo possa condurre una vita dignitosa e di cui nessuno deve essere privato, purché procurati con onestà, con lavoro e impegno diligente, usati con rispetto dei diritti degli altri, con generosa liberalità ed escludendo ogni forma di spreco. Le ricchezze possono insidiare il nostro cuore e, con attenzione, dobbiamo evitare che esse lo rendano schiavo, arido di sentimenti di fraternità e condivisione.
Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48.
Gesù agli apostoli, che volevano impedire ad uno di scacciare i demoni perché non li seguiva e non era uno di loro, dice: « Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa ». Prosegue dicendo che non bisogna scandalizzare nessuno, fosse anche il più piccolo di coloro che credono in lui. E’ meglio amputarsi di una mano, di un piede, privarsi di un occhio, se questi organi sono motivo di scandalo per i fratelli, che andare nella Geenna e nel suo fuoco inestinguibile con il nostro corpo integro e privarsi di entrare nel regno di Dio.
Gesù esorta a non lasciarsi prendere dell’invidia, dall’impulsività, dalla gelosia, ma avere uno spirito di longanimità, di accoglienza di coloro che hanno bisogno e vengono nel suo nome. Ammonisce severamente a non scandalizzare nessuno e a trattare con onore e rispetto i piccoli, gli umili, aiutandoli a crescere nella fede con il buon esempio, avendo per se stessi la capacità di sorvegliare sui propri gesti e sentimenti e vivere le scelte decisive della vita con la fedeltà al Vangelo.
Gesù chiede di seguirlo attraverso la via della croce.
23 SETTEMBRE - XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il nostro incontro domenicale, nel giorno del Signore, rivela l’amore verso Dio, vissuto in unione con Cristo, nostro Capo e Signore, e verso il nostro prossimo. Questo amore è stato posto da Gesù a fondamento di tutta la legge. Nell’Eucaristia esprimiamo la nostra adorazione di figli a Dio, ricono-scendolo come unico Signore, riaffermiamo la nostra volontà di non sostituire niente a Lui e di rinnovare, nel giorno a lui dedicato, il nostro amore di figli e di fratelli. Mancando di questo amore, per Dio e i fratelli, è difficile vivere la domenica con una fraternità attiva e creativa, per cui la si sente come un obbligo gravoso, e non come lode a Dio e servizio evangelico. Diventa allora la Domenica una verifica e un modo per misurare l’autenticità della nostra fedeltà al Signore e della nostra fraterna carità verso il prossimo. Nell’incontro con Dio, i misteri che celebrano la salvezza, operata da Cristo, dovrebbero trasformare la nostra esistenza.
Preghiamo nella Colletta: « O Dio, Padre di tutti gli uomini, tu vuoi che gli ultimi siano i primi e fai di un fanciullo la misura del tuo regno; donaci la sapienza che viene dall’alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve ».
Prima Lettura: Sap 2,12.17-20.
La lettura dal Libro della Sapienza, oggi, ci descrive la congiura e le insidie che gli empi tramano contro il giusto, perché questi si oppone alle loro azioni e le sue parole sono di rimprovero per le colpe e le trasgressioni che fanno contro la legge e l’educazione da essi ricevuta. Mettendo il giusto alla prova, con violenze e tormenti, essi vogliono vedere se le sue parole sono vere. Vogliono conoscere la sua mitezza, saggiare il suo spirito di sopportazione e se è figlio di Dio questi gli verrà in aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Condannandolo con una morte infamante vogliono sperimentare se Dio gli verrà in soccorso, così come egli dice. Ma il giusto non si lascia scoraggiare, né si avvilisce e rimane fedele al suo Dio. In Cristo Gesù, il giusto, che non commise peccato, noi cristiani vediamo realizzata, in sommo grado, in riferimento alla sua passione, descritta dai Vangeli, questa persecuzione contro di lui da parte dell’umanità, che ha agito empiamente. Crocifiggendo Gesù, si è creduto di averlo eliminato per sempre, ma essendo Figlio di Dio, egli ha vinto la morte risorgendo ed è divenuto potenza di salvezza e primizia di risurrezione per questa nostra umanità. Gli empi, nella loro malvagità, perseguitano i giusti, li opprimono, ne irridono la fede e vogliono provare la loro pazienza.
Seconda Lettura: Gc 3,16-4,3.
San Giacomo continua la sua esortazione, invitando i credenti ad evitare gelosie e spirito di contese che ispirano le cattive azioni. Chi è invece animato dalla sapienza è pacifico, mite, arrendevole, pieno di misericordia, di buoni frutti, imparziale e sincero. Chi opera nella pace porta frutti di giustizia.
Così ricorda ancora che liti, contese e guerre sono causate dalle passioni degli uomini, che desiderano ma non riescono a possedere; uccidono, sono invidiosi, per cui ci si combatte e ci si fa guerra gli uni contro gli altri. Se si chiede, poiché si chiede male, non si ottiene, in quanto si chiede per soddisfare le passioni. Se gli uomini seguissero lo spirito della sapienza, iscritta da Dio nel profondo del loro essere, se si seguisse quella che Dio ha rivelato in vari modi e in ultimo con la sapienza incarnata, Cristo Gesù, gli uomini potrebbero vivere in fraternità e armonia. Ma la gelosia e l’invidia generano liti, aggressività, divisioni, disordini. E se anche i cristiani agiscono così smentiscono l’Eucaristia. Essa deve essere sacramento che anima la Chiesa, la genera, ed è segno efficace di fraternità, se la si vive nello spirito del Signore che l’ha istituita,
Vangelo: Mc 9,30-37.
Nel Vangelo di oggi l’evangelista Marco ci presenta un secondo annunzio della passione che Gesù fa ai discepoli, non volendo però, ancora una volta, che alcuno lo sappia: « Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà ». Se il primo annunzio è giustificato per quello che i discepoli credono del Messia, cioè del Cristo, la cui attesa era pregna, maggiormente, di aspirazioni terrene, sociali, politiche, di libertà, questo nuovo annunzio è reiterato in funzione del fatto che Gesù, giunto a casa a Cafarnao, sedutosi e chiamati i Dodici, chiede loro: « Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ma poiché essi tacciono, avendo discusso su chi di loro fosse il più grande, Gesù continua dicendo: « Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti ». Prendendo un bambino e abbracciandolo dice ancora: « Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato ». I discepoli non capiscono il discorso di Gesù relativo alla sua passione. Restano ammutoliti perché anche i discepoli devono seguire la sua stessa strada. La modalità del seguire il Maestro, oltre che portare la croce dietro a lui, capovolge le precedenze, in quanto: il più grande è colui che si mette all’ultimo, colui che serve e, accogliendo un bambino, che non ha prestigio, si accoglie e riceve lui, Gesù in persona. Questa rivoluzione evangelica cambia il mondo e dall’Eucaristia che celebriamo bisogna ripartire con questo spirito di servizio da prestare verso tutti nelle varie circostanze della vita quotidiana.
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 10-11; CCL 41, 536-538)
Prepara la tua anima alla tentazione
Avete già sentito che cosa abbiano principalmente a cuore i pastori cattivi, considerate ora che cosa trascurino: « Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite» (Ez 34, 4), e quelle che erano sane le avete fatte perire, le avete ammazzate, trucidate. La pecora è soggetta a malattie, ha il cuore debole, cosicché facilmente potrà soccombere alla tentazione, se questa la trova indifesa, impreparata.
Il pastore negligente, quando scorge uno del suo gregge, non gli dice: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, sta’ saldo nella giustizia e nel timore, e preparati alla tentazione (cfr. Sir 2, 1). Chi parla così conforta chi è debole e lo rende saldo, perché egli, avendo abbracciato la fede, non speri nella prosperità di questo mondo. Se infatti gli verrà insegnato a sperare nella felicità del mondo, sarà rovinato dalla felicità stessa: al sopraggiungere delle avversità, rimarrà sconvolto o addirittura perirà, e perciò il pastore che così costruisce il fedele, lo costruisce sulla sabbia e non sulla roccia, che è Cristo (cfr. 1 Cor 10, 4). I cristiani, infatti, devono imitare le sofferenze di Cristo e non andare in cerca dei piaceri.
Il debole invece viene rinfrancato quando gli si predica: Aspettati pure le tentazioni di questo mondo, ma il Signore ti libererà da tutte, se il tuo cuore non si allontanerà da lui. Egli infatti proprio per confortare il tuo cuore venne a patire, venne a morire, venne ad essere coperto di sputi, venne ad es- sere coronato di spine, venne a subire gli insulti e, infine, venne a farsi inchiodare in croce. Tutto questo egli l’ha sofferto per te, e tu nulla. L’ha sofferto non per il suo vantaggio, ma per il tuo.
Ma che razza di pastori sono invece quelli che, temendo di offendere gli uditori, non solo non li preparano alle tentazioni future, ma anzi promettono loro la felicità di questo mondo, felicità che Dio non promise neppure al mondo stesso!
Egli predice che verranno sino alla fine sopra questo mondo dolori su dolori e tu vorresti che il cristiano ne sia esente? Proprio perché è cristiano soffrirà qualcosa di più in questo mondo!
Lo afferma l’Apostolo: «Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2 Tm 3, 12). Ora tu, pastore, che cerchi i tuoi interessi e non quelli di Cristo, permetti, bontà tua, a Cristo di dire: Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma tu per tuo conto ritieni di poter dire al fedele: Se vivrai piamente in Cristo, avrai abbondanza di ogni cosa. E se non hai figli, ne avrai e li nutrirai tutti e nessuno di essi ti morrà. È in questo modo che tu edifichi? Bada a ciò che fai, dove poni il fondamento! Tu poni sulla sabbia colui che stai cercando di edificare. Verrà la pioggia, strariperà il fiume, soffierà il vento, si abbatteranno su questa casa, ed essa cadrà e sarà grande la sua rovina.
Toglilo dalla sabbia, mettilo sulla roccia, abbia il suo fondamento in Cristo colui che vuoi far diventare cristiano. Fa’ che volga lo sguardo alle sofferenze immeritate del Cristo, che guardi a colui che, senza peccato, paga i debiti non suoi. Fa’ che creda alla Scrittura la quale dice: «Egli sferza chiunque riconosce come figlio» (Eb 12, 6). E allora o si prepari ad essere sferzato, o rinunzi ad essere accettato.
Cristo Gesù, il vero Messia è un servo sofferente.
16 SETTEMBRE – XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nell’ Eucaristia, ricevendo il Corpo e il Sangue di Cristo, i cristiani entrano in comunione con lo Spirito Santo che lo rende presente nel pane e nel vino.
La potenza di Cristo e l’azione del suo Spirito trasforma non solo questi doni ma anche noi con i nostri sentimenti, le nostre tendenze e ci trasfigura in lui. E’ lo Spirito Santo che viene invocato nelle preghiere eucaristiche che trasforma i nostri semplici doni nel Cristo e raccoglie e forma anche la Chiesa, unendola a lui in maniera intima.
L’assemblea liturgica, attraverso il perdono che viene chiesto, è rigenerata con un cuore nuovo dallo Spirito, che apre i credenti al pentimento e alla conversione, dando loro la forza di perdonare a loro volta e di dare la vita per salvarla, come fa Cristo. Il dono dello Spirito non è meritato da noi ma dall’intercessione del Signore Gesù, mediatore di grazia , che ci unisce a sé quando nel suo nome siamo riuniti per rendere grazie al Padre.
Nella preghiera della colletta diciamo a Dio: « O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita quando avremo il coraggio di perderla ».
Prima Lettura: Is 50,5-9.
Isaia preannunzia ciò che il Messia, il servo di Jahvéh sopporterà, non opponendo resistenza e presentando il dorso ai flagellatori, le sue guance a coloro che gli strappano la barba e non sottraendo la sua faccia agli sputi e agli insulti. Egli confida nell’aiuto di Dio che lo assiste, per cui non resta svergognato, poiché rende la sua faccia dura come pietra, sapendo che non resta confuso. Confidando nella vicinanza del Signore, che gli rende giustizia, egli è pronto a sfidare chi viene a contesa con lui, chi lo accusa e chi vorrebbe dichiararlo colpevole. Tutto quello che descrive il profeta lo vediamo realizzato nell’ avvenimento della passione di Cristo Signore, che soffre ed espia per tutti, compiendo il disegno della redenzione del mondo. Così anche noi siamo chiamati a non tirarci indietro, ribellandoci e imprecando, quando nella nostra vita siamo provati, ma a confidare in lui che ci è vicino, non ci abbandona e ci rende giustizia.
Seconda Lettura: Gc 2,14-18.
San Giacomo, ancora una volta, ci ricorda che non basta la sola fede per poter ottenere la salvezza. Questa deve essere avvalorata dalle opere. Per cui se uno dicesse al fratello o sorella che sono senza vestiti e sprovvisti di cibo quotidiano: « Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi », ma non si dà loro il necessario per il corpo, a che potrebbe servire? « Così anche la fede: - continua san Giacomo – se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta ».
Non si può dunque mostrare la fede se questa non è realizzata nelle opere. Chi realizza le opere che la fede chiede di vivere, attuando la carità senza ostentazione, mostra anche la fede che le anima. La carità cristiana e, potremmo anche dire, l’amore che ogni uomo dice di avere per il fratello devono produrre opere coerenti con tali principi di vita, perché, diversamente, sarebbero entrambi parole vuote: la filantropia di ogni uomo e non vera fede o credenza astratta quella del cristiano. La concretezza dell’amore in entrambi i casi è manifestata dalle opere della carità e dell’amore. Non bastano pratiche religiose o fedeltà all’Eucaristia o proclami filantropici per dare consistenza all’amore per il fratello, chiunque esso sia.
Vangelo: Mc 8,27-35.
Gesù, durante la sua missione, a Cesarea di Filippo, interroga i suoi discepoli per sapere da loro che cosa dica la gente di lui. Essi rispondono che alcuni lo ritengono Giovanni il Battista, altri Elia e altri uno dei profeti. Alla domanda di Gesù: « Ma voi, chi dite che io sia ?», Pietro risponde: « Tu sei il Cristo ». E Gesù ordina loro severamente di non parlare di lui a nessuno e annunzia però, apertamente, che « il Figlio dell’uomo dove soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere ». Pietro, allora, lo prende in disparte e lo rimprovera. Ma Gesù, voltandosi e guardando tutti i discepoli, apostrofa aspramente Pietro dicendogli: « Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini ». E alla folla e ai discepoli dice: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà ». Pietro a nome di tutti riconosce Gesù come il Cristo, così come gli aveva detto il fratello Andrea incontrandolo, dopo aver sentito Giovanni il Battista additare Gesù come l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo.
Certo Pietro non poteva immaginare quello che Gesù avrebbe sofferto: il rigetto da parte dei capi, sacerdoti e scribi, e la morte prima della risurrezione. E se davanti alla rivelazione di Gesù Pietro reagisce quasi con violenza, non meno decisa è la risposta di Gesù, che lo apostrofa come un Satana, perché lo distrarrebbe dal compiere la volontà del Padre celeste e dal suo disegno. Non solo il Cristo, ma ogni discepolo dovrà portare la propria croce dietro al Signore, fino a giungere a perdere la propria vita per lui e il Vangelo. Quella della Croce è la strada per salvare la propria vita, se la si vuole riavere nella gloria della risurrezione. E’ importante allora capire la croce e portarla con speranza.
Ultimo aggiornamento (Sabato 15 Settembre 2018 09:40)
Come il sordomuto lasciamoci guidare da Gesù.
9 SETTEMBRE – XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nella celebrazione della Messa ci accostiamo a due mense: « quella della Parola di Dio » e « quella del pane della vita ». Entrambi questi doni sono lui stesso. E’ Cristo la Parola, la sapienza che è diffusa nella Scritture e soprattutto nel Vangelo, che con il suo insegnamento, ci guida e illumina nella vita quotidiana, per una continua ricerca della volontà di Dio Padre, così come è il pane della vita, datoci in cibo. In segno di riconoscenza a Dio per questi doni, noi celebriamo nella Messa il nostro ringraziamento e la nostra lode con la preghiera. Come figli lodiamo, adoriamo ed esprimiamo la pietà dei « figli adottivi, resi partecipi della vita divina, destinati alla vita eterna ed eredi del regno di Dio, pur nella nostra povertà e piccolezza ». Tutto questo lo condividiamo con i fratelli, con cui siamo uniti dalla stessa sorte secondo quando ci ha insegnato Gesù con il comandamento dell’amore fraterno.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Padre che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue e tanta umanità malata, incapace persino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie ».
Prima Lettura: Is 35, 4-7.
Il profeta Isaia, in nome di Dio, si rivolge agli smarriti di cuore esortandoli ad avere coraggio e non temere, perché il Signore viene a salvarli e dare la ricompensa. Egli aprirà gli occhi dei ciechi, schiuderà gli orecchi ai sordi; farà saltare lo zoppo come un cervo e la lingua del muto farà gridare; nel deserto scorreranno acque e nella steppa torrenti; la terra e il suolo avranno sorgenti d’acqua.
Anche davanti alle situazioni difficili, come quella dell’esilio in Babilonia, non si dovrà disperare, perché il Signore libererà gli oppressi e darà realtà superiori e appaganti.
Seconda Lettura: Gc 2,1-5.
San Giacomo esorta coloro a cui scrive a non mescolare la fede nel Signore con favoritismi personali, evitando, nelle loro riunioni, di fare discriminazioni tra un ricco lussuosamente vestito e un povero con vestito logoro; o di far sedere il ricco in un posto più onorevole e il povero in disparte e in piedi. Questi comportamenti discriminatori rendono i discepoli del Signore giudici dai giudizi perversi. Dio ha scelto, conclude San Giacomo, i poveri agli occhi del mondo, che ricchi nella fede e nell’amore per lui, erediteranno il Regno promesso.
Dio non ha usato preferenze, scegliendo i ricchi e rigettando i poveri. E’ sempre presente nella nostra vita la tentazione di favoritismi, allontanando quelli che non hanno prestigio e non sanno farsi valere. Quello che conta è la ricchezza della fede ed essere eredi del Regno dei cieli, di cui godranno coloro che amano Dio. La fede e l’amore devono essere il nostro vero tesoro.
Vangelo: Mc 7,31-37.
Il miracolo che Gesù compie a favore del sordo muto, come altri miracoli preannunziati dal profeta Isaia, inaugurano e danno compimento all'era messianica. Cristo che, nella sua umanità, è ripieno dello Spirito dal Padre che lo ha proclamato, nel battesimo al Giordano, come suo Figlio, e a Nazareth, leggendo il brano di Isaia sulla missione del Messia, ha applicato a sé, inizia l'opera del progetto di salvezza dell'uomo, che il Padre celeste gli ha dato da compiere. Ma Gesù chiede a coloro ce vedono questi segni di andare oltre la corporeità del segno per accogliere ciò che Dio vuole compiere nello spirito per opera del suo Figlio. Così i sacramenti, la sua parola, le sue opere vogliono indicare ai suoi discepoli come devono continuare la sua opera per la salvezza dell'uomo, rinnovandolo innanzitutto nello spirito e guarendolo anche nelle sue infermità fisiche.
Ultimo aggiornamento (Domenica 09 Settembre 2018 22:42)
Nessuna tradizione umana supera la legge di Dio.
2 SETTEMBRE – XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Ogni domenica siamo radunati, convocati dalla Parola di Dio, per celebrare il « memoriale della Pasqua del Signore », per lodarlo, ringraziarlo e rinnovare il nostro impegno a vivere nella fedeltà a questa parola. In questo convito, imbandito dal Padre celeste, ci viene offerto il suo Figlio, Pane di vita. Celebrare l’Eucaristia significa comprendere e sperimentare quanto Dio ci ami e riceviamo lo stimolo e la grazia a corrispondere a questo amore, nella fedeltà di discepoli, pronti a portare ogni giorno dietro al maestro la propria croce.
L’amore che nutriamo per Cristo sarà genuino e sincero se lo esprimiamo anche verso i fratelli, poiché amare il prossimo vuol dire confermare il nostro amore per il Signore.
Nella preghiera della Colletta diciamo: « Guarda, o Padre, il popolo cristiano radunato nel giorno memoriale della Pasqua, fa’ che la lode delle nostre labbra risuoni nella profondità del cuore: la tua parola seminata in noi santifichi e rinnovi tutta la nostra vita ».
Prima Lettura: Dt 4,1-2.6-8.
Mosè esorta gli Israeliti ad ascoltare le leggi e le norme del Signore per metterle in pratica, per poter avere vita lunga, prospera e entrare nella terra promessa. Non devono aggiungere né togliere nulla a ciò che Dio comanda e prescrive. Nell’osservarle e metterle in pratica, il popolo avrebbe dimostrato saggezza e intelligenza agli occhi dei popoli, così da far esclamare a questi, udendo tutte quelle leggi: « Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente ». Infatti nessuna nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Dio di Israele è vicino al suo popolo ogni volta che lo invoca. Ancora: nessuna grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta la legislazione che il popolo di Israele riceve dal Signore per mezzo di Mosè.
La legge di Dio è dunque una grazia di Dio per il popolo ed è il segno della presenza premurosa di Jahvéh nella storia e nella vita di Israele. La sua osservanza lo avrebbe reso saggio e sapiente agli occhi di tutti i popoli.
Seconda Lettura: Gc 1,17-18.21-22.27.
San Giacomo ricorda ai cristiani che ogni dono perfetto viene da Dio, « creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né cambiamento ». Dio ci ha, per suo dono di grazia, generati per mezzo della sua Parola e del suo Spirito, per essere primizia delle sue creature. Accogliere perciò, dice san Giacomo, la Parola seminata in noi può portare alla salvezza. Esorta ancora a mettere in pratica questa Parola e non essere solo ascoltatori, così da illudersi. « Religione pura e senza macchia davanti a Dio - continua - è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo ». Ascoltare e non mettere in pratica la Parola di Dio è illudesi di salvarsi. La Parola deve diventare concreta nella carità vissuta e nel distacco dal mondo e dal male. Se non è Cristo a salvare il mondo, sarà questi a sedurci e soggiogarci con il male che esso contiene. Bisogna allora rigettare le ambiguità e le incertezze nella fede.
Vangelo: Mc 7,1-8.14-15.21-23.
Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù ai farisei e scribi che, riunitisi attorno a Lui, lo interrogano sul perché i suoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, avendoli visti prendere cibo con mani impure, cioè non lavate, - poiché è usanza tra i Giudei non mangiare senza essersi lavate le mani e tornando dal mercato farsi le abluzioni e altro,- risponde dicendo: « Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “ Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini ”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini ». Gesù, allora, alla folla radunata, forse accorsa sentendo l’animata discussione, dice: : « Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro ». « Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo ».
Non bisogna vivere il rapporto con Dio solo esteriormente, in maniera ipocrita, rituale, facilmente realizzabile. E’ necessario che sia a partire da un cuore puro, incontaminato, libero da ipocrisia e finzione. Difficile è invece rifiutare e denunziare con coraggio tutto ciò che oggi rende l’uomo impuro e pervaso da ogni forma di peccato e di male, che esce dal cuore degli uomini. Gesù fa una diagnosi impietosa e impressionante, non solo per quel tempo, ma per ogni tempo, dei « propositi di male » che stanno nel cuore. Dobbiamo pensare che davanti a questi mali è grande la misericordia di Dio per qualunque peccatore, ma anche che bisogna vigilare costantemente e fortemente per non lasciarsi facilmente contaminare da tutti quei comportamenti denunziati da Gesù.
Crisostomo, vescovo
Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l’onore più gradito che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi. Anche Pietro credeva di onorarlo impedendo a lui di lavargli i piedi. Questo non era onore, ma vera scortesia. Così anche tu rendigli quell’onore che egli ha comandato, fa’ che i poveri beneficino delle tue ricchezze. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro.
Con questo non intendo certo proibirvi di fare doni alla chiesa. No. Ma vi scongiuro di elargire, con questi e prima di questi, l’elemosina. Dio infatti accetta i doni alla sua casa terrena, ma gradisce molto di più il soccorso dato ai poveri.
Nel primo caso ne ricava vantaggio solo chi offre, nel secondo invece anche chi riceve. Là il dono potrebbe essere occasione di ostentazione; qui invece è elemosina e amore. Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato, e solo in seguito orna l’altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice d’oro e non gli darai un bicchiere d’acqua? Che bisogno c’è di adornare con veli d’oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? Che guadagno ne ricava egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d’oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe o piuttosto non si infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?
Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell’edificio sacro. Attacchi catene d’argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò mentre adorni l’ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questi è un tempio vivo più prezioso di quello.