





IN ASCOLTO DELLO SPIRITO, CHE IL PADRE INVIERÀ NEL NOME DI GESÙ’.
22 MAGGIO – VI DOMENICA DI PASQUA.
Il tempo pasquale è un inno alla pace e alla gioia, espresso con il grido gioioso dell’Alleluia (Lodate il Signore), per le meraviglie compiute da Dio per la redenzione degli uomini operata da Cristo. La gioia del cristiano, che però ugualmente conosce motivi di ansia e di tristezza, deriva dalla certezza che Dio ci ha liberati dal peccato, il quale è la vera causa della tristezza. Cristo Gesù, risorgendo, ci riporta a vivere la speranza che un giorno saremo con lui nella beatitudine e nella gloria, perché egli è andato a prepararci un posto nel cielo.
Ripensando allora a tutto ciò che Gesù ha detto e fatto, noi, immersi nel mistero pasquale di Cristo, rinnoviamo il motivo della nostra gioia. Se, come Gesù, usciamo dal nostro egoismo e sappiamo dare la vita per gli altri, allora la carità del donarsi si trasformerà in letizia qui in terra, e sarà il preludio di quella celeste. Per questo preghiamo dicendo: « O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora in coloro che ascoltano la tua parola e la mettono in pratica, manda il tuo santo Spirito, perché ravvivi in noi la memoria di tutto quello che Cristo ha fatto e insegnato. Egli è Dio, e vive e regna con te…».
Prima Lettura: At 15,1Ú-2.22-29.
Discutendo e dissentendo animatamente Paolo e Barnaba contro i Giudei, che ritenevano di dover far circoncidere coloro che tra i pagani aderivano alla fede, viene deciso che alcuni salissero con loro a Gerusalemme dagli apostoli per tale questione. Allora agli apostoli, agli anziani e a tutta la Chiesa, parve bene di inviare Paolo, Barnaba, Giuda detto Barsabba e Sila ad Antiochia con una lettera in cui scrivono: « Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolti i vostri animi ». Tutti d’accordo, essi scelgono alcune persone e, con Barnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del Signore Gesù, vengono mandate Giuda e Sila a riferire a voce queste stesse cose: « E’ parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose ».
Per la fede in Cristo non sono necessarie le pratiche imposte dalla legge di Mosè, ma ciò non toglie che è necessario osservare alcune norme animate dalla carità e dalla novità dello Spirito, che rinnova l’intimo del cuore. E come è detto che Paolo e Barnaba hanno rischiato la loro vita per il Signore, così anche il cristiano, oltre che i vescovi e i sacerdoti, dediti alla missione del Vangelo e alla edificazione della Chiesa, devono dare la loro vita per Cristo, dandone testimonianza. Le decisioni che gli apostoli prendono sono attribuite innanzitutto all’opera dello Spirito Santo, di cui gli apostoli sono strumenti, dipendenti non padroni. Alle guide spirituali, Papa e vescovi, il Signore ha dato il suo Spirito, cosicché, come guide delle comunità, della fede, della condotta da tenere, la comunità di fede non sbagli, anche se può presentarsi, a volte, con difetti umani e comuni.
Seconda Lettura: Ap 21, 10-14.22-23.
L’apostolo Giovanni contempla la Gerusalemme che scende dal cielo, oltre che con l’immagine di una sposa, con quella di una gemma preziosissima, splendente, come pietra di diaspro cristallino. E’ una città circondata da alte mura con dodici porte su cui stanno dodici angeli e i nomi delle dodici tribù d’Israele. Da ognuno dei quattro lati delle mura vi sono tre porte e le mura poggiano su dodici basamenti, sopra i quali vi sono i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Nella celeste Gerusalemme non vi è tempio, perché Dio onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio: la gloria di Dio la illumina e l’Agnello è la sua lampada. Nel cielo non c’è più la mediazione dei segni del culto e della liturgia: il tempio, i sacramenti, le Scritture come nella Chiesa terrestre, realtà che alimentano la nostra intenzione e il nostro desiderio di raggiungerli, ma Dio e il Signore Gesù saranno immediatamente contemplati e visibili. Nel cielo abita il nuovo popolo di Dio, dei salvati che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello, la Chiesa fondata sugli Apostoli e che ha raggiunto definitivamente la gioia eterna, che è il risultato non tanto dello sforzo dell’uomo, ma dono della grazia di Dio.
Vangelo: Gv 14,23-29.
Gesù oggi nel Parola che ascoltiamo chiarisce quale è il rapporto che siamo chiamati a vivere con lui e il Padre nello Spirito. Egli ci dice:« Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui ». Chi non lo ama non osserva né la sua parola né quella del Padre che lo ha mandato. Promette che lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel suo nome, insegnerà e ricorderà loro tutto ciò che ha detto. Inoltre lascia e dà loro la pace, non come quella che dà il mondo, e li esorta a non turbarsi e a non temere per il fatto che ha detto: “Vado e tornerò da voi”. E conclude: « Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate ». La presenza di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, nella vita di coloro che amano il Signore, perché osservano la sua parola, è motivo di gioia e non devono lasciarci prendere dall’ansia. La presenza di Dio è portatrice di pace che il Signore ha promesso e dato. Con l’avvento del Paràclito, il Consolatore, che Gesù ha promesso di inviare dal Padre, i discepoli sono in grado di ricordare le parole che Gesù ha detto, capirle, gustarle e ad avere la forza di praticarle. Un cristiano, quindi, vive l’intimità dello Spirito e così, congiunto con il Signore Gesù, è introdotto alla comunione di vita del Padre.
Ultimo aggiornamento (Venerdì 20 Maggio 2022 09:42)
La gloria di Dio è l'amore.
19 MAGGIO - V DOMENICA DI PASQUA
La Chiesa, oggi, nella liturgia, inizia la sua lode a Dio, invitando i fedeli a cantare con gioia un canto nuovo, perché il Signore ha compiuto prodigi. Poiché siamo stati liberati dal potere di Satana e dal peccato, nel suo Figlio, morto e risorto per noi, il Padre ci ha riconciliati con sé, dandoci l’adozione a figli e rendendoci eredi delle vita eterna.
Siamo divenuti nuovi, « primizia di una nuova umanità », che in Cristo si edifica come nazione santa, sacerdozio regale, tempio santo della gloria di Dio. Questa realtà la si avverte attraverso la fede, che deve maturare nella testimonianza delle opere: queste sono espressione dell’amore riversato nei nostri cuori dallo Spirito del risorto. Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di questa domenica diciamo: « O Dio, nel Cristo tuo Figlio rinnovi gli uomini e le cose, fa’ che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami, e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito ».
Prima Lettura: At 14,21-27.
Paolo e Barnaba, nel loro cammino di annuncio del messaggio evangelico, ritornando a Listra, Iconio e Antiochia, andavano esortando i discepoli a restare saldi nella fede, perché dicevano che, per entrare nel regno di Dio, , bisogna sopportare molte tribolazioni. Designavano, nelle varie comunità costituite, degli anziani che affidavano al Signore dopo aver pregato e digiunato. Passando per la Pisidia, la Panfilia, Perge, giunsero ad Attàlia e da qui salparono per Antiochia, dove erano stati affidati al Signore per la missione che avevano compiuta. Riunita la Chiesa, riferirono quello che Dio aveva fatto per mezzo di loro, avendo molti pagani accolto la fede nel Signore. La fede, specie attraverso le tribolazioni, viene messa a dura prova, ma le sofferenze sopportate per il Signore sono necessarie per entrare nel Regno di Dio.
Gli anziani, a cui venivano affidate le Comunità, sulla quali presiedevano, non sostituivano il Signore Gesù, ma lo rendevano visibile attraverso la loro opera. La Chiesa è viva e presente per opera della grazia del Signore, che genera in essa la santità, in modo invisibile, nell’intimo dei cuori.
Seconda Lettura: Ap 21,1-5.
L’apostolo Giovanni, continuando la descrizione degli avvenimenti contemplati, vede un cielo nuovo e una terra nuova, rispetto a quelli di prima, che erano scomparsi. Egli, vedendo la città santa, la Gerusalemme celeste, adorna come una sposa per il suo sposo, scendere dal cielo, da Dio ode una voce potente che dice: « Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate ». Colui che siede sul trono dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose ». Poiché non siamo destinati a restare per sempre su questa terra, Dio farà nuove tutte le cose: cieli nuovi, terra nuova, città nuova, Gerusalemme nuova, e Dio sarà in intima comunione con l’umanità redenta dall’Agnello e glorificata insieme a lui. In questa nuova realtà saranno eliminate ogni sorta di sofferenze, inclusa la morte, che è stata vinta dall’Agnello. Tutto questo è sogno o realtà? Attraverso la descrizione di una nuova terra, nuovo cielo, delle cose nuove che soppiantano quelle che passano, la fede ci dice che, per opera del Creatore, vivremo una nuova condizione dopo le vicende terrene: nel cielo, quindi, si realizza la pienezza della redenzione. Dio trasformerà questa creazione, dice san Paolo, che attende, come una donna nelle doglie del parto, la nascita di una nuova creatura, alla maniera di Cristo risorto, primizia di risurrezione, di gloria e di vita eterna..
Vangelo: Gv 13, 31-33.33-35.
Nel brano del Vangelo di oggi, l’apostolo Giovanni ci riferisce le parole che Gesù disse dopo che Giuda abbandonò il Cenacolo:« Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui ». Attraverso l’obbedienza alla volontà del Padre, il Figlio Gesù glorifica il Padre che, da parte sua, glorificherà il Figlio subito, attraverso la risurrezione. Per questo Gesù dice ai discepoli : « Ancora per poco sono con voi ». Affida allora loro il nuovo comandamento: « Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri ». Da questo amarsi dei discepoli, così come lui li ha amati, tutti sapranno che essi sono suoi discepoli, perché avranno amore gli uni per gli altri. Come per Gesù, anche per il cristiano, la croce non è il fallimento o l’ignominia: per il Signore e secondo il disegno di Dio, essa è la glorificazione. Essa è strumento di redenzione universale, strumento di passaggio verso la risurrezione. L’amore vicendevole, come espressione del comandamento nuovo, che Gesù raccomanda ai suoi discepoli, è segno di appartenenza a lui, distintivo che contraddistingue i suoi discepoli. Se Gesù ci ha amato dando se stesso e vogliamo essere dei suoi discepoli, dobbiamo imitarlo dando la vita per lui e per il prossimo. Ciò è possibile se viviamo in comunione e condividendo l’ amore di Gesù che è presente nell’Eucaristia.
Ultimo aggiornamento (Venerdì 17 Maggio 2019 11:07)
Gesù è il Buon Pastore, che salva e guida il suo gregge.
12 MAGGIO – IV DOMENICA DI PASQUA.
Gesù oggi si presenta a noi come il buon Pastore e noi formiamo il suo gregge. Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « O Dio, fonte d della gioia e della pace, che hai affidato al potere regale del tuo Figlio le sorti degli uomini e dei popoli, sostienici con la forza del tuo Spirito, e fa’ che nelle vicende del tempo, non ci separiamo mai dal nostro pastore che ci guida alle sorgenti della vita ».
In Cristo risorto, aderendo alla salvezza da lui operata come pecorelle del suo gregge, siamo chiamati a costituire un’ unica famiglia e a vivere nella gioia della figliolanza divina. Dobbiamo seguire Cristo Pastore con sapienza e costanza, riconoscere la sua voce e lasciarci guidare, nelle vicende della vita e tra le insidie del mondo, da lui. Egli ci conduce alle sorgenti della « vera vita » che viene alimentata dalla sua parola, dai suoi sacramenti e soprattutto dall’Eucaristia, suo Corpo e Sangue e nostro cibo. Gli uomini, dispersi e frammentati tra loro, in lui possono ritrovare l’unità di una « sola famiglia». Questa unità può aversi non solo perché è « dono di Dio », ma anche perché « ognuno è chiamato a superare e a vincere i motivi di divisione che ci sono tra gli uomini ».
Prima Lettura: At 13, 14.43-52.
Nella loro peregrinazione per l’annunzio della Parola del Signore, Paolo e Barnaba giungono a Perge e entrati, di sabato, nella sinagoga si intrattengono con Giudei e proseliti credenti in Dio, esortandoli a perseverare nella grazia di Dio. Ma il sabato seguente, essendosi radunata una moltitudine di gente, i Giudei, presi di gelosia, si mettono a contrastare le affermazioni di Paolo con parole ingiuriose. Allora Paolo e Barnaba, francamente dicono: « Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani », citando l’ordine del Signore: « Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra ». Così i pagani presenti si rallegrano e glorificano la parola del Signore e molti cedono, mentre la Parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei, sobillando le pie donne della nobiltà e notabili, suscitano atteggiamenti ostili verso i due apostoli ed essi, cacciati dal quel territorio, si recano ad Iconio, pieni di gioia e di Spirito Santo.
Davanti all’annunzio del Vangelo vi è chi rifiuta e respinge la salvezza di Cristo e chi si apre alla sua luce e alla gioia del Signore. Bisogna, certo, rallegrarsi della dignità di figli di Dio e discepoli di Cristo, ma si deve anche riflettere sul dono che Dio ci ha fatto e impegnarsi e perseverare nella sua grazia.
Non basta aver iniziato il percorso della salvezza: occorre proseguire vincendo le tentazioni della stanchezza e della mediocrità di vita, non scoraggiandosi di fronte agli ostacoli e vivendo nella coerenza della dignità cristiana di figli. Se la fedeltà a Cristo, certo, non costa poco, tuttavia ci si deve sforzare di corrispondere con amore al gesto di amore di Cristo, che ha donato la sua vita per noi.
Seconda Lettura: Ap 7, 9.14-17
Nel brano dell’Apocalisse, Giovanni vede attorno al trono di Dio e all’Agnello una moltitudine immensa, di ogni nazione, popolo, tribù, lingua. Tutti hanno vesti candide e tengono palme nelle mani. E uno degli anziani dice: « Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavatole loro vesti, rendendole candide con il sangue dell’Agnello ». Questi sono quelli che davanti al trono di Dio gli rendono servizio e su di loro Dio stenderà la sua tenda. Essi non soffriranno più né fame né sete, né alcuna altra cosa, perché l’ Agnello che sta in mezzo al trono sarà per loro pastore, li guiderà alle fonti della vita e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi: Gesù è l’Agnello che ha dato la sua vita per lavarci dalle colpe e il pastore che guida verso le fonti della vita eterna. Nella visione celeste della comunità dei salvati, ormai al cospetto di Dio, vi sono i martiri e tutti coloro che, passati dalla tribolazione, sono ormai nella gioiosa comunione con Cristo. Tutti siamo chiamati a rendere la nostra vita monda dal male e a vivere, anche nelle prove, nella fedeltà al Signore e nell’incrollabile certezza che alla sofferenza e alla passione seguirà la gioia e la consolazione che si avrà nella gloriosa comunione con Dio. In Gesù, redentore e Signore universale di tutti, non ci sarà nessuna distinzione di lingua o di razza. Ma fin da ora possiamo attingere, attraverso i sacramenti, alla fonti della vita, di cui l’Eucaristia ne è la principale, perché in essa ci nutriamo del Corpo e Sangue del Signore, e lo Spirito ci disseta e santifica.
Vangelo: Gv 10,27-30.
Nel brano evangelico Gesù ci dice: « Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono ». Il Signore per salvarci ha dato la vita per noi, sue pecorelle, liberandoci dal potere di Satana e, dopo esserci smarriti nelle vie del male, ci ha riportato all’amore di Dio e ci ha donato la sua vita divina. Da lui guidati, con la sua protezione, nessuno può strapparci dalla sua mano. Noi apparteniamo a lui poiché il Padre celeste, « che più grande di tutti », a lui ci ha affidati, per cui « nessuno può strapparci dalla mano del Padre » né di Gesù, essendo il Padre e Gesù una cosa sola. Gesù è un pastore singolare, particolare, che ci conosce profondamente e ci ha legati a sé, insieme al Padre, con un legame profondo dal quale nessuno può strapparci: intima, profonda e solida è questa unione. Gesù ci guida con la sua parola e il suo esempio, ci nutre con il suo Corpo e il suo Sangue, e ci conduce verso i pascoli della vita eterna. Questo vincolo di carità, che ci stringe a Cristo e al Padre, è il fondamento e la ragione per cui non dobbiamo lasciarci abbattere da nessun evento, pur anche negativo, o disavventura.
Gesù risorto, apparendo ai discepoli, li invita a mangiare.
5 MAGGIO – TERZA DOMENICA DI PASQUA. (Anno C)
Cristo risorto è presente nella sua Chiesa, comunità dei credenti in lui, soprattutto con l’Eucaristia e con i sacramenti pasquali, con cui comunica la salvezza. Nella Eucaristia riconosciamo il Signore crocifisso e risorto che ci accompagna, come comunità di fratelli, lungo il cammino dell’esistenza terrena, cosi come con i discepoli di Emmaus. La comunità del Signore, raccogliendosi per lo spezzare il pane, pone il segno della nuova umanità, pacificata nell’ amore e nella pace, doni elargiti da Cristo agli uomini, divenuti suoi fratelli, per i quali si è offerto come vittima di espiazione dei loro peccati. Come figli di Dio e fratelli del Signore dobbiamo allora vivere con la carità del risorto.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « O Padre misericordioso, accresci in noi la luce della fede, perché nei segni sacramentali della Chiesa riconosciamo il tuo Figlio, che continua a manifestarsi ai suoi discepoli, e donaci il tuo Spirito, per proclamare davanti a tutti che Gesù è il Signore ».
Prima Lettura: At 5, 27-32.40-41.
In questa pagina degli Atti degli Apostoli, Pietro, davanti alla reiterata proibizione, fatta nel sinedrio dal sommo sacerdote, di non insegnare nel nome di Gesù, per la cui morte era stato fatto ricadere su di loro il suo sangue, risponde insieme agli apostoli: « Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare ad Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che obbediscono ». Dopo averli fatti flagellare e intimato loro di non insegnare nel nome di Gesù, li rimettono in libertà. Gli apostoli se ne vanno lieti per essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.
Gli apostoli, timorosi durante la passione di Gesù, adesso sostenuti dalla forza dello Spirito Santo, non vengono intimoriti da nessuna minaccia: affermano con coraggio che Gesù, condannato alla croce, è risorto e che Salvatore chiede che ci si penta dei peccati e ci si converta nel suo nome, perché non c’è altro nome, sotto il cielo, nel quale ci si possa salvare. Dall’amore per il nome di Gesù, essi traggono forza e coraggio e nessuno oltraggio è per loro motivo di avvilimento o di rinunzia alla loro testimonianza del Signore.
Seconda Lettura: Ap 5,11-14.
Nella visione dell’Apocalisse della lettura della Parola di Dio di oggi, Giovanni vide e udì attorno al trono di Dio miriadi e migliaia di migliaia di angeli insieme agli esseri viventi e agli anziani che dicevano: « L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione ». Anche tutte le creature e gli esseri viventi nel cielo e sulla terra e nel mare dicevano: « A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli ». mentre i quattro esseri viventi dicevano: « Amen » e gli anziani si prostrarono in adorazione. Dalla immolazione dell’Agnello ne viene gloria eterna. Egli a causa della sua morte è stato costituito Signore, davanti al quale ogni ginocchio deve prostrarsi in adorazione da parte di ogni creatura del cielo e della terra. Tutta quanta la creazione e anche noi diciamo il nostro “Amen” di consenso e di amore a Colui che si è offerto per riconciliarci con Padre. Vivere in Cristo significa essere nella vera libertà, dataci da lui per averci sottratto alla schiavitù di Satana e del peccato.
Vangelo: Gv 21,1-19.
Mentre, nel mare di Tiberiade, Tommaso, Natanaele di Cana, i fratelli Giacomo e Giovanni e altri due discepoli si trovano insieme a Simon Pietro, e questi dice loro: « Io vado a pescare » e, andando tutti insieme con la barca a pescare, quella notte non prendono nulla, Gesù, sul far dell’alba, stando sulla riva, si manifesta loro di nuovo. Ad essi che non si sono accorti che era Gesù, dice: « Figlioli, non avete nulla da mangiare? ». Rispondendogli di no, Egli dice loro: « Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete ». Lo fanno e prendono una grande quantità di pesci da non riuscire a trascinare la rete sulla barca. Il discepolo che Gesù amava, riconoscendo Gesù, dice a Pietro che è il Signore colui che ha detto di pescare nella parte destra. Pietro allora, cingendosi la veste ai fianchi, si getta in mare per raggiungere il Signore, mentre gli altri, ritornando a riva, trascinano la rete con i pesci. A riva trovano un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Gesù dice loro di portare del pesce e, mentre Simon Pietro trae a terra la rete piena di cento centocinquantatre pesci, li invita a mangiare. Poiché nessuno dei discepoli osa chiedere chi sia, avendo riconosciuto che è il Signore, Gesù, avvicinandosi, prende del pane e del pesce e li dà loro. E’ così la terza volta che egli si manifesta, da risorto, ai discepoli.
Dopo aver mangiato, Gesù chiede a Pietro, una prima volta, se lo ama più degli altri ed egli risponde: « Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene ». E Gesù gli dice: « Pasci i miei agnelli ». Chiedendogli una seconda volta se lo ami, Pietro risponde di nuovo; «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene » e Gesù: « Pasci le mie pecore ».Poiché per la terza volta Gesù gli chiede se gli vuole bene, Pietro, addolorato, gli risponde: « Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene ». Gesù gli dice: « Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi ». Gli indica così con quale morte Pietro avrebbe glorificato Dio e gli aggiunse: « Seguimi ».
Gli apostoli, nella Chiesa, Comunità del risorto, mandati da Gesù a predi- care il suo messaggio e ad essere « pescatori di uomini », potranno operare una pesca miracolosa tra gli uomini perché è Cristo che dà incremento alla loro opera di salvezza. L’invito del Cristo rivolto ai discepoli: « Venite a man-giare », egli lo rivolge anche a noi affinché, partecipando dell’Eucaristia e mangiando il suo Corpo e bevendo il suo Sangue, possiamo avere il coraggio, manifestato dagli apostoli davanti al sinedrio, di testimoniare il Signore Risorto, speranza di nuova umanità. La Chiesa, costituita « da pecorelle e da agnelli », non è proprietà di Pietro e degli apostoli a cui è stata affidata, ma appartiene a Cristo « Pastore supremo delle vostre anime », scrive Pietro. E’ Cristo che pasce la sua Chiesa e chi la guida nel suo nome, nelle vicende della storia, deve guidarla con amore, un amore unico e singolare. A Pietro, affidandogli di guidargli la Chiesa, gli chiede, con la triplice richiesta se lo ami, la condizione di amarlo più degli altri. La comunità cristiana gioisce di avere in Pietro e in coloro che succedono al suo ministero un pastore visibile che è segno di Cristo. E come Gesù ha fatto, anche la Chiesa deve pregare per Pietro, perché non venga meno in lui l’amore, più degli altri, al Signore.
Domenica in "Albis" o della " Divina Misericordia.
28 APRILE – SECONDA DOMENICA DI PASQUA
Domenica in Albis o « della misericordia ».
In questa Domenica « in Albis », chiamata così per la veste bianca, simbolo della rigenerazione avvenuta nel battesimo ricevuto la notte di Pasqua, o anche « della divina Misericordia », per il mandato che Gesù dona agli apostoli, la sera della risurrezione, apparendo loro e dando lo Spirito Santo, la Chiesa ripensa all’opera di Cristo, morto per gli uomini, e ci fa riprendere coscienza del nostro Battesimo, che è stato il nostro ingresso nel suo mistero pasquale. Alle meraviglie operate da Dio in noi, alla rigenerazione operata in Cristo, mediante la nostra partecipazione alla sua morte e risurrezione, dobbiamo far corrispondere il frutto di una vita nuova, dando una testimonianza nelle nostre opere di Gesù Vivente.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Padre dicendo: «O Dio, che in ogni Pasqua domenicale ci fai vivere le meraviglie della salvezza, fa’ che riconosciamo con la grazia dello Spirito il Signore presente nell’ assemblea dei fratelli, per rendere testimonianza della sua risurrezione ».
Prima Lettura: At 32-35.
Oggi la Parola di Dio dagli Atti degli Apostoli ci ripropone la testimonianza delle prime comunità cristiane, nate dall’ evento della risurrezione del Signore, in cui tutti si amavano e ponevano tutto in comune, escludendo qualsiasi forma di discriminazione tra ricchi e poveri. I cristiani, anche oggi, devono avere « un cuor solo e un’anima sola », cosicché, come allora « nessuno tra loro era bisognoso e fra loro tutto era comune ». Così essi esprimano questa fraternità nelle situazioni attuali di vita, incidendo e permeando la società con questa modalità di vita. Le leggi, certo, possono concorrere a tale finalità, ma non è con la costrizione esterna che ciò si può realizzare; è necessaria la fede che deve generare la carità vicendevole con opere di carità visibile.
Quando non apriamo il nostro cuore ai fratelli che sono nel bisogno, condividendo ciò che possediamo, allora dobbiamo dubitare della consistenza del nostro amore e della autenticità della nostra fede.
Seconda Lettura: 1Gv 5,1-6.
La fede in Gesù, il Cristo, generato da Dio, ci dice San Giovanni, ci rende figli di Dio e dobbiamo, come Gesù, amarlo da figli, osservando di conseguenza i suoi comandamenti, che non dobbiamo sentire come un peso. Se non si ama Dio non si amano neanche i fratelli che da lui sono stati generati a figli. La consistenza dell’amore a Dio trova il suo criterio nell’amore al prossimo: queste due manifestazioni di amore non sono né giustapposte né in alternativa. L’amore a Dio è il primo e l’amore ai fratelli, che sono ad immagine di Dio, è una conseguenza del primo. San Giovanni ancora precisa che chi è generato da Dio e vive con la fede in Gesù, Figlio di Dio, venuto con acqua e sangue in cui gli uomini sono stati rigenerati con il dono dello Spirito, vince il mondo come lo ha vinto Lui: la morte e la risurrezione di Cristo sono la vittoria sul mondo e sul peccato, sul male e su Satana.
Vangelo: Gv 20,19-31.
Fissiamo la nostra attenzione su tre aspetti dell’incontro di Gesù risorto con i discepoli. Anzitutto il dono della pace, che è l’insieme dei beni che il mistero della Pasqua ha procurato agli uomini: la grazia divina, la gioia, la speranza.
Poi l’effusione dello Spirito, per cui ci possono essere rimessi i peccati: la Chiesa, con la missione affidata ad essa tramite il ministero degli apostoli, è il luogo e il sacramento della misericordia e del perdono, dal momento che in essa vive lo Spirito Santo. I ministri della Chiesa non trasmettono la propria santità ma lo Spirito che sa rinnovare e purificare la vita. Infine notiamo la professione di fede di Tommaso, il quale riconosce Gesù come Signore e Dio. Se noi, come dice Gesù a Tommaso, crediamo, senza aver visto e sperimentato, saremo beati. E se accogliamo i segni che sono stati scritti su Gesù e la sua opera, credendo che Egli è il Cristo, il Figlio di Dio, allora avremo la sua vita divina nel suo nome.
Ecco chi è Gesù ed ecco a che cosa tende la predicazione e la narrazione stessa del Vangelo: a fare scoprire in lui il vero Dio e il Signore glorioso. Per questo siamo chiamati fedeli e discepoli. Solo che la nostra fede non deve vacillare.