ll cristiano con le parole e la vita deve testimoniare Cristo.
15 LUGLIO – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
L’essere cristiani più che una etichetta ci impegna a vivere secondo lo stile di vita del Vangelo, seguendo Cristo, che ci indica la via per condurre una vita secondo la sua mentalità. Si deve allora respingere ciò che è contrario a questo nome e seguire ciò che gli è conforme.
Nella Orazione di questa domenica preghiamo Dio dicendo: « Donaci, o Padre, di non avere nulla di più caro del tuo Figlio, che rivela al mondo il mistero del tuo amore e la vera dignità dell’uomo; colmaci del tuo Spirito, perché lo annunziamo ai fratelli con la fede e con le opere ». Questa esigenza della testimonianza, con la forza dello Spirito, non si rende concreta solo parlandone o insistendovi nella Liturgia, ma vivendo concretamente questo stile di vita. La consistenza delle opere non sempre è adeguata alla insistenza con cui ne parliamo.
Prima Lettura: Am 7,12-15.
Il profeta Amos viene allontanato dal sacerdote Amasia da Betel, santuario del re, proibendogli di profetizzarvi e di andarlo a fare nella terra di Giuda. Ma Amos rispondendogli dice: « Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele ».
Il profeta che è mandato da Dio non parla di sua iniziativa, ma profetizza perché è Dio che lo chiama e lo sollecita. Non parla perché è gradito agli uditori, ma perché Dio gli affida il messaggio. Mentre Amasia, rappresentante ufficiale della categoria dei profeti, dice cose gradite al potere regale, Amos non è impedito da vincoli o impacci che lo legano al potere. Egli è investito direttamente da Dio per questa missione e la sua voce è libera di annunziare ad Israele le vie di Dio, che vuole realizzare la salvezza del suo popolo.
Seconda Lettura: Ef 1,3-14.
San Paolo agli Efesini ricorda che Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, « ci ha benedetti nel suo Figlio, chiamandoci, prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati dinanzi a lui nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel suo Figlio diletto » Nel sangue del suo Figlio noi abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati ed è stata riversata con abbondanza su di noi la sua grazia, con ogni intelligenza e sapienza. Così ci è stato fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo la sua benevolenza, volendo ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra.
Cristo Gesù è colui che ricapitola tutte le cose e le riassume in sé. Così ad immagine di Cristo è concepito l’uomo fin dall’eternità, destinato ad essere figlio adottivo, redento dal sangue di Cristo e chiamato a vivere in comunione d’amore con Dio. Il Padre, in Cristo, ci ha fatti anche eredi, predestinandoci a essere lode della sua gloria.
Dopo aver ascoltato la parola di verità, il Vangelo della salvezza e aver creduto in esso, dice ancora Paolo agli Efesini, essi hanno ricevuto il sigillo dello Spirito Santo promesso, come caparra della eredità che Dio promette, nell’attesa della completa redenzione, a quelli che Egli si è acquistato a lode della sua gloria. Il pensiero che ognuno è chiamato a raggiungere questo fine dovrebbe riempire di gioia il cuore anche in mezzo alle difficoltà di ogni giorno, farci aprire al ringraziamento a Dio e impegnarci a raggiungerlo per essere, in conformità a Cristo, nella risurrezione. Fin da ora, con lo Spirito, abbiamo la « caparra della nostra eredità », in attesa della completa redenzione.
Vangelo: Mc 6,7-13.
Gesù invia a due a due i suoi discepoli, da poveri e con un messaggio da annunziare, dà loro il potere di scacciare gli spiriti impuri ed li esorta a non portare con sé, per il viaggio, né pane, né sacca, né denaro, né due tuniche, ma solo il bastone e un paio di sandali.
Ancora: a rimanere nella casa dove entrano finché non se ne siano partiti di lì e, dove non sarebbero stati accolti né ascoltati, scuotere la polvere dai loro piedi come testimonianza per loro. « Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano i demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano ». I discepoli hanno da annunziare il regno di Dio e il Cristo che lo incarna con la sua presenza. Tale annunzio è un giudizio di condanna per coloro che avrebbero rigettato, allora come oggi, il Vangelo della salvezza non bisogna accoglierlo solo a parole, ma testimoniarlo nella concretezza della vita in tutta la sua quotidianità.
Accolgiere Gesù, il Cristo e Figlio di Dio, venuto a rivelarci il Dio-Trinità.
8 LUGLIO - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nella orazione di oggi preghiamo dicendo:« O Padre, togli il velo ai nostri occhi e donaci la luce dello Spirito, perché sappiamo riconoscere la tua gloria nell’ umiliazione del tuo Figlio e nella nostra infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione ». Chiediamo al Padre di poter riconoscere in Gesù che si umilia, facendosi obbediente al Padre, la sua gloria e nelle nostre infermità possiamo essere sostenuti dalla speranza e della forza della sua risurrezione. Liberati dalla oppressione della colpa, per la potenza della croce di Gesù, dobbiamo conformarci a lui crocifisso nella sua umiliazione, sgombrando il nostro cuore da tutto ciò che non ci rende poveri ed esultanti. Liberi dall’attaccamento a noi stessi portiamo, anche in mezzo alle infermità umane, la testimonianza della gioia pasquale della risurrezione.
Prima Lettura: Ez 2,2-5.
Ezechiele è inviato da Dio a parlare agli israeliti che sono una genia di ribelli, perché si sono rivoltati contro il Signore, così come avevano fatto i loro padri fino ad allora. E’ mandato al popolo degli Israeliti divenuti « figli testardi e dal cuore indurito » e dovrà dire loro: « Ascoltino o non ascoltino - dal momento che sono una genia di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro ». E’ ardua la missione che il Signore affida al profeta, perché gli Israeliti sono ribelli e dai cuori induriti e non corrispondono alla fedeltà del Signore. La parola che il profeta annunzia se non viene ascoltata diventa non motivo di risurrezione ma di condanna. Non si rigetta o non si trascura invano la Parola di Dio.
Seconda Lettura: 2 Cor 12,7-10.
Paolo ai Corinzi scrive dicendo che egli, perché non si insuperbisca, ha nella sua carne un inviato di Satana che lo tormenta. Nelle sue sconfitte e umiliazioni egli non si lascia scoraggiare o deprimere. Di fronte alla sua preghiera al Signore perché lo liberi, la risposta di Dio è : « Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza ». Vantandosi poi volentieri delle sue debolezze e compiacendosi in esse, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo, è quando si sente debole che avverte la potenza, la grazia e la forza del Signore. Soffrire per Cristo, allora, anche nelle infermità umane, nelle incapacità e debolezze dell’uomo, lo si può perché Cristo ci assicura la sua grazia. E’ importante affidarsi a Dio con assoluta confidenza, Con lui riusciamo a vincere sempre sul male e a perseverare nel bene.
Vangelo: Mc 6,1-6.
Gesù, nella sinagoga di Nazaret, dopo aver letto la profezia di Isaia sul Messia e averla applicata a sé dicendo: « Oggi questa Scrittura si è realizzata ai vostri orecchi », ha scandalizzato gli uditori. I circostanti, stupiti del suo insegnamento, si chiedono donde gli vengano quelle cose, la sua sapienza e i prodigi attribuiti dal profeta al Messia. Lo conoscono come il figlio di Giuseppe il falegname, di Maria e fratello di Giacomo, Ioses, Giuda e Simone e non possono accettare che Egli le attribuisca a sé. Viene cacciato dalla sinagoga e Gesù amaramente dice loro: « Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua » e non vi compie nessun prodigio, restando anzi meravigliato della loro incredulità, « ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì ».
L’incredulità è un ostacolo per la salvezza perché l’opera del Cristo possa essere efficace nell’uomo. Senza la fede non avviene il miracolo di avvicinarsi a Cristo e accoglierlo. Quella incredulità di allora prefigura la nostra e di quanti non vogliono accogliere Gesù che si presenta nella normalità umana, senza prestigio, gloria o altro di strabiliante. Accettare la sua identità significa credere al di la delle sue apparenze umane. Non possiamo essere noi a porre le condizioni a Dio per il suo disegno di salvezza. Come gli apostoli allora che vedevano l’avvento del Messia come la liberazione politica, sociale e umana nei suoi gesti, anche oggi vorremmo un Cristo diverso e non di « passione e di croce » che scandalizza. Possiamo partecipare della salvezza da lui operata solo se si accetta il modo e lo stile che Dio ha deciso, per riportare l’uomo alla comunione con sé.
La fede salva gli uomini.
1 LUGLIO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il Signore nella liturgia della Domenica continua a portare a compimento l’opera della redenzione e della liberazione degli uomini dalle tenebre del male e del peccato. Donandoci lo Spirito Santo, con la sua luce della sua verità, ci libera dal nostro egoismo e con la grazia del Cristo, povero e crocifisso, addolcisce le nostre asprezze con la dolcezza e la forza del suo amore.
Verificare ogni giorno questo cammino di santità è certo un compito a cui siano chiamati, ma dobbiamo ritenerlo un dono di grazia elargito dal Signore, dono che non dobbiamo mettere in dubbio di fronte all’esperienza di ogni giorno, in cui i sentimenti sono diversi da quelli che il Signore ci chiede.
Così non dobbiamo avvilirci né scoraggiarci e, convinti della continuità del dono della grazia che Dio ci fa, confidare sempre in lui e riprendere il cammino con serenità e costanza.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Padre celeste dicendo:« Padre, che nel mistero del tuo Figlio povero e crocifisso hai voluto arricchirci di ogni bene, fa che non temiamo la povertà e la croce, per portare ai nostri fratelli il lieto annunzio della vita nuova ».
Prima Lettura: Sap 1,13-15; 2,23-24.
Il libro della Sapienza ci insegna che Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi. Egli ha creato l’uomo per l’immortalità facendolo ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo e coloro che gli appartengono fanno esperienza della morte. Gesù è venuto per riscattarci da questa situazione mortale, vincendo il demonio e il male e vincendo anche la morte da lui causata. Gesù risorto è il principio e la primizia della vita definitiva spirituale ed eterna. Vivendo in comunione di grazia con Gesù, abbiamo in germe in noi la vita che non tramonta.
Seconda Lettura: 2 Cor 8, 7.9; 13-15.
San Paolo se da una parte loda i Corinzi perché ricchi nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che Egli ha insegnato loro, dall’altra li esorta e li sprona a vivere nella generosità dell’aiuto da dare alla Chiesa di Gerusalemme che è nel bisogno ed è attanagliata dalla carestia. Porta ad esempio Cristo Gesù che da ricco che era, si è fatto povero per arricchire noi della sua povertà, facendoci dono e partecipi della sua vita divina. Più che mettere in ristrettezza economica i Corinzi, chiede loro di fare uguaglianza, cosicché la loro abbondanza supplisca alla indigenza dei fratelli di Gerusalemme e, un domani, l’abbondanza dei cristiani di Gerusalemme potrà supplire a indigenza dei Corinzi. In questa imitazione dello stile di Gesù, che è venuto per arricchirci della sua divinità e della sua vita divina, i cristiani hanno un modello da imitare e testimoniare nel mondo, realizzando la fraternità tra le chiese e tra i fedeli, come anche la comunione nella fede, senza la quale la loro vita sarebbe destinata alla aridità e sarebbe smentito il principio della redenzione e della salvezza.
Vangelo: Mc 5, 21-43.
Gesù compie un doppio miracolo, come ci racconta il brano evangelico di oggi: guarisce una donna, che da dodici anni è affetta da emorragia e da cui non era guarita pur avendo consultato molti medici e spendendo tutti i suoi averi, anzi aggravandosi, la quale dimostra una grande fede e viene guarita, perché crede che toccando anche solo il mantello di Gesù sarà guarita, come di fatto avviene e la figlia del capo della sinagoga Giairo, che lo invoca per la guarigione della figlia morente. Nella prima guarigione, davanti alle impossibilità umane o a quelle derivanti dalla convinzione che il denaro può tutto, solo per la sua fede quella donna, che riesce con fatica, a causa della folla, a toccare il mantello di Gesù, è esaudita da lui, dal cui corpo si sprigiona una potenza divina guaritrice. Gesù le rivolge parole che la rigenerano anche spiritualmente: « Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male » . Nell’ episodio della bambina, richiamata in vita, Gesù esaudisce il desiderio dei genitori invitandoli ad aver fede nella sua parola, pur tra le difficoltà poste da coloro che ne annunziano la morte sopraggiunta e dalle perplessità e dalla derisione manifestate da coloro che piangono e urlano per la sua morte: « Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme ». Gesù la richiama in vita, dimostrando così che egli sarà Colui che vincerà la morte e divenendo per tutti noi speranza di risurrezione eterna.
Solennità di San Giovanni Battista.
24 GIUGNO – XII DOMENICA T.O. –SOLENNITA’ DI S. GIOVANNI BATT.
La Chiesa celebra la solennità della nascita di San Giovanni Battista, che con la sua opera annuncia la prossima manifestazione del Messia, che è additato da lui, dopo il battesimo, come l’Agnello di Dio che toglie i peccati degli uomini.
Giovanni, che è l’ultimo e il più grande dei profeti, con una vocazione profetica fin dal grembo materno, santificato nell’incontro tra Maria ed Elisabetta, con la nascita circondata da avvenimenti straordinari, prepara il popolo di Israele, predicando la penitenza e la conversione del cuore con l’invito a farsi battezzare nel Giordano, ad accogliere il Messia atteso, prossimo a rivelarsi. Egli, con l’austerità della vita, con la ferma e coraggiosa predicazione sulle rive del Giordano rivolta al popolo, ai farisei, scribi, ad Erode e ad ogni categoria di ascoltatori e, infine, con la sua coraggiosa morte si fa guida all’incontro con il Signore Gesù.
La Parola di Dio delle prime letture, sia della vigilia che del giorno della festa, che ci fa riascoltare le vocazioni di Geremia, il quale è conosciuto da Dio prima di essere formato nel grembo materno e consacrato nella sua missione profetica, e di Isaia, anche lui chiamato fin dal grembo materno, a cui Dio « ha reso la bocca come spada affilata e, nascosto all’ombra della sua mano, lo ha reso freccia appuntita » e lo ha chiamato « Mio servo tu sei, Israele sul quale manifesterò la mia gloria », preannuncia la vita e la missione di Giovanni Battista. E come Isaia ha la missione di ricondurre al Signore « Giacobbe e a lui riunire Israele - poiché era stato onorato dal Signore e Dio era stato la sua forza - » , per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele ed è reso luce delle nazioni, perché porti la salvezza fino all’estremità della terra, così di Giovanni è detto, nel Vangelo di Luca, che « Egli sarà grande davanti al Signore;… sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli di Israele al Signore loro Dio. Camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto ». Nella sua umiltà Giovanni si considera uno che non è degno neanche di slacciare i sandali del Messia, come ricorda Paolo parlando nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, nella Lettura degli Atti degli Apostoli.
Alla sua nascita gli viene posto il nome di Giovanni (Dio usa misericordia), davanti allo stupore degli astanti nel momento in cui si doveva circoncidere il bambino, come era stato detto a Zaccaria nella visione che egli ebbe nel tempio durante il suo servizio sacerdotale.
La celebrazione della Festa del Battista deve farci prendere coscienza che ogni uomo, fin dal grembo materno, è chiamato da Dio a svolgere una missione nella propria vita e anche noi, come Giovanni, siamo chiamati, dopo aver accolto il Signore, a preparare l’accoglienza di Lui nel cuore dei nostri fratelli.
Ultimo aggiornamento (Sabato 23 Giugno 2018 21:09)
Accogliere la regalità di Dio significa compiere la sua volontà.
17 GIUGNO – XI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO.
Nell’Eucaristia noi rendiamo grazia a Dio per i suoi benefici e con l’offerta del pane e del vino, che saranno trasformati dalla Spirito Santo nel Corpo e Sangue di Cristo, rendiamo grazie a lui. Questi doni trasformati diventano Sacramento che ci unisce a Cristo e viene edificata la Chiesa nell’unità e nella pace. L’unione a Cristo diventa più piena quando come lui viviamo nella osservanza della volontà di Dio, quando rendiamo la nostra vita una testimonianza conforme alla fede che professiamo: così questi doni trasformati e ricevuti li viviamo nelle scelte quotidiane, in coerenza con la fede. Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di oggi chiediamo al Padre celeste: « O Padre, che a piene mani semini nel nostro cuore il germe della verità e della grazia, fa’ che lo accogliamo con umile fiducia e lo coltiviamo con pazienza evangelica ben sapendo che c’è più amore e più giustizia ogni volta che la tua parola fruttifica nella nostra vita ». I cristiani, come popolo profetico e sacerdotale, devono farsi annunciatori e testimoni del Vangelo e diffondere nel mondo la Parola che riconcilia con Dio e tra noi e crea la pace.
Prima Lettura: Ez 17,22-24.
Ezechiele paragona Israele ad un cedro, da cui Dio strapperà un ramoscello e lo pianterà sopra « un monte alto ed imponente … che metterà rami e farà frutti, diventerà un cedro magnifico e sotto i suoi rami gli uccelli dimoreranno e riposeranno », mentre umilierà l’albero alto e farà seccare l’albero verde e germogliare il secco. Dio esalta gli umili e abbassa i superbi, canta Maria nel Magnificat.
Ezechiele si riferisce alla Casa di Davide che verrà restaurata, ma non come potenza umana, ma come Colei da cui nascerà Gesù, il Cristo, Figlio di Davide. Non è l'orgoglio o la nostra forza che salva, ma la grazia di Dio. Quello che l’uomo disprezza, per Dio è colui che compirà le meraviglie di Dio. Quello che ’uomo considera potenza è da Dio considerato impotenza, nullità. Allora, oltre alla umiltà, è la fiducia in Dio quella che il credente deve avere: nessuna potenza o resistenza umana potrà opporsi alla realizzazione del piano salvifico del Signore.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,6-10.
San Paolo, esortando i Corinzi e noi a riporre la nostra fiducia nel Signore finché viviamo in questo esilio terreno lontani da lui, ci dice che su questa terra dobbiamo camminare nella fede e non nella visione delle realtà celesti che siamo chiamati a conseguire. Per cui « sia abitando nel corpo sia andando in esilio dal corpo, dobbiamo sforzarci di essere a lui graditi », per abitare nel Signore, davanti al cui tribunale dobbiamo comparire « per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male ». Per quanto sulla terra ognuno si sforzi di star bene non mancano le tribolazioni, le ansie, le avversità della vita. In tale stato il cristiano è chiamato a credere che la vera patria a cui deve tendere è l’essere in Dio, il quale non chiede di alienarsi da questa terra, ma di impegnarsi quaggiù secondo la sua volontà e avere i nostri sguardi rivolti alle realtà celesti: siamo in esilio lontani dal Signore. Nella Eucaristia, sacramento della presenza del Signore, egli è vicino a noi, ma ancora questa presenza non è quella pienamente beatificante e gloriosa del cielo. Se camminiamo nella fede, ci avviciniamo a lui, per poi contemplarlo nella gioia eterna. Dobbiamo nutrire questo desiderio e questa speranza di raggiungerlo. Nell’ attesa non possiamo vivere nella pigrizia o peggio perseguendo una vita di peccato. Non dobbiamo dimenticare che prima della visione dobbiamo affrontare il giudizio del suo tribunale, in cui sarà valutato il bene o il male compiuto finché abbiamo vissuto su questa terra. Deponiamo allora ogni illusione: la ricompensa o il castigo dipenderanno dalla verità delle nostre quotidiane scelte. Siamo invitati ad essere più pensosi che preoccupati: sappiamo infatti già in anticipo su cosa saremo giudicati.
Vangelo: Mc 4,26-34.
Gesù parla del Regno di Dio e lo paragona al seme che il contadino sparge nel campo. Sia che il contadino dorma o vegli, il seme si sviluppa nelle varie fasi. Così è per il Regno di Dio, perché a dargli incremento è la potenza del Signore. Anche il seme di senape, che è il piccolo di tutti i semi, quando cresce permette agli uccelli di riposarsi alla sua ombra o farvi il loro nido. Gesù con la sua presenza rende presente il regno di Dio ed è la sua potenza a farlo crescere nel cuore dell’uomo, non siamo noi a sostenerlo o ad alimentarlo. Le vie che il Signore segue per farlo crescere non ci sono perfettamente note, sono avvolte nel silenzio e nel mistero. Il Regno cresce con il crescere della grazia e dell’amore di Dio, della sua regalità nel cuore dell’uomo, al di là delle apparenze e dei rumori del mondo. La legge dell’umiltà e della pochezza sono alla base del suo sviluppo, non tanto nelle capacità umane. Così siamo invitati a non affidarci ad appoggi terreni come se fossero quelli che contano. Tutto ciò non toglie che noi dobbiamo essere operosi, anche silenziosamente come altrettanto avviene con il lavorio della grazia. Non è quello che si impone di più o è gradito di più che conta. Il mondo della grazia è in atto, ma non ce ne accorgiamo: l’ ultimo giudizio sarà una sorpresa, perché nel regno di Dio vi si trovano anche tanti che non ci aspetteremmo di trovarvi.