





BEATI VOI!
17 FEBBRAIO – VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)
BEATI VOI!
Nell’assemblea liturgica, che celebra la Pasqua del Signore, lo Spirito Santo rende presente il Corpo e il Sangue di Cristo. Noi, attraverso l’amore che nutriamo per il Signore, mangiando il suo Corpo e il suo Sangue, entriamo in intimità di vita con Lui. Con Cristo, con cui formiamo un solo Corpo, il tempio dove Dio dimora se accogliamo la sua parola con cuore retto e sincero, ci vien data la grazia e la forza di vivere nella fedeltà alla sua volontà.
Un segno infallibile che amiamo Dio e che la sua presenza è efficace in noi è la carità, « pienezza della legge », per cui l’accoglienza di Cristo nei fratelli che soffrono, che sono « poveri, oppressi » fa sì che diventiamo segno dell’umanità rinnovata.
I discepoli del Signore, illuminati dalla risurrezione del Signore, vivono il tempo della loro vita cercando di attuare i comportamenti che Gesù ci esorta a realizzare attraverso le beatitudini. Vivere il tempo presente con la potenza della fede e della speranza di raggiungere la beatitudine futura è per il cristiano il cammino di santità che Dio chiede ai suoi figli.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristica, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Dio, che respingi i superbi e dono la tua grazia agli umili, ascolta il grido dei poveri e degli oppressi che si leva a te da ogni parte della terra: spezza il giogo della violenza e dell’egoismo che ci rende estranei gli uni agli altri, e fa’ che accogliendoci a vicenda come fratelli diventiamo segno dell’umanità rinnovata nel tuo amore ».
Ger 17,5-8
Il profeta Geremia, nel brano che oggi leggiamo, ci dice che bisogna confidare in Dio e non nell’uomo, di non entrare in situazioni di compromessi e umiliazioni, per avere vantaggi facili, incerti e precari.
In modo impietoso egli ci mette in guardia dicendo che è « maledetto l’uomo che confida nell’uomo e che pone il suo sostegno nella carne , allontanando il suo cuore da Dio ». Un tale comportamento lo rende arido come il tamerisco, con l’incapacità di vedere il bene, lo fa dimorare « in una terra di salsedine », chiuso a qualunque forma di relazione umana.
Proclama invece « Benedetto l’uomo che confida nel Signore e in lui pone la sua forza ». Lo paragona ad un albero, che piantato lungo un corso d’acqua, non teme quando viene il caldo, attinge con le sue radici l’alimento per avere sempre le foglie verdi e, pur nella siccità, produce i suoi frutti.
Camminare con il Signore rende l’uomo retto, lo rende veritiero, sereno d’animo nel suo agire, pur in mezzo alle disavventure e alle preoccupazioni, e vive le relazioni con i fratelli e i propri simili portando abbondanti frutti di bene.
Anche il Salmo 1 ripercorre la stessa strada dell’uomo che è beato se non segue il consiglio dei malvagi e non resta nella via dei peccatori e meditando la legge del Signore trova in essa la sua gioia.
1 Cor 15,12.16-20
Paolo, scrivendo ai Corinti, proclama che la risurrezione di Cristo dà valore e fondamento alla fede che egli annunzia in Cristo, morto e risorto per gli uomini. Se Cristo non è risorto l’uomo resta nel suoi peccati e anche i credenti, che sono morti in lui, restano nei propri peccati e sono perduti.
Se il discepolo di Cristo ha speranza in Lui solo per questa vita e non nella certezza di risorgere con Cristo, è da commiserare più di chiunque altro uomo. La vittoria di Cristo sulla morte, egli che è primizia di coloro che risorgono, ci dà la certezza che il nostro seguirlo nella vita terrena, in una esistenza rinnovata nel bene, liberi dal peccato grazie alla sua morte e risurrezione, ci fa conseguire la vita da risorti nella stessa gloria del Signore.
Lc 6,17.20-26.
Gesù, oggi, attraverso alcune beatitudini che il Vangelo ci fa riascoltare, ci indica il cammino che devono seguire coloro che vogliono seguirlo per ascendere al monte della santità e della vita beata di Dio. A differenza del brano di Matteo del capitolo 5, questo brano, più conciso, se proclama beati i poveri a cui appartiene il regno dei cieli, coloro che hanno fame, perché saranno saziati, coloro che piangono, perché rideranno, coloro che sono odiati, messi al bando, insultati e disprezzati a causa del Figlio dell’uomo e li invita a rallegrarsi ed esultare perché la loro ricompensa è grande nel cielo, in contrasto annunzia guai per coloro che sono ricchi perché, avendo avuto nella vita come fine la ricchezza, hanno già ricevuto la loro consolazione; guai a chi è ora sazio, perché, essendosi saziato di cose terrene, caduche e passeggere, avrà fame; guai a coloro che ridono, perché, avendo gioito di momenti fallaci e goderecce, saranno nel dolore e piangeranno; guai a tutti coloro di cui gli uomini diranno bene, perché allo stesso modo hanno agito i loro padri con i falsi profeti.
Siamo posti, come discepoli di Cristo, di fronte ad un discorso paradossale: istintivamente ragioneremmo in maniera opposta; diremmo: « guai ai poveri, guai a quelli che piangono! ». Ma Gesù assicura il contrario al nostro modo di pensare.
Se le beatitudini infondono serenità e speranza, se andiamo a cercare ricchezza e gioia in questo mondo, saremo contenti solo per questa vita ma non certo per l’altra e, forse, qualche preoccupazione l’abbiamo pure per questa.
CHIAMATI E MANDATI PER GRAZIA AD ANNUNZIARE IL VANGELO.
10 FEBBRAIO– V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Attraverso il Battesimo siamo partecipi della Chiesa, famiglia di Dio, su cui veglia l’amore del Padre celeste. Poiché siamo, però, avvolti da tante situazioni che ci rendono poco sereni, ansiosi, timorosi davanti alle tentazioni e sofferenze, nell’incontro con il Signore e tra noi riaccendiamo la certezza di questo amore di Dio. La fede certo non dissolve tutte quelle realtà di disagio, ma certamente da essa noi attingiamo la forza per vivere nella speranza e nella fiducia che Dio, come ha liberato il suo Figlio, ci promette una liberazione che ci fa accettare, con spirito evangelico, le prove della vita, e viverle in comunione con le sofferenze e la passione redentrice di Cristo, mentre attendiamo di essere introdotti nella vita in Dio. Egli è vicino alla sofferenza dei suoi figli e li unisce alla Pasqua di Cristo, suo Figlio.
Se quindi chiediamo ai fratelli un aiuto che possa sostenerci non possiamo fare a meno di confidare nella forza e nella grazia di Dio.
Nella preghiera della Colletta ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « Dio di infinità grandezza, che affidi alle nostre labbra impure e alle nostre fragili mani il compito di portare agli uomini l’annunzio del Vangelo, sostienici con il tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra ».
Is 6,1-2.3-8.
Nella visione profetica Isaia vede nel tempio il Signore che con i lembi del suo manto lo riempie e attorno i Serafini proclamano: « Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta le terra è piena della tua gloria ». Al risuonare di quella voce il tempio si riempiva di fumo. Il profeta smarrito esclama: « Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo ad un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti ». Davanti a tanto sgomento, un Serafino, prendendo con le molle un carbone ardente dall’altare, purifica le labbra del profeta, assicurandolo che è scomparsa la sua colpa e espiato il suo peccato.
Dopo questo gesto, il profeta ode la voce del Signore che dice: « Chi manderò E chi andrà per noi? ». Egli risponde: « Eccomi, manda me! ». Non solo Isaia, ma ogni uomo che Dio chiama ad essere suo profeta, avverte la propria indegnità e impurità davanti a Colui che è il Santo. Ma Dio purifica e brucia l’iniquità e il peccato di colui che è inviato a portare la sua Parola, rendendo puri il suo cuore e le sue labbra. Più l’uomo si avvicina a Dio più avverte e si accorge delle sue colpe, anche se sono nel luogo più recondito della sua anima. Siamo, infatti, facili a commettere le nostre colpe, anche se spesso leggere o di poco conto. Dobbiamo chiedere al Signore la sua luce per giudicare la nostra condotta, perché nella nostra cecità, tante volte, non vediamo le nostre innumerevoli mancanze.
1 Cor 15,1-11.
Paolo vuole rafforzare nei Corinzi la loro adesione al Vangelo che ha loro annunziato, per renderli saldi in esso affinché lo mantengano come lo ha annunziato.
Egli riconferma quel Vangelo che a sua volta ha ricevuto e che cioè: « Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici ».
E ancora. Che è apparso a più di cinquecento fratelli in una sola volta, a Giacomo e, ultimo, anche a lui, che si ritiene come un aborto. Riconosce la sua piccolezza tra gli apostoli e, avendo perseguitato la Chiesa di Dio nella vita precedente alla conversione, avverte la sua indegnità ad essere chiamato apostolo. Riconosce, pero, che è stata la grazia di Dio, che in lui non è stata vana, a renderlo quello che è. Per questa sua nuova realtà di vita e per aver creduto nel Signore, ritiene di essere stato inviato anche lui, come gli altri apostoli, a predicare il Vangelo della salvezza, come lui lo ha ricevuto dalla tradizione e l’ ha annunziato ai Corinzi, affinché lo mantengano nella sua integrità. Attribuisce, infine, pur riconoscendo di aver faticato più di tutti gli altri nell’annunzio del Vangelo, alla grazia di Cristo la fecondità del suo annunzio e la sua corrispondenza alla missione, a cui il Signore Gesù lo ha mandato.
Vangelo: Lc 5,1-11.
Gesù presso il lago di Gennèsaret vede due barche ormeggiate e i pescatori che riparano le reti. Salito sulla barca di Simone, gli chiede di staccarsi un poco da terra e, sedutovisi, insegna alle folle dalla barca. Finito di parlare dice a Simone: « Prendi il largo e gettate le reti per la pesca ». A questa richiesta di Gesù Simone risponde che hanno faticato tutta la notte e non hanno preso nulla. Ma sulla parola del Maestro vanno a pescare e « presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano ». Aiutati poi dai compagni dell’altra barca riempiono tutte due le barche fino quasi a farle affondare. Visto il fatto, Simon Pietro, inginocchiatosi ai piedi di Gesù, esclama: « Allontanati da me, perché sono un peccatore », poiché per lo stupore ha preso lui e i due fratelli, Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, soci di Simone.
Ma Gesù rincuora Simone dicendogli: « Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini ». Subito tutti, tirate le reti a terra, le lasciano e lo seguono.
Anche Pietro, dopo la pesca inaspettata, fatta per obbedienza al Signore, si riconosce peccatore e lui e gli altri avvertono la loro indegnità davanti alla presenza di Gesù, il quale affida loro ugualmente la missione, cambiando loro la vita, di diventare pescatore di uomini. Quella di Pietro e degli apostoli sarà una pesca più miracolosa di quella del lago: la forza divina di Gesù, in mezzo ad un mare burrascoso quale è il mondo, in cui si trovano gli uomini con tutte le loro problematiche, renderà possibile una pesca salvifica degli uomini, sia per allora come anche per la Chiesa di oggi. Il Signore agisce ancora oggi, ma chiede a tutti, apostoli e discepoli che egli invia a compere quest’opera salvifica, pur restando nel mondo e compiendo le attività quotidiane, di lasciare tutto e seguirlo, con un impegno che interessa e coinvolge indistintamente, nell’annunziare il Vangelo della salvezza.
Gesù, a Nazaret, leggendo la profezia di Isaia sul Messia, la applica a sé.
3 FEBBRAIO–IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.C
Nell’incontro che i cristiani, come popolo di Dio, viviamo la Domenica, accettando la salvezza che Dio Padre ha disposto nel suo Figlio, esprimiamo la nostra adesione a Lui e l’impegno a portare con coraggio l’annunzio missionario del Vangelo al mondo. Nella adorazione del Signore, nella professione della nostra fede, vissute con l’intimità del nostro cuore e con tutta la nostra anima e con l’Eucaristia a cui ci accostiamo, riceviamo la forza e il coraggio di una testimonianza che realizza con parole e opere l’annunzio della salvezza.
Nella preghiera della colletta preghiamo dicendo: « O Dio, che nel profeta accolto dai pagani e rifiutato in patria manifesti il dramma dell’umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa’ che nella tua Chiesa non venga meno il coraggio dell’annunzio missionario del Vangelo ».
Prima Lettura: Ger 1,4-5.17-19.
Il profeta Geremia, nel brano di oggi, per la parola che il Signore gli rivolge, ci da testimonianza della missione profetica, a cui il Signore lo ha chiamato e stabilito, avendolo conosciuto prima che venisse formato nel grembo materno e consacrato prima di venire alla luce. La missione profetica lo im-pegna ad adempiere, cinto con la veste ai fianchi, simbolo della forza che riceve dal Signore, a dire a coloro a cui è mandato tutto quello che il Signore gli pone sulle labbra.
Nel profeta consacrato e inviato vi è la forza di Dio, per cui , anche dinanzi alle difficoltà, egli non può deprimersi o temere. La certezza che Dio l’accompagna lo sostiene nella sua missione. Anche gli apostoli e coloro che sono chiamati a essere messaggeri di Dio e partecipano del ministero di Cristo, sostenuti dalla forza che viene da Dio, devono adempiere alla missione che Egli affida. Il Signore se invia ad adempiere una missione, dà anche l’energia per portarla a compimento. I santi sono riusciti a compiere opere da farli sembrare folli agli occhi umani.
Secondo Lettura: 1 Cor 12,31-13,13.
San Paolo ai Corinzi, ai quali espone quali carismi e doni possiamo ricevere da Dio: parlare le lingue, avere il dono della profezia, conoscere i misteri e tutta la conoscenza, possedere tanta fede da trasportare le montagne, dare in cibo tutti i propri beni o consegnare il proprio corpo per essere bruciato, ecc. dice che tutti questi carismi non valgono nulla se non si ha la carità. Questa è la via più sublime che bisogna percorrere se si vuole essere fedeli al Signore.
Passa poi ad enumerare le caratteriste della carità, che deve essere magnanime, non invidiosa, che non si vanta né si gonfia d’orgoglio, è rispettosa, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode delle ingiustizie, ma si rallegra della verità. E mentre tutti i carismi, insieme con la fede e la speranza, non ci saranno più nella vita futura del cielo, rimarrà solo la carità, quando verrà ciò che è perfetto. Paragona poi questa vita terrena come quando si è bambini, quando si ragiona da bambini. Divenuti adulti, tutto ciò che è da bambini viene meno, perché quando saremo adulti, cioè perfetti in Dio, lo vedremo faccia a faccia, non più in modo confuso e come in uno specchio. Allora conosceremo perfettamente, come noi siamo conosciuti perfettamente.
Conclude dicendo che ora « rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità: ma la più grande di tutte è la carità ». Quando manca la carità tutto quello che si fa, non ha alcun valore, anche se sono cose strepitose e mirabolanti. La fede, che trasporta le montagne, la condivisione dei beni distribuiti ai poveri, pur anche il martirio che ci fa sperare l’ottenimento delle promesse, ecc. tutto vale poca cosa senza la carità, che si manifesta come magnanimità, gratuità, sopportazione, misericordia, umiltà, fiducia, mitezza, ecc.
Vangelo: Lc 4,21-30.
Nella sinagoga di Nazaret, dopo la lettura della profezia di Isaia sul Messia fatta da Gesù, conclusasi con le parole : « Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato », Egli aveva meravigliato i suoi concittadini « per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca ». Ma poiché essi, conoscendolo come il figlio di Giuseppe, probabilmente gli hanno chiesto di compiere a Nazaret ciò che aveva fatto altrove, Gesù aggiunse: « In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria ». Citando, inoltre, l’esempio della straniera vedova di Sarepta, scelta da Dio tra le vedove di Israele per aiutare Elia, e di Naaman il Siro, guarito dalla lebbra per l’intervento del profeta Eliseo rispetto ai molti lebbrosi presenti in Israele, « tutti – risentendosi per quelle parole - nella sinagoga si riempirono di sdegno, si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù ». Ma Gesù passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Per l’incredulità e lo scetticismo degli abitanti di Nazaret Gesù non compie nessun miracolo: in essi manca la fede e, credendo di sapere chi è Gesù, il figlio di Giuseppe, chiudono il loro cuore ad accoglierlo come l’inviato di Dio, cioè come il Cristo. La reazione violenta avuta verso di lui rappresenta il ri-fiuto di Israele e di tutta l’umanità ad accogliere la prospettiva universale della salvezza che egli è venuto a realizzare: è difficile per la logica umana accettare che un Dio possa essersi fatto uomo, nella semplicità e povertà di Betlemme e nell’ignominia della croce, per essere a accolto come Salvatore. Bisogna accogliere il mistero del Figlio di Dio attraverso l’umanità di Cristo: Egli è qualcosa di più di un grande uomo, di un rappresentante esemplare dell’umanità, a cui è possibile anche opporgli un rifiuto. E forse lì dove non è stato ancora annunziato troverebbe un’accoglienza più gioiosa e più coerente. La sua presenza, come rileva il vecchio Simeone: « Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, … affinché siano svelati i pensieri di molti cuori », esprime una presenza che mette in crisi e pone l’uomo nella scelta di accoglierlo o rifiutarlo.
Ultimo aggiornamento (Sabato 02 Febbraio 2019 11:40)
Gesù, a Nazaret, leggendo la missione del Messia di Isaia, annunzia la sua attività messianica.
27 GENNAIO-III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.C
La Domenica, giorno del Signore, la Chiesa vive la gioia che le viene dall’incontro con il suo Signore, che è sorgente inesauribile di vita, perché con la sua Parola e con il suo Corpo e il suo Sangue, la nutre. Noi gli offriamo ciò che Dio nella sua provvidenza ci dà, i semplici doni del pane e del vino, che dalla potenza dello Spirito invocato, diventano sacramento di salvezza e nutrimento spirituale che alimenta la vita di amore e di comunione con Dio e i fratelli. Prendendo parte a questo convito, la gioia della Chiesa diventa perfetta, se traduciamo questo incontro con il Signore nella vita, la quale diventa « segno di speranza e di salvezza per noi e per l’umanità ».
Nella colletta iniziale preghiamo Dio dicendo:« O Padre, tu hai mandato ilo Cristo, re e profeta, ad annunziare ai poveri il lieto messaggio del tuo regno, fa’ che la sua parola che oggi risuona nella Chiesa, ci edifichi in un corpo solo e ci renda strumento di liberazione e di salvezza ».
Prima Lettura : Ne 8,2-4.6,8-10.
Dopo il ritorno dall’esilio, il sacerdote Esdra, davanti al popolo riunito, uomini, donne e quelli che erano in grado di capire, portò il libro della Legge, e da una tribuna di legno, posta nella piazza davanti alla porta delle Acque, venne letto e spiegato, per capirne il senso, dai leviti, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno. Prima di iniziare la lettura, Esdra: « Benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo, alzando le mani, rispose: “Amen, amen“; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore».
Neemia, Esdra e i leviti rivolgendosi al popolo dissero: « Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete! », perché il popolo piangeva nell’ascoltare la lettura. Neemia invitò il popolo a far festa, mangiare carni grasse, bere vini dolci e a condividere porzioni di cibo con coloro che non avevano nulla di preparato: bisognava far festa e non essere rattristati, perché « la gioia del Signore è la vostra forza », disse.
Dall’ascolto della parola del Signore il popolo riprende l’impegno a vivere nella fedeltà al Signore e Dio rinnova la sua alleanza, ridonando la sua grazia e la sua amicizia. Il popolo risponde con il suo « Amen! », esprimendo la sua volontà nel praticare il « Libro della Legge », comandi e leggi dati da Dio per camminare nel bene davanti a Lui.
Seconda Lettura : 1Cor 12,12-30.
San Paolo, partendo dall’unità del corpo, costituito da capo e da molteplici membra, esorta i Corinzi, ad essere anch’essi uniti a Cristo, capo di un corpo di cui i discepoli sono membra, Giudei o Greci, schiavi o liberi, essendo stati battezzati mediante un solo Spirito e dissetati da un solo Spirito. Così tutte le membra non possono vivere e agire ognuno per conto proprio e non sentirsi uniti a tutto il corpo: ogni membro, dunque, pur essendo distinto dalle altre membra, deve essere e operare in armonia con il capo e con tutti gli altri. « Le membra che sembrano più deboli, poi, sono le più necessarie, e le parti del corpo che riteniamo meno onorabili le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno.
Come Dio nel corpo ha conferito maggiore onore a ciò non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma le varie membra abbiano cura le une delle altre: soffrire se un membro soffre, gioire con chi è onorato, così, dice Paolo, siete voi, in quanto corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Nella Chiesa, conclude Paolo, poiché Dio ha posto « in primo luogo alcuni come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare le varie lingue », ognuno deve svolgere il proprio ruolo a beneficio di tutto il Corpo di Cristo, che è la sua Chiesa.
Le diversità nella Chiesa, come motivo di antitesi e dissenso non possono caratterizzare la sua vita. La diversa condizione sociale o la provenienza non contano più in una comunità in cui: « Tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito ».
Ancora: la collaborazione fruttuosa tra le varie membra della Chiesa, Corpo di Cristo, deve essere perseguita con costanza, impegno e generosa carità.
Le varie grazie o le funzioni diverse non possono essere ritenute per fini egoistici, ma come un corpo ha bisogno dell’apporto di tutte le membra, così deve essere nella Chiesa: ogni attività deve svolgersi per il bene di tutta quanta la comunità dei credenti, ogni membro con la sua funzione specifica.
Mettiamo in comune i doni di Dio e le mansioni che ognuno è chiamato a svolgere? Accogliamo con gratitudine e umiltà i doni e le grazie degli altri?
Facciamo prevalere, a volte, il nostro orgoglio e le nostre. più o meno larvate, invidie? Sono situazioni di cui dovremmo prendere coscienza per camminare insieme per rendere idonei i fratelli a realizzare la perfezione di Cristo nella Chiesa e nell’umanità.
Vangelo: Lc 1,1-4;4,14-21.
L’evangelista Luca, dopo aver premesso che molti prima di lui hanno raccontare con ordine gli avvenimenti compiuti tra loro, da quelli che furono fin da principio testimoni oculari e ministri della Parola, anch’egli, dopo aver fatto accurate ricerche, ha deciso di scrivere un racconto ordinato per Teòfilo, perché si renda conto della solidità degli insegnamenti ricevuti, riguardo a Gesù, che ripieno della potenza dello Spirito, ritornato in Galilea, dove la sua fama si diffondeva, insegnava nelle sinagoghe e tutti gli rendevano lode.
Gesù, continua Luca, a Nazaret dove era cresciuto, nella sinagoga, di sabato, come era solito, aprendo il rotolo del profeta Isaia che gli fu dato, trovò il brano dove era scritto: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore ». Consegnato il volume, sedette. Poiché, però, gli occhi di tutti gli astanti erano fissi sopra di lui, Gesù disse, tanto da scandalizzarli: « Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato ». Gesù, avendone consapevolezza, ricolmo dello Spirito, dice agli ascoltatori che egli è il Servo di Dio di cui parla il profeta, venuto a realizzare quell’annunzio di salvezza, avverando quella Scrittura attraverso i suoi miracoli e la sua parola. Così con lui si inaugura « l’anno di grazia del Signore ». Oggi, come allora, Gesù chiede di accoglierlo come colui che è venuto come segno visibile di Dio Padre, mandato, quale Parola fatta carne, per ristabilire la comunione dell’umanità con il Padre e realizzare il suo progetto di salvezza, riconciliandola con Lui.
Alle nozze di Cana di Galilea, Gesù trasforma l'acqua in vino:
20 GENNAIO–II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(C)
Nel giorno del Signore celebriamo il memoriale del Signore, cioè la Cena, in cui si dona come cibo di vita, e il memoriale del suo sacrificio, offerto per la nostra salvezza. Tutto questo non è un ricordo vago o un simbolo, ma è una celebrazione del memoriale in cui « si compie l’opera della redenzione operata dal Signore una volta per tutte », e partecipata, nel nostro oggi, a noi. E’ questo memoriale presente nella verità del Corpo e del Sangue di Cristo, che divengono convito della Chiesa, popolo della nuova alleanza, costituita nel suo sangue. Ogni domenica dunque incontriamo Cristo nella liturgia e i fratelli. Con il dono dello Spirito ci viene riconfermata la grazia del Battesimo e nell’ascolto della Parola siamo riconfermiamo nella nostra adesione al Signore.
Nella preghiera della Colletta diciamo:« O Dio, che nell’ora della croce hai chiamato l’umanità a unirsi in Cristo, sposo e Signore, fa’ che in questo convito domenicale la santa Chiesa sperimenti la forza trasformante del suo amore, e pregusti nella speranza la gioia delle nozze eterne ».
Prima Lettura. Is 62,1-5.
Il profeta canta l’amore che Dio ha per Sion e per Gerusalemme finché sorga la sua giustizia e la salvezza del Signore non risplenda come lampada. Le Genti, allora, e i re della terra vedranno questa giustizia e la gloria del Signore risplendere in essa, che sarà una magnifica corona nella mano del Signore e un diadema regale nella palma di Dio. Non sarà chiamata più « Abbandonata », né la sua terra sarà più detta « Devastata». Verrà chiamata con il nome nuovo che la bocca del Signore indicherà: «Mia Gioia e la sua terra Sposata», perché il Signore troverà in essa la sua delizia e la sua terra avrà uno sposo. Come un giovane sposa una vergine e come gioisce lo sposo per la sposa, così Dio gioirà per Gerusalemme. Il Signore, dunque, non lascerà più abbandonata, per le sue colpe e le sue infedeltà, Gerusalemme perché l’amore del Signore si compiacerà del suo popolo. Con esso Dio stabilirà un vincolo sponsale, che diventerà perfetto e indissolubile quando l’umanità sarà congiunta con Gesù, il Figlio di Dio, che darà come Sposo la sia vita per la Chiesa, sua sposa. Questo amore sponsale è il nuovo vincolo che lega nel matrimonio un uomo e una donna, i quali, nel loro volersi bene e nel donarsi vicendevolmente, imitano l’amore di Cristo per sua Chiesa, la quale risponde con fedeltà e gratitudine.
Seconda Lettura : 1 Cor 12,4-11.
San Paolo scrive ai Corinzi dicendo che, vi è un solo Dio, che opera tutto in tutti secondo le diverse attività degli uomini; un solo Spirito che distribuisce diversi carismi e un solo Signore che affida la diversità dei ministeri. Lo Spirito poi si manifesta, elargendo, in uno il linguaggio della sapienza o il linguaggio della conoscenza in un altro; quello della fede in uno e il dono delle guarigioni in un altro; così pure ad altri elargisce il potere dei miracoli, o il dono della profezia, o del discernimento degli spiriti o il dono delle lingue. Ma tutti questi doni sono distribuiti, così come egli vuole, dall’unico e medesimo Spirito perché siamo a beneficio e per l’utilità di tutti, per il bene comune. Lo Spirito del Signore fa vivere allora in comunione tutti i membri del Corpo mistico di Cristo con i vari doni, carismi e grazie. Questi doni non sono dati per alimentare la nostra vanità o per soddisfare le nostre ambizioni e per farci sentire superiori agli altri o per accampare pretese. Lì dove riusciamo, con la forza del Spirito del Signore, siamo chiamati a sviluppare questi doni e metterli al servizio dei fratelli.
Vangelo : Gv2,1-11.
Il Vangelo oggi di san Giovanni ci porta a contemplare l’episodio delle nozze di Cana di Galilea, dove Gesù è invitato insieme a Maria, sua Madre e ai discepoli. Maria, accortasi che è venuto a mancare il vino in quella festa di nozze, si rivolge al Gesù dicendogli: « Non hanno vino ». E Gesù le risponde: « Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora ». Ma Maria, rivoltasi ai servitori, dice: « Qualsiasi cosa vi dica, fatela ». Per ordine di Gesù quelli riempiono di acqua le giare li presenti e dopo dice loro: « Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto ». Quando costui assaggia l’acqua diventata vino, non sapendo da dove venga, ma lo sanno i servitori, chiama lo sposo e gli dice meravigliato: « Tutti mettono a tavola il vino buono all’inizio e, quando si è bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora ».
Questo è il primo dei segni compiuti da Gesù con cui manifesta la sua gloria e i suoi discepoli credono in lui. La presenza di Gesù alle nozze di Cana prefigura la sua presenza nel sacramento del matrimonio cristiano in cui l’amore umano è elevato e santificato. L’acqua cambiata in vino sta a significare che con l’apparizione di Gesù l’acqua dell’ Antico Testamento e delle realtà umane vengono elevate ad una dignità divina. Il vino nuovo di Cristo sostituisce ciò che di antiquato vi è nelle realtà umane e religiose con la realtà nuova che è venuto a portare, poiché, come egli dice, non si mette vino nuovo in otri vecchi ma vino nuovo in otri nuovi . Ancora. La presenza materna, attenta e vigile di Maria, che sollecita il suo Figlio a compiere quel miracolo indica la sua premurosa presenza nell’opera della Chiesa e di tutti noi, quali membra della comunità del suo Figlio. Ma Maria è anche modello vigile, nelle nostre famiglie, per le mamme che con la loro materna presenza sollecitano la nostra adesione al Signore.