LA VITA DI DIO IN NOI È IL RESPIRO DEL CRISTIANO E BISOGNA SEMPRE ALIMENTARLA.
2 LUGLIO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
LA VITA DI DIO IN NOI È IL RESPIRO DEL CRISTIANO E BISOGNA SEMPRE ALIMENTARLA.
Il Signore, nella liturgia della Domenica, attraverso i segni sacramentali, compie il progetto della redenzione liberando gli uomini dalle tenebre del male e del peccato. Donandoci lo Spirito Santo, con la sua luce della verità, ci libera dal nostro egoismo e con la grazia del Cristo, povero e crocifisso, addolcisce le nostre asprezze con la dolcezza e la forza del suo amore.
Verificare ogni giorno questo cammino di santità è certo un compito a cui siano chiamati, ma dobbiamo ritenerlo un dono di grazia elargito dal Signore, dono che non dobbiamo mettere in dubbio di fronte all’esperienza di ogni giorno, in cui i sentimenti sono diversi da quelli che il Signore chiede.
Così non dobbiamo avvilirci né scoraggiarci e, convinti della continuità del suo aiuto, dobbiamo camminare nella via della santità con serenità e costanza.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Padre celeste dicendo: « O Padre, infondi in noi, la sapienza e la forza del tuo Spirito, perché, seguendo Cristo sulla via della croce, siamo pronti a donare la nostra vita per manifestare al mondo la tua presenza d’amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo…».
Prima Lettura: 2 RE4,8-11.14-16.
Eliseo, ritenuto uomo di Dio dalla donna della città di Sunem, venne da essa ospitato tutte le volte che il profeta passava da quel luogo. L’ospitalità della donna giunse a predisporre nella sua casa, al piano di sopra una cameretta in muratura, con un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere, perché vi potesse riposare. Un giorno Eliseo chiedendo cosa avrebbero potuto fare per quella donna così ospitale al suo servo Giezi, questi gli riferì che, essendo lei e suo marito anziani, non avevano figli. Eliseo, fattala chiamare, disse alla donna che l’anno prossimo avrebbe stretto fra le sue braccia un figlio. Attraverso la figliolanza l’ospitalità di quella donna viene ricambiata, perché Dio, autore della vita vince la sterilità, lungo la storia della salvezza, molte volte si rende presente con tali eventi. Così questo gesto della donna prelude alla ospitalità che bisogna dare, come dice Gesù, a lui o al fratello più piccolo, poiché sarà data per essa una ricompensa.
Seconda Lettura: Rm 6,3-4.8-11.
San Paolo scrive ai Romani dicendo che attraverso il Battesimo, essendo battezzati nella morte di Cristo e sepolti nella morte di lui, come Cristo è risuscitato dai morti, essi sono chiamati a camminare in una vita nuova. Ancora: se si è morti con Cristo bisogna credere che vivremo con lui, poiché, essendo egli risorto, non muore più. Egli che è morto, una volta per tutte, per il peccato, ora vive per Dio, così essi devono considerarsi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. Il battesimo più che un gesto esteriore è un segno sacramentale che ci rende partecipi dell’amore di Cristo e della sua risurrezione, preludio e speranza della risurrezione futura. Allontanandoci dal peccato la forza della risurrezione ci fa vivere e operare in maniera nuova. Il peccato ci fa regredire nel cammino di risurrezione che il Battesimo ci ha fatto iniziare e non cresciamo nella comunione con Dio e nella vita divina.
Vangelo: Mt 10, 37-42.
Nel brano del Vangelo di Matteo Gesù ci esorta ad anteporre l’amore per lui all’affetto per il padre, la madre, per il figlio o la figlia, se si vuole essere degni di lui; a prendere la propria croce e seguirlo..
Chi poi non avrà tenuto la propria vita per sé ma l’avrà perduta per la sua causa la troverà; chi avrà accolto i suoi discepoli avrà accolto lui e avrà accolto anche colui che l’ha mandato. Chi avrà accolto il profeta o il giusto avrà la ricompensa del profeta o del giusto. Anche per aver dato un bicchiere d’acqua fresca ad uno dei fratelli più piccoli, perché è un discepolo, non si perderà la ricompensa. Gesù esige una amore e una dedizione totale e prioritaria, deve essere amato prima di tutti e di tutto. I legami più intimi non vengono aboliti, ma devono cedere il passo all’amore per Cristo e per Dio. Essi non possono entrare in concorrenza tra loro. La sequela del Cristo, per chi vuole essere suo discepolo, non può evitare di portare la croce dietro a Lui: mistero difficile da capire e accettare. L’accoglienza del profeta, del discepolo che viene nel nome di Gesù è un accogliere lui. Anche nel più piccolo missionario o predicatore si deve vedere Cristo in persona, come pure in ogni uomo, specie nel povero, ammalato, diseredato deve vedersi la persona di Cristo stesso e servirlo con amore e premura.
COME PROFETI SIAMO CHIAMATI AD ANNUNZIARE SENZA PAURA LA SALVEZZA.
25 GIUGNO - XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
COME PROFETI SIAMO CHIAMATI AD ANNUNZIARE SENZA PAURA LA SALVEZZA.
Nella memoria della Pasqua del Signore celebriamo il suo sacrificio di espiazione in cui Gesù si è offerto per riconciliare l’umanità con il Padre celeste. L’Eucaristia ci rende partecipi di questa riparazione, poiché la nostra vita, segnata dal peccato, ha continuo bisogno di riconciliazione e di riparazione, in quanto molte cose, come la ricerca del successo, la nostra superbia ed esaltazione, i cedimenti davanti alle esigenze del Vangelo, sono realtà che esigono purificazione. Nell’Eucaristia oltre a questa espiazione e alla fedeltà per confessare la nostra fede, troviamo e sono condivise anche la lode innalzata da Gesù che si immola sulla croce, l’adorazione e il ringraziamento al Padre celeste.
Nel giorno del Signore la nostra lode deve sgorgare dal cuore in maniera più intensa e prolungata, alimentata dalla Parola di Dio per renderla presente nella nostra storia, come con i due discepoli di Emmaus.
Nella preghiera iniziale della Colletta preghiamo dicendo: « O Dio che affidi alla nostra debolezza l’annunzio profetico della tua parola, liberaci da ogni paura, perché non ci vergogniamo mai della nostra fede, ma confessiamo con franchezza il tuo nome davanti agli uomini. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: Ger 20,10-13.
L’annunzio che il profeta fa nel nome di Dio non è facilmente accettato dal popolo e da coloro che lo ostacolano. Anche i suoi amici spiano la sua caduta e pensano che si lascerà trarre in inganno, così da potere prevalere su di lui. Ma il profeta non è sfiduciato perché il Signore, come un prode valoroso è al suo fianco, per cui i suoi persecutori non potranno prevalere e saranno confusi perché non riusciranno, anzi ne avranno una vergogna eterna. Chiede al Signore, che prova il giusto e ne scruta il cuore e la mente, di potere vedere la vendetta su di essi, essendosi affidato a lui. Eleva quindi inni di lode a Dio per averlo liberato dalle mani dei suoi malfattori.
Seconda Lettura: Rm 5,12-15.
San Paolo ai Romani scrive dicendo che Adamo per il suo peccato ha portato al peccato e alla morte tutti gli uomini vissuti prima che Dio avesse dato la legge a Mosè. E se anche non si può parlare di peccato non essendoci ancora la legge, la morte regnò ugualmente da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo. Questo sarebbe la figura di Colui che deve venire, cioè Gesù Cristo, per il quale, con la sua obbedienza e il suo sacrificio, la grazia di Dio e il dono concessi si sarebbero riversati in abbondanza su tutti gli uomini.
Vangelo: Mt 10,26-33.
Gesù esorta i suoi discepoli ad annunziare quello che egli dice nelle tenebre nella luce e quello che ascoltano all’orecchio predicarlo a tutti. E non devono aver paura se anche possono essere uccisi nel corpo, perché non possono uccidere l’anima. Ma dice di temere coloro che possono far perire l’anima e il corpo nella Geenna, con una perdizione eterna.
Esorta i suoi discepoli ad aver fiducia nella provvidenza del Padre celeste, perché, né i passeri possono cadere senza che Dio Padre lo voglia, né alcun capello cadere dalla loro testa, essendo tutti contati, poiché essi valgono più di molti passeri.
Chiede, infine, che lo testimonino e lo riconoscano davanti agli uomini perché egli li riconoscerà davanti al Padre celeste, e sarà rinnegato colui che lo rinnegherà davanti agli uomini.
Gesù annuncia il Regno di Dio e la conversione a lui.
18 GIUGNO – XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Gesù annuncia il Regno di Dio e la conversione a lui.
Il Signore Gesù, mandato dal Padre, è venuto a ristabilire la regalità di Dio tra gli uomini poiché lungo la storia dell’umanità il rapporto con Dio è stato vissuto con alterne vicende.
La Scrittura ci dice che gli uomini con la loro disobbedienza iniziale non hanno riconosciuto Dio come colui che avendoli creati e posti nella creazione avrebbero dovuto riconoscerlo come il creatore e Signore. Invece hanno voluto “usurpare” il posto di Dio, cedendo alla tentazione di voler diventare come Dio e disobbedendo a Lui.
Questa disobbedienza ha portato i mali che sperimentiamo giorno per giorno: Caino per invidia uccide il fratello Abele, con la torre di Babele, ecc. Solo Noè è trovato giusto da Dio, mentre l’umanità perisce nel diluvio.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Padre celeste,dicendo: « O Padre, che hai fatto di noi un regno di sacerdoti e una nazione santa, donaci di ascoltare la tua voce e di custodire la tua alleanza, per annunciare con le parole e con la vita che il tuo regno è vicino ».
Es 19,2-6.
Dio non dimentica l’umanità e riannoda con gli uomini l’alleanza come dopo il diluvio, chiamando Abramo, che con la sua obbedienza a Dio sarà padre di una moltitudine di popoli e conclude con il popolo derivante da lui, , dopo averlo liberato dalla schiavitù dell’Egitto, un’alleanza che gli ebrei avrebbero dovuto “ custodire “ nella fedeltà e « “ascoltare “ la sua voce per essere una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra » .
Israele sarebbe stato “un regno di sacerdoti e nazione santa”, poiché come è santo Dio, avrebbe dovuto esserlo anche il suo popolo.
Rm 5,6-11
Paolo ai Romano scrive che nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi, dimostrando così l’amore che Dio ha per noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
Giustificati allora per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo e salvati per opera di lui, siamo riconciliati con Dio per la morte del Figlio suo. Paolo esorta a gloriarci in Dio per mezzo del Signore Gesù Cristo, perché per mezzo di lui abbiamo avuto la riconciliazione. Così in Cristo noi, mediante il battesimo, siamo un popolo santo, un popolo sacerdotale, regale e profetico
Mt 9, 36-10,8.
Gesù chiama i dodici apostoli perché continuino a svolgere con l’annunzio del Vangelo a tutti i popoli, la conversione al Regno di Dio, che lui ha iniziato e realizzato nella sua stessa persona. Inizialmente li invia alle pecore perdute della casa di Israele, realizzando quelle opere che lui stesso ha fatto: guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni, dicendo che il regno dei cieli è vicino.
Tutti coloro che accolgono il regno di Dio, ( che noi dobbiamo chiedere al Padre celeste perché esso venga, come ha insegnato Gesù), dobbiamo farlo cresce in noi, attuando la regalità di Dio in tutti i gesti della nostra vita di figli di Dio e di discepoli di Cristo e testimoniando davanti al mondo con parole e opere ciò che Gesù ci ha detto di fare.
Il regno di Dio è come il piccolo seme che cresce per la forza che viene da Dio, come il lievito che fermenta tutta la massa della farina, e chiede la nostra collaborazione affinché esso venga nel cuore di tutti gli uomini.
Ultimo aggiornamento (Domenica 18 Giugno 2023 08:36)
SOLENNITÀ DEL CORPO E SANGUE DI GESÙ
11 GIUGNO – SOLENNITÀ DEL CORPO E SANGUE DI GESÙ
Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall'Egitto, averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore è una comunità con dimensione comunitaria. In essa si vive e si celebra la fede: è soprattutto l’ Eucaristia, « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto, che realizza la dimensione comunitaria dei discepoli del Signore. Il Memoriale che essi celebrano, per espresso comando di Gesù, non vuol dire un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore, realizzata dalla potenza dello Spirito Santo. Nell’Eucaristia noi offriamo il sacrificio della nuova alleanza, in cui è ripresentata l’immolazione della croce, dove Gesù, Agnello senza macchia, s’è offerto. Ma l’altare è anche la mensa della cena celebrata da Gesù, in cui attingiamo il cibo per il « viaggio della nostra vita », in attesa di partecipare al convito eterno del cielo, perché il Corpo che mangiamo e il Sangue che beviamo sono pegno della gloria futura. .
Riconoscendoci fratelli, riuniti in « assemblea festosa » rendiamo grazie a Dio, che nel sangue di Cristo ci ha costituiti come suo popolo, che celebra la medesima fede ed è unito, in unità e carità, nell’ unico pane e nell’ unico calice. Nell’ Eucaristia riceviamo lo Spirito che scaturisce dal Corpo di Cristo e la purificazione di ogni colpa. La comunità non può costituirsi in termini funzioni psicologici, o ridursi come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, sì da colmare situazioni di compensazione alle proprie fragilità: la comunità rischierebbe di non far progredire i vari membri nella maturità della fede. Né può percepirsi la comunità in termini sociologici, perché il Concilio, definendo la Chiesa, come « popolo di Dio », ha voluto definirla in maniera teologica non sociologica, cioè costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Un ultimo rischio, in cui possono cadere i cristiani, è quello di considerare la Comunità come aggregazione per eventi o iniziative che vengono organizzati, in cui può registrarsi scarsa e superficiale intensità di comunione spirituale.
Si può parlare di comunità quando vige la « comunione », tra i membri, come relazione spirituale e di amore fraterno, per cui sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti, si sentono partecipi. La comunione ha il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo, e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo l’unione con Cristo e tra i vari membri è la prerogativa che realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che rimane dopo la celebrazione della Messa presenza reale di Cristo, che avvera la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo del tabernacolo va la nostra adorazione e il nostro culto.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di domani preghiamo dicendo:« Dio fedele, che nutri il tuo popolo con amore di Padre, saziaci alla mensa della Parola e del Corpo e Sangue di Cristo, perché nella comunione con te e con i fratelli camminiamo verso il convito del tuo regno ».
Prima Lettura: Dt 8,2-3. 14-16.
Nell’ arduo cammino del deserto, al popolo, umiliato e provato dalla fame, Dio non ha lasciato mancare il nutrimento, poiché lo ha sostenuto con un cibo singolare, la manna, segno della provvidenza e dell’ amore di Dio.
Anche l’acqua, sgorgata dalla roccia arida e dura, fu un segno straordinario dell’intervento potente di Dio, che non abbandona mai nessun uomo, fosse il più umile e piccolo. In particolare Dio si è reso vicino alla sua Chiesa, nuovo popolo costituito dal sacrificio del suo Figlio, che si è dato come cibo e bevanda di vita eterna.
Seconda Lettura: 1 Cor 10,16-17.
Quando prendiamo parte al calice, dice san Paolo, noi entriamo in comunione con il Sangue di Cristo; e spezzando e mangiando il pane eucaristico ci nutriamo del Corpo reale di Gesù. Pane e vino non sono puri simboli, che possono significare Gesù: « L’Eucaristia è il Signore, che dona la sua vita per noi; in essa noi lo riceviamo veramente ». Come conseguenza, dice l’apostolo Paolo, ne deriva che se unico è il pane che spezziamo, cioè l’unico Corpo di Cristo, allora noi siamo intimamente uniti, gli uni agli altri.
Pur essendo molti: ognuno con la propria personalità, fisionomia esteriore e interiore, con storie diverse e diverso temperamento, formiamo tuttavia un solo corpo. L’Eucaristia, ricevuta degnamente ci rende intimamente uniti. Per questo ci dobbiamo amare. E’ il frutto e l’impegno dell’Eucaristia.
Vangelo: Gv 6,51-58.
La comunità del Signore si caratterizza per la comunione che i credenti in lui pongono attorno alla sua presenza, reale e non simbolica, nell’Eucaristia. Le sue parole, come leggiamo nel Vangelo di questa solennità: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui », ci dicono che l’assimilazione della carne e del sangue di Cristo, rendono presente Gesù nel credente e viceversa. Certo le parole “mangiare ” e “ bere ” non sono da intendersi in senso naturalistico, ma vanno intese in senso sacramentale, in quanto mangiare il pane e bere il vino, che per la potenza dello Spirito di Dio, sono trasformati nel Corpo e Sangue di Cristo, rendono presente in noi il Cristo-Dio, e sono “ segni efficaci ”, che compiono ciò che dicono. La partecipazione a questi segni sacramentali è partecipazione da parte nostra agli effetti della passione e al dono della pienezza della vita che Gesù ci comunica.
Adesso il pane che ci nutre, come credenti e come figli di Dio, è la carne, quindi la persona, di Cristo, il quale si offre per noi. Entriamo infatti in profonda comunione con il Corpo e il Sangue di Gesù. Solo così abbiamo la vita, quella vera, che non si logora e che non è destinata ad esaurirsi e a spegnersi. L’Eucaristia ci dona la vita stessa del Padre e del Figlio, Gesù. Grazie all’ Eucaristia e alla vita che in essa riceviamo, a differenza degli antichi ebrei, saremo sottratti all’ esperienza della morte, perché, sostenuti da questo nutrimento lungo il cammino terreno, possiamo giungere alla “ terra promessa ” del Regno celeste. Nell’ Eucaristia già riceviamo il germe della risurrezione e conformazione al Signore che ha vinto la morte. Concludendo, solo dalla comunione con Cristo viene la vera comunione nella comunità che le permette di essere, nell’ oggi, profezia e annunzio del Regno futuro. Tutto il resto può rendere visibile la comunione nella comunità, ma se manca il centro, cioè Cristo, la Chiesa fallisce lo scopo per cui il Signore l’ha posto nel mondo.
LUNEDI’ 12 GIUGNO, ALLE ORE 18.30 SARA’ CELEBRATA
LA SANTA MESSA
PER CELEBRARE LA FESTADEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE
Presso le vie G.BAJA e S.RINDONE
DOPO INIZIERA’ LA PROCESSIONE CON GESÙ EUCARISTIA ATTRAVERSO
Via G. Bja, Via Paranà, Via Pio La Torre, Via Paranà, Via S. Quasimodo, Via Leopardi, Corso Umberto, Supermercato, Via Torretta, Fontana del 2000, Chiesa della Catena.
SIAMO FIGLI DI DIO, MISERICORDIOSO E PIETOSO.
4 GIUGNO - SOLENNITÀ DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
Quello della SS. Trinità è il primo mistero principale della fede cristiana, rivelatoci da Dio. Noi professiamo la fede in un Dio, uno e unico, in Tre Persone, uguali e distinte, ma non separate. La Teologia cristiana, accogliendo la rivelazione che Dio ha fatto, ha cercato lungo i secoli di indagarne il mistero, usando le categorie epistemologiche-conoscitive di ogni epoca, pur sapendo, ( come scrive san Agostino nel libro "De Trinitate", il quale immagina di vedere, sulla spiaggia del mare di Tegaste, un bambino che con un cucchiaio tenta di svuotare tutto il mare trasportandone l’ac- qua in una buca), che un mistero così grande non può essere pienamente compreso da una mente umana finita e limitata, quale è quella dell’uomo, nel senso di una limitatezza come coscienza delle proprie possibilità e impossibilità.
Alla Santissima Trinità – al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo – rivolgiamo sempre la nostra preghiera di adorazione, di lode, di onore e il nostro rendimento di grazie. A questo mistero, che non deve essere creduto come verità astratta e lontana, i cristiani vi dedichiamo una festa tutta partico- lare, proprio perché questo mistero si è fatto vicino a noi e conclude il periodo dell’anno liturgico del mistero di salvezza che viviamo nella Liturgia dall’Avvento alla Pentecoste. E’ un mistero di relazione, di amore, comunione e intimità fra le tre Persone. La SS. Trinità è un Dio che costantemente si dona all’ uomo rendendolo partecipe di questa relazione, fino al punto di comunicarsi a lui. Il mistero di Dio ci è stato rivelato pienamente, quando ci è stato inviato come nostro redentore Gesù, il Figlio stesso di Dio, che ci ha riconciliati con la sua morte e risurrezione e quando ci è stato inviato « lo Spirito Santo d’amore », che ci ha santificato. Così ci è stato rivelato « il mistero della vita di Dio », che è Trinità Santissima, anche se la sua comprensione ci sfugge. Tuttavia l’inabitazione in noi delle tre Persone divine, è un’esperienza, anche se ancora pur velata, verso cui siamo incamminati « nella pazienza e nella speranza », e tesi verso la « piena conoscenza » di Dio « amore e vita ».
Nella Colletta dell’Eucaristia preghiamo dicendo: « Padre, fedele e misericordioso, che ci hai rivelato il mistero della tua vita donandoci il Figlio unigenito e lo Spirito d’amore, sostieni la nostra fede e ispiraci sentimenti di pace e di speranza, perché, amandoci come fratelli, rendiamo gloria al tuo santo nome ».
Prima Lettura: Es 34,4-6.8-9
Il nostro Dio è un Dio per noi, per la nostra salvezza, Dio di misericordia, « ricco di amore ». Nella rivelazione che Dio fa di sé per la seconda volta a Mosè ridona le tavole della Legge, poiché una prima volta il popolo aveva deviato dalla fedeltà agli impegni dell’alleanza. Infatti, essendosi dato all’ idolatria e prostratosi in adorazione davanti al vitello d’oro, fatto da Aronne, aveva attribuito ad esso l’opera della liberazione dall’ Egitto. Nonostante questa infedeltà, Dio, per intercessione di Mosè, perdona al suo popolo perché è « il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ ira e ricco di amore e di fedeltà ».Ma Mosè sente Dio vicino e pieno di grazia, perché è un Dio che cammina in mezzo al suo popolo, che perdona le sue colpe,« anche se è di dura cervice ». Mosè davanti a Dio riconosce il peccato di tutto il popolo e chiede che lo scelga e lo tratti come suo possesso. La presenza di Dio sarà pienamente realizzata quando a camminare in mezzo a noi sarà lo stesso Figlio di Dio e, dal Padre e dal Figlio, lo Spirito Santo sarà inviato come dono. Allora potremo Trinità Santissima, rivelata e comunicata agli uomini.
Seconda Lettura: 2 Cor 13,11-13
Nel saluto che Paolo solitamente rivolge ai cristiani nelle sue Lettere sono proclamate le Tre Persone divine della Santissima Trinità. Paolo augura che l’amore di Dio Padre, la grazia del Signore Gesù e la comunione dello Spirito Santo sia con loro. Ma questo saluto non è una astratta enunciazione del mistero trinitario: del Padre è sottolineato l’amore,del Figlio Gesù la grazia che ha meritato per gli uomini e dello Spirito Santo la comunione che crea tra essi. Il mistero della Santissima Trinità ci è stato rivelato dal Figlio, che ci ha redenti mediante la sua morte e resurrezione, e con il dono dello Spirito ce ne ha dato una più profonda conoscenza. Più che riflettere, allora, per capire, siamo chiamati ad accoglierlo e a realizzare un rapporto di amore con la Trinità tutta, dal momento che le Tre Persone divine sono in viva relazione con noi, come ci ha detto Gesù, perché lo Spirito fa dimorare il Padre e il Figlio nel cuore di chi è in grazia.
Vangelo: Gv 3,16-18.
Del dono di Dio all’ uomo ci parla Gesù nel suo colloquio con Nicodemo a cui svela il progetto di salvezza del Padre, che per sua iniziativa d’amore sovrabbondante, generoso e oblativo, manda il suo Figlio, consegnato per la salvezza del mondo. Questo mondo a volte si oppone a Dio, lo contrasta e rifiuta il suo amore, mentre altre volte, riconoscendo l’uomo il proprio stato di prostrazione, lo ricerca e si rivolge a lui. Nell’ insegnamento e nella rivelazione che Gesù fa di Dio il mondo, cioè l’umanità tutta, è oggetto dell’amore di Dio che, avendola creata, la cerca e la attira al suo amore.
Così abbiamo saputo del Padre quando Gesù ha detto a Nicodemo che Dio Padre, per amore degli uomini, ha mandato il suo Figlio Unigenito per la salvezza del mondo e per dare loro, credendo in Dio, la vita eterna.
Il Padre, per sua libera iniziativa, ha affidato la missione della salvezza al Figlio, che venuto tra noi ha assunto e condiviso, perché potessimo avere la vita di Dio in noi. A questa iniziativa di Dio deve corrispondere, da parte nostra,nella fede, l’accoglienza di questo Dono del Padre, nel quale ricevia- mo la salvezza, se nella fede accogliamo le parole, le opere e i gesti di Gesù. La fede, come affidamento a Dio e al suo progetto di salvezza realizzato in Cristo, è a fondamento della conoscenza del mistero di comunione a cui Dio ci ha chiamati. Il mistero del Padre e del Figlio appare così non come verità difficile ad accogliersi, ma come partecipazione nostra alla vita di Dio, vita divina, meritataci dal Figlio, morto e risorto per noi, ma che ci viene data grazie allo Spirito Santo: infatti noi nasciamo di nuovo, dall’ alto, per virtù dello Spirito e alimentiamo questa vita attraverso i sacramenti che sono realizzati dalla terza Persona della Santissima Trinità.