DIO SI PRENDE CURA DEL SUO GREGGE, DELLA NOSTRA UMANITÀ.
26 NOVEMBRE – SOLENNITÀ DI GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO.
Dio si prende cura del suo gregge, della nostra umanità.
Gesù, davanti a Ponzio Pilato che gli ha chiesto se fosse re, rispose di esserlo, ma il suo regno e la sua regalità non erano di questo mondo. Gesù esercita, quindi, la sua regalità in maniera silenziosa e misteriosa, ogni giorno, nei cuori di coloro che hanno accolto la sua liberazione dal peccato e vivono nella sua stessa obbedienza a Dio, sottomessi alla sua regalità. Egli è Re di tutti gli uomini, universale, perché, con il suo sacrificio sulla croce,
« vittima di pace sull’altare della croce » ci ha "ricomprati", cioè redenti, non con il sangue di capri o di vitelli, ma con il suo stesso sangue, sparso per la nostra salvezza. Come vittima di pace si è offerto in sacrificio per ricon- ciliarci con il Padre celeste nello Spirito. Per questo Cristo risorto, che ha rinnovato per volere del Padre, tutte le cose, è costituito Signore e Re dell’universo.
Nelle vicende della storia degli uomini, spesso tormentate da sofferenze e tribolazioni varie, questo regno di amore e di pace, di gioia e di giustizia non si avverte facilmente e, agli occhi di tanti, anche di molti cristiani, sembra che sia assente, ma è presente e lo realizzano, anche nel silenzio e nel nascondimento, coloro che lo vivono nella giustizia e nella carità, nella donazione della vita per gli altri, servendoli con dedizione evangelica ad imitazione di Gesù.
« O Padre, che hai costituito il tuo Figlio pastore e re dell’universo, - recita la Colletta di questa solennità - donaci di riconoscerlo nel più piccolo dei fratelli, perché, quando egli verrà nella gloria ci accolga nel suo regno di risurrezione e di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Siamo allora chiamati a costruire il suo regno d’amore nelle tormentate vicende della storia, « alimentando in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, perché tu, o Padre, sia tutto in tutti ».
Prima Lettura: Ez 34,11-12.15-17.
Il profeta Ezechiele, nel brano che la liturgia ci fa riflettere oggi, nella figura del pastore e in ciò che egli compie per le sue pecore, vede l’opera di Dio per il suo popolo. Come il pastore cerca le sue pecore, vigila ed è premuroso verso il suo gregge, passa in rassegna le sue pecore, così fa Dio con gli uomini, mandando il suo Figlio a riunire i figli di Dio dispersi nel perseguire le vie del male: « Io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine ». Dio stesso, come il pastore, conduce gli uomini con la sua Parola, ricerca la pecora perduta e riconduce all’ ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura la malata, ha cura della grassa e della forte e tutte pascerà con giustizia. Inoltre: « A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri ». Dio quindi agisce con gli uomini con giustizia e amore, per cui, più che vivere nell’ angoscia o nel timore del suo giudizio, dovremmo avere un senso di pace profonda, confidando nel suo amore, nella sua misericordia, ricordando che Dio non vuole, come dice altrove lo stesso profeta, la morte del peccatore, ma che si converte e viva.
Seconda Lettura: 1Cor 15,20-26.28.
San Paolo, in questo brano, mette in parallelo la disobbedienza di Adamo, che ha condotto tutti gli uomini al peccato e alla morte, e l’obbedienza di Gesù, che conduce tutti coloro che credono in lui ad una vita nuova e alla risurrezione. Gesù risorto, quindi, è la primizia di coloro che essendo morti, quando Egli verrà, risorgeranno. E a conclusione di questa storia di salvezza, operata da Cristo a favore degli uomini, « il Figlio consegnerà il re- gno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza ». Così la morte sarà vinta per sempre. Tutto sarà sottoposto alla signoria di Cristo e, infine, lui stesso, con il regno di Dio, instaurato nel cuore degli uomini e nella creazione, sarà sottomesso al Padre, « Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, per Dio sia tutto un tutti ». Ma a chi allude Paolo, quando dice : « E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi, compresa la morte? ». Certo allude ai demoni e a coloro che ostinatamente lo hanno rifiutato non accogliendolo.
Vangelo: Mt 25,31-46.
La parabola del Giudizio universale del Vangelo ci richiama alla mente e alla nostra riflessione quello che avverrà alla fine dei tempi, « quando il Figlio dell’ uomo verrà nella gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui saranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra ». In questo giudizio, Cristo, il Figlio dell’Uomo, rivelerà la sua signoria, che nella storia rimane velata, pur essendo già all’ opera. L’esame del giudizio che egli farà agli uomini verterà su ciò che avremo fatto o non fatto, durante i nostri giorni terreni, ai fratelli poveri, ai piccoli, ai deboli e agli emarginati in cui egli si identifica. Saremo, quindi, giudicati sulla carità dimostrata concretamente e nella verità di opere ordinarie, semplici, sia a livello materiale che spirituale.
Egli ci giudicherà, come fatti a lui, sulla generosità e l’interesse che abbiamo avuto per gli altri. Di conseguenza, a coloro che lo hanno riconosciuto e amato davanti agli uomini, cioè ai “ giusti ”, egli darà di partecipare alla “ vita eterna”, mentre toccherà la maledizione, l’esclusione e la lontananza da questa vita, nel “ supplizio eterno ”, per coloro che non lo hanno riconosciuto e amato nei suoi fratelli.
In maniera semplice possiamo sapere quale sarà la materia del giudizio su cui saremo giudicati e verso quale realtà futura ci incamminiamo continuamente nei nostri giorni terreni. Gesù con questa parabola vuol farci comprendere che si è oggi uniti con lui nell'amore e lo si sarà nella sua gloria se siamo oggi solidali con i fratelli, perché in essi egli vuole essere riconosciuto e amato: chiudendo il cuore e la nostra carità ai fratelli, li chiudiamo anche al Signore Gesù.
NELL'ATTESA DEL SIGNORE SIAMO OPEROSI E VIGILANTI, FACENDO FRUTTAR3 TUTTI I SUOI DONI.
19 Novembre - XXXIII DOMENICA del Tempo Ordinario
Vivere sempre pronti e vigilanti per l’incontro con il Signore.
Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia di questa Domenica chiediamo a Dio, che affida alle « mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della sua grazia », di fare in modo che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della sua Provvidenza, rendendoci « sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo ritorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli e così entrare nella gioia del tuo regno».
Domandiamo a Dio che l’offerta del Corpo e Sangue del Signore, con la grazia di servirlo quindi con fedeltà e amore, ci faccia fruttare i doni che egli nella sua bontà ci dona, perché così, come i servi della parabola del Vangelo di oggi, possiamo essere introdotti, essendo stati servi buoni e fedeli, nella gioia del suo regno. Nell’Eucaristia, allora, da cui attingiamo la forza di essere « operosi nella carità » e la pazienza, con cui affrontiamo le prove delle vicende liete e tristi della vita, alimentiamo la speranza, nell’attesa del suo avvento, di raggiungere e godere il frutto « dell’eternità beata ».
Prima Lettura: Pr 31,10-.13.19,20-23.30.
Il Libro dei Proverbi, nella lettura che oggi riflettiamo, fa le lodi della donna forte, il cui valore la rende superiore alle perle, perché, ella teme Dio, in lei può confidare il cuore del marito, a cui dà felicità e non dispiaceri. E’ dedita alla casa lavorando volentieri lana e lino con le sue mani, è previdente e generosa verso il misero e il povero, e non fa tanto affidamento sul suo fascino o sulla sua fugace bellezza fisica, a cui, purtroppo, oggi si tiene molto. Con tutto ciò la Scrittura non vuole porre la donna in una condizione di inferiorità rispetto all’uomo, perché Dio, creando « l’UOMO, a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina li creò », quindi in pari dignità e con gli stessi diritti e doveri, anche se con ruoli diversi in vari aspetti della vita. Un esagerato femminismo, forse oggi, svaluta alcuni aspetti del ruolo della donna, fondandoli su un « concetto assoluto di libertà e di emancipazione ».
Seconda Lettura: 1 Ts 5,1-6.
La Parola di Dio di queste ultime domeniche dell’anno liturgico ci esorta a guardare al giorno del giudizio in cui il Signore verrà d’improvviso, come un ladro di notte. Essa, più che descrivere gli eventi futuri, cioè escatologici, in maniera precisa di come accadranno e di cui non possiamo fare né calcoli né illusioni, mette in evidenza la necessità di prepararsi a quella fine, facendo fruttare i doni di Dio, vigilando e vivendo con sobrietà per non essere appesantiti nel sonno dello spirito da vari adagiamenti, per non essere sorpresi nel giorno in cui il Signore, certo, verrà per introdurci nella sua luce e nella gioia del suo regno.
La vita terrena dei cristiani, così come di tutti gli uomini, è da considerarsi vigilia di “una esistenza diversa” o vigilia del “nulla”? Attesa operosa per il bene proprio e dell’intera umanità in vista di un traguardo in Dio o esistenza senza senso per sé e per gli altri, e solo per il perseguimento di mete terrene e fugaci? Se diciamo di amare il Signore, dice un padre della Chiesa, non dobbiamo aver paura della sua venuta, perché, diversamente, che razza di amore sarebbe il nostro? Allora perché non impegnarci a vivere con cuore attento e attività operosa, con il vivo desiderio di incontrare il Signore che viene, anche se non ne conosciamo il momento e l’ora? L’atteggiamento vigilante non deve farci perdere l’attenzione e la consapevolezza della nostra vita e della storia.
Vangelo: Mt 25,14-30.
La parabola del Vangelo ci esorta a riflettere sui doni che Dio ci dà, per collaborare al suo progetto di salvezza, e su come li abbiamo fatto fruttare per realizzare la nostra esistenza, non solo a nostro beneficio ma anche per gli altri. Nel giudizio finale ognuno dovrà rispondere personalmente dell’impegno posto durante la vita a rendere tutti i doni di Dio, pochi o molti che siano, non solo la propria vita e le doti personali ma anche quelli comunitari, sociali e ambientali, i doni di grazia, fruttuosi per sé e i fratelli, mettendoli continuamente in gioco valorizzandoli. Possiamo anche seppellirli o rifiutarli non capendo così il significato che essi hanno per noi e gli altri, come ha fatto il servo pigro e infingardo. La fedeltà e la laboriosità devono, invece, contraddistinguere l’agire del credente e di ogni uomo di buona volontà, perché, volenti o nolenti, dobbiamo rendere conto a Colui che ce l’ha dati da amministrare. Per il buon uso di essi, possiamo attendere il plauso di Dio e la sua accoglienza nella gioia del suo regno. Certamente la pigrizia, la negligenza colpevole o l’atteggiamento del servo, che ha sotterrato il talento e lo ha restituito al padrone con insolenza accusatoria, non possono essere premiati. Gesù ci esorta, dunque, a prendere, nel presente della nostra vita, l’impegno per il Regno di Dio, con fedeltà creativa al suo insegnamento, se vogliamo nel futuro partecipare alla gioia della comunione con Lui nella gloria.
PREPARIAMOCI ALL'INCONTRO CON CRISTO SPOSO, COME LE VERGINI PRUDENTI.
12 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
73° GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO
Prepararsi all’incontro con il Signore.
La celebrazione della passione gloriosa del Signore, Figlio di Dio, non è un avvenimento del passato, ma è reso presente dall’azione dello Spirito e noi, partecipandovi con fede, ne veniamo coinvolti. Assumendo con impegno il Corpo e Sangue di Cristo, che si è offerto per la nostra salvezza, noi impariamo a donarci per la salvezza dell’umanità. Alla passione del Signore è seguita la sua gloriosa risurrezione per cui, con l’Eucaristia che noi celebriamo, viene alimentata la speranza della gloria futura. Ma dobbiamo vivere nella vigilanza tale attesa, così da essere trovati, alla venuta del Signore, pronti per entrare, come le vergini prudenti, con lui nel banchetto celeste.
Nella preghiera iniziale diciamo: « O Dio, voce che ridesta il cuore, nella lunga attesa dell’incontro con Cristo tuo Figlio fa’ che non venga a mancare l’olio delle nostre lampade, perché, quando egli verrà , siamo pronti a corrergli incontro per entrare con lui alla festa nuziale. Egli è Dio e vive e regna con te. … ».
Prima Lettura: Sap 6,12-16
In questa prima lettura sono delineate alcune caratteristiche della sapienza: essa è splendida, si lascia vedere da coloro che la amano, trovare da coloro che la cercano e previene coloro che la desidera facendosi conoscere.
« Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta ». Riflettere su di essa significa acquisire un’intelligenza perfetta e sarà senza affanni chi veglia a causa sua; lei stessa va in cerca di coloro che sono degni di lei, apparendo loro benevola in ogni circostanza.
Cosa è la sapienza ci potremmo chiedere? E’ la Parola di Dio, la sua legge, il suo spirito. Bisogna allora cercarla, desiderarla, amarla. La si trova se la si chiede a Dio e se ci si rende degni di lei. Cristo Gesù, la Sapienza increata, generata dall’eternità, il Verbo di Dio del prologo del Vangelo di Giovanni è Colui che l’uomo dovrebbe ricercare, accogliere, amare e ispirarsi continuamente a lui, perché « il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi…. E noi dalla sua pienezza abbiamo ricevuto: grazia su grazia » (Gv 1,14.16).
Seconda Lettura: 1Ts4,13-18
San Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi per istruirli a proposito di coloro che sono morti, li esorta a non essere tristi come coloro che non hanno speranza, perché se i discepoli di Cristo credono che Gesù è morto e risorto, Dio, per mezzo di Gesù, li radunerà rendendoli partecipi della sua resurrezione.
Per confortarli davanti alla realtà della morte, continua, ancora, dicendo che, alla venuta del Signore, coloro che sono ancora in vita non avranno alcuna precedenza su quelli che sono morti: quando il Signore si manifesterà, prima risorgeranno tutti i morti in Cristo e, quindi, anche coloro che saranno ancora in vita verranno rapiti insieme con loro per andare incontro al Signore e così essere sempre con lui. Per l’apostolo quello che importa è credere nel Signore risorto dai morti, causa e fondamento della risurrezione di tutti, per essere sempre con lui nella gloria e, come dice nella parabola del Giudizio universale, «nel regno preparato per loro fin dalla fondazione del mondo ». I discepoli del Signore allora vedono la morte nella prospettiva della resurrezione di Cristo, il quale è « causa e primizia » della risurrezione di tutti.
Vangelo: Mt 25,1-13.
Nella parabola del Vangelo di oggi delle vergini, che attendono lo sposo, Gesù riprende il tema dell’incontro che gli uomini vivranno alla venuta del Signore nella gloria. Nell’attesa dello sposo che tardava, dice Gesù, sia le cinque vergini prudenti che avevano preso dell’olio di riserva per le loro lampade, sia le cinque vergini stolte che non avevano provveduto a prende- re dell’olio di riserva, si assopirono e si addormentarono. A mezzanotte, al grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”, tutte le vergini si destarono e prepararono le lampade. Le stolte, allora, dissero alle sagge: “ Dateci un po’ del vostro olio, perché le lampade si spengono”. Le sagge, avendo risposto che l’olio sarebbe venuto mancare ad entrambe, invitarono le stolte ad andare a comprarlo. Arrivando lo sposo, però, le vergini che erano pronte entrarono alla festa di nozze e la porta fu chiusa. Ritornando le altre vergini cominciarono a dire : “Signore, signore, aprici! ”. Ma fu loro risposto: “ In verità io vi dico: non vi conosco ”.E Gesù, concludendo la parabola, esorta gli uditori a vegliare ed essere preparati perché non si sa né il giorno né l’ora in cui ognuno dovrà incontrare il Signore. Non bisogna, allora, farsi sorprendere senza olio nella lampada, cioè senza la fede, la speranza, la carità se vogliamo partecipare al suo convito, che consiste nel vivere nell’intimità gioiosa con il Signore. Non dobbiamo farci trovare assopiti in comportamenti di calcoli imprudenti e insipienti, presi dalla tentazione di rimandare a domani l’impegno a vivere serenamente l’attesa del Signore, camminando nelle sue vie e vivendo la nostra fedeltà a lui.
LA SANTITÀ DEI MINISTRI PER LA GUIDA DEI CREDENTI IN CRISTO.
5 NOVEMBRE – XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO(A)
Nutriti lungo la vita terrena nell’Eucaristia con il Corpo e Sangue del Signore, ci prepariamo a conseguire i beni promessi nel cielo. Entrando in sintonia con il Signore,ÁÁÀ nell’ascolto e nella adesione con l’unico Dio, veniamo nutriti da lui che si è fatto uomo per nostro amore e, di conseguenza, dobbiamo mettere in pratica il Vangelo con tutto noi stessi. Accogliendolo in noi, dobbiamo attuare uno stile di vita evangelico, che ci porta a condividere con il prossimo anche i beni terreni. Solo così possiamo sperare di conseguire i beni celesti. Questo vuol dire vivere in maniera esistenziale l’Eucaristia.
Nell’orazione iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, creatore e Padre di tutti, donaci lo Spirito del tuo Figlio Gesù, venuto tra noi come colui che serve, affinché riconosciamo in ogni uomo la dignità di cui lo hai rivestito e lo serviamo con semplicità di cuore. Per il nostro Signore Gesù Cristo... ».
Prima Lettura: Ml 1,14b-2,2b.8-10
Il Signore, per bocca del profeta Malachia, proclamandosi grande re, il cui nome è terribile tra le nazioni, ammonisce i sacerdoti perché, se non lo ascolteranno e non si daranno premura di dare gloria al suo nome, Egli manderà su loro la maledizione. Poiché essi hanno deviato dalla retta via, sono stati per molti d’inciampo con i loro insegnamenti e hanno distrutto l’alleanza di Levi, il Signore li ha resi spregevoli e abietti davanti al popolo.
Il profeta, ricordando che tutti gli israeliti hanno un solo padre, sono stati creati da un unico Dio, si domanda perché si agisca « con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri? ». Coloro che erano i custodi dell’alleanza, avrebbero dovuto camminare fedelmente nelle vie del Signore e osservare le sue leggi, per cui, non rappresentando più il Signore davanti a tutto il popolo, essi sono divenuti spregevoli. Ogni ministero, sia il sacerdotale e sia ogni altra forma di servizio, deve risplendere per l’esemplarità del servizio, poiché è necessario imitare il Signore, che ci ha creati uguali e vuole che tutti gli uomini, creature o figli, debbano essere rispettati nella loro dignità.
Seconda Lettura: 1 Ts 2,7b-9.13.
San Paolo ricorda ai Tessalonicesi come egli sia stato amorevole verso di loro, come una madre lo è con i propri figli, tanto che, essendo divenuti a lui cari, non solo il Vangelo ha desiderato trasmettere ma anche la sua stessa vita avrebbe voluto dare. In mezzo a loro, infatti, con duro lavoro e fatica, non ha voluto essere di peso ad alcuno, pur annunziando il Vangelo di Dio.
Così egli rende continuamente grazie a Dio perché, « ricevendo la parola di Dio » che egli ha annunziato loro, l’hanno « accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti ».
La tenerezza materna di Paolo per i cristiani a cui annunzia il Vangelo lo porta a non essere di peso ad alcuno e anche a poter dare, se necessario, la sua stessa vita per adempiere al ministero che il Signore gli ha affidato.
Vangelo: Mt 23,1-12.
Gesù, parlando alla folla e ai discepoli, li esorta a praticare e osservare tutto ciò che gli scribi e i farisei insegnano, ma a non agire secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno quello che insegnano. « Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito ». Inoltre essi fanno le loro opere per essere ammirati, allungano filatteri e frange, si compiacciono di posti di onore e primi seggi nelle sinagoghe, di essere salutati nelle piazze e di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Esorta ancora a non farsi chiamare” rabbì”, perché uno solo è il loro Maestro e loro sono tutti fratelli; né a chiamare “padre” qualcuno, perché uno solo è il Padre loro, quello celeste; a non farsi chiamare “guide”, perché solo il Cristo è la loro guida. Esortando infine a vivere umilmente dice loro: « Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato ». L’incoerenza e l’infedeltà di non osservare quello che si vuole insegnare agli altri non fa un buon servizio alla bontà dell’opera educativa, né alla Parola di Dio che si vuole annunziare. Non si può essere rigidi ed esigenti con gli altri e accondiscendenti con se stessi. La superbia, la volontà di dominio o essere onorati come “ maestri” o “padri”, sono atteggiamenti che non si confanno con l’esempio del Cristo, né del Padre celeste: tutti siamo fratelli. Un ministero, dunque, qualunque esso sia, deve esercitarsi come servizio ai fratelli e il più grande è colui che serve: non può un ministero ricercarsi per avere prestigio e onore, ma esige dedizione che promuove l’unità, la fraternità e l’amore vicendevole.
FESTA DI TUTTI I SANTI e COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI.
1 NOVEMBRE – MERCOLEDÌ - SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI.
La festa di tutti i santi si è diffusa nell’Europa latina nel secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi, anche a Roma, fin dal secolo IX.
E' un’unica festa quella di tutti i santi che oggi celebriamo, ossia della Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi è una festa di speranza: « l’assemblea festosa dei nostri fratelli » rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; essa ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.
Dei Santi, che ci sono « amici e modelli di vita », come dice san Bernardo, dobbiamo desiderarne la compagnia, poiché essi attendono e desiderano la nostra salvezza: la loro preziosa presenza ci protegge e ci incoraggia.
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Nella vita di ogni giorno, ci accorgiamo delle fragilità, dei momenti di insuccesso, delle negatività che costellano la nostra vita, dei nostri limiti: tutte queste cose ci fanno sembrare la vita non riuscita.
Ma allora cosa rende questa vita riuscita? Siamo o possiamo essere migliori di quello che pensiamo di essere? Dobbiamo rassegnarci ai nostri fallimenti, ai difetti e ai vuoti della nostra esistenza? Dobbiamo sperare in una vita migliore per noi e per tutti, solo per questa terra, o possiamo pensare e credere che, al di là di tutto questo, ci attende una vita in Dio, in cui già sono tutti coloro che oggi celebriamo: cioè i Santi, sia coloro che onoriamo nel calendario e sia quelli che hanno vissuto la loro esistenza nella fedeltà al Signore, in cui hanno creduto, pur nel nascondimento e con una testimonianza silenziosa?
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Il punto principale della fede cristiana sta nella certezza di fede cristiana che la nostra vita e la sua riuscita dipendono sì da Dio, ma anche dal nostro impegno. In varie esperienze religiose si pensa che si possa giungere ad una , se pur imprecisata, pienezza di vita e di pace attraverso un cammino di ascesi,di meditazione. In alcune concezioni filosofiche di vita si pensa che attraverso uno sforzo di perfezione etica, che gli uomini possono imporsi, individualmente o comunitariamente, è possibile raggiungere una pienezza di vita, almeno nel cammino finale dell'umanità. Si pensa poi, ancora, da parte di altri, che le negatività dell’esistenza possono superarsi con la rassegnazione e che in ultimo arriverà il premio e la consolazione.
Nella esperienza religiosa ebraica, fondata sulla alleanza tra Dio e il popolo, Dio è colui davanti al quale si prova timore, riverenza e rispetto; Dio stesso comunica all’uomo la santità, chiedendogli di essere santo perché lui è santo E si raggiunge la santità con l’osservanza della Legge e le pratiche di purificazione e di religione, ma che spesso, come rimproverava Gesù al suo tempo ai farisei, erano vissute con mediocrità e esteriorità. Nella predicazione profetica veniva inculcato il convincimento che la santità e la riuscita della vita sarebbero state donate da Dio.
Con la venuta di Gesù, che porta lo Spirito di santità e lo comunica con la sua morte in croce, gli uomini da lui redenti vengono da lui santificati. Ma con tutto il suo agire, con la sua parola egli manifesto la santità e la pienezza di vita: perdonò i peccati, guarì i malati, donò se stesso, amandoli fino alla fine. Egli, il Signore, il Santo e il giusto, invitò gli uomini ad essere santi come è santo il Padre dei cieli, e così partecipare pienamente alla vita divina, alla vita eterna, che siamo chiamati a vivere in Lui. Poiché Dio è Santo, la pienezza di vita consiste nella santità donata da Dio, comunicata dallo Spirito nella morte e risurrezione del Cristo.
Chi sono i Santi che oggi onoriamo e ricordiamo?
San Paolo chiama « Santi di Dio » tutti coloro che battezzati e cresimati sono stati inseriti come membra del Corpo Mistico di Cristo. La nostra santità è una vocazione che non sempre viviamo pienamente per ora, ma siamo santi perché abbiamo la possibilità di vivere, con i doni e le qualità che Dio ha posto in noi, pienamente la comunione col Padre, attraverso il Figlio Gesù, nello Spirito del Padre e del Figlio.
Gesù nelle Beatitudini annuncia questo dono gratuito di Dio fatto a tutti, specialmente a coloro che non hanno nulla su cui possono contare ( poveri in spirito, afflitti, miti, ricercatori di pace e di giustizia ecc.). Dio è colui che è causa della nostra beatitudine e santità. Così, per dono suo, noi possiamo considerare la nostra vita riuscita, pur essendo, a volte, nella povertà, nelle sofferenze, nelle afflizioni e in ultimo anche nelle persecuzioni sofferte per il nome di Cristo.
Lungo la storia della Chiesa, la santità di tanti, riconosciuta nel calendario cristiano, viene additata a modello per tutti, perché essi hanno dato disponibilità piena all’amore di Dio e alla dedizione ai poveri, sofferenti,emarginati: quante madri di famiglia, persone consacrate a Dio nelle varie istitu- zioni, giovani e uomini di varie condizioni sociali, martiri per la fede, ecc.
Quando viene dichiarato e onorato « beato » o « santo » qualcuno, noi non gli rendiamo, come diceva sant’ Agostino in una sua riflessione sulla memoria dei martiri, un culto di adorazione, che si deve solo a Dio, ma ne facciamo la memoria e la venerazione per additarcelo ad esempio e modello di vita per tutti noi che siamo in cammino di santità su questa terra. La vita di santità di questi fratelli è confermato esplicitamente dalla testimonianza concorde di coloro che li hanno conosciuti e sono stati raggiunti dalla loro luce di santità, attraverso segni, virtù, e miracoli che questi santi hanno impetrato da Dio.
Cammino di santità per tutti.
Come possiamo rispondere alla chiamata alla santità che Dio ci fa? Lasciandoci riempire e guidare dallo Spirito Santo attraverso la preghiera, i sacramenti e le opere di testimonianza nella carità, la giustizia,ecc
Così Cristo, attraverso la sua morte e risurrezione, agisce in noi, nell’oggi della nostra vita, e ci santifica. Facendoci coinvolgere dall’iniziativa di Dio, vivendo i sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, attuando le opere di misericordia verso i poveri, i sofferenti, gli ultimi, operando per la pace, la giustizia e la misericordia, vivendo con purità di cuore la nostra apertura a Dio e confidando in lui, nei momenti della persecuzione a causa della giustizia e del suo regno, noi operiamo nella fedeltà al Signore e viviamo un cammino fecondo di santità. Vivremo questo itinerario operando il bene, conducendo la nostra esistenza nella gioia, nella pace della coscienza e nella speranza che, nonostante tutto, Dio ci salverà; e se pur manca qualcosa alla nostra perfezione egli la colmerà e ci renderà conformi al suo Figlio, rendendoci santi come è santo lui. Il suo ultimo atto d’amore per noi sarà il sigillo definitivo alla nostra vita, che si concluderà con la nostra salvezza eterna.
Prima Lettura: Ap 7,2.4-9.14.
La moltitudine immensa che sta dinanzi all’Agnello in candide vesti e con la palma tra le mani rappresenta gli eletti, che, purificati nel sangue di Cristo, gli sono stati fedeli nella prova. Sono i battezzati a cui è stato apposto il sigillo dell’appartenenza a Dio e ai quali nulla e nessuno può più far del male, poiché sono nella gloria di Dio e contemplano ormai il volto del Signore per l’eternità.
Seconda Lettura: 1 Gv 3,1-3.
Partecipiamo alla gioiosa constatazione di san Giovanni: Dio ha avuto per noi un amore impensabile, al punto che non siamo solo di nome ma di fatto figli suoi. E lo siamo già d’adesso, in virtù della vita divina, la grazia, che ci unisce a lui, anche se all’esterno ancora non appare tutta la nostra dignità, anche se portiamo ancora i segni del nostro legame alla terra, anche se non mancano limiti e sofferenze. Però siamo in attesa della manifestazione completa del nostro essere, quando si rivelerà e si attuerà la nostra conformità completa a Dio e quindi a Cristo, e vedremo Dio non più attraverso il velo delle cose create, delle immagini e delle parole, ma viso a viso. Questo è già avvenuto per i santi, che oggi festeggiamo.
Vangelo: Mt 5,1-12.
Gesù promulga, come un nuovo Mosè, la Legge nuova, che si apre con le Beatitudini. Esse sono la situazione di gioia per quanti si dispongono nello spirito del Vangelo, e quindi fanno la scelta della povertà, della mitezza, della giustizia, della misericordia, della purezza, della pace e che, pur nella sofferenza, non cessano di sperare e di essere fedeli.
Le Beatitudini sono l’antitesi dello spirito del mondo, rovesciano le attese e le valutazioni terrene.
2 NOVEMBRE - COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI.
La preghiera e la comunione con i fratelli defunti.
Quando un padre, una madre, un familiare, un parente, un amico ci lascia definitivamente con la morte, al di là della sofferenza per la loro perdita, sappiamo che con il passar del tempo nulla cambia. Il vuoto lasciato rimane, perché nulla può restituirci le persone care, con loro affetti, gesti e sguardi d’amore, le loro tenerezza, la loro presenza vigile ecc. Spesso, davanti a morti premature o catastrofi naturali, rimangono i nostri interrogativi su questi eventi tristi e dolorosi. La domanda che sgorga dalle nostre labbra è: « Che senso ha un tale evento? ». La vita e la morte sono realtà davanti alle quali ogni giorno dobbiamo fare i conti.
Il mistero della morte illuminato dalla parola di Dio.
Davanti alla drammatica realtà della morte né le parole umane né le consolazioni che ci vengono offerte da parenti, amici o conoscenti sono sufficienti. Solo la Parola di Dio può darci una risposta che, pur non risolvendo il problema nella sua emotività, diede ai sapienti d’Israele il profondo convincimento che, oltre la morte, l’uomo deve attendere la salvezza che Dio dà. Il libro della Sapienza afferma con solennità: « Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà ». Questa certezza si fonda sulla fede in Jahvè, nella esperienza della fedeltà di Dio che non abbandona chi crede e spera in Lui.
E Isaia preannunzia le promesse di Dio, il quale « preparerà un banchetto per tutti i popoli ed eliminerà la morte per sempre… » e « farà nuove tutte le cose » (Ap ).
Per noi Cristiani, la risurrezione di Cristo, che non muore più e preannunzia la nostra risurrezione e la vita eterna che vivremo in Dio, testimonia che la morte non è l’esito finale della nostra esistenza, ma solo un passaggio. Paolo davanti alla realtà della morte esclama:« Dov’è o morte il tuo pungiglione ? Dov’è o morte la tua vittoria ?». Con la sua morte e risurrezione Gesù ha aperto il passaggio da questo mondo all'altro per tutti gli uomini, dando a tutti noi la possibilità di avere accesso alla vita divina ed eterna in Dio.
Questa nostra fede non cancella né elimina gli aspetti misteriosi e dolorosi della morte, né la sofferenza del distacco dai cari che essa comporta, ma ci apre alla speranza e alla certezza che esiste una vita, un incontro per noi e per i nostri cari nella realtà dell’esistenza divina, con Dio e tra noi.
Dopo la morte si attua la vera nascita dell’uomo.
Secondo la Parola di Dio, per il cristiano, la morte è una nuova nascita: come l’uomo con la nascita viene espulso dal grembo per la vita terrena, così, attraverso la morte, egli viene espulso da questa vita terrena per una nuova vita, per una esistenza trasformata e misteriosa, che verrà vissuta in Dio. Questa nuova esistenza, che non è vissuta nel tempo e nello spazio, di cui non ne abbiamo esperienza, ci spaventa e incute timore. E’ il mondo di Dio con la sua pienezza di vita che darà piena soddisfazione all’uomo: nella risurrezione finale anche il nostro corpo, risorto, vi parteciperà senza più avvertire la sua dimensione corruttibile, ed esso non sarà più un limite nei rapporti con gli altri e con Dio.
La nostra vita non ci è tolta, ma trasformata. Il non morire sarebbe per l’uomo il non giungere mai alla sua piena realizzazione.
Nella morte cadono tutti i limiti della condizione terrena e si è liberi, in maniera definitiva, dalle nostre esperienze terrene, per ritrovare la nostra esistenza nella completa esperienza spirituale di Dio.
Per i credenti in Cristo, la nostra morte non è la fine, ma il fine con cui raggiungiamo la meta di una vita giunta nella sua pienezza. Il distacco dal mondo creato con la morte non è una disgrazia, ma una uscita dalla vita biologica e terrena, pur personale, per una esistenza che raggiunge la sua pienezza.
Con la celebrazione odierna celebriamo la nostra vita in Dio.
Dio realizza il suo progetto di vita e di beatitudine che ci promette rendendoci partecipi della sua divinità e della dimensione incantevole del suo amore: tutto ciò è dono gratuito di Dio, che ne dispone la modalità e i tempi. Tutto ciò che di bene, con la sua grazia e aiuto, noi siamo stati capaci di realizzare anche solo parzialmente, aprendoci al suo amore e all’amore verso gli altri, per la sua bontà, Dio lo porta a compimento, perché nulla è stato costruito invano, nessun gesto d’amore va perduto.
Tutto ciò che di bene nella vita terrena era provvisorio, davanti a lui che giudicherà la nostra esistenza, diventerà definitivo, e ciò avverrà quando egli dividerà le vite realizzate, per averlo riconosciuto e aiutato nei fratelli, da quelle fallite, perché non lo hanno né riconosciuto né amato negli altri.
La morte, che ci svela la provvisorietà dell’esistenza terrena in cui nulla è possibile vivere pienamente, ci apre una prospettiva in cui viene recuperato il bene compiuto per essere reintegrato nella dimensione infinita ed eterna di Dio. La preghiera per i nostri morti vuole impetrare da Dio che tutti coloro che sono stati a « Lui graditi », come dice San Paolo, per la sua bontà e purificati dalla sua misericordia, siano ammessi a contemplare il suo volto e a vivere nella piena comunione dei Santi, realtà a cui anche noi aspiriamo dopo questo esilio terreno.
Viviamo, quindi, questa commemorazione dei fratelli defunti non con la nostalgia di chi li pensa perduti per sempre, ma con la speranza di chi li crede viventi in Cristo, destinati alla risurrezione gloriosa con lui.
Oggi richiamiamo la morte nella luce della Pasqua di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione, fondamento della nostra speranza. Oggi affidiamo i nostri fratelli defunti alla misericordia di Colui che è morto in croce per la remissione dei peccati e per la nostra riconciliazione al Padre. Ma questo ricordo dei morti deve essere anche ammonimento salutare per noi che ancora viviamo: la vita passa in fretta, e le opere buone vanno compiute adesso. Poi viene il giudizio di Dio e, secondo la nostra condotta, ci verrà dato il premio o il castigo.
Prima Lettura: Sap 3,1-9.
La morte dei giusti non è tragedia senza scampo, dissoluzione per sempre: Dio li sostiene, li fa entrare nella sua pace e nella vita immortale. Le loro sofferenze, irrise dagli increduli, cono una prova che li purifica e che, sopportata con speranza, sarà motivo di gloria. C’ è in questo della sapienza la speranza di quanti vivono e muoiono nel Signore.
Seconda Lettura : Ap 21,1-5.6.7.
Attraverso l’immagine del cielo e della terra nuovi, delle cose di prima che passano e delle altre che sono fatte, sentiamo che una condizione nuova ci attende, di cui non abbiamo esperienza, ma che sarà la piena salvezza. E’ la condizione di quanti risorgeranno con Cristo per la vita eterna.
Vangelo: Mt 5,1-12 (vedi commento nella festa di tutti i Santi)