L'AMORE DI DIO È SENZA CONFINI.
20 AGOSTO – XX DOMENICA del Tempo Ordinario.
L'AMORE DI DIO È SENZA CONFINI.
20 AGOSTO – XX DOMENICA del Tempo Ordinario.
Nell’incontro dell’Eucaristia domenicale Cristo Signore si dona a noi con il suo Corpo e il suo Sangue. E mentre noi offriamo pane e vino, semplici doni, che la Provvidenza del Padre ci elargisce, noi riceviamo in cambio, per la potenza dello Spirito di Dio che li santifica, il dono incommensurabile della presenza di Cristo Signore, che si dona, con il suo Corpo e Sangue, come cibo e bevanda di vita: viviamo un misterioso scambio tra la nostra povertà e la sua ricchezza divina in questo banchetto in cui Dio Padre ci invita ad essere commensali. Ecco perché è una gioia vivere la Domenica come giorno del Signore, giorno di “ringraziamento” e di lode a Dio insieme ai fratelli per le meraviglie operate per noi. La Domenica non possiamo né dobbiamo ridurla ad un incontro superficiale o spinti solo dall’obbligo morale di adempiere ad un precetto. Bisogna viverla come incontro con Cristo nel nome di Dio Padre Creatore e Signore.
Nel giorno della risurrezione del Signore cantiamo e celebriamo anche la nostra risurrezione finale. Questa partecipazione al banchetto eucaristico nel tempo, se vissuto degnamente, diventa caparra e anticipo del banchetto eterno del cielo. Ma da questo in contro con il Signore siamo invitati a testimoniare con le parole e le opere la gioia della salvezza, evitando di ritornare nel peccato.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Padre, che nell’obbedienza del tuo Figlio hai abbattuto l’inimicizia tra le creature e degli uomini hai fatto un popolo solo, rivestici degli stessi sentimenti di Cristo, affinché diventiamo eco delle sue parole e riflesso della sua pace. Egli é Dio, e vive e regna con te… ».
Prima Lettura: Is 56,1.6-7.
E’ volontà di Dio che tutti gli uomini partecipino della salvezza preannunziata da Isaia, ma è necessario che ogni uomo aderisca e corrisponda al suo amore nella fedeltà, si guardi dal profanare il sabato e resti fermo nella sua alleanza: « Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi ». In questo disegno, che non è solo per Israele, Dio lo ha posto come strumento per tutti gli uomini. Tutti, israeliti e non, purché abbiano aderito al Signore, per essere suoi servi, che non hanno profanato il Sabato e resteranno saldi nella sua alleanza, Dio li condurrà sul suo santo monte e li colmerà di gioia nella sua casa di preghiera, perché la si chiamerà « Casa di preghiera per tutti i popoli ». Questa parola del profeta, all’avvento del Messia, si realizzerà, perché la salvezza operata da Cristo, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, oltrepasserà i confini del popolo d’Israele e tutti, anche quelli che sono “stranieri”, gli “altri”, “gli estranei”, ma che sono importanti per Dio, potranno ricevere la grazia redentrice e sperimentare la misericordia di Dio.
Non solo quindi i poveri e i piccoli, ma è per tutti la misericordia che Dio ci dispensa, non per i nostri meriti ma per la sua grande bontà e grazia.
Se cerchiamo nella nostra vita, diceva un padre della Chiesa in una riflessione, gesti, sentimenti, comportamenti che ci avrebbero fatto meritare tanto amore di Dio, non troviamo che peccati.
Seconda Lettura: Rm 11,13-15,29-32.
Paolo, con il suo impegno apostolico, come apostolo delle genti, annunzia Cristo e vuole suscitare negli Israeliti, suoi consanguinei, la gelosia per il Cristo che egli ha accolto nella sua vita come Signore, affinché anch’essi lo accolgano. Egli si chiede: « Se il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, cosa sarà la loro riammissione se non un riavere la vita di comunione con Dio e la risurrezione dai morti? ».
Se gli uomini, scrive ai Romani, un tempo disobbedienti a Dio, hanno ottenuto la misericordia da lui per la disobbedienza degli Israeliti, ora anche questi, a motivo della stessa misericordia, possono ottenere misericordia e perdono, avendo Dio racchiuso tutti nella disobbedienza, per usare così verso tutti misericordia.
Così si manifesta l’amore gratuito di Dio, meritato per gli uomini dal sacrificio di Cristo, segno incomparabile della misericordia divina, della sua benevolenza e pietà. Impariamo, allora, non tanto a cercare in noi meriti quanto a rendere grazie al Signore per tutti i benefici e meraviglie operate per noi, pensando come scrive Paolo che i doni e la chiamata di Dio, per tutti, sono irrevocabili.
Vangelo: Mt 15,21-28.
Nel brano del Vangelo di oggi, anche se assistiamo all’apparente contraddizione del comportamento di Gesù, nei confronti della donna cananea, si apre un orizzonte di speranza per tutti gli uomini. Come fu per il centurione romano, anche lui “straniero”, ma lodato per la sua grande fede, il suo servo malato fu guarito, così avviene anche per questa donna: per la sua grande fede, la sua figlia è guarita dal demonio.
Dopo la sua risurrezione, Gesù, inviando nel mondo i suoi discepoli, allargherà la missione della Chiesa rivolta a tutti i popoli.
In una zona di confine tra Tiro e Sidone, nel sud della Siro-fenicia e al nord della Galilea, terra considerata impura e pagana, dove si è recato dopo una polemica con gli inviati da Gerusalemme, Gesù viene avvicinato da una donna cananea che chiede insistentemente di intervenire a favore della figlia indemoniata.
Gesù, pur affermando di fronte agli apostoli, che gli chiedevano di esaudire la richiesta della donna di guarirne la figlia, di essere stato mandato per le pecore perdute della casa di Israele, tuttavia, dopo il dialogo che intratterrà con la donna, non resta indifferente davanti al dolore di quella madre per la sofferenza della figlia e accoglie la sua supplica. L’iniziale rifiuto di Gesù con la frase:“Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”, suscita nella donna, con la risposta che questa da’ :“... eppure anche i cagnolini , mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”, una tale fede, che se pur sembra piccola e insignificante come una briciola, davanti a Dio è così grande da essere lodata dal Signore tanto da farle ottenere la grazia.
Il Signore Gesù ci esorta a vincere la nostra incredulità e ad accogliere i doni che è venuto a portarci da parte del Padre, cioè la salvezza universale, la gioia della redenzione, il suo amore: doni che Egli accorda a tutti, e ciò avviene non tanto per i nostri meriti ma per la sua grazia e la sua immensa misericordia.
Ognuno di noi sperimenta nella vita un proprio percorso di fede, che se è vissuto con un attenta accoglienza della Parola di Dio, nell’umiltà e nel desiderio di seguire Gesù, riconoscendo le proprie miserie, la propria pochezza e affidandosi nelle mani del Padre celeste, potrà disporre il cuore ad accogliere la salvezza che egli ci offre.
L'AFFIDAMENTO A DIO CHE SI RIVELA IN VARIE MODALITÁ.
13 AGOSTO-XIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO Á
Soprattutto la domenica, in cui Dio Padre ci raduna insieme come famiglia dei credenti e di figli adottivi, possiamo con il Figlio Gesù sperimentare la sua paternità e, nella fede, ricevere la grazia di sentire la sua azione nella nostra vita e in quella degli uomini tutti, così da poter superare le prove di ogni giorno: egli è sempre presente nella vita delle sue creature e dei suoi figli.
Affrontare con la serenità dei figli di Dio, ad imitazione di Gesù, le prove quotidiane, vuol dire vivere le difficoltà, i travagli della vita e, anche la sofferenza, con la fiducia e la certezza che il Signore ci è vicino. Egli accompagna ogni sua creatura, tutti i suoi figli, la sua Chiesa in mezzo ai marosi nel mondo, finché non giungiamo alla contemplazione della luce del volto di Dio nel cielo. Nel giorno del Signore, vivere il nostro incontro con lui accresce il desiderio del cielo, pregustando fin d’ora la gioia che ci sarà data in pienezza nell’ eternità.
Nella preghiera della Colletta diciamo a Dio:« O Dio, Signore del cielo e della terra, rafforza la nostra fede e donaci un cuore che ascolta, perché sappiano riconoscere la tua parola nella profondità dell’uomo, in ogni avvenimento della vita, nel gemito e nel giubilo del creato ».
Prima Lettura: 1 Re 19,9.11-13.
Nel lungo cammino nel deserto, fortificato dal cibo che Dio gli provvede, Elia giunge sul monte Oreb, dove incontra Dio che gli si manifesta, non nell’esperienza eclatante del vento impetuoso e gagliardo, non nel terremoto o nel fuoco, come lo fu per Mosè, ma in una brezza leggera e, al suo passaggio, si copre il volto con il mantello. Così Elia riceve la conferma della missione a cui Dio lo manda.. E,’ quella di Elia, un’esperienza misteriosa di intimità e di quiete. Pur stando Elia « alla presenza del Signore » e avvertirne lo ferma all’ingresso della caverna. Solo con la rivelazione che il Figlio fa del Padre è possibile vedere il volto di Dio, perché, dice Gesù, chi vede lui vede il Padre.
Seconda Lettura: Rm 9,1-5.
Paolo avverte nell’ animo un’angosciosa sofferenza, tanto da voler essere, se potesse, anatema, cioè staccato da Cristo, che egli pur ama intensamente, a vantaggio dei suoi fratelli israeliti a lui consanguinei. Questo perché essi, che « Sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo », non l’hanno accolto come il Messia, pur essendo anch’egli israelita secondo la generazione umana, venuto per realizzare le promesse divine. L’apostolo, di questo misterioso ed enigmatico comportamento non sa darne una spiegazione, ma si affida a Dio, che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli, certo che la sua misericordia divina si manifesta verso tutti e sopra tutti. Sia questo consegnarsi all’ insondabile disegno di Dio, sia questa passione per la conversione dei fratelli israeliti, deve spingere i credenti nel Cristo come i fratelli ebrei, più che ad atteggiamenti di inimicizia e di ostilità, a vivere momenti di fraternità e accoglienza e di collaborazione.
Vangelo: Mt 14,22-33.
Dopo la moltiplicazione dei pani, per cui la folla ammirò la straordinaria potenza di Gesù, egli costringe i discepoli a precederlo sull’ altra riva del lago e « sapendo che venivano per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo, a pregare ». Nel Vangelo di Matteo la moltiplicazione dei pani era stata un segno della sua messianicità, anche se fraintesa da parte dei discepoli e da quelli che avevano assistito all' evento , volendolo fare re. Così congeda la folla e li costringe a partire, affinché non cedessero alla tentazione della gloria.
Nella sua pedagogia Gesù vuole insegnare ai suoi discepoli che non ci si deve appropriare dei segni della benevolenza di Dio, né di chi ha sperimentato un evento o un dono di grazia di Dio, per ottenere, a proprio beneficio o interesse, il consenso o soddisfare la propria sete di dominio sugli altri.
Ancora. Nella preghiera solitaria e a contatto con il Padre celeste, Gesù vuole vincere la tentazione di rivelarsi nella sua identità di Messia e di Figlio di Dio, perché vuole ancora una volta insegnarci che il bene, che i suoi discepoli fanno, deve portare gli uomini a dare gloria al Padre celeste e a porre Dio al centro della propria testimonianza e non alla ricerca di gloria o di successi propri: tentazione sempre presente nella vita di ognuno e della sua Chiesa, a cui difficilmente si sfugge, se si perde il vero senso del rapporto con Dio che, nella preghiera e nel rapporto intimo con lui, ci fa riscoprire la nostra identità di figli nella sua giusta luce.
Essere saliti sulla barca di Cristo, la sua Chiesa, e trovarsi in mezzo al lago della storia, agitato da forte vento e da onde paurose, è certamente anche un altro momento che ci può cogliere come discepoli di Gesù e di credenti in lui, lungo la nostra vita e nella vita della Chiesa. Se allora Gesù è assente, come lo era nella barca, nell’ episodio del vangelo di oggi, la comunità del Signore è incapace di compiere serenamente la traversata verso l’altra riva e si è presi facilmente dalla paura degli eventi più o meno sconvolgenti che agitano la nostra e la vita della Chiesa e del mondo. Solo se si crede alla reale presenza di Gesù in mezzo alla vita degli uomini e della sua Chiesa, e non lo si crede un fantasma, e se ascoltiamo la sua parola: « Coraggio, sono io, non abbiate paura! », con cui manifesta la sua identità divina, allora la sua presenza ci dà coraggio e serenità.
E anche quando come Pietro, rassicurati dalla sua presenza e dal calmarsi dei travagli e delle vicende tormentate della nostra esistenza, gli chiediamo di camminare verso di lui, chiamandoci a svolgere una missione, non dobbiamo perdere la nostra fede in lui e non aver paura, perché rischiamo di affondare.
In quel momento, solo rivolgendoci a lui e non pensando alle difficoltà e ai travagli in cui versiamo, gridando come Pietro: « Signore, salvami! », potremo aggrapparci alla mano che Gesù ci tende e trovare salvezza nella rinnovata fiducia in Lui..
Con la presenza di Gesù tra noi, ogni tempesta si placa, ogni dissidio si risolve, ogni difficoltà si supera, ogni turbamento si rasserena e, facendo esperienza della sua presenza anche a noi ci viene spontaneo rinnovare la stessa professione di fede degli apostoli: « Davvero tu sei il Figlio di Dio ». Dall’ accogliere nella fede questa identità di Gesù ci viene la nostra serenità e la forza per vincere ogni forma di timore che può sorprenderci nella “traversata della vita nostra, della Chiesa e dell'umanità tutta”.
GESÙ, CON LA SUA TRASFIGURAZIONE,PREANNUNZIA LA SUA RISURREZIONE DAI MORTI, VERA LUCE DELLA STORIA.
6 AGOSTO -XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
TRASFIGURAZIONE DI GESÙ SUL TABOR.
Oggi celebriamo la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, dove egli anticipò davanti ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni la sua risurrezione dai morti, dopo aver annunziato la sua passione, che avrebbe sofferto a Gerusalemme e di cui gli apostoli si erano scandalizzati, tanto da dissuaderlo a recarvisi. Gesù anticipa così la sua gloria prima della sua dipartita al Padre.
Oggi la celebrazione vuole farci riflettere da una parte sulla dimensione pasquale e dall’altra sull’aspetto escatologico della fede e della vita cristiana. Il Padre proclama Gesù suo Figlio prediletto e invita gli apostoli ad ascoltarlo per partecipare della stessa gloria del Figlio. In Gesù, che il Padre proclama Figlio, « l’amato nel quale ho posto il mio compiacimento » trovano compimento la legge e i profeti, rappresentati da Mosè ed Elia apparsi insieme a Gesù, che manifesta la sua gloria., la quale sarà piena dopo i giorni della passione. Così gli apostoli, dopo l’annunzio della passione, che li aveva gettati nello sconforto, sono rincuorati.
Cristo risorto quindi, ancora oggi, dona ai suoi discepoli, che sono chiamati a seguirlo, portando ognuno la propria croce dietro a lui, la sua forza, nella prospettiva della gloria, rivelando così in sé « la meravigliosa sorte della Chiesa, suo mistico corpo », come preghiamo nel prefazio di oggi.
Nella colletta dell’Eucaristia ci rivolgiamo a Dio dicendo:« O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del tuo Figlio unigenito, hai confermato i misteri della fede con la testimonianza di Mosè ed Elia, nostri padri, e hai mirabilmente preannunziato la nostra definitiva adozione a tuoi figli, fa’ che, ascoltiamo la parola del tuo amato Figlio, diventiamo coeredi della sua gloria ».
Prima Lettura: Dn 7,9-10.13-14.
Nel brano del profeta Daniele ci viene presentata l’apparizione che Dio fa al profeta manifestandosi come vegliardo, con una veste candida come la neve e capelli candidi come la lana, assiso su un trono, che era come vampe di fuoco, e con le ruote come fuoco ardente. « Dal trono scorreva un fiume di fuoco, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti ». Ancora, nella visione notturna, il profeta vede venire con le nubi « uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui ». A questi furono dati potere, gloria e regno. Tutti, popoli, nazioni e lingue lo servivano e « il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto ». Gesù, al sommo sacerdote che gli chiede, davanti a tutto il sinedrio, se è Figlio di Dio, risponde solennemente con le parole di Daniele: « D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo ». Viene allora accusato di aver bestemmiato, avendo il sommo sacerdote compreso bene il significato di quella affermazione, poiché Gesù si era attribuito quel titolo e il suo apparire come Giudice e Signore.
Seconda Lettura: 2Pt 1,16-19.
San Pietro scrivendo ai cristiani dice che, avendo fatto conoscere loro la potenza e la venuta Signore, non sono,né gli apostoli né loro, « Andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria. “ Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Pietro afferma che essi l’hanno udita scendere dal cielo mentre erano con lui sul santo monte. Ancora. Poiché essi insieme a Gesù trasfigurato videro Mosè ed Elia, dice Pietro: « Abbiamo, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino ». Pietro e gli altri apostoli con lui, avendo avuto una esperienza personale di quell’evento, non potevano che essere certi di quella rivelazione e del riconoscimento che il Padre ha fatto del suo Figlio. Così la loro testimonianza dà vigore alle Scritture, alla Legge mosaica e alla profezia, che come lampada fa luce nell’attesa che venga Cristo glorioso e che deve brillare sia nei discepoli che nel cuore degli uomini.
Vangelo: Mt 17,1-9.
Nel racconto della Trasfigurazione sul Tabor di Matteo , Mosè ed Elia, la legge e i profeti convengono presso Gesù, poiché ne sono stati la preparazione e l’attesa. Come Mosè, convocato da Dio per ricevere la Legge è salito sul monte Sinai, dove « la gloria del Signore venne a dimorare e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno…», così è ora: « Sei giorni dopo …», la professione di fede di Pietro, che lo riconosce come « il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Dopo l’annunzio della sua Passione, che scandalizzò gli apostoli (Mt 16 21) e le parole dette da Gesù che « il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo » Mt 16 27, sul Tabor, in Gesù trasfigurato, si rivela la gloria di Dio in tutto il suo splendore. Qui i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, saliti con Gesù, sono spettatori e testimoni della rivelazione della divinità di Gesù, finora celata dalla sua umanità. E se, da una parte, Gesù corregge le attese messianiche degli apostoli con l’annunzio della Passione, dall’altra preannunzia gli eventi pasquali con la trasfigurazione.
Anche la voce che proclama « Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo » (Mt 17,5), come era avvenuto nel Battesimo al Giordano, aiuta a comprendere la figura di Gesù come Figlio e Messia del Salmo 2, l’ amato come Isacco, in cui si compiace, come del Servo Sofferente di Isaia.
Mosè ed Elia, rappresentanti dell’Antico Testamento, indicano che in esso tutto è preannuncio della figura e dell’opera di Gesù: la Legge, la Profezia, il sacrificio di Isacco, la sofferenza del Servo di Dio e, quindi, la fede in lui deve affrontare lo scandalo della passione.
Gli apostoli, davanti all’evento della trasfigurazione, rimangono estasiati e non vorrebbero allontanarsene, ma la voce dice loro che più che guardarlo trasfigurato deve essere da loro ascoltato.
Poi Gesù, il Figlio di Dio, l’amato, colui nel quale abita e risuona la parola del Padre, resta solo e, insieme agli apostoli, scende dal monte per riportarli alla vita normale, quotidiana, luogo in cui bisogna ancora ascoltarlo e seguirlo, nell’obbedienza al Padre e nella sua sequela, affrontando i giorni della passione, condizione per giungere alla gloria.
I brevi momenti della trasfigurazione fanno comprendere un po’ il mistero di Gesù, abitualmente nascosto nella sua vita mortale e che la passione verrà ad oscurare ancora di più. Ma colui che vuole seguirlo non può vacillare davanti alla croce: il servizio umile della sua morte con cui Gesù porterà a compimento il disegno di Dio, che lo ha mandato perché il mondo sia salvato. Da questa parola di oggi siamo sfidati a scommettere la nostra vita in Dio e siamo provocati ad avere fiducia nel futuro di salvezza , iniziato con la morte e la risurrezione di Cristo e che avrà il pieno compimento, anche per il credente, nella stessa gloria di Dio, preannunziata con la trasfigurazione di Gesù sul Tabor.
RICERCARE E ACCOGLIERE IL REGNO DI DIO, RINUNZIANDO A TUTTO CIÓ CHE OSTACOLA LA SUA REALIZZAZIONE.
30 LUGLIO-XVII DOMENICA - TEMPO ORDINARIO (Anno A)
RICERCARE E ACCOGLIERE IL REGNO DI DIO, RINUNZIANDO A TUTTO CIÒ CHE OSTACOLA LA SUA REALIZZAZIONE.
Partecipare al sacrificio dell’Eucaristia vuol dire celebrare il memoriale della passione, morte e resurrezione del Signore che, in virtù dello Spirito Santo, attualizza nella vita del credente il suo mistero di salvezza. Lo Spirito, che trasforma il pane e il vino nella presenza reale di Cristo, ci dà la possibilità, alla mensa del Signore, di « condividere il pane disceso dal cielo ». L’accento, ancora una volta in questa Eucaristia, è posto sulla Pasqua domenicale e, nella preghiera iniziale, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Padre, fonte di sapienza, che in Cristo ci hai svelato il tesoro nascosto e ci hai donato la perla preziosa, concedi a noi un cuore saggio e intelligente, perché, fra le cose del mondo, sappiamo apprezzare il valore inestimabile del tuo regno, ». Tutto ciò che è necessario alla vita quotidiana, davanti a questi doni, deve essere ricercato e usato saggiamente, senza che l’impegno per le realtà quotidiane ostacoli la continua ricerca dei beni celesti. E qualora dovesse intralciare questa ricerca bisogna essere capaci di rinunziare a ciò che ci ostacola nel cammino verso il Regno, che è il vero tesoro nascosto e la perla preziosa..
Prima Lettura : 1 Re 3,5.7-12.
Salomone al Signore che, in sogno, gli dice di chiedergli ciò che vuole che Egli gli conceda, risponde pregando: « Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e distinguere il bene e il male ». Poiché piacque al Signore ciò che aveva chiesto, Dio gli disse: « Poiché mi hai chiesto questa cosa e non molti giorni, né hai domandato per te ricchezze, né la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole ». Il Signore gli concesse « un cuore saggio e intelligente »,cosicché come lui non ci fu nessuno prima, né ne sorgerà uno dopo.
Salomone domanda al Signore la saggezza nel governare e il Signore la concede largamente al re. La saggezza è una grazia che vale molto più della longevità, delle ricchezze e delle vittorie. Essa è necessaria ad ognuno di noi, cosicché sappiamo distinguere il bene dal male, per essere giusti e non farci facilmente prendere dai pregiudizi, dalla vanità, dal tornaconto, dalla passione, dalla tracotanza, dalla presunzione. Il dono della sapienza è un dono dello Spirito Santo e lo possiede un’anima in grazia e chi domanda un « cuore docile », attento, disposto a lasciarsi guidare. Anche la nostra vita ha bisogno di un saggio governo spirituale.
Seconda Lettura: Rm 8,28-30.
San Paolo scrive ai Romani dicendo che siamo oggetto dell’amore provvidenziale del Padre celeste, per cui « tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono chiamati secondo il suo disegno ». Infatti, quelli che da sempre egli ha conosciuto, li ha « anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, primogenito tra molti fratelli », li ha chiamati, li ha anche giustificati e, infine, li ha anche glorificati. Nessuna condizione o situazione, per difficile e complicata che sia, può far fallire il piano d’amore che Dio Padre ha su noi. Considerando quanto Dio ha fatto per noi, che ci ha predestinati ad essere conformi al suo stesso Figlio, divenuto nostro fratello e, con tale destinazione, ci ha chiamati alla vita, ci ha giustificati e redenti mediante il sangue di Cristo, siamo ormai avviati e attesi per la gloria. Con questi punti fermi della storia di salvezza, predisposta dal Padre delle misericordie, nutriamo la speranza che Dio non ci abbandonerà mai, ma ci tiene cari e ci sorregge: questa è la ragione dell’ottimismo cristiano.
Vangelo: Mt 13, 44-52.
Ancora attraverso le parabole del regno che l’evangelista Matteo ci narra, Gesù vuole farci scoprire l’importanza che deve avere per noi il regno di Dio.
Esso viene paragonato ad un « tesoro » che un contadino trova nel campo e decide di vendere tutti i suoi averi e compra il campo; o ad una « perla » che un mercante, avendone trovata una di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora Gesù paragona il Regno di Dio ad una « rete », gettata dai pescatori nel mare,« che raccoglie ogni genere di pesci » e quando è piena viene tirata a riva e « i pescatori, stando a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi ».E Gesù conclude dicendo che così avverrà alla fine del mondo quando gli angeli separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente. Chiedendo Gesù agli apostoli se hanno compreso tutto quel discorso, avendo essi risposto affermativamente, egli conclude dicendo: « Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche ».
Fare nella vita anche scelte radicali secondo la sapienza del Signore è essere evangelicamente saggi. Per chi intraprende questo cammino le cose che prima parevano acquistare valore, passano in secondo ordine e si diventa capaci anche di rinunziarvi, per acquistare realtà più preziose.
Il Vangelo di oggi ci propone un’istanza opposta a quella di un cupo cristianesimo. La fede cristiana è un’ esperienza da viversi con gioia benché sia un cammino ascetico. Certamente si esclude la gioia se si pone l’accento solo nell’ascesi, necessaria per la vita spirituale. Una visione cupa del cristianesimo, un’accentuazione della sofferenza e delle penitenze, un’esaltazione del dolore rendono la sequela di Cristo non conforme alla visione evangelica della vita cristiana.
Riformulare la concezione e le pratiche di vita ascetica e mistica, riscoprendo il perché di certe scelte, è come restaurare un’opera d’arte per recuperarla nella sua originaria bellezza e farla fruire agli appassionati. Così, accogliendo l’esortazione del Vangelo, il discepolo di Gesù « è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche »(Mt 13,52). In questo tesoro vi sono cose antiche, ma non per questo vecchie, inutilizzabili, come la preghiera, lo spirito di rinunzia, l’esigenza di accettare le sofferenze della vita con la rassegnazione evangelica, le esigenze della sequela del Signore, e cose nuove, come le esigenze , le domande e le scoperte dell’oggi che rinnovano e riattivano le cose antiche.
I personaggi delle parabole, l’agricoltore, il mercante che trovano oggetti di grande valore sono « pieni di gioia » e, di conseguenza, sono motivati a vendere tutto pur di acquistare il campo o comprare la perla preziosa. Così la gioia della scoperta di cose preziose e le conseguenti scelte nulla tolgono all’agire prudente del saggio: la gioia, allora, è compatibile con le difficoltà e le conseguenze che le scelte comportano: Se capissimo il valore del Regno di Dio, che è poi il valore di Gesù Cristo!
Di fronte a lui tutto diviene invalido e si deprezza. Tutto si vende; da tutto ci si distacca: si supera ogni difficoltà, pur di averlo: è il tesoro nascosto e la perla preziosa. I veri discepoli lasciano ogni cosa per lui: tutto è riferito a Lui. Ma questo – si noti – deve valere per ogni cristiano, che semplicemente abbia compreso il Vangelo.
Una concezione corretta e non patetica della gioia sa distinguere tra la serenità d’animo, pacificante, inalterabile, anche di fronte alle difficoltà, e l’esaltazione dell’euforia tanto vivace quanto effimera. La scelta del Regno è motivata da una gioia che è capace di reggere lo sforzo ascetico, vissuto non come fine a se stesso ma come predilezione per Gesù e per il Regno, che richiede discernimento, virtù spirituale volta all’azione, come fa Salomone nella preghiera al Signore, a cui chiede il discernimento per governare e amministrare la giustizia e assolvere meglio al proprio compito come servizio a Dio e al popolo.
Se scegliere di seguire Cristo e il Regno comporta un orientamento di fondo della propria esistenza, bisogna poi saper incarnare tale scelta con azioni concrete in cui ognuno si trova, per porsi sempre al servizio di Dio e dei fratelli.
Tra le difficoltà e il conflitto di interessi e il valore del Regno, i primi possono soffocare la scelta del secondo, così come accade con il giovane ricco, che mosso da un autentico desiderio di perfezione, davanti alla risposta radicale di Gesù, che comportava un prezzo non indifferente, il vendere i suoi beni e seguirlo, « se ne andò, triste » (Mt19,22).
Cristo è però anche il punto di confronto per il giudizio: alla fine della vita, al termine della storia, avverrà la grande divisione, il decisivo discernimento, la separazione del bene dal male, tra pesci buoni e cattivi, dopo che in questa vita avrà avuto luogo la confusione.
Dobbiamo vivere e fare le nostre scelte con questo punto di confronto finale, scelte che oggi facciamo rispetto a ciò che vogliamo essere, quasi anticipando ogni volta il giudizio che poi verrà dato sulle nostre azioni.
E’ una grazia immensa poter « partecipare al sacrificio eucaristico ». E infatti l’Eucaristia è «memoriale perpetuo della passione del Figlio di Dio » in virtù dello Spirito, che trasforma le nostre offerte nel Corpo di Gesù, ci dà la possibilità di « condividere il pane vivo disceso dal cielo », alla mensa del Signore fratello e Salvatore. Lo stesso Spirito ci suggerisce la preghiera filiale al Padre.
Davanti a questi doni i beni terreni si trovano giustamente collocati: vanno usati saggiamente, ma senza che intralcino « la continua ricerca dei beni eterni ». Anzi non ci deve mancare la prontezza « ad ogni rinunzia » per l’acquisto del Regno di Dio, che è « il tesoro nascosto » e la « perla preziosa ».
LA PAZIENZA MISERICORDIOSA DI DIO CI CHIAMA A CONVERSIONE.
23 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo nella sua parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro ed espressione della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio: espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella Colletta di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « Ci sostengano sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; perché la tua parola, seme e lievito del regno, fruttifichi in noi e ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova ».
Prima Lettura: Sap 12,13.16-19.
Il libro della Sapienza, oggi, ci dice che non c’è Dio fuori di lui che si prende cura delle cose create, perché debba difendersi dall’accusa di essere giudice ingiusto. Poiché Dio è padrone di tutte le cose ed è indulgente, la sua forza è principio della giustizia e la mostra « quando non si crede alla pienezza del suo potere »ed egli rigetta « l’insolenza di coloro che pur la conoscono».
Poiché, ancora, può tutto, egli giudica con mitezza e ci governa con indulgenza. Così agendo, Dio insegna «come il giusto deve amare gli uomini » e dà ai suoi figli « la buona speranza, che, dopo i peccati » concede il perdono.
Mentre tra gli uomini possiamo constatare la protervia del potere, unito alla violenza e al dominio, nei confronti degli altri uomini, Dio esercita la sua forza e potenza, in maniera diversa, con giustizia e pazienza, perché altrimenti chi potrebbe resistergli. Ma se Egli esercita, nei nostri confronti, la sua infinita pazienza e misericordia, perché ci attende nonostante i nostri fallimenti, applica anche per ognuno di noi la sua giustizia.
A questo modo di agire si deve conformare il nostro comportamento, specie quando vorremmo un intervento più preciso e puntuale nel reprimere il male da parte di Dio o della giustizia degli uomini. Questa maniera di fare di Dio deve infonderci la speranza che Dio non abbandona le sue creature e ci assicura che « dopo i peccati » dà sempre la possibilità di pentirsi. Occorre molta pazienza e fiducia, che accompagnano i nostri sentimenti e le nostre inquietudini. D’altra parte, non dimentichiamo che è anche detto che Dio « rigetta l’insolenza ».
Seconda Lettura: Rm 8,26-27.
San Paolo, scrivendo ai Romani, li esorta ad avere sempre fiducia in Dio, poiché lo Spirito del Signore ci soccorre nella nostre debolezze e, non sapendo pregare come si conviene, lo stesso Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili. Colui, poi, che scruta i cuori conosce cosa desidera lo Spirito, poiché « egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio ».
Se crediamo veramente che in noi abita lo Spirito Santo e ciò non è solo una certezza più o meno astratta, ma che realmente è in noi, prega dentro di noi e ci suggerisce le intenzioni nella preghiera, dobbiamo solo lasciarci guidare da lui, che ci conforma nella volontà di Dio.
Vangelo: Mt 13,24-43.
La Parola del Vangelo della Liturgia di oggi ci presenta diverse parabole, che mettono in rapporto due realtà, il Regno di Dio, con al sua potenza e forza, e il male che vuole contrastare l’espandersi del bene e della realtà del Regno.
Nella campo del regno dei cieli è seminato il buon seme della Parola di Dio ma, mentre i servi dormono, il nemico vi semina la zizzania. Lo spuntar di entrambi allarma i servi del padrone che gli chiedono di estirpare la zizzania. Ma il padrone, constatando che un nemico aveva gettato la zizzania, dice loro: « “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece mettetelo nel mio granaio”».
Nel piccolo seme di senape, che seminato nel campo cresce e diventa arbusto e gli uccelli vi fanno il nido, Gesù esprime la capacità che ha il regno dei cieli che, da piccola realtà iniziale, diventa capace di accogliere tutti coloro che vogliono parteciparvi. Inoltre, come il lievito, mescolato dalla donna nella farina, la lievita e fermenta tutta, così il regno dei cieli permea e trasforma tutti coloro che lo accolgono.
Parlando Gesù in parabole attua la profezia che dice: « Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo ».
Gesù, spiegando la parabola della zizzania ai discepoli, dice che il Figlio dell’uomo è il seminatore del buon grano e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e chi l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e gli angeli i mietitori, a cui verrà detto alla fine di raccogliere la zizzania e bruciarla, cioè di raccogliere dal regno « tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità che saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. I giusti risplenderanno, invece, come il sole nel Regno del Padre loro ». Conclude Gesù dicendo: « Chi ha orecchi, ascolti! ».
La zizzania.
Così, nei primordi dell’annunzio del Regno, molti pensarono che esso si sarebbe realizzato nell'’immediato, ma il passare delle generazioni e dei secoli hanno smorzato l’entusiasmo iniziale e ci è resi conto che lavorare per l’avvento del Regno di Dio non è facile, perché bisogna resistere nelle tentazione, tra le persecuzioni e gli scandali derivanti da comportamenti di infedeltà dei peccatori all’ interno della Chiesa stessa.
A parte il seme che cade lungo la strada ed è beccato, quello che cade in terreno sassoso e secca, tra il buon seme della sua Parola, seminato dal Signore nel suo campo, come nella parabola del Vangelo di oggi, spunta anche la zizzania. Non è stato certo solo nella Chiesa delle origini che si è faticato per non perdere la tensione verso il Regno, ma anche oggi i cristiani devono affrontare le varie resistenze che si oppongono alla realizzazione del Regno di Dio.
Ma tutto il tempo della storia è tempo di misericordia di Dio, perché gli uomini si convertano. La libertà, di cui Dio ha dotato l’uomo, può trascinarlo nelle sue quotidiane scelte di vita, a tradurre gli ideali di bene e le sue capacità, le sue ispirazioni, la sua Parola, seminate nel suo cuore, da buon grano in zizzania. Per ognuno la propria vita è tempo per imparare a discernere il bene e il male, non quello di giudicare il buono e il malvagio. La parabola ci insegna che questo è il tempo della misericordia, della pazienza e del non peccare di presunzione, volendo chiedere a Dio di affrettare il suo giudizio, per estirpare il male.
La parabola della zizzania ci invita, nel nostro oggi, a prendere posizione a favore del Regno di Dio, ad averlo nelle nostre scelte e nei nostri desideri con l’ampio orizzonte di Dio, trovando in esso il senso del nostro agire.
Le altre parabole, quella del granellino di senape e del lievito, se fanno risaltare la sproporzione tra la piccolezza del seme e la grandezza del realizzarsi finale del Regno di Dio, devono anche farcelo concepire non come un avvenimento clamoroso, invadente, che subito s’imponga. Il Vangelo cresce a poco a poco, con una forza interna, capace di permeare tutta la massa dell’umanità nelle varie epoche di vita degli uomini, qualora questi mostrassero la disponibilità ad accoglierlo nella propria vita. E’ perciò necessario che il seme muoia per poter crescere rigoglioso. Si deve credere, quindi, alla sua forza interna, simile – dice Gesù – a quella del granellino di senape, dagli inizi insignificanti: la croce di Cristo e la sua morte umana, realtà piccole e deboli, hanno espresso la potenza di Dio per l’inizio e l’incremento del Regno.
Il lievito solo sciogliendosi e confondendosi con la farina può farla fermentare, non certo il restare separati e distinti.
La piccolezza del seme e la commistione tra lievito e farina, realtà piccole, producono un effetto grandioso: frutto di una operatività che sfugge all’uomo, che dovrebbe saper vivere realizzando il bene anche in mezzo alle resistenze, alle contraddizioni, alle difficoltà e alle incompiutezze.
La tentazione di accelerare i tempi per il giudizio, che certo ci sarà, ma che è nel tempo e nelle mani di Dio e non nostri, significa non voler accettare l’interiorizzazione delle leggi del Regno, che sono la piccolezza, la commistione di puro e impuro.
Tre insegnamenti dalla pagina del Vangelo che leggiamo.
- Dio non interviene subito nella storia dell’uomo.
- E’ paziente. Aspetta. Ma alla fine il male sarà strappato ed eliminato.
- Non dobbiamo lasciarci sconvolgere dalla presenza del male nel mondo; dobbiamo sopportarlo ed avere fiducia insieme nella giustizia e nella misericordia del Signore. « I figli del Maligno », « quelli che commettono iniquità » non avranno riuscita. Occorre fare il bene con serenità e con la certezza che « i giusti splenderanno ».
Se nella vita degli uomini una medesima realtà può essere vissuta in maniera diversa a seconda delle capacità di ognuno, ma anche per le finalità che poniamo nel nostro agire, nel pensare, sognare in grande e, di conseguenza, operare per partecipare ad un grande progetto non significa illudersi. Se i grandi orizzonti, anche un po’ visionari, danno un senso al nostro agire concreto, bisogna, però, mettere in conto le difficoltà che si incontreranno lungo il cammino: far fronte allo smarrimento che può essere causato dalla derisione della gente, affrontare il disincanto di coloro che non condividono il nostro orizzonte, l’assenza di risultati immediati, ecc. Si raggiungono le grandi mete imparando a superare le difficoltà, le deviazioni, le contraddizioni che si incontrano lungo il cammino: esse si raggiungono con fatica e un percorso accidentato può far facilmente scoraggiare.
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