





IL SIGNORE SI PRENDE CURA DEL SUO POPOLO.
V
8 OTTOBRE – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno A)
Il Signore si prende cura della sua “vigna”.
Nella preghiera iniziale della Eucaristia di questa domenica ci rivolgiamo al Padre celeste perché«ve- gli incessantemente sulla Chiesa, che non abbandoni la vigna che egli ha piantato e che la coltivi e la arricchisca di scelti germogli, perché innestata in Cristo » che è la vera vite, cosicché porti abbondanti frutti di vita eterna. Così Dio nella sua misericordia non solo perdona agli uomini le loro colpe ma anche li arricchisce delle sue grazie e dei suoi doni. Dio esaudisce le nostre suppliche al di là di ogni nostro desiderio, di ogni merito e ogni aspettativa. Bisogna, allora, pregare con fede che, pur se piccola, è molto efficace.
Nella Colletta iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo a Dio dicendo: «Padre giusto e misericordioso, che vegli incessantemente sulla tua Chiesa, non abbandonare la vigna che la tua destra ha piantato: continua a coltivarla e ad arricchirla di scelti germogli, perché innestata in Cristo, vera vite, porti frutti abbondanti di vita eterna ».
rima Lettura: Is 5,1-7.
Il popolo d’ Israele rappresenta la vigna del Signore. Egli la cura con amore, la protegge, la dissoda e vi pianta viti pregiate, la dota di una torre, di un tino e di tutto ciò che è necessario perché possa produrre buon vino. La risposta però a tanto amore da parte del suo popolo è una continua infedeltà all’alleanza, per cui invece della giustizia e della rettitudine crescono in essa « spargimento di sangue e oppressione dei poveri », cioè essa produce acini acerbi. Il Signore si attendeva che producesse uva dopo tutto quello che aveva fatto alla sua vigna. Anche da noi, popolo della nuova alleanza, innestati in Cristo, il Signore si attende frutti abbondanti, perché ci coltiva con la sua parola, che illumina il nostro operare, ci nutre con il Corpo e il Sangue del suo Figlio, ci sostiene con la forza del suo Spirito e ci colma di tutti i beni, doni e carismi, che servono perché possiamo portare molto frutto. Ma la nostra risposta non è, a volte, come quella di Israele? Come aveva Dio intenzione di fare con il suo popolo , cioè, che avrebbe tolto alla sua “vigna” ogni protezione, l’ avrebbe trasformata in pascolo, rendendola un deserto e luogo selvatico, dove vi crescono rovi e pruni, non potrebbe fare lo stesso anche con noi? Il Signore non si aspetta, come era per il popolo d’Israele, anche da noi opere di giustizia e non di oppressione e diseguaglianze, di pace e non di divisioni e guerre fratricide, di benevolenza e non di odio? La storia potrebbe ripetersi anche con noi, per il nostro modo di vivere opulento e infedele, in contrasto con l’amore infinito da parte di Dio per noi, poiché, spesso, siamo ingrati e ribelli ai suoi insegnamenti, ai suoi comandamenti?
Seconda Lettura: Fil 4,6-9.
In questo brano, Paolo, come i Filippesi, esorta anche noi ad abbandonarci a Dio, senza angustie, angosce o agitazioni, a presentare a lui le nostre suppliche, le nostre richieste e i nostri ringraziamenti con preghiera umile e filiale, fiduciosi che la pace di Dio ci custodirà nell’intimo del cuore e della mente, al di là delle nostre aspettative, nel suo Figlio Gesù. Ma da parte nostra è necessario che ricerchiamo, nei nostri pensieri, tutto ciò « che è vero, che è nobile, quello che è giusto, che è puro, quello che è amabile, quelle che è onorato, ciò che è virtù e merita lode » e che le cose che il Signore ci fa conoscere, comprendere e vedere testimoniate da coloro che gli sono fedeli, siano messe in pratica da tutti quelli che vogliono seguirlo nella fedeltà e nell’amore. E’ un programma quello che, oggi, l’apostolo ci propone, per essere la « vigna del Signore, che si aspetta frutti abbondanti di fedeltà, di giustizia e di amore ».
Vangelo: Mt 21, 33-43.
Nella parabola della vigna del Vangelo di oggi, Gesù riprende tutto quello che il profeta Isaia aveva cantato di Dio in riferimento al suo popolo, di come l’aveva curato e amato. La vigna, cioè Israele, era stata affidata alla cura di vignaioli, sacerdoti, profeti e suoi inviati, che però non l’hanno coltivato e, nella loro infedeltà, rendendosi indegni dell’elezione divina, hanno fatto i loro interessi e non hanno dato i frutti che Dio, padrone della vigna, si attendeva.
Anzi, bastonando alcuni profeti e uccidendone altri, cioè coloro che Dio mandava, e infine uccidendo il suo stesso Figlio, di cui non hanno avuto riguardo, si sono resi indegni del regno loro promesso, il quale sarebbe stato loro tolto e dato ad un « nuovo popolo che lo farà fruttificare », dice Gesù. Questo popolo nuovo è quello che è costituito nella nuova alleanza che Dio stipula con l’umanità rinnovata dal sacrificio del Cristo e nel suo Sangue.
Quella del rapporto tra Dio e Israele, ma anche tra Dio e i credenti, è una storia di ribellione e di rigetto del progetto di Dio, di cui neanche noi siamo a volte indenni, poiché in questa nuova realtà, dopo essere stati innestati in Cristo, edificati in lui pietra angolare, ciascuno di noi dovrebbe ma, a volte, non porta effettivamente frutto secondo il desiderio e il volere di Dio.
Dio, con la sua misericordia, è vicino a chi lo invoca.
1 OTTOBRE – XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO.
Dio, con la sua misericordia, è vicino a chi lo cerca.
Se le vie di Dio non sono le nostre vie e la sua giustizia non corrisponde alla nostra giustizia, come ci diceva la Parola di Dio domenica scorsa, oggi, il Signore ci dice che egli tiene conto del nostro cammino di conversione, per vivere secondo la sua giustizia, camminare nelle sue vie e vivere secondo la sua volontà.
Tutte le volte che viviamo l’Eucaristia noi prendiamo parte al memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore. In essa sperimentiamo la misericordia del Signore, che continua ad accogliere i peccatori pentiti nel cuore, promette « vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia », rende con il suo Spirito docili alla sua parola e dona gli stessi sentimenti del suo Figlio Gesù Cristo. Dall’ essere commensali alla stessa mensa non possiamo non condividere con i fratelli ciò che il Signore nella sua provvidenza ci dona, così non possiamo ammettere l’ingiustizia, il disprezzo dei fratelli che sono nelle necessità: dalla condivisione del pane eucaristico deve derivare l’impegno di aiutare i fratelli, affinché nessuno soffra la necessità, e conseguire i beni promessi della eredità eterna.
Nel nostro rapporto con Dio, anche noi, spesso, per le nostre debolezze, non ci poniamo in sintonia con la volontà di Dio. Ma il Signore nel Vangelo e il profeta Ezechiele ci dicono che colui che si allontana dal male commesso e si pente o chi, come il figlio della parabola, ripensando al suo rifiuto, si dispone a compiere la volontà di Dio e a lavorare per il suo regno, allora può sperare nella sua misericordia, che perdona e riaccoglie.
I farisei, a cui Gesù chiese chi avesse adempiuto alla volontà del padre, se colui che ha detto “ di non averne voglia ” ma " poi " l’ha adempiuta o l’altro che ha detto prima “sì” ma “poi” nonl’ha fatta, risposero che il primo, pendendosi, si era adeguato al volere del Padre. Così Gesù, dice loro, che i peccatori, pubblicani e prostitute, sarebbero passati avanti nel Regno di Dio, perché questi hanno creduto nella via della giustizia predicata da Giovanni, loro invece no.
Per il Signore, infatti, c’è un “prima” e un “poi”, che fa la differenza, un tempo esistenziale di ripensamento, di ravvedimento, lungo o corto che sia, che può far cambiare dinanzi al Signore, la nostra prospettiva di vita, per il “nostro oggi” e per il “domani nel suo Regno”.
Nella colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù ».
Prima Lettura: Ez 18,25-28.
Ognuno è responsabile personalmente delle proprie azioni, del bene o del male che compie. Così, dice il profeta nel nome di Dio, « se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, e a causa di questo muore, egli muore per il male commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità … e compie ciò che è retto e giusto, fa vivere se stesso ». L’uomo, nella libertà di cui Dio lo ha dotato, può compiere azioni buone o azioni malvagie e, in base a queste, egli viene o condannato o fatto vivere. In base a questa possibilità di ritrarsi dal male il peccatore può allontanarsi dalle colpe commesse e vivere.
Seconda Lettura: Fil 2,1-11.
Il cristiano che è animato dalla carità, dal conforto di Dio, dalla comunione di spirito, da sentimenti di amore e compassione, deve vivere nella concordia e avere sentimenti unanimi, escludendo ogni forma di rivalità o vanagloria nel relazionarsi con gli altri e operare con « umiltà e senza cercare il proprio interesse ma quello degli altri ». In tutto questo si deve avere come modello Gesù Cristo, il quale pur essendo nella condizione di Dio, non « ritenne un privilegio essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo … umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. …. Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome …». Così, conclude Paolo, bisogna avere gli stessi sentimenti che hanno animato Cristo e di proseguire, nel suo spirito, il suo modello di realizzazione della nostra dignità di figli di Dio.
Vangelo: Mt 21,28-32.
Davanti a Dio non bastano le buone intenzioni, bisogna agire operando la volontà di Dio come ha fatto Gesù e fare come il figlio della parabola che pur avendo detto, in un primo momento, di “non averne voglia” di andare a lavorare nella vigna, poi, pentitosi, vi andò, a differenza del secondo che disse subito di “sì”, ma poi non andò. Così, dice Gesù, i pubblicani e i peccatori pentiti, con la loro fede e conversione, precedono nel Regno di Dio tutti quelli che, ritenendosi giusti, non compiono la volontà del Signore. Deve esserci sempre un ravvedimento, a cui deve seguire la presa di coscienza di essersi allontanati dalla dignità di figli di Dio, ritornando pentiti e convertiti a lui, come pure è detto della parabola del figlio prodigo che, “ritornò in sé” e “pentito”, ritornò all’abbraccio del padre, che lo attendeva. Anche nella vicenda di Zaccheo, avviene questo cambiamento stabile di vita, con il proposito di restituire ciò che aveva rubato. I peccatori, che avvertono la consapevolezza di essere nel male, sono più aperti e ricettivi di coloro che, appagati da una giustizia formale, non corrispon- dono a quella che Dio vuole da loro, non accolgono l’invito a convertirsi e si chiudono al dono della grazia di Dio. Chi allora non si pente e non accoglie nella sua vita la volontà di Dio, pur avendo visto e sperimentato tutto ciò che Dio ha fatto e detto, non può entrare nel suo Regno: chi, infatti presume di essere già giusto non ha orecchie per ascoltare il vangelo della misericordia che Dio ha rivelato nel suo Figlio, il quale è venuto perché il mondo sia riconciliato e salvato.
Da quello che il Vangelo, nelle varie situazioni in cui si trova l’uomo, ci ha mostrato, davanti a Dio non contano solo parole di risposta alla sua volontà, ma l’adempimento di essa, non eseguita solo formalmente, ma con la consapevolezza di fede e di amore che dobbiamo a Dio, ad imitazione di Gesù, camminando nel nostro “oggi”, in cui, se per la nostra fragilità sperimentiamo il male, non dobbiamo disperare della misericordia che il Signore ha riversato sull’uomo. Bisogna pregare perché il Signore ci faccia conoscere le sue vie e ci guidi nella sua fedeltà. Che il Signore non ricordi i peccati e le nostre ribellioni, ma si ricordi di noi nella sua misericordia, che ci indichi la via e ci guidi, nella nostra povertà, secondo la sua giustizia.
Dio, nella sua bontà e generosità, è più grande dei nostri meriti.
24 SETTEMBRE - XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Dio, nella sua bontà e generosità, è più grande dei nostri meriti.
Tutti siamo chiamati dal Padre celeste a lavorare nella sua vigna, ovvero nel suo regno, ognuno nel suo tempo e quando ci raggiunge il suo invito, la sua chiamata. Anche le vie e le modalità con cui il Signore ci chiama sono diverse da quelle che possono essere le nostre vedute o le nostre modalità di ricompensa per averlo seguito. Tutti, senza discriminare nessuno, Dio Padre invita a partecipare al banchetto di nozze del suo Figlio, banchetto che siamo chiamati a vivere nell’Eucaristia, celebrata, la Domenica, nel giorno della risurrezione del suo Figlio. « Le sue vie, - diciamo nella preghiera iniziale di questa domenica - distano dalle nostre vie quanto il cielo dalla terra » e chiediamo al Signore: « apri il nostro cuore all’intelligenza delle parole del tuo Figlio, perché comprendiamo l’impagabile onore di lavorare nella tua vigna fin dal mattino ». Siamo, allora, invitati a aprire il nostro cuore e la nostra mente alle parole del Signore Gesù, sull’impegno di lavorare nella sua vigna. Comprendiamo ciò solo se siamo animati da quell’amore che Gesù ci chiede di vivere, verso il Padre, lui e verso i fratelli, in un servizio per il suo regno e non tanto per quella che potrà essere la ricompensa che ne deriva dall’aver speso il nostro tempo, più o meno lungo, della nostra vita, al suo servizio. La grandezza evangelica del discepolo sta appunto nell’imitare il Signore che ha detto di essere venuto per servire.
Non si può neanche biasimare Dio perché coniuga giustizia e misericordia secondo il suo insondabile agire: vorremmo forse applicare a Dio i nostri parametri, molto spesso intrisi di egoismo, di interessi umani, di compromessi poco onorabili? Vorremmo forse un Dio a nostra immagine o dobbiamo noi agire e pensare secondo Lui, di cui siamo immagine? Dio agisce ed opera nei confronti degli uomini nella gratuità e nell’amore e non come noi che pensiamo di meritare di più perché pensiamo di essere buoni e possiamo aver servito di più il Signore.
Che immagine abbiamo di Dio, che agisca e pensi come noi? Il suo agire è imprevedibile e non è soggetto a sentimentalismi, ad umori vari o ad interessi di felicità o di altro genere: egli ci ha amato tanto da dare, dice Gesù a Nicodemo, il suo stesso Figlio, come vittima per i nostri peccati e così riconciliarci con lui. Quello di Dio è un amore di gratuità che ci precede e supera i nostri schemi.
Da tutto ciò, forse, dovremmo ricomprendere la corretta relazione che dobbiamo avere con Dio, Creatore e Padre.
Prima lettura: Is 55,6-9.
Il brano del profeta Isaia invita alla conversione al Signore non solo l’empio, a cui si fa riferimento in maniera particolare, ma ogni uomo, perché, se l’empio abbandona la sua via e l’iniquo i suoi pensieri e ritornano al Signore, essi trovano in lui misericordia, in quanto Dio è disposto a perdonare largamente.
Cercare il Signore e invocarlo, ritornare a lui, come ci viene detto dal profeta, è nell’Antico Testamento un messaggio ricorrente che ridà all’uomo peccatore la speranza di potere sempre corrispondere all’amore di Dio. Il modo di pensare e di agire di Dio non è quello degli uomini che, spesso, sono propensi ad operare in maniera diametralmente opposta a quella di Dio: le sue vie non sono le nostre vie, né i suoi pensieri i nostri; questi e quelle ci sovrastano e ci superano abbondantemente, tanto da non poterne misurare le distanze. Solo allontanandosi dal male e ritornando pentiti al Signore possiamo trovare perdono e restaurare la nostra vita, che i peccati di superbia, di orgoglio o di iniquità di ogni genere deturpano.
Per il popolo d’Israele, deportato in Babilonia, è molto più importante cercare il Signore che non una patria terrena. La liberazione che i deportati attendevano è diversa da quella che il Signore vuole realizzare per tutti gli uomini.
Seconda Lettura: Fil 1,20-24.27.
San Paolo ci ricorda che noi siamo e apparteniamo al Signore, sia che viviamo, sia che moriamo. La nostra vita di creature, fatte a immagine e somiglianza di Dio, non possiamo viverla sganciati da Lui. Se moriamo graditi al Signore è un guadagno per noi, sostiene Paolo; se continuiamo a vivere in Cristo e per lui e se la nostra vita serve per lavorare con frutto nella “vigna del Signore” e per il suo Vangelo, che ben continui la nostra esistenza. Si porrebbe per tanti la difficoltà di scelta: e quale uomo, e anche il cristiano, non sceglierebbe forse di restare in vita, specie se siamo attaccati a questa vita più che a quella che avremmo in Dio? Occorre, allora, essere disponibile all’una o all’altra scelta e accogliere quel che il Signore dispone per ognuno di noi. Lavorare nella vigna del Signore è certamente cosa importante, se questo dovesse, nella volontà di Dio, servire per il bene della comunità e farla progredire nella fede..
Vangelo: Mt 20,1-16.
Ascoltando oggi la parabola evangelica dei vignaioli, chiamati a lavorare nella vigna di quel padrone che dà, alla fine della giornata di lavoro, la stessa paga, pur avendo ognuno lavorato un periodo più o meno lungo della giornata, siamo chiamati a ricomprendere la corretta relazione che dobbiamo porre nei confronti di Dio, Creatore e Padre: viverla alla maniera con cui Gesù l’ha vissuta, cioè nella piena disponibilità alla sua volontà, pensando ed agendo secondo le sue vie e i suoi pensieri.
Dio, nella sua generosità, poiché agisce per amore verso tutte le sue creature e non per tornaconto, elargisce i suoi doni secondo il suo modo divino di agire e non secondo il modo di pensare o operare dei vignaioli. Se noi guardiamo più al merito per il lavoro svolto bene o al tempo lavorativo, Dio guarda alle necessità che può avere ogni uomo nella gestione della propria esistenza e di coloro con cui la condivide, così da dare un senso al lavoro e alla dignità di tutti coloro che lavorano per il suo regno. Non possiamo essere invidiosi di come Dio elargisce i suoi doni, né sindacare sul suo insondabile disegno di salvezza. Come nel dare la retribuzione il padrone inizia dagli ultimi dando un denaro a testa e coloro che protestano, pur avendo faticato tutto il giorno, ricevano anch’essi la stessa paga, Gesù, volendo far risaltare il modo giusto di agire di quel padrone che dà ai primi chiamati quanto pattuito e agli ultimi « Quello che è giusto ve lo darò », vuole farci comprendere che la misura del giusto è secondo il metro di Dio e non secondo il nostro. Se guardiamo alla logica degli uomini, cioè di come ragionano i primi lavoratori che volevano di più per la fatica di tutto il giorno, il padrone sarebbe ingiusto, ma non lo è perché ha dato quanto aveva pattuito con loro: “tu hai prestato il tuo lavoro e io ti ho ricompensato con quello pattuito”. Così anche Dio non è ingiusto se, per pura gratuità e benevolenza, dà la stessa ricompensa per chi lavora per il suo regno.
Anche nella parabola del Figlio prodigo, la reazione del figlio maggiore all’atteggiamento di amore del padre parte da una logica puramente di interesse umano che non comprende l’agire misericordioso del padre, che riabbraccia il figlio ritornato pentito.
Se si continua a pensare a Dio in forma antropologica, elevando a lui, alla somma potenza, la proiezione della nostra umanità, anche e solo negli aspetti di bontà nostra, allora non possiamo comprendere la logica e l’operato del Dio di Gesù, che agisce secondo la sua misericordia, la sua generosità, il suo desiderio di riportare l’uomo al suo amore e secondo giustizia, ma intrisa di amore gratuito.
Nel significato evangelico non possono accampare più diritti, né il popolo ebreo, chiamato per primo a partecipare al regno di Dio, né i cristiani delle prime ore dell’annunzio evangelico rispetto ai pagani, chiamati all’ultimo momento, né dobbiamo essere invidiosi noi di fronte alla bontà e alla generosità di Dio. Bisogna essere contenti di ciò che Dio nella sua immensa bontà elargisce ad ognuno, al di là del merito di ognuno di noi. Chi può vantare d’altronde davanti a Dio un qualche merito?
Dal 29 SETTEMBRE inizia la NOVENA IN ONORE DALLA
MADONNA DELLA CATENA
Ore 17.00 Santo Rosario – 17.30 Santa Messa
29 Settembre, venerdì: Maria conduce i bambini a Gesù.
30 Settembre, sabato: Maria modello di santità per i nostri giovani, che la onorano
come Madre.
1 Ottobre, Domenica : Maria, sposa di Giuseppe e Madre di Gesù: Gli sposi cristiani
attorno a Maria.
2 Ottobre, Lunedì : Maria” Prega per noi, ora e nell’ora della nostra morte”: Pelle-
grinaggio al Cimitero e preghiera per i nostri defunti.
( Partenza alle ore 16.25)
Esercitare il perdono ai fratelli come Dio lo esercita per noi.
17 SETTEMBRE – XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
(Anno A)
Quando la comunità cristiana nella Domenica, giorno del Signore, celebra l’Eucaristia e riceve il Corpo e Sangue di Cristo, per mezzo dello Spirito Santo, la potenza del Signore trasforma la nostra vita, i nostri sentimenti, e ci trasfigura interiormente. Nelle preghiere eucaristiche l’azione dello Spirito Santo rende presente il Cristo nel pane e nel vino, che diventano il suo Corpo e il suo Sangue. Così la Chiesa, raccolta attorno a Cristo è nutrita dalla sua Parola e dalla sua presenza sacramentale.
Ancora. L’assemblea liturgica riceve il perdono di Dio che ci rinnova nel cuore e lo Spirito Santo, aprendoci al pentimento e alla conversione, ci dà un cuore nuovo, la forza di perdonare a nostra volta i fratelli, la luce che ci guida nelle scelte quotidiane. Dio, nella sua liberalità e non per i nostri meriti, per la mediazione di Cristo suo Figlio, ci fa dono del suo Spirito che rende gioiosa la nostra vita.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio di giustizia e di amore, che perdoni a noi se perdoniamo ai nostri fratelli, crea in noi un cuore nuovo a immagine del tuo Figlio, un cuore sempre più grande di ogni offesa, per ricordare al mondo come tu ci ami ».
Prima Lettura: Sir 27.30-28.7
Un forte ammonimento ci viene oggi dalla lettura del Libro del Siracide: non dobbiamo covare odio, rancore e vendetta nel nostro cuore, perché questi sentimenti di peccato sono sempre presenti davanti al Signore. Il perdono dato al prossimo per le offese e la preghiera ci ottengono la remissione dei nostri peccati. L’uomo, che è soltanto carne e che conserva rancore verso il proprio simile, non può ottenere guarigione dalla collera se non usa misericordia nei suoi confronti, né può supplicare e ottenere il perdono da Dio per i propri peccati. Ci esorta, infine, a ricordarci della nostra dissoluzione e della morte, a smettere di odiare, a restare fedeli ai comandamenti e ai precetti, a non odiare il prossimo, a dimenticare gli errori altrui e a restare fedeli all’Alleanza dell’Altissimo. Tutte queste cose Gesù ce li ricorda nella preghiera del Padre nostro, e ci esorta, ancora, in una delle beatitudini, ad essere misericordiosi verso i fratelli se vogliamo trovare misericordia e perdono per le nostre colpe. Né possiamo dimenticare che il perdono, specie in diverse circostanze, ci viene difficile esercitarlo verso gli altri senza la grazia di Dio e la forza e ci viene da Lui.
Il Salmo, ci esorta a benedire Dio e il suo santo nome per tutti i suoi benefici e perché eserciti il suo perdono, guarisca tutte le nostre infermità, ci circondi di bontà e misericordia. Poiché l’ ira di Dio verso l’uomo non rimane in eterno, non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe, Egli chiede, alle sue creature a ai suoi figli, di avere gli stessi sentimenti e atteggiamenti verso i propri simili.
Seconda Lettura: Rm 14,7-9
L’apostolo Paolo ci ricorda che noi tutti viviamo o moriamo non per noi stessi, ma se viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Siamo del Signore e a lui apparteniamo, perché Cristo è morto ed è risorto alla vita: egli è infatti il Signore dei morti e dei vivi. Fondati in questa coscienza di essere non per noi stessi ma per il Signore, di appartenere a lui, dobbiamo rispettare e accogliere la diversità dei nostri fratelli e dei nostri simili, e trattarli come vorremmo essere trattati noi, avendo verso di loro gli stessi sentimenti e atteggiamenti che Dio ha per ognuno di noi, così da eliminare divisioni, odi, rotture e costruire relazioni di fraternità, di amore, di perdono e collaborazione fraterna.
Vangelo: Mt 18,21-35
Gesù a Pietro, che gli chiede quante volte deve perdonare al suo fratello che commette colpe contro di lui, se fino a sette volte, risponde: « Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette ». Volendo far comprendere ciò, attraverso la parabola del re che vuole regolare i conti con i suoi servi e che condona al servo, che lo supplica di non vendere lui, la moglie, i figli e quanto possedeva per saldare il grosso debito, i diecimila talenti, che non poteva restituire e che, a sua volta, avrebbe dovuto condonare il debito ad un suo compagno, che gli doveva la somma irrisoria di cento denari, Gesù ci insegna che è necessario che noi perdoniamo facilmente di cuore agli altri le loro colpe se vogliamo il perdono del Padre celeste per le nostre, che sono più gravi di quelle che gli altri contraggono con noi. Poiché noi abbiamo sempre bisogno del perdono di Dio per tutte le volte che gli chiediamo di perdonare le nostre colpe, così dobbiamo perdonare le offese degli altri verso di noi. Siamo, allora, quasi noi a dare a Dio la misura del perdono per i nostri peccati: quante volte vogliamo il perdono da Dio per noi, tante volte dobbiamo esercitarlo di cuore verso i fratelli che ci offendono. Il perdono verso gli altri deve essere autentico come lo è quello di Dio, che ce lo rinnova e lo rende presente nell’Eucaristia, donandoci il Corpo e il Sangue di Gesù, versato per la remissione dei nostri peccati.
Ultimo aggiornamento (Sabato 16 Settembre 2017 17:21)
La correzione fraterna nella Chiesa.
10 SETTEMBRE – XXIII DEL TEMPO ORDINARIO
La correzione fraterna nella Chiesa.
Nel giorno del Signore, il Padre celeste ci invita al convito eucaristico e ci fa dono del suo Figlio, come « Parola » e « Pane di vita ». Gesù, la sapienza incarnata, è la Parola che, in tutta la Scrittura, Dio ci rivolge, per guidarci nelle scelte quotidiane della vita e così adempiere alla sua volontà, e il Pane di vita, che ci nutre e ci santifica con la sua presenza sacramentale.
Per questi doni, per tutto quello che ha compiuto per mezzo del suo Figlio e per tutti gli altri doni, ricevuti dalla Paternità di Dio, è « cosa buona e giusta », diciamo nella preghiera del Prefazio, rendere grazie a Dio e rendergli la nostra lode, la nostra adorazione in quanto figli adottivi, partecipi, in quanto membra di Cristo, della sua stessa eredità. Questa realtà di partecipazione al banchetto deve essere vissuta non tanto individualmente ma come comunità di fratelli, riuniti attorno a Cristo, nostro capo e Signore, affinché, diciamo nella colletta, « a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna ».
Il cammino del cristiano è sì un itinerario individuale di santità, ma inserito in un contesto di vita comunitaria, aperto all’amore verso i fratelli.
L’amore che riceviamo da Dio in Cristo, suo Figlio, deve, come dice san Giovanni, essere vissuto amando i fratelli, perché non possiamo amare Dio che non vediamo se non amiamo i fratelli che vediamo.
Nella Colletta iniziale della preghiera eucaristica diciamo: « O Padre, che ascolti quanti si accordano nel chiederti qualunque cosa nel nome del tuo Figlio, donaci un cuore e uno spirito nuovo, perché ci rendiamo sensibili alla sorte di ogni fratello secondo il comandamento dell’amore, compendio di tutta la legge ».
Prima Lettura: Ez 33,1.7-9.
Il profeta, come sentinella, è portatore non di una sua parola, ma di quella di Dio, ed è tenuto ad annunziarla con fedeltà e integralmente: « O figlio dell’uomo, ti ho posto come sentinella…quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia ». Così ognuno di quelli a cui si rivolge, posto davanti alla Parola, con il proprio senso di responsabilità, deve ascoltarla e compiere un cammino di conversione al Signore. Se l’empio non viene ammonito dal profeta, per mezzo del quale Dio rivolge l’invito alla conversione, per cui il malvagio non desiste dalla sua condotta perversa, allora la responsabilità « della morte del peccatore » ricade sul profeta. Se invece il profeta, adempiendo la sua missione, avrà ammonito l’empio a cambiare vita e questi non si converte, egli morirà per la sua iniquità, ma al profeta non sarà addebitata nessuna responsabilità.
Tutti noi, in merito alla nostra partecipazione battesimale alla realtà profetica di Cristo, siamo chiamati a dare testimonianza del bene a tutti, anche davanti a coloro che operano iniquamente, ricordando che è opera di carità spirituale « ammonire i peccatori e pregare per loro », anche se questo deve essere fatto con carità, nella fraternità, con discrezione e senza superbia.
Seconda Lettura: Rm 13,8-10. I
Tutti i comandamenti: « Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai » e qualsiasi altro comandamento, sono compendiati, come aveva proclamato Gesù e ripete oggi, nella Lettera ai Romani, l’apostolo Paolo, in quello dell’ « Amare il prossimo tuo come te stesso », cioè nella carità che non fa male al prossimo e che è pienezza della Legge.
Tutti i comandamenti sono, allora, espressione dell’amore verso tutti gli uomini, che dobbiamo amare come fratelli, nella varie circostanze di relazione che poniamo tra noi e loro. Solo di questo amore che dobbiamo agli altri, dice ancora san Paolo, siamo debitori nei loro confronti. Di nulla altro.
Vangelo: 18,15-20.
In questo brano del Vangelo Gesù istruisce i discepoli sulle modalità da seguire nel risolvere relazioni difficili tra i membri di una comunità, sia a livello privato, come anche quelle riguardanti atteggiamenti che possono arrecare scandalo nei fratelli: nei casi più difficili tutta quanta la comunità ne può essere coinvolta, perché ne va di mezzo la testimonianza del vangelo, che altrimenti non è reso più facilmente credibile, e perché viene meno anche la missione profetica della Chiesa. « Se il tuo fratello commette una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo tra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di una o due testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano ».
La correzione fraterna, a cui siamo esortati da Gesù, deve, come abbiamo accennato nella prima lettura, essere considerata come un dovere fraterno ed essere vissuta con lo stile di Cristo, con la progressività di gesti che ricalcano lo stesso stile dell’agire della santità di Dio: la sua misericordia, illimitata e incondizionata. Così volendo imitare l’amore di Dio per noi, dobbiamo assumere come norma la necessità dell’amore per il fratello, operando nella correzione fraterna, per amore e con discrezione, con umiltà e con il desiderio di volere il bene del fratello, senza la presunzione di voler essere giudici.
Come diceva Dio ad Ezechiele che è costituito sentinella, tutti, come Chiesa, siamo chiamati ad essere “sentinelle”, vegliando per la sicurezza di tutti, vigilando affinché non ci sia distanza fra la vita dei fratelli di fede e la Parola di Dio, che indica la via da percorrere.
Davanti al dilagare del male tutti siamo coinvolti e dobbiamo esortarci a non lasciarci coinvolgere facilmente da esso. Allora è tutta quanta la Chiesa coinvolta nel comando di Gesù del « legare e sciogliere » in riferimento alle questioni importanti della vita spirituale e morale della testimonianza cristiana. E’ questo un dovere che scaturisce dalla necessità di avere cura reciproca derivante dal vivere la fraternità nella comunità, compito che, ripetiamo, deve essere vissuto secondo le caratteristiche sopra accennate, tenendo sempre presente il bene del fratello e della comunità tutta. Vengono così ricostruiti quei legami ecclesiali, interrotti per atteggiamenti e comportamenti poco conformi alla Parola di Dio, tenendo sempre viva la fedeltà agli insegnamenti evangelici.
E' soprattutto nel Sacramento della Riconciliazione, attuando il comando di Gesù agli Apostoli la sera del giorno della risurrezione: « A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimettere resteranno non rimessi », che la Chiesa, a nome di Cristo che ha dato lo Spirito Santo, assolve al compito della riconciliazione dei peccatori, pur condannando i peccati e l’ostinazione che si può avere nei confronti di essi.
L’ostinazione nel male del fratello può, in casi estremi, giungere anche a considerarlo non più nella comunione ecclesiale, ma ciò non toglie, come scriveva sant’Agostino, di doversi prendere cura del peccatore, che non vuole considerarsi nostro fratello, e reiterare l’invito alla conversione. Pur riconoscendo e accettando la libertà personale del fratello, anche quando si opera un taglio con la comunità, ciò non toglie la necessità di pregare per lui e invitarlo a ritornare sui suoi passi, affidando solo a Dio il giudizio finale sul suo comportamento.
Ultimo aggiornamento (Martedì 12 Settembre 2017 18:53)