Dice Gesù: "Io sono la Via, la Verità e la Vita
14 MAGGIO – V DOMENICA di PASQUA.
Gesù, Via, Verità e Vita.
Oggi siamo chiamati a riflettere sul ruolo che ha Cristo nella nostra vita.
« Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi »: è l’invito festoso che apre oggi la liturgia. Sappiamo quali sono questi prodigi che solo Dio ha fatto e per cui ci dobbiamo rallegrare: sono la liberazione dal peccato, essere stati rigenerati figli di adozione e chiamati all’eredità eterna. Cantiamo un canto nuovo perché siamo « primizie di umanità nuova », nata per opera dello Spirito ed edificata « in sacerdozio regale, popolo santo, tempio della gloria di Dio ». Tutto questo non è sogno o parole vuote. La nostra fede ci fa percepire queste realtà. Ma questa fede deve poi maturare in opere di cui la più importante è l’amore, statuto e comandamento di una vita nuova, per cui possiamo essere per l’umanità portatori e testimoni efficaci e credibili della salvezza operata da Cristo. Nell’orazione dell'Eucaristia la Chiesa prega dicendo: « O Padre, che ti riveli in Cristo maestro e redentore, fa’ che aderendo a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a te, siamo edificati anche noi in sacerdozio regale, popolo santo, tempio della tua gloria ».
Prima Lettura: At 6,1-7.
La Chiesa primitiva non è esente da screzi e dissapori e non dobbiamo forse idealizzarla troppo, perché, là dove ci sono degli uomini, ci possono essere anche imperfezioni e limiti. Per il disservizio delle mense e, quindi, nella realizzazione della carità che si manifesta con l’« assistenza quotidiana », sorgono lamentele, perché quelli di lingua greca vedono trascurate le loro vedove. Gli apostoli, per non trascurare il loro impegno di predicare la parola di Dio, provvedono chiedendo ai discepoli di scegliere « sette uomini di buona reputazione, ripieni di Spirito e di sapienza ». Queste tre caratteristiche sono esemplari: la reputazione buona, la pienezza dello Spirito Santo, la saggezza. Né si può presiedere da queste caratteristiche pur trattandosi del servizio delle mense. Anche le parole degli apostoli: « Noi ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola », attività che sono sentiti più propriamente ed essenzialmente come ministero apostolico, persuadono i discepoli ad accettare il servizio dei diaconi. Se il ministero apostolico della preghiera e della predicazione fosse trascurato, essi sarebbe infedeli alla missione e neppure la carità ci potrebbe più essere, alla fine. Sarebbe cosa grave se questo senso del primato della preghiera e della predicazione venisse meno e ci si occupasse d’altro o di ciò che altri nella comunità cristiana più convenientemente potrebbero fare. Più che porsi queste varie attività in antitesi, servizio « alle mense » e « preghiera e predicazione », si tratta di articolarli in un giusto rapporto.
Seconda Lettura: 1 Pt 2,4-9.
San Pietro, rivolgendosi ad una comunità che vive l’assenza corporea di Gesù, dice :« Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo credete in lui » (1 Pt 1,8). Essi sono stati aggregati attraverso il Battesimo a Cristo e formano in lui, « pietra d’angolo », un tempio mentre, per coloro non credono, Gesù è « pietra di scandalo », perché essi « non obbediscono alla Parola », cioè non credono al Vangelo. La fede è credere nella Parola di Dio e la vita cristiana è sottomettersi ad essa.
La Parola che ci raggiunge tramite le Scritture e soprattutto con Gesù, Parola fatta carne, suscita in noi la fede e da questo rapporto con la Parola e con Cristo sgorga il ministero della Chiesa che continua l’opera del suo Signore. Gli Apostoli affrontano la crisi organizzativa della comunità stabilendo delle priorità: « Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio … Noi, invece, ci dedichiamo alla preghiera e al servizio della Parola »( At 6,2-4).
Oggi si parla, spesso anche a sproposito, di « laici » e di « laicato». Va bene, se si conserva viva la consapevolezza che un cristiano, prete o no, è un consacrato. Tutti i credenti formano « un sacerdozio santo ». Tutti, « quali pietre vive », sono costituiti « come edificio spirituale », così da potere offrire « sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo ». Questi sacrifici spirituali sono la nostra vita vissuta in grazia, le nostre opere animate dallo Spirito Santo. Questo è possibile se ci uniamo nella Eucaristia al sacrificio offerto da Cristo sulla croce.
Siamo un « edificio spirituale »: non varrebbe nulla una bella chiesa di pietre, se a formarla non fossimo noi con la nostra fede e la nostra carità. La chiesa di pietre è solo un segno e un aiuto: è in noi, nella comunità cristiana, che Dio dev’essere presente. Siamo noi chiamati « stirpe eletta, nazione santa, popolo di Dio », luogo della proclamazione del Vangelo, cioè delle opere della salvezza. E’ come dire che i cristiani rigettano tutto quanto è contrario alla santità, ogni forma di peccato.
In questo senso essi sono separati dal mondo, consacrati a Dio, destinati a collaborare alla redenzione del mondo e ad essere sacerdoti.
Vangelo: 14,1-12.
Gesù, a Tommaso che gli chiede di non conoscere la via dove va, si dichiara l’unica Via che conduce al Padre, come Verità della rivelazione, come unica Vita autentica. A Filippo, che gli chiede di mostrargli il volto del Padre, Gesù risponde: « Chi vede me, vede il Padre …. Io sono nel Padre e il Padre è in me ». Gesù, come unico rivelatore del Padre, immette nella intimità che c’è tra il Padre e il Figlio, perché dice:« Io sono nel Padre e il Padre è in me » e ai discepoli chiede: « Rimanete in me ed io in voi » (Gv 15,4). Quale sensazione non hanno provato gli apostoli nel sentire Gesù che dice loro: « Figlioli, ancora un poco sono con voi … Dove vado io, voi non potete venire », essi che avevano scommesso la loro vita nel seguirlo, pensando ad attese inerenti l’esistenza terrena?
All’annunzio dell’assenza del maestro sarà seguita in loro la sensazione dell’abbandono. Per questo Gesù continua dicendo: « Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me »(Gv 14,1). Gesù chiede loro di avere fede nel Padre e in lui e viceversa. Ma contemporaneamente promette che essi saranno immessi nella intimità che vi è tra lui e il Padre e tale promessa deve far superare loro il turbamento causato dall’annunzio improvviso della sua assenza.
Questa intimità si realizza oggi con la mediazione del Cristo risorto, che pur ascendendo alla destra del Padre, egli è presente nella Parola delle Scritture, attraverso l’Eucaristia con la sua presenza nel pane e nel vino, che per opera dello Spirito Santo diventano il suo Corpo e il suo Sangue. Così nell’atto del suo sacrificio di morte e risurrezione, memoriale eucaristico, che è principio di risurrezione e di vita nuova, noi riaffermiamo la nostra fiducia e la nostra fede nelle sue parole che ci assicurano: «Vado a prepararvi un posto. Verrò di nuovo e vi prenderò con me ». Al di là della morte, che non è il tragico crollo della nostra speranza, Gesù ci assicura che ci farà vivere con lui e il Padre per l’eternità. E quando si sarebbe verificata questa promessa di intimità? Bisognava aspettare la fine dei tempi per la sua realizzazione o subito dopo la morte? Come vivere nell’oggi l’efficacia della promessa di Gesù?
Voler essere suoi discepoli significa allora seguirlo in questo cammino con la fede nel Padre e in lui, con la consapevolezza della nostra miseria per giungere alla piena comunione con Dio e i fratelli.
Cristo Gesù, buon Pastore ci libera dal peccato, ci guida e ci conduce alla salvezza.
7 MAGGIO – IV DOMENICA DI PASQUA.
Cristo Gesù che ci libera, ci conduce alla salvezza.
Gesù che si presenta come il buon pastore è, ancora oggi, colui che accudisce, guida e conduce il popolo di Dio. Egli dice che al di fuori di lui non c’è salvezza e senza la sua croce non c’è risurrezione.
La Chiesa, che ha come origine e punto di arrivo Cristo, è chiamata a mettersi a servizio dell’umanità e a rinnovarla con il suo sacrificio.
A volte, presi dal dubbio, più o meno doloroso, più o meno violento ci domandiamo: “E se Dio non esistesse?”. Tale situazione di crisi può essere positiva per una fede più autentica. Infatti, a seconda di come pensiamo Dio, assumiamo di conseguenza atteggiamenti che ci fanno realizzare relazioni diverse con lui.
Ogni credente dovrebbe porsi la domanda: « Chi è Dio per me? »;« In chi ripongo la mia fiducia di salvezza? ». Il cristiano, come dice San Pietro, accoglie nella fede il messaggio che « Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che avete crocifisso ». Se non siamo stati anche noi lì, e non implicati in solido per la crocifissione materialmente del Signore, come gli undici, dovremmo convincerci che Gesù non è stato crocifisso solo per il peccato di quelli. La sua morte ha una portata universale: è morto per tutti gli uomini, di ogni tempo e di ogni luogo.
L’incredulità può essere vinta con l’atteggiamento di abbandono in Dio, come ha fatto Gesù nel momento della prova.
Gesù, attraverso la parabola del Buon Pastore, vuol farci comprendere che egli conosce, chiama, conduce, cammina davanti a tutti coloro che, come sue pecore, vogliono seguirlo, ed essi riconoscono la sua voce e lo seguono. Con questa similitudine, che facilmente comprendevano gli uomini di allora, Gesù vuol dirci quale relazione si pone tra lui e i suoi discepoli: una relazione di appartenenza « siamo sue pecore », di affezione « ci conosce uno ad uno e ama », di guida « come il pastore che sta alla testa delle sue pecore » che lo seguono con fedeltà e amore. Il pastore conduce le pecore verso la libertà di « pascoli ubertosi ».
Con questa immagine del buon Pastore, che si prende cura delle sue pecore con amore e sollecitudine, egli vuol dirci che dobbiamo avere una diversa comprensione di Dio, di cui non dobbiamo avere timore, ma che da parte nostra, sue pecore, dobbiamo vivere con lui una relazione esclusiva con il Pastore: relazione nuova che ci fa accogliere Cristo come porta d’ingresso nella salvezza: egli si presenta come rivelazione del Padre, mediazione unica fra Lui e l’umanità, unica guida alla vera libertà, che è dono gratuito, alla salvezza ricevuta, accettata e corrisposta con amore.
Nella colletta dell’Eucaristia di oggi preghiamo dicendo:« O Dio, nostro Padre, che nel tuo Figlio ci hai riaperto la porta della salvezza, infondi in noi la sapienza dello Spirito, perché fra le insidie del mondo sappiamo riconoscere lz voce di Cristo, buon pastore, che ci dona l’abbondanza della vita ».
La giustificazione che Dio ci dà, per la nostra adesione e il nostro abbandono fiducioso in lui, è sempre un dono gratuito. Dobbiamo allora seguire, se vogliamo essere suo “ umile gregge “, Cristo con sapienza e costanza, riconoscerne la voce, e di lasciarci condurre da lui, mentre siamo « fra le insidie del mondo ». Saremmo sprovveduti se chiudessimo gli occhi su queste insidie o se pensassimo di potercene preservare da soli. Come pastore, Cristo « ci guida alle sorgenti della vita»: Egli con la sua parola, con i suoi sacramenti, che ci risanano e ci legano a lui, è la nostra vita.. L’immagine del gregge richiama quella dell’unità. Gesù « raduna gli uomini dispersi nell’unità di una sola famiglia ». L’unità dipende anche da ciascuno di noi, nella misura in cui supera e vince tutti i motivi di divisione, anche i più nascosti.
Prima Lettura: At 2,14.36-41.
Gesù di Nazaret, il Crocifisso, dice san Pietro, è stato costituito Signore e Messia: e questo annunzio suscita in quelli che hanno messo in croce il Cristo una trafittura del cuore e insieme il pentimento e la domanda di cosa devono fare. E l’apostolo li esorta a ricevere il Battesimo che, accolto, porta in essi come frutti la remissione dei peccati, l’effusione dello Spirito Santo e l’appartenenza alla comunità dei cristiani. Anche in noi, che abbiamo ricevuto il battesimo, è avvenuta la conversione, ci è stato dato il perdono, la grazia dello Spirito e siamo stati, per dono gratuito di Dio, inseriti nella Chiesa. Se la conversione non ha preceduto il nostro Battesimo, che abbiamo ricevuto da bambini nella fede della Chiesa, essa deve avvenire giorno per giorno; e se anche non siamo stati partecipi materialmente alla crocifissione di Gesù, i nostri peccati vi hanno gravato.
Seconda Lettura: 1Pt 2,20-25.
Gesù, scrive nella sua lettera ai cristiani san Pietro, è modello, esempio di vita e artefice della salvezza che è frutto dell’obbedienza di Gesù al Padre e al progetto di salvezza che il Padre ha predisposti in lui. Così con il gesto del pastore che è disposto a dare la vita per le sue pecore, a difenderle davanti a chi vuole strappargliele e a guidarle verso i pascoli ubertosi della vita, Gesù esprime la sua solidarietà con gli uomini che vengono costituiti suoi fratelli. Egli raduna “i figli di Dio che erano dispersi”, come il pastore raduna le sue pecore, e custodisce le anime dei credenti nell’ « ovile del Padre ». Realizza così la figura biblica del Messia pastore. Ma la salvezza che egli porta passa attraverso il dolore del Servo sofferente, che come agnello viene portato alla croce (1Pt 2,24) che diventa strumento della nostra vita, perché Gesù dice di « essere venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore »(Gv 10,10-11).
Così per gli uomini, la sopportazione paziente della sofferenza ha un modello concreto: Cristo che, soffrendo per noi, ha accettato con fiducia e la passione e la croce per liberarci dai nostri peccati.
Poiché anche per i cristiani, varie situazioni sono oggetto di persecuzione, di ingiustizie, non può mancare in loro l‘atteggiamento fondamentale e decisivo, cioè l’affidamento che rimette la loro causa « a colui che giudica con giustizia », a Dio che tiene conto di tutto. Questa certezza induce anche al timore. Non illudiamoci: Dio ci giudicherà con giustizia e, se anche riusciamo ad ingannare gli uomini, non possiamo certamente Dio.
Vangelo: Gv 10,1-10.
Gesù ci viene presentato dal brano del Vangelo di Giovanni come il pastore ideale che guida i credenti in lui. Gesù, ci dice ancora Giovanni, afferma solennemente che egli è la « porta delle pecore », attraverso la quale esse passano per entrare nell’ovile e per uscire al pascolo. Così con questa immagine Gesù si presenta come mediatore di salvezza: non ci sono altri spazi e altri passaggi di salvezza: « Se uno entra attraverso di me, sarà salvato ». Gesù con la sua opera copre tutta l’area della salvezza. Da lui solo, venuto a dare la vita e a darla in abbondanza con il dono di se stesso, può aversi la salvezza. Cristo è così l’antitesi del ladro, dello sfruttatore. Il Signore risorto è il pastore della Chiesa: ed è solo lui che essa deve ascoltare e di lui seguirne il cammino. Bisogna fare attenzione a non seguire altre voci e altri capi: sono estranei tutti quelli che non passano da lui. Questo è un richiamo a quanti nella Chiesa hanno il ministero, perché rappresentino fedelmente Cristo; ed è un invito a rendere grazie perché nell’episcopato, in comunione con il Papa, siamo sicuri di trovare il segno visibile di Gesù pastore e porta.
L'incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus.
30 – APRILE - 3a DOPMENICA DI PASQUA
L’incontro con i due discepoli di Emmaus.
Con la risurrezione di Gesù inizia il cammino della Chiesa e quello dei due discepoli, che vanno verso Emmaus e lo riconoscono nello spezzare il pane.
Questo cammino rappresenta il percorso di fede che parte dall’ascolto delle Scritture, culmina nello spezzare il pane dell’Eucaristia, memoriale del sacrificio di Cristo, e rimette i discepoli in cammino di testimonianza di quello che hanno sperimentato con il Signore risorto.
I discepoli di Emmaus fanno trasparire delusione e tristezza, perché gli eventi che attendevano non si sono verificati e, perciò, la loro speranza è infranta. Sono frustrati per il fraintendimento che essi hanno della figura del Messia, che non contempla la passione, per cui la notizia della risurrezione di Gesù resta per loro inaccessibile. Essi, mentre si allontanano da Gerusalemme, si allontanano dal luogo della crocifissione, dalla comunità dei discepoli. Conversano e discutono manifestando una memoria conflittuale degli eventi accorsi a Gesù e nel pellegrino, che si accompagna loro lungo il cammino, non riescono a riconoscerlo e comprenderlo risorto.
Il pellegrino, a differenza dei due, interpreta le Scritture e gli eventi partendo dalla gloria: « Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria ?» (Lc 24,26). Gesù inserisce la passione all’interno del piano di salvezza che ha il suo centro nella risurrezione. Egli, con delicatezza, accompagna i due nel cammino di fede, così come la Chiesa è chiamata a fare con gli uomini di oggi, accostandoli, ascoltandoli, camminando con loro e accompagnandoli con pazienza, fino a far loro scoprire la sua presenza: « quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro » (Lc 24,30).
Con il richiamo dell’Ultima Cena, Gesù lega l’Eucaristia agli eventi pasquali e viceversa, rendendoli attuali ed efficaci quando vengono rivissuti nel suo memoriale. Così i discepoli, riconoscendolo nello stesso momento in cui scompare e sostituendo alla vista e percezione fisica la fede in lui, rileggono il loro cammino e la vicenda di Gesù alla luce dell’esperienza del Risorto.
Nella colletta iniziale ci rivolgiamo a Dio dicendo:« O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane ».
La comunità ricostruita.
Incontrare Gesù risorto comporta un ritornare dagli altri fratelli, per raccontare la propria esperienza del Signore e, come i due, « Ritrovare riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro »(Lc 23,33). Così ci si riconosce nella comunione ecclesiale, dalla quale ci si allontana per vari motivi, e che intorno alla fede nel Risorto viene ritessuta.
In tutte le letture della Parola di Dio di questa domenica centrale è la narrazione degli eventi pasquali, con tutte le emozioni e livelli di comprensione propri dei vari personaggi a cui Gesù appare.
Il Cristo risorto è sempre presente nella Chiesa, specialmente nei sacramenti pasquali, cioè nell’Eucaristia. In essa noi lo riconosciamo come il Cristo crocifisso e risorto, che ci accompagna nel nostro pellegrinaggio nel mondo. Lo riconosciamo non separati l’uno dall’altro, ma tutti insieme. La comunità cristiana, che si raccoglie per spezzare il pane, è il segno dell’ « umanità nuova pacificata nell’amore », l’amore che deriva dal Figlio di Dio, « vittima di espiazione per i nostri peccati ».
Siamo fratelli, dotati dell’identica e della più grande dignità che è quella di essere figli di Dio. Parte da qui la carità vicendevole e la speranza di essere un giorno in comunione con Gesù risorto. Rimeditando questo e applicandoci a metterlo in pratica, facciamo l’esperienza della « rinnovata giovinezza dello spirito » di cui parla una colletta. Gli anni che trascorrono possono sì lasciare in noi tracce di vecchiezza, ma non nella vita interiore che già è una condivisione della risurrezione di Gesù.
Prima Lettura: At 2,14.22-33.
Dopo la passione, sopportata per dare compimento alla volontà del Padre nel disegno, misterioso e salvifico, Gesù è risuscitato dal Padre. Così, quello che sembrava un fallimento risulta una riuscita. Ma quel che ora è importante è accogliere tutta la grazia che è contenuta nel mistero della morte e della risurrezione del Cristo redentore. E’ difficile per l’uomo comprendere la ragione per cui Dio abbia scelto il cammino della croce per salvare l’umanità: appartiene al suo segreto insondabile. Di fatto dalla croce fluisce la grazia che ci riconcilia con lui e ci reintegra nel rapporto di amore che Dio aveva stabilito creandoci.
Seconda Lettura: 1 Pt 1,17-21.
La lettura degli eventi pasquali, sui quali siamo chiamati a riflettere, vuole condurci a meditare sui risvolti pratici che essi hanno nella vita dei credenti: la Chiesa, costituita da coloro che accolgono la predicazione apostolica e si fanno battezzare, è la comunità di coloro che credono in Dio e si riconoscono nella comune fede nel Cristo crocifisso e risorto.
Se siamo stati liberati dal peccato con un prezzo altissimo, impensabile: il Sangue di Gesù, ne proviene che siamo stati amati con un amore davvero grande, immenso, poiché il Figlio di Dio, come aveva detto agli apostoli, ha dato per noi la sua vita e ci ha posti in rapporto filiale col Padre (1 Pt 1,21).
L’uomo, è importante agli occhi di Dio, se per liberarlo Gesù è ha sopportato la passione ed è morto in croce. E’ un disegno – come dice san Pietro – che è stato oggetto della scelta divina « già prima della fondazione del mondo »: disegno eterno, manifestatosi negli ultimi tempi « per voi ». E’ per tutti noi, e per ogni uomo che in Gesù è stato concepito e salvato.
Se i cristiani, nel mondo, vivono come stranieri, perché perseguono una patria che non è di questo mondo visibile, ciò non significa che sono alieni. Anzi, il cristiano deve, anche se si sente straniero, partecipare attivamente e con pieno coinvolgimento nella terra dove abita per il bene e la salvezza degli uomini, ma contemporaneamente sa di essere cittadino di un’altra patria, verso cui il cristiano si sente in cammino. Questo è il senso del camminare dei due discepoli del Vangelo verso l’Emmaus, come anche il nostro: siamo lungo la nostra esistenza in cammino, condividendo un tratto di percorso, accompagnati da Gesù che ci spiega le Scritture quando ci sentiamo tristi e sfiduciati e ci fa comprendere, coinvolgendoci, le sue vicende, fino a riconoscerlo risorto quando, nell’Eucaristia, nello spezzar del pane come avvenne nell’Ultima Cena e tutte le volte che la comunità la celebra in sua memoria..
Vangelo: Lc 24,13-35.
I discepoli di Emmaus sono guidati da Gesù a rileggere la Scrittura e a trovarvi che la passione sopportata dal Signore, per entrare nella gloria, non è stato un incidente improvviso e contrario al disegno di Dio, ma ne è stata il compimento. Questa « provvidenza » della passione ora prosegue in noi, non senza suscitare incomprensione a motivo della tardezza e ottusità del nostro cuore. Dobbiamo anche noi tornare alle Scritture per attingervi conforto alla fede e alla speranza. Dobbiamo chiedere a Gesù che sia lui a introdurci in esse e a spiegarcele in modo tale che ci arda il cuore, come ai due discepoli.
Osserviamo poi che Gesù è riconosciuto alla frazione del pane, all’Eucaristia: là è avvertita la sua presenza e la sua compagnia. Spiegazione delle Scritture e frazione del pane: è già la nostra Messa, cui prendiamo parte per poter compiere con Gesù la nostra Pasqua.
BEATI QUELLI CHE NON HANNO VISTO E HANNO CREDUTO.
23 APRILE - IIa DOMENICA DI PASQUA.
Domenica in « Albis » o della « Divina Misericordia ».
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto.
Ogni domenica commemoriamo la Pasqua del Signore, la sua risurrezione, che noi accogliamo nella fede, per cui, come disse Gesù a Tommaso, « siamo beati perché crediamo senza aver visto ».
Gesù risorto appare agli apostoli che lo riconoscono e noi sulla loro testimonianza fondiamo la nostra fede, che ha sorretto lungo i secoli, in mezzo alla tribolazioni e il martirio, i credenti in lui.
Nella colletta iniziale preghiamo dicendo: « Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati ad una speranza viva mediante la risurrezione del tuo Figlio, accresci in noi, sulla testimonianza degli apostoli, la fede pasquale, perché aderendo a lui pur senza averlo visto riceviamo i frutti della vita nuova ».
Prima Lettura: At, 2, 42-47.
La primitiva comunità cristiana viveva nell’ascolto della parola degli apostoli e nella carità vicendevole, celebrava l’Eucaristia e pregavano insieme. Tutto questo era motivo di gioia che veniva trasmessa a coloro che si avvicinavano alla comunità, che così godeva della stima da parte di tutto il popolo. Un altro segno privilegiato che i credenti vivevano era che « avevano ogni cosa in comune ». Fede e amore reciproco erano strettamente uniti nella vita degli apostoli e di tutti coloro che aderivano al Signore. Separare questi due aspetti, credendo che la fede sia vera e sufficiente anche quando non sia animata e provata dalla carità, è certamente una visione falsata e riduttiva della testimonianza cristiana. In un cuore chiuso alla carità fraterna non vi può più abitare la Parola di Dio; e quando non sono presenti nel credente l’amore a Dio e la sua Parola incarnati attraverso la pratica della carità fraterna la fede si spegne.
Dalla fede nel Risorto, per coloro che credono in lui, nasce un nuovo stile di vita. Ripensiamo al sangue che ci ha liberato, allo Spirito che abbiamo ricevuto, e quindi in modo particolare al Battesimo che è stato l’inizio della nostra comunione al mistero pasquale.
A queste meraviglie della salvezza deve corrispondere « il frutto della vita nuova » e la testimonianza a Gesù Vivente che, nelle nostre opere, comporta: - l’essere assidui « nell’insegnamento degli apostoli, ( ascolto del vangelo ); - nella « comunione fraterna » (condivisione dei beni ); - nello «spezzare il pane » ( celebrazione dell’Eucaristia); - nelle « preghiere » ( pratica costante della relazione con Dio ) ». Con questa testimonianza, che comporta ciò che la comunità deve vivere e realizzare e non fidando in progetti e marketing, « Il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati ».
Al « timore dei giudei », forti della presenza dello Spirito, i discepoli e i credenti in Gesù sostituirono una missionarietà fondata sulla fedeltà al mandato di Gesù di annunziare la sua risurrezione, anche a costo di andare incontro a persecuzioni o peripezie varie. Chiudersi nella propria referenzialità o nella pigrizia della propria intima testimonianza senza il coraggio dell’annunzio, badare solo alla propria sopravvivenza nell’ambito della propria comunità o nel proprio gruppo , significa tradire, come Chiesa, come comunità più o meno grande che sia, la propria natura missionaria che Cristo ci ha comandato di avere, per continuare la sua missione: « Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi » (Gv 20,21).
Questo compito nobile, entusiasmante, è capace di aprire, nel nome del Signore, nuovi orizzonti, sperimentare nuovi linguaggi, percorrere nuove vie di evangelizzazione, che lo Spirito del Risorto suggerisce e per cui dà forza e coraggio per realizzarle.
Seconda Lettura: 1 Pt 1,3-9.
La risurrezione di Cristo è, come dice San Paolo, per il nostro cuore fonte di speranza « viva », capace di farci raggiungere l’eredità dei cieli, ed essere così nella comunione gloriosa con il Signore Gesù risorto. L’apostolo ci ricorda ancora che questa eredità è tutta diversa da quella che viene trasmessa da un padre al figlio: quella cristiana « Non si corrompe, non marcisce ».
L’eredità terrena è sempre precaria esposta a vari rischi e al deperimento. Spesso è causa di implacabili risse e divisioni, anche nell’ambito degli stessi eredi. Sperare di raggiungere l’eredità del cielo, cioè – la vita eterna con Cristo – è fonte di gioia, la quale è ben diversa da quella superficiale e passeggera che spesso ricerchiamo. Nella speranza e nella gioia che speriamo ci conseguire nel cielo riusciamo a sopportare le prove che ci affliggono. Queste ci purificano e danno pregio alla fede e la rendono purificata, come l’oro che viene provato con il fuoco. Sarebbe troppo facile dichiararci credenti, se ci tirassimo indietro e non seguissimo il Signore che ci chiama ad associarci alla sua passione. Non è scansando la croce, ma morendoci sopra che Gesù ci ha acquistato l’eredità che non perisce.
Vangelo : Gv 20, 19-31.
Gesù risorto, apparendo agli apostoli, augura la pace, con l’insieme dei beni che il mistero della Pasqua ha procurato agli uomini: la grazia divina, la gioia, la speranza. Poi l’effusione dello Spirito, per cui ci possono essere rimessi i peccati.
La Chiesa è il luogo e il sacramento della misericordia e del perdono, dal momento che in essa vive lo Spirito Santo. Non sono i ministri della Chiesa che trasmettono la propria santità ma è lo Spirito che sa rinnovare e purificare la vita degli uomini.
L’episodio di Tommaso, che non vuole credere se prima non tocca e non vede, ha fatto di lui un discepolo incredulo, un resistente alla fede, ma è il prototipo dell’uomo di sempre. Egli, che aveva visto la radicalità e la potenza della morte di Gesù, non può accettare la sua risurrezione. E se il Risorto non fosse il crocifisso? Avrà pensato. Se così, l’annunzio degli apostoli non avrebbe avuto valore. Ma otto giorni dopo, quando anche Tommaso è con gli altri nel Cenacolo, davanti a Gesù che lo invita a toccarlo e a mettere le sue dita nel foro dei chiodi e la sua mano nel costato, egli, profondamente sconvolto, professa la sua fede dicendo : « Mio Signore e mio Dio ». Questo di Tommaso è un traguardo a cui giunge attraverso un travaglio interiore, di ricerca, di domanda e di sfida per una fede facile e superficiale. Come a Tommaso, anche a noi, Gesù dice di « non essere più increduli, ma credenti »: davanti al problema del male è facile cadere nell’incredulità. E Gesù allora proclama « beati quelli che non hanno visto e hanno creduto ». La vicenda di Tommaso, con la sua preghiera-adorazione – come risposta al Risorto, può essere anche la nostra.
Così il mostrare le piaghe da parte di Gesù risorto nel suo corpo glorioso accentua lo scandalo del male, perché segni della sua passione.
Davanti all’enigma del male, a cui l’uomo con la sua riflessione teologica, filosofica, psicologica non ha saputo dare una soddisfacente spiegazione, Dio, nel suo Figlio, lo affronta e lo vince e non dà spiegazioni razionali di esso, se non ponendo l’atteggiamento dell’amore che, per dimostrarlo a chi si ama, si è disposti a donare la vita.
La professione di fede di Tommaso, che riconosce Gesù come Signore e Dio è un altro momento dell’incontro di Gesù risorto con gli apostoli. Gesù affida quindi l’impegno della predicazione e la narrazione stessa del Vangelo affinché gli uomini scoprano in lui il vero Dio e il Signore glorioso. Per questo siamo chiamati fedeli e discepoli. Solo che la nostra fede non deve vacillare ».
OSANNA! AL FIGLIO DI DAVID.
9 APRILE – DOMENICA DELLE PALME.
Con la domenica delle Palme – l’ingresso di Gesù in Gerusalemme – apriamo la Settimana Santa, la principale settimana di tutto l’anno liturgico.
Essa è la più ricca delle memorie dei misteri della redenzione: la passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione del Signore. La comunità cristiana è chiamata a raccogliersi frequentemente:
- per l’ascolto della Parola di Dio, che rievoca, dalla Bibbia, i grandi momenti della nostra salvezza;
- per la preghiera, come risposta riconoscente e piena di lode ai gesti della misericordia divina che il Padre celeste ci concede nel suo Figlio;
- per la celebrazione dell’Eucaristia, sacramento in cui ritroviamo, nei segni del pane e del vino, il Corpo di Gesù offerto per noi e il suo sangue del sparso per la remissione dei peccati;
- per la solenne adorazione della croce del Venerdì Santo, nel ricordo della passione del Signore;
- per la solenne Veglia di Pasqua.
Gesù, condivide la nostra fragilità umana, attraverso la sua umiliazione, il dolore, la sofferenza e la sua passione, ci insegna a superare questi limiti, e chiede di accogliere la volontà salvifica di Dio, confidando nella forza che viene da Lui e non nelle nostre forze.
Sono giorni di passione della Chiesa rivivendo in sé i dolori di Cristo; sono giorni di raccoglimento e di silenzio per meditare il disegno sorprendente e stupendo del Figlio di Dio che ci ha amati fino a morire in croce; sono giorni in cui dobbiamo nutrire la speranza, perché Cristo ha vinto il Male definitivamente e ha sostituito alla morte la risurrezione; giorni, quindi, che ci riempiono di serenità e di gioia, se scopriamo la forza della carità che ci ha riscattato e della vita nuova che ci viene da Gesù risorto, inizio e germe di vita risorta per tutti gli uomini.
In questa domenica delle Palme, che è come varcare una soglia, dal clima della quaresima a quello più intimo e solenne della Settimana Santa, ripercorriamo spiritualmente l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. per entrare poi nel Triduo pasquale, in sintonia col mistero della Morte e Risurrezione del Signore.
Riviviamo gli eventi della salvezza facendo esperienza della grazia ricevuta già una volta nel battesimo; riscopriamo il significato della passione del giusto innocente, per continuare a fare tesoro dei meriti salvifici di Cristo, evitando che il ripercorrere gli eventi della passione ci coinvolga solo superficialmente.
Quello celebrato in questa domenica è un evento glorioso per Cristo acclamato come il re d’Israele, che viene nel nome del Signore. Ma, insieme, questa gloria e regalità di Cristo è solo preannunciata: Egli deve prima passare attraverso la passione. Con questa domenica si apre la Settimana Santa in cui Gesù apparirà come il Servo umiliato fino alla morte, che « consegnandosi a un’ingiusta condanna, porta il peso dei nostri peccati » e nella sua morte lava le nostre colpe.
La processione osannante di oggi, con i suoi canti e la sua festosità, non deve farci dimenticare che alla risurrezione non arriveremo per via diversa da quella che passa per il Calvario.« Chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione ».
Gesù entra in Gerusalemme non con la prepotenza ma con l’umile mitezza. Viene accolto festosamente. Ma non illudiamoci troppo: dopo pochi giorni non mancherà chi lo vorrà crocifisso. Gesù va accolto nel cuore e imitato nel suo doloroso cammino. Soltanto così non lo tradiremo mai.
Egli entra come un re nella città santa, e il suo dono è la pace. Noi ci affatichiamo invano di ottenerla se non dominiamo i nostri istinti di prepotenza, se non riconosciamo in Gesù, che cavalca umilmente un puledro, lo stesso Figlio di Dio, venuto a riconciliarci con il Padre e tra noi.
La Settimana Santa ha per scopo la venerazione della Passione di Gesù Cristo dal suo ingresso messianico in Gerusalemme.
Le ferie della Settimana Santa, dal lunedì al giovedì, hanno la precedenza su tutte le altre celebrazioni.
Il Giovedì della Settimana Santa, al mattino, il vescovo, celebrando la Messa col suo presbiterio, benedice gli oli santi e fa sacro il crisma.
I colori liturgici sono: rosso per la domenica delle Palme, viola per il lunedì, martedì, mercoledì, bianco per la Messa crismale.
Prima Lettura: Is 50,4-7.
Il Servo di Dio è esempio di docilità, di ascolto della Parola e della volontà divina. Destino misterioso è quello del Servo: Egli è fatto oggetto di flagelli, di sputo, di scherni e tuttavia non si ribella. In lui prevale l’accoglimento di un disegno per una missione di salvezza. Leggendo in questa domenica delle Palme il brano di Isaia, con la mente corriamo subito a colui che non è venuto per essere servito, ma per essere servo e offrire la propria vita come prezzo di per la nostra liberazione dal male.
Seconda Lettura: Fil 2,6-11.
San Paolo scrivendo ai Filippesi ci esorta a contemplare il mistero di Cristo, dalla sua preesistenza eterna fino alla sua glorificazione.
Nella prima parte dell’inno contempliamo Gesù che, condividendo con il Padre dall’eternità la sua condizione divina, ha assunto la condizione umana di servo, divenendo simile a noi. Nel mistero dell’incarnazione la divinità riduce se stessa a vantaggio dell’umanità, perché « non ritenne un privilegio l’essere come Dio »: ecco lo spogliamento del Figlio di Dio, che nell’umiliazione e nell’obbedienza, con atteggiamento di fedeltà estrema al Padre, giunge all’abbassamento della croce, in un’obbedienza fino alla morte nella sua forma più ignominiosa.
Nella seconda parte dell’inno, dopo l’umiliazione, dopo l’obbedienza, viene cantata la risurrezione, la esaltazione del Servo suo Figlio: se la croce è il suo « sì » di amore al Padre e di consenso alla fraternità, la esaltazione è la fedeltà del Padre verso il Figlio.
Nella passione e morte del Figlio, che non sono fine a se stesse, e nella sua risurrezione abbiamo, strettamente uniti tra loro, i due grandi misteri di morte e di esaltazione del Cristo, di colui che oggi e sempre è il Signore di tutto e che ha aperto l’umanità alla speranza cristiana della gloria.
Consapevoli della volontà salvifica del Padre, ottenuta per la obbedienza del Figlio, possiamo bandire ogni forma di scoraggiamento e di sfiducia nei momenti difficili e della croce, perché il Cristo « pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono » ( Eb 5,8-9).
Le espressioni che in alcuni momenti si è soliti dire:« Ma posso avere il perdono di Dio ? Per me non c’è possibilità di perdono …» non devono indurci alla disperazione, perché Dio, anche se a volte crediamo di essere immeritevoli di perdono, nella sua misericordia lo offre per il suo grande amore e per avere mostrato la sua volontà salvifica riguardo all’uomo nella croce redentrice di Cristo e nella sua glorificazione, da dove intercede perennemente per noi tutti.
Vangelo: Mt 26,14-27,66.
Ascolteremo la narrazione della passione di Gesù dal Vangelo di Matteo: dall’ istituzione dell’Eucaristia fino alla passione e sepoltura. Anche per Matteo la passione di Gesù è l’adempimento delle Scritture che annunziano la salvezza. Più che di un l resoconto oggettivo, staccato, è una storia che non si deve solo ascoltare, dobbiamo risentire in noi questi avvenimenti: Cristo li ha patiti per noi. Nell’addentrarci nella Settimana Santa rivediamo il nostro atteggiamento:
- rispetto al nostro peccato, lato oscuro della nostra vita, possiamo, come Giuda che si suicida perché non ha più speranza se non nella morte, essere presi dalla disperazione;
- di fronte alla croce, invece, possiamo avere i sentimenti di Pietro, che parla, promette e, di fronte alla prova dei fatti, tradisce, fugge e lascia solo Gesù; ma al canto del gallo, in un profondo senso di pentimento, lava con le lacrime il suo peccato e apre il suo cuore al perdono di Gesù,
- o quelli del cireneo che, coinvolto per caso nella situazione, condivide la croce con Cristo e ci invita a portare la croce di Cristo, in tanti fratelli che abbiamo intorno e che ci chiedono di portare i pesi gli uni degli altri.
Nessuno può giudicare o condannare i protagonisti suddetti, perché tutti, iniziando dal primo peccato che, all’inizio della Quaresima, ci è stato ricordato, ne siamo coinvolti, per cui è necessario per tutti partecipare alla storia della salvezza che si compie sulla croce. Per la solidarietà che ci lega tutti e non solo quelli che erano presenti al tempo degli eventi della passione del Signore, ognuno, assumendo la responsabilità per il male che compie, deve dire: per me il Signore è stato tradito ed ha sudato sangue; per me ha subito gli sputi e gli schiaffi; per me è stato bastonato, ha portato la croce, è morto ed è stato sepolto.
Solo con questi atteggiamenti, riconoscendoci tutti peccatori, possiamo aprirci la via alla redenzione e alla salvezza.
Questa deve essere la passione che ripassa nel cuore di ogni discepolo, nel cuore della Chiesa, che la ripercorre con la sofferenza e la riconoscenza della Sposa fedele.