





Domenica in Albis e della Misericordia
8 APRILE – SECONDA DOMENICA DI PASQUA
Domenica in Albis o « della misericordia ».
In questa Domenica « in Albis », chiamata così per la veste bianca, simbolo della rigenerazione avvenuta nel battesimo ricevuto la notte di Pasqua; o anche « della divina Misericordia », per il mandato che Gesù dona agli apostoli, la sera della risurrezione, apparendo loro e dando lo Spirito Santo, la Chiesa ripensa all’opera di Cristo, morto per gli uomini, e ci fa riprendere coscienza del nostro Battesimo, che è stato il nostro ingresso nel suo mistero pasquale. Alle meraviglie operate da Dio in noi, alla rigenerazione operata in Cristo, mediante la nostra partecipazione alla sua morte e risurrezione, dobbiamo far corrispondere il frutto di una vita nuova, dando una testimonianza nelle nostre opere di Gesù Vivente.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Padre dicendo: «O Dio, che in ogni Pasqua domenicale ci fai vivere le meraviglie della salvezza, fa’ che riconosciamo con la grazia dello Spirito il Signore presente nell’ assemblea dei fratelli, per rendere testimonianza della sua risurrezione ».
Prima Lettura: At 32-35.
Oggi la Parola di Dio dagli Atti degli Apostoli ci ripropone la testimonianza delle prime comunità cristiane, nate dall’evento della risurrezione del Signore, in cui tutti si amavano e ponevano tutto in comune, escludendo qualsiasi forma di discriminazione tra ricchi e poveri. I cristiani, anche oggi, devono avere « un cuor solo e un’anima sola », cosicché, come allora « nessuno tra loro era bisognoso e fra loro tutto era comune », così essi esprimano questa fraternità nelle situazioni attuali di vita, incidendo e permeando la società con questa modalità di vita. Le leggi, certo, possono concorrere a tale finalità, ma non è con la costrizione esterna che ciò si può realizzare; è necessaria la fede che deve generare la carità vicendevole con opere di carità visibile.
Quando non apriamo il nostro cuore ai fratelli che sono nel bisogno, condividendo ciò che possediamo, allora dobbiamo dubitare della consistenza del nostro amore e della autenticità della nostra fede.
Seconda Lettura: 1Gv 5,1-6.
La fede in Gesù, il Cristo, generato da Dio, ci dice San Giovanni, ci rende figli di Dio e dobbiamo, come Gesù, amarlo da figli, osservando di conseguenza i suoi comandamenti, che non dobbiamo sentire come un peso. Se non si ama Dio non si amano neanche i fratelli, che da lui sono stati generati a figli. La consistenza dell’amore a Dio trova il suo criterio nell’amore al prossimo: queste due manifestazioni di amore non sono né giustapposte né in alternativa. L’amore a Dio è il primo e l’amore ai fratelli, che sono ad immagine di Dio, è una conseguenza del primo. San Giovanni ancora precisa che chi è generato da Dio e vive con la fede in Gesù, Figlio di Dio, venuto con acqua e sangue in cui gli uomini sono stati rigenerati con il dono dello Spirito, vince il mondo come lo ha vinto Lui: la morte e la risurrezione di Cristo sono la vittoria sul mondo e sul peccato, sul male e su Satana.
Vangelo: Gv 20,19-31.
Fissiamo la nostra attenzione su tre aspetti dell’incontro di Gesù risorto con i discepoli. Anzitutto il dono della pace, che è l’insieme dei beni che il mistero della Pasqua ha procurato agli uomini: la grazia divina, la gioia, la speranza.
Poi l’effusione dello Spirito, per cui ci possono essere rimessi i peccati: la Chiesa, con la missione affidata ad essa tramite il ministero degli apostoli, è il luogo e il sacramento della misericordia e del perdono, dal momento che in essa vive lo Spirito Santo. I ministri della Chiesa non trasmettono la propria santità ma lo Spirito che sa rinnovare e purificare la vita. Infine notiamo la professione di fede di Tommaso, il quale riconosce Gesù come Signore e Dio. Se noi, come dice Gesù a Tommaso, crediamo senza aver visto e sperimentato saremo beati. E se accogliamo i segni che sono stati scritti su Gesù e la sua opera, credendo che Egli è il Cristo, il Figlio di Dio, allora avremo la sua vita divina nel suo nome.
Ecco chi è Gesù ed ecco a che cosa tende la predicazione e la narrazione stessa del Vangelo: a fare scoprire in lui il vero Dio e il Signore glorioso. Per questo siamo chiamati fedeli e discepoli. Solo che la nostra fede non deve vacillare.
TRIDUO PASQUALE: GIOVEDI' SANTO - VENERDI' SANTO.
TRIDUO PASQUALE
29 MARZO - GIOVEDI’ SANTO
Nel Triduo pasquale, in cui celebriamo il mistero della morte e risurrezione, il primo grande incontro di questo evento del mistero pasquale è l’ultima Cena, l’istituzione dell’Eucaristia.
L’Eucaristia è il sacramento della passione e della morte di Gesù, che egli lascia ai discepoli prima di consegnarsi ai suoi carnefici, per rendere la sua presenza nel tempo della sua assenza. La celebrazione della Cena è un dono che ancora oggi accompagna la vita della Chiesa ed è un impegno di vita per coloro che si pongono alla sua sequela. Nel banchetto del pane e del vino i discepoli faranno memoria del Signore ed entreranno in comunione con il suo Corpo e con il suo Sangue.
Nell’Eucaristia Gesù rende presente e disponibile la sua carità, il suo consegnarsi per noi. In essa egli ha affidato « alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore ». Quello che egli fa è all’opposto di ciò che compie Giuda. Questi lo vende, come fosse una cosa; Gesù invece si offre, come « vittima di salvezza ». Restiamo stupefatti e partecipi di questa umiltà di Cristo, che ci purifica dalle colpe, che si mette ai nostri piedi, che continua a lavarci la coscienza, che ci insegna a prendere l’ultimo posto, che genera ala nostra fraternità. Soprattutto questa sera sentiamo di formare, « qui riuniti, un solo corpo », perché Cristo ci ha raccolti. « Via le lotte maligne, via le liti, e regni in mezzo a noi Cristo Dio ».
Prima Lettura: Es 12,1-8.11-14.
Nello sfondo della Pasqua ebraica, in cui Israele deve mangiare l’agnello e con il sangue, a protezione, tingere gli stupiti delle case, segno e memoriale del passaggio di Dio e della liberazione, si colloca la celebrazione dell’Ultima Cena di Gesù. Intuiamo immediatamente che si tratta di un simbolo dell’Agnello di Dio, Gesù, che, immolato, toglie i peccati del mondo e muore sulla croce come l’agnello pasquale vero, nel cui sangue siamo liberati dal peccato. Ogni volta che riceviamo l’Eucaristia rinnoviamo la Pasqua, in cui mangiamo il vero agnello immolato sulla croce.
Seconda Lettura: 1 Cor 11,23-26.
La Chiesa di Corinto aveva perso il senso sell’Eucaristia. Paolo allora rintraccia l’immagine originale del banchetto cristiano. Esso è la Cena del Signore, risale all’iniziativa e all’invenzione di Cristo, che all’Ultima Cena nel segno del pane e del vino consegna il suo Corpo e il suo Sangue, cioè il sacrificio di se stesso. Non vi si può prendere parte in qualche modo, ma con il proposito di entrare in comunione viva con la passione e la morte di Gesù per risorgere con lui.
Vangelo: Gv 13,1-15
Per l’evangelista Giovanni, nella celebrazione della « Festa di Pasqua », Gesù vuole celebrare una Pasqua diversa da quella ebraica « sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre », accogliendo liberamente la volontà del Padre e offrendo, nella sua passione e morte, la vita per amore degli uomini. Nel contesto della sua Passione, che ha per contraltare l’istituzione dell’Eucaristia, raccontata dai Sinottici a questo punto della vita di Gesù, è la chiave per comprendere il gesto che Giovanni, nel vangelo di oggi, racconta: l’umile gesto della lavanda dei piedi che Gesù fa ai discepoli. Egli « avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine »: e il segno di questo amore estremo, illimitato, è il dono che egli fa di se stesso. E’ la sua vita resa usufruibile per i suoi. La lavanda dei piedi è come il simbolo di questa donazione: Gesù è venuto per servire. L’amore non è vero se non serve. Gesù sa di essere « il Signore e il Maestro », ma non per questo eserciterà la potenza ma porterà al massimo l’amore.
C’è un richiamo all’interno del vangelo di Giovanni: sulla croce, morendo Gesù dice: « Tutto è compiuto». Usa la stessa parola che, posta in questi due momenti dell’ultima Cena e della croce, dice la qualità dell’amore. Questo estremo amore si esprime con il gesto del deporre le vesti e cingersi il panno. Del gesto Gesù dice due cose: « Se non ti laverò i piedi non avrai parte »; e : « Vi ho dato un esempio, infatti, perché come ho fatto io, facciate anche voi ». Il gesto di Gesù ci interroga. L’estremo limite dell’amore dice povertà radicale, umiltà, servizio. Povertà ben espressa dall’Eucaristia. Dietro quella povera forma, la gloria del Risorto. Il sacramento più caro alla Chiesa, così estremamente debole.
Resistenze all’amore; amore divinizzante.
Il povero gesto di Gesù, così denso di significato, non è compreso neppure da Pietro. Un amore così radicale, che cerca la comunione muove subito delle resistenze. Pietro, come noi, è resistente alla radicalità di una tale gratuità. Vi possono essere diverse cause di resistenza. Per accettare un tale amore bisogna riconoscersi peccatori salvati, allontanando ogni presunzione di auto salvarsi. Bisogna abbandonarsi alla salvezza offerta gratuitamente da Dio che cerca la comunione con noi. Ecco che l’Eucaristia è sacramento della presenza di Cristo nella sua Chiesa e della comunione di chi crede in lui. Il gesto ancora ci convoca a fare come Gesù, ad consegnarci ai nostri fratelli e al mondo. L’esempio di Gesù allora più che dare un imperativo morale vuole fare di noi, nel nostro amore radicale, altri Cristo. E’ un gesto allora divinizzante, perché dove « c’è carità e amore, qui c’è Dio ».
Questa sera – nel « memoriale », nel « rito perenne », di cui ci parla la prima lettura dell’Esodo, e che per noi è ormai l’Eucaristia – possiamo più intensamente misurare la carità che ci ha redento e che dobbiamo attestare.
Il rito della lavanda dei piedi è ricco di significato profetico: è la norma della vita interiore della Chiesa ( la carità), una testimonianza di fede. E’ rendere presente Dio, è la nostra beatitudine. Ci riporta al gesto umile di Gesù, che proclama il primato di chi serve il prossimo, non di chi lo domina. In questo gesto Gesù prefigura la sua passione, che è un servire e un dare la vita per la redenzione degli uomini. Gesù che lava i piedi ai discepoli richiama anche l’Eucaristia, dove prosegue il servizio di amore; richiama insieme la purezza di cuore per prendervi parte, e infine il sacramento del Battesimo, che lava e rende commensali di Cristo
30 MARZO – VENERDI’ SANTO: « In PASSIONE DOMINI»
Commemoriamo nel Venerdì Santo la morte del Signore. Lo vediamo come il Servo; su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati gli uomini.
Oggi è il giorno dell’immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale.
Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell’adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo.
Siamo sempre sotto la croce. Non c’è momento, non c’è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.
Prima Lettura: Is 52,13-53.12.
Dal « Servo di Dio «, « schiacciato per le nostre iniquità », e dalla sua intercessione per i peccatori, ci viene la liberazione e il perdono. Questo servo misterioso porta già in sé i segni e le vicende della passione e del dolore di Cristo, per mezzo del quale sarà compiuta « la volontà del Signore », cioè il piano di redenzione del genere umano.
Seconda Lettura: Eb 4,14-16; 5,7-9.
Non dobbiamo trascurare l’aspetto doloroso della nostra redenzione, cioè la sofferenza e il sacrificio del Figlio di Dio sulla croce, la sua consegna al Padre, la sua obbedienza e preghiera che Dio ha ascoltato, richiamandolo dalla morte con la risurrezione. Per questa obbedienza, che ce lo ha reso intimamente socio e partecipe della nostra umanità, il suo sacrificio è stato gradito e noi siamo stati salvati. Dobbiamo essere in comunione con l’obbedienza di Gesù: questo vuol dire fare la volontà di Dio.
L’intercessione di Cristo continua, ed è garanzia della sua fedeltà a noi, ed è aiuto per la nostra risposta a lui.
Vangelo: Gv 18,1-19.42.
Gesù compie la sua passione nell’affidamento totale al Padre, nella piena libertà del suo dono. E’ lasciato solo, tradito, rinnegato: è « l’uomo solo » che muore « per il popolo ». E tuttavia appare nella sua regalità. I segni di essa, presi per irrisione dai soldati e dagli altri, ne sono l’indice profetico e misterioso. Ma per capirlo bisogna essere dalla parte della Verità, bisogna entrare nel disegno di Dio.
« Io sono re » dice Gesù « Chiunque è dalla Verità, ascolta la mia voce ». Noi incontriamo Cristo e ne siamo redenti a questa condizione. Pilato con la sua cieca e pavida viltà non si trova da questa parte e lo consegna. Lo consegniamo ogni volta che pecchiamo, che preferiamo la menzogna.
Emerge nella passione la lucidità, la determinazione di Cristo. Egli non è uno offuscato e spezzato. In quel momento è tutta la Scrittura che si compie in lui, ed egli è consapevole. Ascoltiamo le sua parole, e accogliamo il suo testamento. Ci lascia la Madre sua, Maria; e proclama la sua sete: è la sete che ha dell’amore del Padre e degli uomini.
E’ l’agnello vero pasquale; la fonte dell’acqua e del sangue, dello Spirito che disseta, e del sacrifico che redime. E’ il trafitto che attrae lo sguardo e il desiderio dei popoli. Sul Calvario avvengono le vicende in Gesù che interessano la storia di tutto il mondo, di ogni tempo: la storia della nostra comunità che sta celebrando la Pasqua, della nostra anima che una volta ancora riceve la grazia di questa contemplazione e dei suoi frutti. L’avvenimento è passato, ma il suo segno, la sua grazia, la sua efficacia, rimangono.
Domenica delle Palme: OSANNA A COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE!
25 MARZO – DOMENICA DELLE PALME.
Con la domenica delle Palme – l’ingresso di Gesù in Gerusalemme – si apre la Settimana Santa, la settimana principale di tutto l’anno liturgico. Essa è la più ricca delle memorie dei misteri della redenzione: la passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione del Signore. La comunità cristiana è chiamata a raccogliersi frequentemente:
- per l’ascolto della Parola di Dio, che rievoca, dalla Bibbia, i grandi momenti della nostra salvezza;
- per la preghiera, risposta riconoscente e piena di lode ai gesti della misericordia divina;
- per la celebrazione dell’Eucaristia, che è il sacramento dove ritroviamo, nei segni del pane e
del vino, il Corpo di Gesù offerto per noi e il suo sangue effuso per la remissione dei peccati;
- per la solenne adorazione della croce del Venerdì Santo;
- per la solenne Veglia di Pasqua.
Gesù, condividendo la nostra fragilità umana, attraverso la sua umiliazione, il dolore, la sofferenza e la sua passione, ci ha insegnato a superare questi limiti, accogliendo la volontà salvifica di Dio nell’obbedienza della croce e confidando nella forza che viene da Lui e non nelle nostre forze.
Sono giorni di passione della Chiesa, che rivive in sé i dolori di Cristo; giorni di raccoglimento e di silenzio, nella meditazione del disegno sorprendente e stupendo del Figlio di Dio che ci ha amati fino a morire in croce; giorni di speranza, perché il Male è stato vinto definitivamente e alla morte si è sostituita la risurrezione; giorni, quindi, di serenità e di gioia, via via che scopriamo la forza della carità che ci ha riscattato e della vita nuova che esce dal sepolcro di Gesù, inizio e germe di vita risorta per tutti gli uomini.
In questa domenica delle Palme, che è come varcare una soglia, dal clima della quaresima a quello più intimo e solenne della Settimana Santa, ripercorriamo spiritualmente l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. per entrare poi nel Triduo pasquale, in sintonia col mistero della Morte e Risurrezione del Signore.
Riviviamo gli eventi della salvezza facendo esperienza della grazia ricevuta già una volta nel battesimo; riscopriamo il significato della passione del giusto innocente, per continuare a fare tesoro dei meriti salvifici di Cristo, evitando che il ripercorrere gli eventi della passione ci coinvolga solo superficialmente.
Quello celebrato in questa domenica è un evento glorioso per Cristo, acclamato come il re d’Israele, che viene nel nome del Signore. Ma, insieme, questa gloria e regalità di Cristo è solo preannunciata: Egli deve prima passare attraverso la passione. Con questa domenica si apre la Settimana Santa in cui Gesù apparirà come il Servo umiliato fino alla morte, preannunziato da Isaia, che « consegnan- dosi a un’ingiusta condanna, porta il peso dei nostri peccati » e nella sua morte lava le nostre colpe.
La processione osannante di oggi, con i suoi canti e la sua festosità, non deve farci dimenticare che alla risurrezione non arriveremo per via diversa da quella che passa per il Calvario.« Chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione ».
Gesù entra in Gerusalemme non con la prepotenza ma con l’umile mitezza. Viene accolto festosamente. Ma non illudiamoci troppo: dopo pochi giorni non mancherà chi lo vorrà crocifisso. Gesù va accolto nel cuore e imitato nel suo doloroso cammino. Soltanto così non lo tradiremo mai. Egli entra come un re nella città santa, e il suo dono è la pace. Noi ci affatichiamo invano di ottenerla se non dominiamo i nostri istinti di prepotenza, se non riconosciamo in Gesù, che cavalca umilmente un puledro, lo stesso Figlio di Dio, venuto a riconciliarci con il Padre e tra noi.
La Settimana Santa ha per scopo la venerazione della Passione di Gesù Cristo dal suo ingresso messianico in Gerusalemme.
I giorni di questa Settimana, dal lunedì al giovedì, hanno la precedenza su tutte le altre celebrazioni.
Il Giovedì della Settimana Santa, al mattino, il vescovo, celebrando la Messa col suo presbiterio, benedice gli oli santi e fa sacro il crisma. I colori liturgici sono: rosso per la domenica delle Palme, viola per il lunedì, martedì, mercoledì, bianco per la Messa crismale.
Prima Lettura: Is 50,4-7.
Il Servo di Dio è l’esemplare della docilità, dell’ascolto della Parola e della volontà divina. Il suo è un destino misterioso: è oggetto di flagello, di sputo, di scherno e tuttavia non si ribella, non si disanima. Egli ha certezza di compiere un disegno, una missione di salvezza. Mentre leggiamo in questa domenica delle Palme il brano di Isaia, il nostro pensiero corre subito a colui che non è venuto per essere servito, ma per essere servo, come dice Gesù ai suoi, e offrire la propria vita come prezzo di liberazione.
Seconda Lettura: Fil 2,6-11.
San Paolo scrivendo ai Filippesi li esorta a contemplare il mistero di Cristo, dalla sua preesistenza eterna fino alla sua glorificazione.
Nella prima parte dell’inno contempliamo Gesù che, condividendo con il Padre dall’ eternità la sua condizione divina, ha assunto la condizione umana di servo, divenendo simile a noi. Nel mistero dell’incarnazione la divinità riduce se stessa a vantaggio dell’umanità, perché « non ritenne un privilegio l’essere come Dio »: ecco lo spoiiazine del Figlio di Dio, che nell’umiliazione e nell’obbedienza, con atteggiamento di fedeltà estrema al Padre, giunge all’ abbassamento della croce, in un’obbedienza fino alla morte nella sua forma più ignominiosa.
Nella seconda parte dell’inno, dopo l’umiliazione, dopo l’obbedienza, viene cantata la risurrezione, la esaltazione del Servo, suo Figlio: se la croce è il suo « sì » di amore al Padre e di consenso alla fraternità, la esaltazione è la risposta di fedeltà del Padre verso il Figlio.
Nella passione e morte del Figlio, che non sono fine a se stesse, e nella sua risurrezione abbiamo, strettamente uniti tra loro, i due grandi misteri di morte e di esaltazione del Cristo, di colui che oggi e sempre è il Signore di tutto e che ha aperto l’umanità alla speranza cristiana della gloria.
Consapevoli della volontà salvifica del Padre, ottenuta per la obbedienza del Figlio, possiamo bandire ogni forma di scoraggiamento e di sfiducia nei momenti difficili e della croce, perché il Cristo « pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono » ( Eb 5,8-9).
Le espressioni che in alcuni momenti si è soliti dire:« Ma posso avere il perdono di Dio ? » o « Dio mi ha abbandonato!».Non dobbiamo dare spazio alla disperazione, perché Dio, anche se a volte crediamo di essere immeritevoli di perdono, nella sua misericordia lo offre per il suo grande amore. Per avere mostrato la volontà salvifica del Padre riguardo all’ uomo, Cristo, nella croce redentrice e nella sua glorificazione, intercede perennemente per noi tutti.
Vangelo: Mc 14,1-15.47
Rieleggendo il brano della passione del Signore secondo Marco non ricordiamo un evento del passato ma riviviamo la vicenda di amore di Gesù per noi nella sua passione. Il cammino doloroso del Signore comincia a Betania con il gesto della donna che fa l’omaggio a Gesù lavandogli i piedi e cospargendoli di nardo: gesto profetico della imminente sepoltura, segno dell’affezione incompresa da chi non è capace di amare e di cogliere il mistero di Cristo, con la scusa dei poveri. Seguiremo Gesù nella Cena con la istituzione dell’Eucaristia in cui Cristo si dona ai discepoli e tramite loro a noi e a tutti gli uomini. Il tradimento di Giuda, l’agonia di Gesù, la sua sottomissione alla volontà del Padre, l’abbandono dei discepoli, gli iniqui processi, la sentenza di morte, gli insulti, il rinnegamento di Pietro e il suo pianto, la sentenza di Pilato, l’irrisione della regalità del Signore, il cammino sotto la croce, la crocifissione, il grido di angoscia al Padre, la morte e la sepoltura, suggellata dal masso contro l’entrata del sepolcro. Tutti questi sono i momenti della Passione del Signore che la liturgia ci fa ascoltare per entrare nel clima del mistero di Cristo, con devota gratitudine e con proposito di rinnovata corrispondenza a tanto amore del Signore per noi.
Se il chicco di grano muore produce molto frutto.
18 MARZO – V DOMENICA DI QUARESIMA. (Anno B)
Come membra vive del corpo di Cristo, vivendo nella comunione con il suo Corpo e Sangue, siamo inseriti in una relazione vitale con lui. Se anche non possiamo scampare dalla morte fisica, questa unione è però pegno di risurrezione. Ma si può giungere alla gloria della vita eterna solo se prima siamo partecipi della passione redentrice di Gesù. Egli ci invita a morire come lui, come il seme che muore e produce molto frutto. Dall’Eucaristia, ancora, ci viene la forza dello Spirito, che ci fa vivere come nuove creature, siamo resi partecipi del suo Corpo mistico e ci viene anticipata la caparra della gloria futura della vita celeste. Cristo nella vita terrena ci è di compagno e, come il buon samaritano, ha compassione della nostra miseria e perdona ogni nostra colpa.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia chiediamo al Padre di ascoltare « il grido del suo Figlio, che per stabilire la nuova alleanza, si è fatto obbediente fino alla morte di croce », e di fare « che nelle prove della vita partecipiamo intimamente alla passione redentrice , per avere la fecondità del seme che muore ed essere accolti come sua messe nel regno dei cieli ».
Prima Lettura: Ger 31,31-34.
Da Geremia viene annunziata una nuova alleanza che Dio concluderà con il suo popolo, che non sarà come quella conclusa quando venne liberato dall’Egitto e che non è stata osservata. Dio, in questa nuova alleanza, porrà la sua legge dentro di loro, la iscriverà nei loro cuori. Così Dio sarà il Dio del suo popolo e essi saranno suo popolo. Tutti conosceranno il Signore dal più piccolo al più grande, poiché egli perdonerà le loro iniquità e non ricorderà più i loro peccati.
In questa nuova alleanza l’osservanza dei comandamenti non sarà più un peso fastidioso e insopportabile, ma sarà scritta nel cuore e sarà vissuta in una risposta di amore. Con Cristo questo nuovo tempo è già arrivato perché, nel sacrificio del Cristo, Dio ha stabilito questa nuova alleanza, con cui ci riconcilia con sé mediante il perdono dei peccati. Gesù nella Cena ha anticipato ritualmente il suo sacrificio e, come diciamo nella Consacrazione, « ha offerto il suo sangue come sangue della nuova Alleanza ».
Dal suo sacrificio, dal suo fianco squarciato, il Signore ci ha donato il suo Spirito. Ricevendo l’Eucaristia e lo Spirito del Signore siamo introdotti nella Nuova Alleanza.
Seconda Lettura: Eb 5,7-9.
Nella Lettera agli Ebrei è detto che Gesù, nella sua vita terrena, offri preghiere e suppliche, con grida e lacrime, al Padre che poteva salvarlo dalla morte. Poiché si è abbandonato a lui venne esaudito. Da Figlio imparò l’obbedienza dalle cose che patì, divenendo causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono. Nella dolorosa passione, nella sofferenza e il sacrificio del Figlio sulla croce, per il suo abbandono al Padre e la sua obbedienza, Gesù venne esaudito da Dio, perché lo ha fatto risorgere dai morti. Noi veniamo associati intimamente a lui e, partecipando della sua umanità, poiché il suo sacrificio è stato gradito dal Padre, veniamo salvati.
Camminare con l’obbedienza del Figlio vuol dire fare anche noi la volontà di Dio e, con l’intercessione che continuamente Gesù fa presso il Padre, noi abbiamo la garanzia della sua fedeltà, del suo amore e la grazia per potervi corrispondere.
Vangelo: Gv 12, 20-33.
A chi chiede agli apostoli Filippo e Andrea di voler vedere Gesù, questi risponde: « E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo , la conserverà per la vita eterna ». Gesù a chi vuole vederlo mostra quello che si prepara ad affrontare, la sua passione e morte. Non ci si deve attendere, se si vuole vedere il Signore, la sua onnipotenza che stupisce o attrae per le grandi opere , ma vederlo nella debolezza della sua passione e morte, nel momento in cui sta per dare la sua vita per adempiere alla volontà di Dio. Come il grano caduto in terra se muore produce molti chicchi, cosi la sua morte produrrà molti frutti di salvezza. La sua passione, l’innalzamento sulla croce e la sua morte, « in cui è vinto il principe di questo mondo » sono l’ora della sua glorificazione, il mo- mento in cui, elevato da terra, egli attirerà tutti a sé.
La sua morte e risurrezione sono la forza più potente, posta da Dio, per attirare gli uomini al suo amore, dimostrato nell’amore del Figlio che dona la sua vita. Gesù, dice ancora ai discepoli: « Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il servitore. Se uno serve me, il Padre mio lo onorerà ». Gesù, nel momento della sua ora non chiede al Padre di scamparlo da quell’ora, ma poiché è venuto per quell’ora, che lo glorifichi.
La voce che si sente dal cielo: « L’ho glorificato e lo glorificherò ancora! », è una voce che dovrà confermare gli ascoltatori, perché è il tempo del giudizio di questo mondo e, Satana, il principe di questo mondo, sarà gettato fuori. Ancora. Gesù, indicando di quale morte doveva morire, dice agli ascoltatori : « quando sarà elevato da terra attirerà tutti a me ».
Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito per salvare gli uomini.
14 MARZO - IV DOMENICA DI QUARESIMA (Anno B )
Nell’appressarsi della Pasqua affrettiamoci, con “ fede viva e generoso impegno ”, a vivere riconoscendo Gesù quale Figlio di Dio, che è mandato dal Padre perché gli uomini, come il cieco nato che Gesù guarisce dalla cecità, possano vedere il cammino che Egli ci indica per ritrovare la strada di ritorno alla casa del Padre. Gesù è venuto per guarirci dalla cecità spirituale, liberarci dalle tenebre del peccato, dai « morsi del maligno ».
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia chiediamo a Dio buono e fedele, che mai si stanca di richiamare gli erranti a vera conversione e nel suo Figlio, innalzato sulla croce, ci guarisce dai morsi del maligno, a « donarci la ricchezza della tua grazia, perché rinnovati nello spirito possiamo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore ». Quando allora ritorniamo come figli pentiti al suo abbraccio paterno rigustiamo la gioia nella cena pasquale dell’ Agnello, come il figlio prodigo per il quale il padre prepara una festa per averlo riavuto sano e salvo.
Prima Lettura: 2Cr 36,14-16.19-23.
Per le infedeltà e la ribellione dei capi di Giuda, dei sacerdoti e di tutto il popolo per essersi dati all’idolatria e aver contaminato il tempio ed essi, pur avendo Dio nel suo amore mandato i profeti, suoi messaggeri, per ammonirli, si sono beffati di loro, l’ira del Signore contro il popolo raggiunge il culmine. La conseguenza di questa infedeltà provoca da parte dei nemici l’incendio del tempio, la demolizione delle mura di Gerusalemme e la distruzione dei palazzi e degli oggetti preziosi dati alle fiamme. Inoltre molti vengono deportati in schiavitù a Babilonia, attuandosi così la parola di Geremia: « Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni ».
La ribellione a Dio, cioè il dramma e il mistero del peccato, che nasce nell’uomo quando si illude di esercitare la sua libertà facendo scelte peccaminose e antitetiche a Dio, è una realtà che sperimentiamo anche noi, come singoli e come popolo di Dio. Ma sulla infedeltà dell’uomo prevale sempre la bontà e la misericordia di Dio. E come all’esilio purificatore segue la liberazione attuata da Ciro, re di Persia che, illuminato dallo spirito del Signore, permette agli esiliati di ritornare in patria, così Cristo, nella sua Pasqua, ci libera dalla ribellione antica e ci riscatta con la sua obbedienza al Padre celeste, spargendo il suo sangue per la remissione dei peccati dell’umanità.
Seconda Lettura: Ef 2,4-10.
Paolo ci ricorda che Dio, in Cristo suo Figlio, ci fa rivivere pur essendo noi morti per le nostre colpe e, per grazia, ci salva, ci fa risuscitare e ci fa partecipare della stessa eredità di gloria di Gesù nei cieli. Così il Padre nel suo Figlio ci mostra « la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi ». Siamo salvi per grazia non per i nostri meriti: tutto è dono di Dio, perché Egli, nel suo amore, è ricco di misericordia per i meriti di Cristo, che nella sua morte ci riscattati e nella risurrezione ci ha rinnovati e restituiti alla comunione con Dio. Per la fede siamo salvati e non dalle nostre opere, di cui nessuno può vantarsi: noi « siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha preparato perché in esse camminassimo ». La vicenda di Gesù ci coinvolge e fin d’ora ne siamo partecipi. Attraverso i sacramenti noi entriamo in comunione con la morte, la risurrezione e l’ascensione del Signore. Se ora partecipiamo di questi misteri, possediamo fin d’ora in germe la vita eterna.
Vangelo: Gv 3,14-21.
Gesù nell’incontro con Nicodemo dice: « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato ». Accennando Gesù al serpente di rame, che Mosè elevò su un’asta per ordine di Dio, perché, guardandolo, venissero liberati dalla morte coloro che erano stati morsi, per la loro infedeltà al Signore, dai serpenti velenosi, Egli dice a Nicodemo che così sarà innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui sia liberato dai morsi del maligno. Dio infatti ha consegnato in sacrificio sulla croce il suo Figlio affinché l’umanità fosse guarita dal peccato. Ma la guarigione può essere ottenuta se si è credenti nel Figlio crocifisso, in cui il Padre ha posto la potenza redentrice dell’umanità. Né la relazione con la croce, di cui san Paolo dice di gloriarsi, può rifiutarsi a cuor leggero nella scelta di libertà che l’uomo pretende di porre: la fede in Cristo crocifisso è assolutamente necessaria. Gesù, che ha detto di essere la luce del mondo, continua ancora a dire a Nicodemo: « La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia più chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio ».
Ci si potrebbe domandare: « Ma chi non conosce il Cristo e non viene a contatto con la sua morte e risurrezione può partecipare della salvezza da lui operata? ». L’ultima frase di Gesù: « Chi fa la verità viene verso la luce » è certamente la porta per la quale Dio fa dono all'uomo della sua giustizia. Quindi, indirettamente, partecipi della opera redentrice del Cristo crocifisso sono anche coloro che deliberatamente non rifiutano il Cristo, ma camminano nella verità.
Ultimo aggiornamento (Sabato 13 Marzo 2021 10:57)