Prepararsi all'incontro con il Signore
12 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Prepararsi all’incontro con il Signore.
La celebrazione della passione gloriosa del Signore, Figlio di Dio, non è un avvenimento del passato, ma è reso presente dall’azione dello Spirito e noi, partecipandovi con fede, ne veniamo coinvolti. Assumendo con impegno il Corpo e Sangue di Cristo, che si è offerto per la nostra salvezza, noi impariamo a donarci per la salvezza dell’umanità. Alla passione del Signore è seguita la sua gloriosa risurrezione per cui, con l’Eucaristia che noi celebriamo, viene alimentata la speranza della gloria futura. Ma dobbiamo vivere nella vigilanza tale attesa, così da essere trovati, alla venuta del Signore, pronti per entrare, come le vergini prudenti, con lui nel banchetto celeste.
Nella preghiera iniziale diciamo: « O Dio, la tua sapienza va in cerca di quanti ne ascoltano la voce, rendici degni di partecipare al tuo banchetto e fa’ che alimentiamo l’olio delle nostre lampade, perché non si estinguano nell’ attesa, ma quando tu verrai siamo pronti a correrti incontro, per entrare con te nella festa nuziale ».
Prima Lettura: Sap 6,12-16
In questa prima lettura sono delineate alcune caratteristiche della sapienza: essa è splendida, si lascia vedere da coloro che la amano, trovare da coloro che la cercano e previene coloro che la desiderano facendosi conoscere.
« Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta ». Riflettere su di essa significa acquisire un’intelligenza perfetta e sarà senza affanni chi veglia a causa sua; lei stessa va in cerca di coloro che sono degni di lei, apparendo loro benevola in ogni circostanza.
Cosa è la sapienza ci potremmo chiedere? E’ la Parola di Dio, la sua legge, il suo spirito. Bisogna allora cercarla, desiderarla, amarla. La si trova se la si chiede a Dio e se ci si rende degni di lei. Cristo Gesù, la Sapienza increata, generata dall’eternità, il Verbo di Dio del prologo del Vangelo di Giovanni è Colui che l’uomo dovrebbe ricercare, accogliere, amare e ispirarsi continuamente a lui, perché « il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi…. E noi dalla sua pienezza abbiamo ricevuto: grazia su grazia » (Gv 1,14.16).
Seconda Lettura: 1Ts4,13-18
San Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi per istruirli a proposito di coloro che sono morti, li esorta a non essere tristi come coloro che non hanno speranza, perché se i discepoli di Cristo credono che Gesù è morto e risorto, Dio, per mezzo di Gesù, li radunerà rendendoli partecipi della sua resurrezione.
Per confortarli davanti alla realtà della morte, continua, ancora, dicendo che, alla venuta del Signore, coloro che sono ancora in vita non avranno alcuna precedenza su quelli che sono morti: quando il Signore si manifesterà, prima risorgeranno tutti i morti in Cristo e, quindi, anche coloro che saranno ancora in vita verranno rapiti insieme con loro, per andare incontro al Signore e così essere sempre con lui. Per l’apostolo quello che importa è credere nel Signore risorto dai morti, causa e fondamento della risurrezione di tutti, per essere sempre con lui nella gloria ed essere, come dice nella parabola del Giudizio universale, « alla sua destra nel regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo ». I discepoli del Signore allora vedono la morte nella prospettiva della resurrezione di Cristo, il quale è « causa e primizia » della risurrezione di tutti.
Vangelo: Mt 25,1-13.
Nella parabola del Vangelo di oggi delle vergini, che attendono lo sposo, Gesù riprende il tema dell’incontro che gli uomini vivranno alla venuta del Signore nella gloria. Nell’attesa dello sposo che tardava, dice Gesù, sia le cinque vergini prudenti, che avevano preso dell’olio di riserva per le loro lampade, sia le cinque vergini stolte, che non avevano provveduto a prendere dell’olio di riserva, si assopirono e si addormentarono. A mezzanotte, al grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”, tutte le vergini si destarono e prepararono le lampade. Le stolte, allora, dissero alle sagge: “ Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge, avendo risposto che l’olio sarebbe venuto mancare ad entrambe, invitarono le stolte ad andare a comprarlo. Arrivando lo sposo, però, le vergini che erano pronte entrarono alla festa di nozze e la porta fu chiusa. Ritornando le altre vergini cominciarono a dire: “ Signore, signore, aprici! ”. Ma fu loro risposto: “ In verità io vi dico: non vi conosco ”. E Gesù, concludendo la parabola, esorta gli uditori a vegliare ed essere preparati perché non si sa né il giorno né l’ora in cui ognuno dovrà incontrare il Signore. Non bisogna, allora, farsi sorprendere senza olio nella lampada, cioè senza la fede, la speranza, la carità se vogliamo partecipare al suo convito, che consiste nel vivere nell’intimità gioiosa con il Signore. Non dobbiamo farci trovare assopiti in comportamenti di calcoli imprudenti e insipienti, presi dalla tentazione di rimandare a domani l’impegno a vivere serenamente l’attesa del Signore camminando nelle sue vie e vivendo la nostra fedeltà a lui.
Insegnare e testimoniare con la vita i valori umani e spirituali che si vogliono trasmettere.
5 NOVEMBRE – XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO(A)
Nutriti lungo la vita terrena nell’Eucaristia con il Corpo e Sangue del Signore, ci prepariamo a conseguire i beni promessi nel cielo. Entrando in sintonia con il Signore, nell’ascolto e nella adesione con l’unico Dio, veniamo nutriti da lui che si è fatto uomo per nostro amore e, di conseguenza, dobbiamo mettere in pratica il Vangelo con tutto noi stessi. Accogliendolo in noi, dobbiamo attuare uno stile di vita evangelico, che ci porta a condividere con il prossimo anche i beni terreni. Solo così possiamo sperare di conseguire i beni celesti. Questo vuol dire vivere in maniera esistenziale l’Eucaristia.
Nell’orazione iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, creatore e Padre di tutti, donaci la luce del tuo Spirito, perché nessuno di noi ardisca usurpare la tua gloria, ma riconoscendo in ogni uomo la dignità dei tuoi figli, non solo a parole, ma con le opere, ci dimostriamo discepoli dell’unico Maestro che si è fatto uomo per amore. Gesù Cristo nostro Signore ».
Prima Lettura: Ml 1,14b-2,2b.8-10
Il Signore, per bocca del profeta Malachia, proclamandosi grande re, il cui nome è terribile tra le nazioni, ammonisce i sacerdoti perché, se non lo ascolteranno e non si daranno premura di dare gloria al suo nome, Egli manderà su loro la maledizione. Poiché essi hanno deviato dalla retta via, sono stati per molti d’inciampo con i loro insegnamenti e hanno distrutto l’alleanza di Levi, il Signore li ha resi spregevoli e abietti davanti al popolo.
Il profeta, ricordando che tutti gli israeliti hanno un solo padre, sono stati creati da un unico Dio, si domanda perché si agisca « con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri? ». Coloro che erano i custodi dell’alleanza, avrebbero dovuto camminare fedelmente nelle vie del Signore e osservare le sue leggi, per cui, non rappresentando più il Signore davanti a tutto il popolo, essi sono divenuti spregevoli. Ogni ministero, sia il sacerdotale e sia ogni altra forma di servizio, deve risplendere per l’esemplarità del servizio, poiché è necessario imitare il Signore, che ci ha creati uguali e vuole che tutti gli uomini, creature o figli, debbano essere rispettati nella loro dignità.
Seconda Lettura: 1 Ts 2,7b-9.13.
San Paolo ricorda ai Tessalonicesi come egli sia stato amorevole verso di loro, come una madre lo è con i propri figli, tanto che, essendo divenuti a lui cari, non solo il Vangelo ha desiderato trasmettere ma anche la sua stessa vita avrebbe voluto dare. In mezzo a loro, infatti, con duro lavoro e fatica, non ha voluto essere di peso ad alcuno, pur annunziando il Vangelo di Dio.
Così egli rende continuamente grazie a Dio perché, « ricevendo la parola di Dio » che egli ha annunziato loro, l’hanno « accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti ».
La tenerezza materna di Paolo per i cristiani a cui annunzia il Vangelo lo porta a non essere di peso ad alcuno e anche a poter dare, se necessario, la sua stessa vita per adempiere al ministero che il Signore gli ha affidato.
Vangelo: Mt 23,1-12.
Gesù, parlando alla folla e ai discepoli, li esorta a praticare e osservare tutto ciò che gli scribi e i farisei insegnano, ma a non agire secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno quello che insegnano. « Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito ». Inoltre essi fanno le loro opere per essere ammirati, allungano filatteri e frange, si compiacciono di posti di onore e primi seggi nelle sinagoghe, di essere salutati nelle piazze e di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Esorta ancora a non farsi chiamare” rabbì”, perché uno solo è il loro Maestro e loro sono tutti fratelli; né a chiamare “padre” qualcuno, perché uno solo è il Padre loro, quello celeste; a non farsi chiamare “guide”, perché solo il Cristo è la loro guida. Esortando infine a vivere umilmente dice loro: « Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato ». L’incoerenza e l’infedeltà di non osservare quello che si vuole insegnare agli altri non fa un buon servizio alla bontà dell’opera educativa, né alla Parola di Dio che si vuole annunziare. Non si può essere rigidi ed esigenti con gli altri e accondiscendenti con se stessi. La superbia, la volontà di dominio o essere onorati come “ maestri” o “padri”, sono atteggiamenti che non si confanno con l’esempio del Cristo, né del Padre celeste: tutti siamo fratelli. Un ministero, dunque, qualunque esso sia, deve esercitarsi come servizio ai fratelli e il più grande è colui che serve: non può un ministero ricercarsi per avere prestigio e onore, ma esige dedizione che promuove l’unità, la fraternità e l’amore vicendevole.
La preghiera e la comunione con tutti i fratelli defunti che ancora non sono nella visione di Dio.
2 Novembre – Commemorazione di tutti i fedeli defunti.
La preghiera e la comunione con i fratelli defunti.
Quando un padre, una madre, un familiare, un parente, un amico ci lascia definitivamente con la morte, al di là della sofferenza per la loro perdita, sappiamo che con il passar del tempo nulla cambia. Il vuoto lasciato rimane, perché nulla può restituirci le persone care, con loro affetti, gesti e sguardi d’amore, le loro tenerezza, la loro presenza vigile ecc. Spesso, davanti a morti premature o catastrofi naturali, rimangono i nostri interrogativi su questi eventi tristi e dolorosi. La domanda che sgorga dalle nostre labbra è: « Che senso ha un tale evento? ». La vita e la morte sono realtà davanti alle quali ogni giorno dobbiamo fare i conti.
Il mistero della morte illuminato dalla parola di Dio.
Davanti alla drammatica realtà della morte né le parole umane né le consolazioni che ci vengono offerte da parenti, amici o conoscenti sono sufficienti. Solo la Parola di Dio può darci una risposta che, pur non risolvendo il problema nella sua emotività, diede ai sapienti d’Israele il profondo convincimento che, oltre la morte, l’uomo deve attendere la salvezza che Dio dà. Il libro della Sapienza afferma con solennità: « Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà ». Questa certezza si fonda sulla fede in Jahvè, nella esperienza della fedeltà di Dio che non abbandona chi crede e spera in Lui.
E Isaia preannunzia le promesse di Dio, il quale « preparerà un banchetto per tutti i popoli ed eliminerà la morte per sempre… » e « farà nuove tutte le cose » (Ap ).
Per noi Cristiani, la risurrezione di Cristo, che non muore più e preannunzia la nostra risurrezione e la vita eterna che vivremo in Dio, testimonia che la morte non è l’esito finale della nostra esistenza, ma solo un passaggio. Paolo davanti alla realtà della morte esclama:« Dov’è o morte il tuo pungiglione ? Dov’è o morte la tua vittoria ?». Con la sua morte e risurrezione Gesù ha aperto il passaggio da questo mondo all'atro per tutti gli uomini, dando a tutti noi la possibilità di avere acces-so alla vita divina ed eterna in Dio.
Questa nostra fede non cancella né elimina gli aspetti misteriosi e dolorosi della morte, né la sofferenza del distacco dai cari che essa comporta, ma ci apre alla speranza e alla certezza che esiste una vita, un incontro per noi e per i nostri cari nella realtà dell’esistenza divina, con Dio e tra noi.
Dopo la morte si attua la vera nascita dell’uomo.
Secondo la Parola di Dio, per il cristiano, la morte è una nuova nascita: come l’uomo con la nascita viene espulso dal grembo per la vita terrena, così, attraverso la morte, egli viene espulso da questa vita terrena per una nuova vita, per una esistenza trasformata e misteriosa, che verrà vissuta in Dio. Questa nuova esistenza, che non è vissuta nel tempo e nello spazio, di cui non ne abbiamo esperienza, ci spaventa e incute timore. E’ il mondo di Dio con la sua pienezza di vita che darà piena soddisfazione all’uomo: nella risurrezione finale anche il nostro corpo, risorto, vi parteciperà senza più avvertire la sua dimensione corruttibile, ed esso non sarà più un limite nei rapporti con gli altri e con Dio.
La nostra vita non ci è tolta, ma trasformata. Il non morire sarebbe per l’uomo il non giungere mai alla sua piena realizzazione.
Nella morte cadono tutti i limiti della condizione terrena e si è liberi, in maniera definitiva, dalle nostre esperienze terrene, per ritrovare la nostra esistenza nella completa esperienza spirituale di Dio.
Per i credenti in Cristo, la nostra morte non è la fine, ma il fine con cui raggiungiamo la meta di una vita giunta nella sua pienezza. Il distacco dal mondo creato con la morte non è una disgrazia, ma una uscita dalla vita biologica e terrena, pur personale, per una esistenza che raggiunge la sua pienezza.
Con la celebrazione odierna celebriamo la nostra vita in Dio.
Dio realizza il suo progetto di vita e di beatitudine che ci promette rendendoci partecipi della sua divinità e della dimensione incantevole del suo amore: tutto ciò è dono gratuito di Dio, che ne dispone la modalità e i tempi. Tutto ciò che di bene, con la sua grazia e aiuto, noi siamo stati capaci di realizzare anche solo parzialmente, aprendoci al suo amore e all’amore verso gli altri, per la sua bontà, Dio lo porta a compimento, perché nulla è stato costruito invano, nessun gesto d’amore va perduto.
Tutto ciò che di bene nella vita terrena era provvisorio, davanti a lui che giudicherà la nostra esistenza, diventerà definitivo, e ciò avverrà quando egli dividerà le vite realizzate, per averlo riconosciuto e aiutato nei fratelli, da quelle fallite, perché non lo hanno né riconosciuto né amato negli altri.
La morte, che ci svela la provvisorietà dell’esistenza terrena in cui nulla è possibile vivere pienamente, ci apre una prospettiva in cui viene recuperato il bene compiuto per essere reintegrato nella dimensione infinita ed eterna di Dio. La preghiera per i nostri morti vuole impetrare da Dio che tutti coloro che sono stati a « Lui graditi », come dice San Paolo, per la sua bontà e purificati dalla sua misericordia, siano ammessi a contemplare il suo volto e a vivere nella piena comunione dei Santi, realtà a cui anche noi aspiriamo dopo questo esilio terreno.
Viviamo, quindi, questa commemorazione dei fratelli defunti non con la nostalgia di chi li pensa perduti per sempre, ma con la speranza di chi li crede viventi in Cristo, destinati alla risurrezione gloriosa con lui.
Oggi richiamiamo la morte nella luce della Pasqua di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione, fondamento della nostra speranza. Oggi affidiamo i nostri fratelli defunti alla misericordia di Colui che è morto in croce per la remissione dei peccati e per la nostra riconciliazione al Padre. Ma questo ricordo dei morti deve essere anche ammonimento salutare per noi che ancora viviamo: la vita passa in fretta, e le opere buone vanno compiute adesso. Poi viene il giudizio di Dio e, secondo la nostra condotta, ci verrà dato il premio o il castigo.
Prima Lettura: Sap 3,1-9.
La morte dei giusti non è tragedia senza scampo, dissoluzione per sempre: Dio li sostiene, li fa entrare nella sua pace e nella vita immortale. Le loro sofferenze, irrise dagli increduli, cono una prova che li purifica e che, sopportata con speranza, sarà motivo di gloria. C’ è in questo della sapienza la speranza di quanti vivono e muoiono nel Signore.
Seconda Lettura : Ap 21,1-5.6.7.
Attraverso l’immagine del cielo e della terra nuovi, delle cose di prima che passano e delle altre che sono fatte, sentiamo che una condizione nuova ci attende, di cui non abbiamo esperienza, ma che sarà la piena salvezza. E’ la condizione di quanti risorgeranno con Cristo per la vita eterna.
Vangelo: Mt 5,1-12
Gesù promulga, come un nuovo Mosè, la Legge nuova, che si apre con le Beatitudini. Esse sono la situazione di gioia per quanti si dispongono nello spirito del Vangelo, e quindi fanno la scelta della povertà, della mitezza, della giustizia, della misericordia, della purezza, della pace e che, pur nella sofferenza, non cessano di sperare e di essere fedeli.
Le Beatitudini sono l’antitesi dello spirito del mondo, rovesciano le attese e le valutazioni terrene.
Tutti i santi celebrati oggi sono coloro che sono nella beatitudine eterna conosciuti e non.
1 Novembre – Solennità di tutti i Santi.
La festa di tutti i santi si è diffusa nell’Europa latina nel secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi, anche a Roma, fin dal secolo IX.
Un’unica festa per tutti i Santi, ossia la Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi è una festa di speranza: « l’assemblea festosa dei nostri fratelli » rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.
I Santi ci sono « amici e modelli di vita » ci dice san Bernardo e noi dobbiamo desidera di raggiungere la loro compagnia, poi ci attendono e desiderano la nostra salvezza: la loro preziosa presenza ci protegge e ci incoraggia.
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Nella vita di ogni giorno ci accorgiamo della fragilità, dei momenti di insuccesso, delle negatività che costellano la nostra vita, dei nostri limiti: tutte queste cose ci fanno sembrare la vita non riuscita.
Ma allora cosa rende questa vita riuscita? Siamo o possiamo essere migliori di quello che pensiamo di essere? Dobbiamo rassegnarci ai nostri fallimenti, ai difetti e ai vuoti della nostra esistenza? Possiamo sperare in una vita migliore per noi e per tutti solo per questa terra o
possiamo pensare e credere che, al di là di tutto questo, ci attende una esistenza in cui si trovano tutti coloro che oggi celebriamo: cioè i Santi, sia coloro che onoriamo nel calendario e sia quelli che hanno vissuto la loro esistenza nella fedeltà al Signore, in cui hanno creduto, pur nel nascondimento e con una testimonianza silenziosa?
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Il punto centrale della fede cristiana sta nella certezza di fede che la nostra vita e la sua riuscita dipendono da Dio. In varie esperienze religiose si pensa che si possa giungere ad una , se pur imprecisata, pienezza di vita e di pace attraverso un cammino di ascesi e di meditazione.
In alcune concezioni filosofiche di vita si pensa che attraverso uno sforzo di perfezione etica, che gli uomini possono imporsi, individualemte o comunitariamente, è possibile raggiungere una pienezza di vita, almeno nel cammino finale dell’umanità. Si pensa poi, ancora, da parte di altri, che le negatività dell’esistenza possono superarsi con la rassegnazione e che in ultimo arriverà il premio e la consolazione.
Nella religione ebraica, fondata sulla alleanza tra Dio e il popolo, Dio è colui davanti al quale si prova timore, riverenza e rispetto. Dio stesso comunica all’uomo la santità, chiedendogli di essere santo perché Lui è santo. E si raggiunge la santità con l’osservanza della Legge e le pratiche di purificazione e di religione, ma che spesso, come rimproverava Gesù al suo tempo ai farisei, erano vissute con mediocrità e esteriorità. Nella predicazione profetica veniva inculcato il convincimento che la santità e la riuscita della vita sarebbero state donate da Dio.
Con la venuta di Gesù, che porta lo Spirito di santità e lo comunica con la sua morte in croce, gli uomini che ha redenti vengono santificati. Ma con tutto il suo agire, con la sua parola egli manifestò la santità e la pienezza di vita: perdonò i peccati, guarì i malati e donò se stesso, amandoli fino alla fine. Egli, il Signore, il Santo e il giusto, invitò gli uomini ad essere santi come è santo il Padre dei cieli, e così partecipare pienamente alla vita divina, alla vita eterna che siamo chiamati a vivere in Lui. Poiché Dio è Santo, la pienezza di vita consiste nella santità donata da Dio, comunicata dallo Spirito nella morte e risurrezione del Cristo.
Chi sono i Santi che oggi onoriamo e ricordiamo?
San Paolo chiama « Santi di Dio » tutti coloro che battezzati e cresimati sono stati inseriti come membra del Corpo Mistico di Cristo. La nostra santità è una vocazione che non sempre viviamo pienamente per ora, ma siamo santi perché abbiamo la possibilità di vivere, con i doni e le qualità che Dio ha posto in noi, pienamente la comunione col Padre, attraverso il Figlio Gesù, nello Spirito del Padre e del Figlio.
Gesù nelle Beatitudini annuncia questo dono gratuito di Dio fatto a tutti, specialmente a coloro che non hanno nulla su cui possono contare ( poveri in spirito, afflitti, miti, ricercatori di pace e di giustizia ecc.). Dio è colui che è causa della nostra beatitudine e santità. Così, per dono suo, noi possiamo considerare la nostra vita riuscita, pur essendo, a volte, nella povertà, nelle sofferenze, nelle afflizioni e in ultimo anche nelle persecuzioni sofferte per il nome di Cristo.
Lungo la storia della Chiesa, in alcuni è riconosciuta una santità che può essere additata a modello per tutti, perché essi hanno dato disponibilità piena all’amore di Dio e alla dedizione ai poveri, sofferen-ti, emarginati. Questi sono ricordati nel calendario cristiano: quante madri di famiglia, persone consacrate a Dio nelle varie istituzioni, giovani e uomini di varie condizioni sociali, martiri per la fede, ecc.
Quando viene dichiarato « beato » o « santo » qualcuno, lo si fa per additarlo ad esempio e modello di vita per tutti coloro che sono in cammino di santità su questa terra. La vita di santità di questi fratelli è confermato esplicitamente dalla testimonianza concorde di coloro che li hanno conosciuti e sono stati raggiunti dalla loro luce di santità, attraverso segni, virtù, e miracoli che questi santi hanno impetrato da Dio.
Cammino di santità per tutti.
Come possiamo rispondere alla chiamata alla santità che Dio ci fa? Lasciandoci riempire e guidare dallo Spirito Santo attraverso la preghiera, i sacramenti e le opere di testimonianza nella carità, la giustizia,ecc
Così Cristo, attraverso la sua morte e risurrezione, agisce in noi, nell’oggi della nostra vita, e ci santifica. Facendoci coinvolgere dall’iniziativa di Dio, vivendo i sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, attuando le opere di misericordia verso i poveri, i sofferenti, gli ultimi, operando per la pace, la giustizia e la misericordia, vivendo con purità di cuore la nostra apertura a Dio e confidando in lui, nei momenti della persecuzione a causa della giustizia e del suo regno, noi operiamo nella fedeltà al Signore e viviamo un cammino fecondo di santità. Vivremo questo itinerario operando il bene, conducendo la nostra esistenza nella gioia, nella pace della coscienza e nella speranza che, nonostante tutto, Dio ci salverà; e se pur manca qualcosa alla nostra perfezione egli la colmerà e ci renderà conformi al suo Figlio, rendendoci santi come è santo lui. Il suo ultimo atto d’amore per noi sarà il sigillo definitivo alla nostra vita, che si concluderà con la nostra salvezza eterna.
Prima Lettura: Ap 7,2.4-9.14.
La moltitudine immensa che sta dinanzi all’Agnello in candide vesti e con la palma tra le mani rappresenta gli eletti, che, grazie al suo sangue, sono stati purificati e gli sono stati fedeli nella prova. Sono i battezzati, che portano il sigillo dell’appartenenza a Dio, ai quali nulla può fare del male.
Seconda Lettura: 1 Gv 3,1-3.
Partecipiamo alla gioiosa constatazione di san Giovanni: Dio ha avuto per noi un amore impensabile, al punto che non siamo solo di nome ma di fatto figli suoi. E lo siamo gia d’adesso, in virtù della vita divina, la grazia, che ci unisce a lui, anche se al’’esterno ancora non appare tutta la nostra dignità, anche se portiamo ancora i segni del nostro legame alla terra, anche se non mancano limiti e sofferenze. Però siamo in attesa della manifestazione completa del nostro essere, quando si rivelerà e si attuerà la conformità completa a Dio e quindi a Cristo, e vedremo Dio non più attraverso il velo delle cose create, delle immagini e delle parole, ma viso a viso. Questo è già avvenuto per i santi, che oggi festeggiamo.
Vangelo: Mt 5,1-12.
Gesù promulga, come un nuovo Mosè, la Legge nuova, che si apre con le Beatitudini. Esse sonla situazione di gioia per quanti si dispongono nello spirito del Vangelo, e quindi fanno la scelta della povertà, della mitezza, della giustizia, della misericordia, della purezza, della pace e che, pur nella sofferenza, non cessano di sperare e di essere fedeli.
Le Beatitudini sono l’antitesi dello spirito del mondo, rovesciano le attese e le valutazioni terrene.
l'amore per Dio e l'amore per il prossimo.
29 OTTOBRE – XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO(A)
L’amore per Dio e l’amore per il prossimo.
Nell’ Eucaristia, banchetto eucaristico, con la fede noi crediamo che Cristo Gesù, nel pane e nel vino, si rende presente con il Corpo e Sangue: con l’effusione dello Spirito Santo invocato da parte del Padre e le parole di Gesù ci danno fondamento e assicurazione che nei segni eucaristici egli ci ha dato tutto se stesso realmente, Corpo, Sangue, anima e divinità. e non solo significativamente.
Gesù, sacerdote, che si dà come cibo e si offre sacrificando la sua vita per noi, ci manifesta la tenerezza dell’amore del Padre e il dono gratuito dell’amore che dobbiamo, a nostra volta, vivere secondo lo spirito del Signore.
Nell’Eucaristia, ancora, con la fede, possiamo sperimentare la misericordia del Padre che, nel suo Figlio Gesù, ci dona il perdono, ci riaccoglie con il figlio e alimenta così la nostra vita divina. Se non viviamo con questa fede la celebrazione domenicale sarebbe per noi senza efficacia e monotona, fatta di soli nostri gesti, e non attingeremmo al dono che il Padre celeste ci fa: quello di essere trasformati nel suo Figlio.
Nella Colletta iniziale di questa domenica preghiamo il Padre celeste, dicendo: « O Padre, che fai ogni cosa per amore e sei la più sicura difesa dei deboli e dei poveri, donaci un cuore libero da tutti gli idoli, per servire te solo e amare i fratelli, secondo lo Spirito del tuo Figlio, facendo del tuo comandamento nuovo l’unica legge della vita ». Nella concretezza deve essere amato Dio e, allontanandoci dai vari idoli che ci forgiamo lungo la nostra vita, servire solo lui e il prossimo a cui, come ci dice il libro dell’Esodo nella prima lettura, dobbiamo manifestare l’amore con azioni concrete, con scelte e predilezioni che siano espressioni di fraternità e di condivisione.
Prima Lettura: Es 22,20-26.
Il Signore al suo popolo chiede di avere verso il forestiero, la vedova, l’orfano, l’ indigente atteggiamenti ispirati alla pietà e all’ aiuto verso il prossimo, verso cui non bisogna esercitare né oppressione di vario genere o maltrattamenti riducendo in schiavitù qualcuno, essendo tutti forestieri in questo mondo, né usura, imponendo interessi per un prestito o trattenendo pegni, come il mantello di un povero, poiché esso è l’unica coperta che usa per coprirsi la notte. Il Signore ascolta ogni grido che queste persone rivolgono a Lui. Bontà, attenzione verso i più deboli, guardarsi dallo sfruttare i più poveri e diseredati non approfittando di essi e della loro indigenza, difendere la loro dignità violata denunciando ogni forma di criminalità, è ciò che Dio desidera dal suo popolo e dai suoi figli.
Seconda Lettura: 1 Ts 1,5-10.
San Paolo, ricordando ai Tessalonicesi come egli si è comportato tra loro per il loro bene, li loda perché hanno cercato di imitarlo e, seguendo il suo esempio e quello del Signore, avendo ascoltato e accolto la Parola, pur tra tante prove, con la gioia dello Spirito Santo, sono diventati modello per i credenti della Macedonia e dell’Acaia. Per la loro fede e per loro mezzo, ricorda ancora ai Tessalonicesi, « la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne ». Infatti i nuovi credenti della Macedonia e dell’Acaia raccontano, scrive ancora Paolo, « come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere la venuta del suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene ».
Essi, così, convertendosi, hanno cambiato la loro vita e, credendo in Dio e alla sua Parola, servendolo e nutrendo la speranza di incontrare il Signore risorto, sono diventati modello e testimoni del Vangelo. Accogliere la Parola di Dio con gioia, anche in mezzo alle tribolazioni, ed esserne testimoni gioiosi non è sempre facile; allontanarsi dai tanti idoli, che ci andiamo costruendo (divertimenti ossessivi, attività e hobbies di vario genere…), per servire il Dio vivo e vero è certamente segno di una vera conversione al Signore.
Vangelo: Mt 22, 34-40.
Gesù, rispondendo ai farisei e ai dottori della legge mosaica, che gli chiedono quale è il più grande comandamento, risponde : « “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”» e vi aggiunge un secondo comandamento uguale al primo: « “ Amerai il prossimo tuo come te stesso” ». L’amore, dunque, per Gesù è la sintesi della Scrittura e tutta la legge e i profeti sono compendiati nell’ amore. L’amore a Dio, innanzitutto, e l’amore al prossimo sono come due binari su cui dobbiamo far muovere tutta la nostra vita. Dall’amore a Dio, se lo si vive veramente, deriva l’amore al prossimo, includendo ogni rapporto di amore e benevolenza non solo a livello coniugale, familiare e parentale, ma anche a livello sociale, aprendo il nostro cuore verso tutti, vicini e lontani, manifestando loro una carità concreta che si dimostra attraverso opere di fraternità e di aiuto. Gesù per primo ha realizzato questa duplice direzione dell’amore: nel sacrificio della croce, infatti, troviamo l’espressione più alta del suo amore al Padre compiendone la volontà e realizzando il progetto di salvezza degli uomini, avendo messo per loro tutta la sua vita come dono di salvezza e redenzione.
Il cristiano umanizza mirabilmente se stesso nel realizzare l’esempio di Gesù. Un unico amore viene realizzato sia che sia rivolto a Dio sia che sia rivolto al prossimo. San Vincenzo de’ Paoli era solito dire che "sospendere la preghiera che si sta facendo per soccorrere il prossimo è ugualmente servire Dio". Se l’amore è pur un comandamento, un precetto morale deve essere accolto e vissuto liberamente, perché l’uomo, credente o meno, lo avverte nella profondità del suo essere e, praticandolo, realizza autenticamente la sua umanità. Il comandamento a Dio e al prossimo è nuovo, come lo ha dato Gesù ai suoi discepoli, se lo si vive alla maniera di Gesù, animati dallo Spirito del Padre e del Figlio.