Esercitare il perdono ai fratelli come Dio lo esercita per noi.
17 SETTEMBRE – XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
(Anno A)
Quando la comunità cristiana nella Domenica, giorno del Signore, celebra l’Eucaristia e riceve il Corpo e Sangue di Cristo, per mezzo dello Spirito Santo, la potenza del Signore trasforma la nostra vita, i nostri sentimenti, e ci trasfigura interiormente. Nelle preghiere eucaristiche l’azione dello Spirito Santo rende presente il Cristo nel pane e nel vino, che diventano il suo Corpo e il suo Sangue. Così la Chiesa, raccolta attorno a Cristo è nutrita dalla sua Parola e dalla sua presenza sacramentale.
Ancora. L’assemblea liturgica riceve il perdono di Dio che ci rinnova nel cuore e lo Spirito Santo, aprendoci al pentimento e alla conversione, ci dà un cuore nuovo, la forza di perdonare a nostra volta i fratelli, la luce che ci guida nelle scelte quotidiane. Dio, nella sua liberalità e non per i nostri meriti, per la mediazione di Cristo suo Figlio, ci fa dono del suo Spirito che rende gioiosa la nostra vita.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio di giustizia e di amore, che perdoni a noi se perdoniamo ai nostri fratelli, crea in noi un cuore nuovo a immagine del tuo Figlio, un cuore sempre più grande di ogni offesa, per ricordare al mondo come tu ci ami ».
Prima Lettura: Sir 27.30-28.7
Un forte ammonimento ci viene oggi dalla lettura del Libro del Siracide: non dobbiamo covare odio, rancore e vendetta nel nostro cuore, perché questi sentimenti di peccato sono sempre presenti davanti al Signore. Il perdono dato al prossimo per le offese e la preghiera ci ottengono la remissione dei nostri peccati. L’uomo, che è soltanto carne e che conserva rancore verso il proprio simile, non può ottenere guarigione dalla collera se non usa misericordia nei suoi confronti, né può supplicare e ottenere il perdono da Dio per i propri peccati. Ci esorta, infine, a ricordarci della nostra dissoluzione e della morte, a smettere di odiare, a restare fedeli ai comandamenti e ai precetti, a non odiare il prossimo, a dimenticare gli errori altrui e a restare fedeli all’Alleanza dell’Altissimo. Tutte queste cose Gesù ce li ricorda nella preghiera del Padre nostro, e ci esorta, ancora, in una delle beatitudini, ad essere misericordiosi verso i fratelli se vogliamo trovare misericordia e perdono per le nostre colpe. Né possiamo dimenticare che il perdono, specie in diverse circostanze, ci viene difficile esercitarlo verso gli altri senza la grazia di Dio e la forza e ci viene da Lui.
Il Salmo, ci esorta a benedire Dio e il suo santo nome per tutti i suoi benefici e perché eserciti il suo perdono, guarisca tutte le nostre infermità, ci circondi di bontà e misericordia. Poiché l’ ira di Dio verso l’uomo non rimane in eterno, non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe, Egli chiede, alle sue creature a ai suoi figli, di avere gli stessi sentimenti e atteggiamenti verso i propri simili.
Seconda Lettura: Rm 14,7-9
L’apostolo Paolo ci ricorda che noi tutti viviamo o moriamo non per noi stessi, ma se viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Siamo del Signore e a lui apparteniamo, perché Cristo è morto ed è risorto alla vita: egli è infatti il Signore dei morti e dei vivi. Fondati in questa coscienza di essere non per noi stessi ma per il Signore, di appartenere a lui, dobbiamo rispettare e accogliere la diversità dei nostri fratelli e dei nostri simili, e trattarli come vorremmo essere trattati noi, avendo verso di loro gli stessi sentimenti e atteggiamenti che Dio ha per ognuno di noi, così da eliminare divisioni, odi, rotture e costruire relazioni di fraternità, di amore, di perdono e collaborazione fraterna.
Vangelo: Mt 18,21-35
Gesù a Pietro, che gli chiede quante volte deve perdonare al suo fratello che commette colpe contro di lui, se fino a sette volte, risponde: « Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette ». Volendo far comprendere ciò, attraverso la parabola del re che vuole regolare i conti con i suoi servi e che condona al servo, che lo supplica di non vendere lui, la moglie, i figli e quanto possedeva per saldare il grosso debito, i diecimila talenti, che non poteva restituire e che, a sua volta, avrebbe dovuto condonare il debito ad un suo compagno, che gli doveva la somma irrisoria di cento denari, Gesù ci insegna che è necessario che noi perdoniamo facilmente di cuore agli altri le loro colpe se vogliamo il perdono del Padre celeste per le nostre, che sono più gravi di quelle che gli altri contraggono con noi. Poiché noi abbiamo sempre bisogno del perdono di Dio per tutte le volte che gli chiediamo di perdonare le nostre colpe, così dobbiamo perdonare le offese degli altri verso di noi. Siamo, allora, quasi noi a dare a Dio la misura del perdono per i nostri peccati: quante volte vogliamo il perdono da Dio per noi, tante volte dobbiamo esercitarlo di cuore verso i fratelli che ci offendono. Il perdono verso gli altri deve essere autentico come lo è quello di Dio, che ce lo rinnova e lo rende presente nell’Eucaristia, donandoci il Corpo e il Sangue di Gesù, versato per la remissione dei nostri peccati.
Ultimo aggiornamento (Sabato 16 Settembre 2017 17:21)
La correzione fraterna nella Chiesa.
10 SETTEMBRE – XXIII DEL TEMPO ORDINARIO
La correzione fraterna nella Chiesa.
Nel giorno del Signore, il Padre celeste ci invita al convito eucaristico e ci fa dono del suo Figlio, come « Parola » e « Pane di vita ». Gesù, la sapienza incarnata, è la Parola che, in tutta la Scrittura, Dio ci rivolge, per guidarci nelle scelte quotidiane della vita e così adempiere alla sua volontà, e il Pane di vita, che ci nutre e ci santifica con la sua presenza sacramentale.
Per questi doni, per tutto quello che ha compiuto per mezzo del suo Figlio e per tutti gli altri doni, ricevuti dalla Paternità di Dio, è « cosa buona e giusta », diciamo nella preghiera del Prefazio, rendere grazie a Dio e rendergli la nostra lode, la nostra adorazione in quanto figli adottivi, partecipi, in quanto membra di Cristo, della sua stessa eredità. Questa realtà di partecipazione al banchetto deve essere vissuta non tanto individualmente ma come comunità di fratelli, riuniti attorno a Cristo, nostro capo e Signore, affinché, diciamo nella colletta, « a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna ».
Il cammino del cristiano è sì un itinerario individuale di santità, ma inserito in un contesto di vita comunitaria, aperto all’amore verso i fratelli.
L’amore che riceviamo da Dio in Cristo, suo Figlio, deve, come dice san Giovanni, essere vissuto amando i fratelli, perché non possiamo amare Dio che non vediamo se non amiamo i fratelli che vediamo.
Nella Colletta iniziale della preghiera eucaristica diciamo: « O Padre, che ascolti quanti si accordano nel chiederti qualunque cosa nel nome del tuo Figlio, donaci un cuore e uno spirito nuovo, perché ci rendiamo sensibili alla sorte di ogni fratello secondo il comandamento dell’amore, compendio di tutta la legge ».
Prima Lettura: Ez 33,1.7-9.
Il profeta, come sentinella, è portatore non di una sua parola, ma di quella di Dio, ed è tenuto ad annunziarla con fedeltà e integralmente: « O figlio dell’uomo, ti ho posto come sentinella…quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia ». Così ognuno di quelli a cui si rivolge, posto davanti alla Parola, con il proprio senso di responsabilità, deve ascoltarla e compiere un cammino di conversione al Signore. Se l’empio non viene ammonito dal profeta, per mezzo del quale Dio rivolge l’invito alla conversione, per cui il malvagio non desiste dalla sua condotta perversa, allora la responsabilità « della morte del peccatore » ricade sul profeta. Se invece il profeta, adempiendo la sua missione, avrà ammonito l’empio a cambiare vita e questi non si converte, egli morirà per la sua iniquità, ma al profeta non sarà addebitata nessuna responsabilità.
Tutti noi, in merito alla nostra partecipazione battesimale alla realtà profetica di Cristo, siamo chiamati a dare testimonianza del bene a tutti, anche davanti a coloro che operano iniquamente, ricordando che è opera di carità spirituale « ammonire i peccatori e pregare per loro », anche se questo deve essere fatto con carità, nella fraternità, con discrezione e senza superbia.
Seconda Lettura: Rm 13,8-10. I
Tutti i comandamenti: « Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai » e qualsiasi altro comandamento, sono compendiati, come aveva proclamato Gesù e ripete oggi, nella Lettera ai Romani, l’apostolo Paolo, in quello dell’ « Amare il prossimo tuo come te stesso », cioè nella carità che non fa male al prossimo e che è pienezza della Legge.
Tutti i comandamenti sono, allora, espressione dell’amore verso tutti gli uomini, che dobbiamo amare come fratelli, nella varie circostanze di relazione che poniamo tra noi e loro. Solo di questo amore che dobbiamo agli altri, dice ancora san Paolo, siamo debitori nei loro confronti. Di nulla altro.
Vangelo: 18,15-20.
In questo brano del Vangelo Gesù istruisce i discepoli sulle modalità da seguire nel risolvere relazioni difficili tra i membri di una comunità, sia a livello privato, come anche quelle riguardanti atteggiamenti che possono arrecare scandalo nei fratelli: nei casi più difficili tutta quanta la comunità ne può essere coinvolta, perché ne va di mezzo la testimonianza del vangelo, che altrimenti non è reso più facilmente credibile, e perché viene meno anche la missione profetica della Chiesa. « Se il tuo fratello commette una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo tra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di una o due testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano ».
La correzione fraterna, a cui siamo esortati da Gesù, deve, come abbiamo accennato nella prima lettura, essere considerata come un dovere fraterno ed essere vissuta con lo stile di Cristo, con la progressività di gesti che ricalcano lo stesso stile dell’agire della santità di Dio: la sua misericordia, illimitata e incondizionata. Così volendo imitare l’amore di Dio per noi, dobbiamo assumere come norma la necessità dell’amore per il fratello, operando nella correzione fraterna, per amore e con discrezione, con umiltà e con il desiderio di volere il bene del fratello, senza la presunzione di voler essere giudici.
Come diceva Dio ad Ezechiele che è costituito sentinella, tutti, come Chiesa, siamo chiamati ad essere “sentinelle”, vegliando per la sicurezza di tutti, vigilando affinché non ci sia distanza fra la vita dei fratelli di fede e la Parola di Dio, che indica la via da percorrere.
Davanti al dilagare del male tutti siamo coinvolti e dobbiamo esortarci a non lasciarci coinvolgere facilmente da esso. Allora è tutta quanta la Chiesa coinvolta nel comando di Gesù del « legare e sciogliere » in riferimento alle questioni importanti della vita spirituale e morale della testimonianza cristiana. E’ questo un dovere che scaturisce dalla necessità di avere cura reciproca derivante dal vivere la fraternità nella comunità, compito che, ripetiamo, deve essere vissuto secondo le caratteristiche sopra accennate, tenendo sempre presente il bene del fratello e della comunità tutta. Vengono così ricostruiti quei legami ecclesiali, interrotti per atteggiamenti e comportamenti poco conformi alla Parola di Dio, tenendo sempre viva la fedeltà agli insegnamenti evangelici.
E' soprattutto nel Sacramento della Riconciliazione, attuando il comando di Gesù agli Apostoli la sera del giorno della risurrezione: « A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimettere resteranno non rimessi », che la Chiesa, a nome di Cristo che ha dato lo Spirito Santo, assolve al compito della riconciliazione dei peccatori, pur condannando i peccati e l’ostinazione che si può avere nei confronti di essi.
L’ostinazione nel male del fratello può, in casi estremi, giungere anche a considerarlo non più nella comunione ecclesiale, ma ciò non toglie, come scriveva sant’Agostino, di doversi prendere cura del peccatore, che non vuole considerarsi nostro fratello, e reiterare l’invito alla conversione. Pur riconoscendo e accettando la libertà personale del fratello, anche quando si opera un taglio con la comunità, ciò non toglie la necessità di pregare per lui e invitarlo a ritornare sui suoi passi, affidando solo a Dio il giudizio finale sul suo comportamento.
Ultimo aggiornamento (Martedì 12 Settembre 2017 18:53)
Morire con Cristo, per risorgere con lui.
3 SETTEMBRE – XXII DOMENICA del Tempo Ordinario.
Morire con Cristo, per risorgere con lui.
Il Signore Dio ci convoca nel giorno del memoriale della sua Pasqua. Egli ci parla con la sua Parola raccontandoci le sue meraviglie e in noi avvertiamo l’istanza, giusta e doverosa, di rendergli la lode e il nostro inno di ringraziamento, non solo con le parole ma soprattutto con la nostra vita.
In questo memoriale, il Padre celeste ci offre il suo Figlio come cibo e bevanda di salvezza. Rafforzati da questo sacramento, in cui sperimentiamo il grande amore con cui siamo stati amati, riceviamo la grazia per non lasciarci « deviare dalle seduzioni del mondo », per « discernere ciò che è buono e a lui gradito », per rispondere all’ amore del Padre con la nostra fedeltà di figli, all’amore di Cristo come discepoli, portando la propria croce dietro a lui sulle sue orme, e per porre, infine, la nostra vita al servizio dei fratelli, perché l’amore del Maestro si manifesti in modo genuino e sincero con le nostre opere nella fraternità.
Nella Colletta preghiamo dicendo: « Rinnovaci con il tuo Spirito di verità, o Padre, perché non ci lasciamo deviare dalle seduzioni del mondo, ma come veri discepoli, convocati dalla tua parola, sappiamo discernere ciò che è buono e a te gradito, per portare ogni giorno la croce sulle orme di Cristo nostra speranza ».
Prima Lettura: Ger 20,7-9.
Geremia è avversato nella sua missione profetica, tanto da volersi defilare da questo compito, perché è fatto oggetto, ogni giorno, di scherno, di derisione e di obbrobrio da parte di coloro che non condividono il messaggio che egli annunzia. Egli, per farsi sentire, poiché non è ascoltato, deve gridare, urlare: « Violenza! Oppressione! ». Per questo pensa di non voler più parlare nel nome di Dio. Ma nel suo intimo egli avverte come un « un fuoco ardente, trattenuto nelle sue ossa », si sforza di contenerlo , ma non può, perché lo spinge a continuare la missione del Signore, che lo ha « sedotto » e il profeta si « è lasciato sedurre »: su di lui il Signore ha fatto violenza ed è prevalso. Ormai, quindi, la sua esistenza è tutta presa ed è inconcepibile se non nello svolgere fino in fondo la missione del Signore. Oltre che per Geremia, anche per ognuno di noi la vocazione cristiana, cioè corrispondere all’appello di Dio e dedicarsi fedelmente a Cristo, è un’avventura che, come per i santi, ci coinvolge nella profondità della nostra esistenza.
Avere sete di Dio, cercarlo, contemplarlo nel suo santuario, ammirare la sua potenza e la sua gloria, vivere dell’amore di Dio vale più della propria vita, ci fa cantare il Salmo responsoriale di oggi.
Seconda Lettura: Rm 12,1-2.
Ogni celebrazione liturgica, specie quella del sacrificio di Cristo, deve essere seguita da una vita coerente all’esempio del Signore. Paolo esorta i cristiani ad offrire se stessi, in tutta la loro realtà, in sacrificio vivente a Dio, perché è una continuazione di quello della croce del Signore: culto spirituale offerto attraverso le opere che si compiono animati dallo Spirito di Dio. Tutta l’esi-stenza cristiana, allora, se vissuta in conformità alla volontà di Dio, come quella di Gesù, nel rinnovamento del proprio modo di pensare, discernendo ciò che è buono, a lui gradito e perfetto, può essere offerta a Dio.
Vivendo così la liturgia, cioè inverandola nella vita, possiamo dire di vivere in profondità la nostra fede.
Vangelo: Mt 16,21-27.
La prospettiva della croce, che il Signore annunzia agli apostoli, appare un qualcosa di insopportabile a Pietro, che reagisce rimproverando Gesù dicendogli: « Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai ». E Gesù voltandosi verso di lui lo apostrofa decisamente: « Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini ». Così il disegno di Dio, per quanto strano possa sembrare, non può essere eluso e coloro che vi si oppongono e convincono altri a non viverlo sono tacciati come Satana, che svolge il compito precisamente di intralciare il procedimento e l’attuazione della volontà di Dio.
Seguire il Signore portando ognuno dietro a lui la propria croce è il destino di ogni uomo che vuole essere suo discepolo. Perdere la propria vita e donarla con Cristo non significa perderla ma ritrovarla nella sua pienezza, non significa rinnegarla, ma realizzare il più grande guadagno, perché solo morendo come Cristo, il seme porta frutto, e la prospettiva della risurrezione è la vera ricompensa che il Signore darà a chi è disposto a perdere la propria vita per lui e per il suo regno.
Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
27 AGOSTO- XXI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO (Anno A).
Professione di fede di Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Nel giorno del Signore, il Padre celeste ci invita in santa assemblea, per celebrare il« sacrificio di Cristo », con cui il Signore Gesù ci ha riscattati e redenti dal peccato, versando il suo sangue prezioso per una nuova e definitiva alleanza. Così, innestati in Cristo attraverso il battesimo, per un dono di grazia del Padre e non per i nostri meriti, siamo diventati «creature nuove», santificati dalla grazia e della vita divina che Dio ci ha dato. Siamo « pietre vive » per costruire il tempio santo di Dio, di cui Gesù è la pietra angolare e, illuminati dallo Spirito Santo, che inabita in noi, abbiamo acquistato, per dono gratuito di Dio, la libertà dei figli, per cui possiamo pregarlo: « Abbà, Padre !».
A questo grande dono della misericordia di Dio dobbiamo corrispondere aderendo come Cristo alla volontà del Padre celeste, rispondendo al suo amore attraverso l’osservanza filiale dei suoi comandamenti, sentendoli non come un gravame impraticabile ma come una luce che illumina i nostri passi nel cammino di speranza sulla terra, come una via che ci guida alla ricerca del vero bene, senza farci distrarre da nessuna parola o vicende terrene mutevoli e ambigue, e ci conduce alla meta della vita eterna nella comunione trinitaria.
Nella Colletta iniziale ci rivolgiamo a Dio con questa preghiera: « O Padre, fonte di sapienza, che nell’umile testimonianza dell’apostolo Pietro hai posto il fondamento della nostra fede, dono a tutti gli uomini la luce del tuo Spirito, perché riconoscendo in Gesù di Nazaret il Figlio del Dio vivente, diventino pietre vive per l’edificazione della tua Chiesa ».
Prima Lettura: Is 22,19-23.
Il Signore ci chiede di essere fedeli al suo amore, per realizzare continuamente quel cammino di santità a cui chiama ogni uomo. Il profeta Isaia in questa lettura ci presenta l’atteggiamento di Dio che rigetta Sebna, maggiordomo del palazzo , che resosi infedele al compito a cui Dio lo aveva chiamato, gli viene tolta la « chiave del potere », e data a Eliakìm. Questi sarebbe stato rivestito della tunica, della cintura e avrebbe agito da padre per gli abitanti di Gerusalemme e di Giuda, nessuno avrebbe potuto chiudere ciò che egli apriva o aprire ciò che avrebbe chiuso: sarebbe stato « su un trono di gloria per la casa di suo padre ».
Il Signore rigetta colui che si rende indegno della sua fiducia e affida al altri la missione e il potere di « aprire e chiudere » per realizzare i suoi voleri, così come Gesù fa con Pietro, che dopo averlo tradito, gli viene chiesto di fare una triplice professione di amore per il maestro.
Seconda Lettura: Rm 11,33-36.
San Paolo, pieno di meraviglia, esalta la profondità, la sapienza e la conoscenza di Dio, perché il progetto salvifico di Dio, le sue scelte, le sue vie sono inaccessibili, imperscrutabili e insondabili i suoi giudizi. Tutte le vicende della storia, le scelte di Dio e i risultati di esse racchiusi nel mistero di Dio, solo lui li conosce. Forse che possiamo conoscere il pensiero del Signore, si domanda Paolo? O possiamo dargli qualche consiglio o qualche suggerimento per istruirlo, recita un Salmo? O qualcuno gli ha dato per primo qualcosa per poterne ricevere il contraccambio? All’uomo e, soprattutto, a colui che è chiamato a vivere come il suo Figlio Gesù è chiesto solo di adeguarsi alla sua santa volontà, di camminare nelle sue vie e, per quanto ci si possa impegnare a risolvere i problemi quotidiani, abbandonarsi, umili e fiduciosi, alla bontà del Padre celeste, sicuri che, essendo tutte le cose da lui, per mezzo di lui e in lui, egli viene in soccorso a chi gli è fedele e, nel giorno in cui lo invoca, recita il salmo di questa liturgia odierna, egli risponde. Il Signore, continua il salmo, nella sua grandezza guarda verso l’umile e il superbo lo riconosce da lontano. Per questo allora più che indagare sugli imperscrutabili disegni di Dio, poniamoci in atteggiamento di ringraziamento per tutto ciò che gli compie per le sue creature e per i suoi figli.
Vangelo: Mt 16, 13-20.
Anche a noi, oggi, Gesù chiede: « Chi sono io per voi? E per te? ». Forse ricordiamo quello che ci ha trasmesso l’istruzione cristiana da bambini, ma, esistenzialmente, quale posto Egli occupa nella nostra vita? Certo è che non possiamo avere ognuno una opinione diversa, accettando di lui alcune cose e tralasciandone molte altre, specie la sua prerogativa principale che è quella di essersi dichiarato apertamente Figlio di Dio, uguale al Padre: “ Chi vede lui vede il Padre che lo ha mandato”, dice Gesù agli apostoli. Su questa identità divina di Gesù è in ballo la nostra fede, perché se è Dio, si esige che lo seguiamo imitandolo, continuando a realizzare le opere che egli ha compiuto a favore degli uomini, avendo detto agli apostoli che ne « avrebbero fatto di più grandi ».
Gesù chiede ai suoi discepoli che cosa dica la gente di lui. Essi, richiamandosi all’Antico Testamento, rispondono dicendo che alcuni lo ritengono Giovanni il Battista, altri Elia o Geremia o un qualunque profeta. Ma poiché tutte le risposte date dagli apostoli sono insufficienti e riduttive perché non colgono la sua vera ed unica identità, Gesù chiede loro: « E voi chi dite che io sia?». Essi sono preceduti da Pietro che, al di là di tutte le apparenze e opinioni della gente o di coloro che lo avversavano, esclama: « Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente ! ».
Gesù lo loda, dichiarandolo beato, perché non ha dato ascolto alla carne né al sangue, né alle opinioni o alle ragioni degli uomini, per i quali è difficile poter comprendere l’identità di un Dio crocifisso, ma ha accolto la rivelazione che il Padre gli ha fatto sulla sua identità. Per questa fede professata, cambiandogli il nome da figlio di Giona in Pietro, gli affida il compito e il ministero di guidare insieme agli altri apostoli la Chiesa, gli affida le chiavi del regno dei cieli, con cui può legare e sciogliere e di confermare, come « pietra sicura », nella fede i suoi fratelli.
Questo ministero di servizio, che continua ad essere esercitato da colui che succede nella sede della Chiesa di Roma, non è un potere che blocca e deprime, ma un dovere di servizio per l’unità della fede e nella carità della Chiesa tutta, come testimonianza da rendere davanti agli uomini, perché si formi quell’unica Comunità di fede per la quale Gesù ha pregato nell’ ultima Cena.
Accogliendo, nella nostra piccolezza l’identità divina di Gesù, non vuol dire rinunziare alle nostre potenzialità conoscitive umane, donateci da Dio, per affidarci solo alla fede dei semplici, ma accogliere il dono della grazia che ci fa superare le nostre umane capacità conoscitive, per aprirci alle realtà divine.
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Dal «Commento sui salmi» di sant’Ambrogio, vescovo.
(Sal 48, 14-15; CSEL 64, 368-370)
Cristo ha riconciliato il mondo a Dio
per mezzo del suo sangue
Avendo Cristo riconciliato il mondo a Dio, non ebbe certo lui stesso bisogno di riconciliazione. Infatti quale peccato suo proprio avrebbe espiato lui che non conobbe nessun peccato? Perciò quando i Giudei gli domandarono la tassa, destinata al tempio, e che la legge prescriveva per il peccato, egli disse a Pietro: «Simone, i re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri? Rispose: Dagli estranei. E Gesù: Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te» (Mt 17, 25-27).
Il Figlio di Dio dimostra che non deve offrire riparazione per i propri peccati, perché non era schiavo del peccato, ma libero da ogni colpa. Infatti il Figlio libera, mentre il servo è nella colpa. Perciò è esente da tutti i peccati e non paga il prezzo del riscatto per la propria anima colui che nel suo sangue dà un prezzo sufficiente a riscattare i peccati di tutto il mondo. Giustamente dunque libera gli altri chi non deve nulla per sé.
Dirò di più. Non solo Cristo non deve alcun prezzo di redenzione per sé o di propiziazione per il peccato proprio, ma neanche i singoli uomini come tali. Vale a dire il singolo non ha da presentare una propiziazione sua propria, perché propiziazione per tutti è Cristo ed egli è la redenzione di ognuno.
Infatti, il sangue di quale uomo può avere ancora un valore determinante per la sua redenzione, dopo che Cristo ha sparso il suo per la redenzione di tutti? C’è forse il sangue di qualcuno che possa paragonarsi al sangue di Cristo? Oppure qual è quell’uomo tanto potente da offrire per se stesso la propria propiziazione, più efficace di quella che Cristo ha offerto nel suo corpo, lui che solo ha riconciliato il mondo a Dio con il proprio sangue? Quale vittima più grande, quale sacrificio più valido, quale avvocato migliore di colui che si è fatto intercessione per i peccati di tutti e ha dato la sua vita in redenzione per noi?
Ciò che ha il valore determinante non è la riparazione o la redenzione propria dei singoli. Il prezzo pagato per tutti è il sangue di Cristo con il quale il Signore Gesù ci ha redenti. Egli solo ci ha riconciliati al Padre e ha sofferto fino all’estremo, addossandosi la nostra sofferenza. Per questo dice: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11, 28).
La misericordia di Dio è offerta a tutti i popoli per l'obbedienza del Figlio.
20 AGOSTO – XX DOMENICA del Tempo Ordinario.
Nell’incontro dell’Eucaristia domenicale Cristo Signore si dona a noi con il suo Corpo e il suo Sangue. E mentre noi offriamo pane e vino, semplici doni, che la Provvidenza del Padre ci elargisce, noi riceviamo in cambio, per la potenza dello Spirito di Dio che li santifica, il dono incommensurabile della presenza di Cristo Signore, che si dona, con il suo Corpo e Sangue, come cibo e bevanda di vita: viviamo un misterioso scambio tra la nostra povertà e la sua ricchezza divina in questo banchetto, in cui Dio Padre ci invita ad essere commensali. Ecco perché è una gioia vivere la Domenica come giorno del Signore, giorno di “ringraziamento” e di lode a Dio insieme ai fratelli per le meraviglie operate per noi. La Domenica non possiamo né dobbiamo ridurla ad un incontro superficiale o spinti solo dall’obbligo morale di adempiere ad un precetto. Bisogna viverla come incontro con Cristo nel nome di Dio Padre Creatore e Signore.
Nel giorno della risurrezione del Signore cantiamo e celebriamo anche la nostra risurrezione finale. Questa partecipazione al banchetto eucaristico nel tempo, se vissuto degnamente, diventa caparra e anticipo del banchetto eterno del cielo. Ma da questo incontro con il Signore siamo invitati a testimoniare con le parole e le opere la gioia della salvezza, evitando di ritornare nel peccato.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Padre, che nell’accondiscendenza del tuo Figlio mite ed umile di cuore hai compiuto il disegno universale di salvezza, rivestici dei suoi sentimenti, perché rendiamo continua testimonianza con le opere e con le opere al tuo amore eterno e fedele ».
Prima Lettura: Is 56,1.6-7.
E’ volontà di Dio che tutti gli uomini partecipino della salvezza preannunziata da Isaia, ma è necessario che ogni uomo aderisca e corrisponda al suo amore nella fedeltà, si guardi dal profanare il sabato e resti fermo nella sua alleanza: « Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi ». In questo disegno, che non è solo per Israele, Dio lo ha posto come strumento per tutti gli uomini. Tutti, israeliti e non, purché abbiano aderito al Signore, per essere suoi servi, che non hanno profanato il Sabato e resteranno saldi nella sua alleanza, Dio li condurrà sul suo santo monte e li colmerà di gioia nella sua casa di preghiera, perché la si chiamerà « Casa di preghiera per tutti i popoli ». Questa parola del profeta, all’avvento del Messia, si realizzerà, perché la salvezza operata da Cristo, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, oltrepasserà i confini del popolo d’Israele e tutti, anche quelli che sono “stranieri”, gli “altri”, “gli estranei”, ma che sono importanti per Dio, potranno ricevere la grazia redentrice e sperimentare la misericordia di Dio.
Non solo quindi i poveri e i piccoli, ma è per tutti la misericordia che Dio ci dispensa, non per i nostri meriti ma per la sua grande bontà e grazia.
Se cerchiamo nella nostra vita, diceva un padre della Chiesa in una riflessione, gesti, sentimenti, comportamenti che ci avrebbero fatto meritare tanto amore di Dio, non troviamo che peccati.
Seconda Lettura: Rm 11,13-15,29-32.
Paolo, con il suo impegno apostolico, come apostolo delle genti, annunzia Cristo e vuole suscitare negli Israeliti, suoi consanguinei, la gelosia per il Cristo che egli ha accolto nella sua vita come Signore, affinché anch’essi lo accolgano. Egli si chiede: « Se il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, cosa sarà la loro riammissione se non un riavere la vita di comunione con Dio e la risurrezione dai morti? ».
Se gli uomini, scrive ai Romani, un tempo disobbedienti a Dio, hanno ottenuto la misericordia da lui per la disobbedienza degli Israeliti, ora anche questi, a motivo della stessa misericordia, possono ottenere misericordia e perdono, avendo Dio racchiuso tutti nella disobbedienza, per usare così verso tutti misericordia.
Così si manifesta l’amore gratuito di Dio, meritato per gli uomini dal sacrificio di Cristo, segno incomparabile della misericordia divina, della sua benevolenza e pietà. Impariamo, allora, non tanto a cercare in noi meriti quanto a rendere grazie al Signore per tutti i benefici e meraviglie operate per noi, pensando come scrive Paolo che i doni e la chiamata di Dio, per tutti, sono irrevocabili.
Vangelo: Mt 15,21-28.
Nel brano del Vangelo di oggi, anche se assistiamo all’apparente contraddizione del comportamento di Gesù, nei confronti della donna cananea, si apre un orizzonte di speranza per tutti gli uomini. Come fu per il centurione romano, anche lui “straniero”, ma lodato per la sua grande fede, il suo servo malato fu guarito, così avviene anche per questa donna: per la sua grande fede, la sua figlia è guarita dal demonio.
Dopo la sua risurrezione, Gesù, inviando nel mondo i suoi discepoli, allargherà la missione della Chiesa rivolta a tutti i popoli.
In una zona di confine tra Tiro e Sidone, nel sud della Siro-fenicia e al nord della Galilea, terra considerata impura e pagana, dove si è recato dopo una polemica con gli inviati da Gerusalemme, Gesù viene avvicinato da una donna cananea che chiede insistentemente di intervenire a favore della figlia indemoniata.
Gesù, pur affermando di fronte agli apostoli, che gli chiedevano di esaudire la richiesta della donna di guarirne la figlia, di essere stato mandato per le pecore perdute della casa di Israele, tuttavia, dopo il dialogo che intratterrà con la donna, non resta indifferente davanti al dolore di quella madre per la sofferenza della figlia e accoglie la sua supplica. L’iniziale rifiuto di Gesù con la frase: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”, suscita nella donna, con la risposta che questa da’ :“... eppure anche i cagnolini , mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”, una tale fede, che se pur sembra piccola e insignificante come una briciola, davanti a Dio è così grande da essere lodata dal Signore tanto da farle ottenere la grazia.
Il Signore Gesù ci esorta a vincere la nostra incredulità e ad accogliere i doni che è venuto a portarci da parte del Padre, cioè la salvezza universale, la gioia della redenzione, il suo amore: doni che Egli accorda a tutti, e ciò avviene non tanto per i nostri meriti ma per la sua grazia e la sua immensa misericordia.
Ognuno di noi sperimenta nella vita un proprio percorso di fede, che se è vissuto con un attenta accoglienza della Parola di Dio, nell’umiltà e nel desiderio di seguire Gesù, riconoscendo le proprie miserie, la propria pochezza e affidandosi nelle mani del Padre celeste, potrà disporre il cuore ad accogliere la salvezza che egli ci offre.