MARIA, ASSUNTA IN CIELO IN ANIMA E CORPO, E' SEGNO DI CONSOLAZIONE E DI SPERANZA PER NOI.
15 AGOSTO – ASSUNZIONE DI MARIA AL CIELO..
Quando diciamo “Padre nostro che sei nei cieli” non dobbiamo intendere un luogo materiale in cui dimora Dio, ma una esistenza diversa da quella materiale, terrena in cui viviamo noi, una esistenza nello spirito e nella immaterialità. Celebrando la solennità della assunzione della Beata Vergine al cielo, allora, crediamo che anche Maria come Gesù, che in anima e corpo risorto vive nell’esistenza divina di Verbo del Padre, vive nell’esistenza immortale, nella comunione eterna di Dio, in anima e corpo. Celebrando Maria noi celebriamo la sorte gloriosa che attende tutti noi, perché lei, dopo Gesù, è segno di sicura speranza di risurrezione e di vita in Dio. Come Maria che già vive nella gloria di Dio e nella sua presenza, anche noi aspiriamo a vivere in piena comunione con Dio.
Maria assunta perché Madre di Dio.
Se la morte, dice la Scrittura, è entrata nel mondo come conseguenza del peccato originale e della disobbedienza dell’uomo a Dio ( Rm 5,17-21), e il Cristo, il Figlio di Dio, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria ( Lc 1,31.35), per la sua obbedienza “fino alla morte e a una morte di croce ( Fil 2,8), è divenuto causa di salvezza per coloro che gli obbediscono (Eb 5,9). Riconciliandoci con Padre, con la sua risurrezione è divenuto primizia di coloro che risorgono dai morti (Cor 1,15-28) e sono destinati alla risurrezione e alla vita in Dio.
Da ciò deriva che la Beata Vergine Maria, avendo ricevuto per singolare privilegio di essere esente dalla disobbedienza di Adamo, ed essendosi come Gesù resa obbediente al progetto di Dio con il suo “sì” alla Maternità del Figlio, non ha sperimentato la morte ed ha ottenuto un’esistenza in anima e corpo in Dio come il suo Figlio, partecipando della sua stessa gloria.
Maria, che ha accolto il Figlio di Dio con la fede nel suo cuore, lo ha generato nel suo grembo, divenendo l’Arca di Colui che avrebbe instaurato una Nuova ed Eterna Alleanza ed è stata unita a lui in tutta la sua vita terrena, sempre per un “ conveniente dono di grazia” , partecipa pienamente della stessa gloria del Figlio nella Gerusalemme celeste. Anche in cielo Ella è “Arca dell’Alleanza”, come ci dice la Lettura dell’Apocalisse, “donna vestita di sole” che partorisce il bambino “rapito verso Dio e verso il suo trono”, compiendosi così “la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo”.
« Maria, attraverso la quale Dio ha realizzato sulla terra il suo progetto di salvezza, essendosi in lei incarnato Gesù che ha portato a compimento la nuova alleanza, gode della piena realizzazione dell’alleanza che si colloca oltre la storia umana, nel regno di Dio, nella risurrezione della carne, nel cielo ». ( Dal Messale delle Domeniche e Feste,2013, Ed Elledici). E’ in questa prospettiva di fede che i cristiani celebrano questa Festa solenne della Assunzione al cielo di Maria in anima e corpo.
Le grandi opere compiute in Maria dall’Onnipotente..
Ciò che celebriamo, l’Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria, è una delle tante meraviglie che Dio ha operato in lei. Tutto è opera di Dio e che Maria è stata scelta, nonostante la sua umiltà e fragilità, ad essere la Madre del Figlio di Dio, è un dono gratuito di predilezione del Padre. Anche noi siano, dalla creazione fino alla nostra definitiva salvezza operata da Cristo, oggetto dell’amore gratuito di predilezione di Dio Padre che, avendoci incorporati al suo Figlio mediante il battesimo, ce l’ha donata come nostra Madre. Per questo le tributiano la nostra venerazione e la poniamo accanto a Gesù, assunta in cielo, da dove esercita anche verso di noi la sua maternità.
Maria è la primizia dell’umanità salvata e rinnovata dalla misericordia di Dio per mezzo del suo Figlio ed è posta e celebrata come segno di speranza per noi, che aneliamo al cielo per essere insieme a Cristo, nostro Capo, e a lei, nostra Madre.
Dio che « Rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi » compie le sua meraviglie quando l’uomo pone, non nell’abbondanza dei beni né nel potere o nell’onore del mondo, ma nella comunione e nell’amore con lui la sua vita. Maria, avendo vissuto qui in terra in comunione con la Trinità nel suo compito di Madre, oggi è in cielo, con tutto il suo essere, anima e corpo, a partecipare della pienezza della gioia e della gloria di Dio. Maria, primizia e immagine della Chiesa, segno di consolazione e di sicura speranza, attende noi suoi figli ancora peregrinanti in questa terra d’esilio e intercede per la nostra definitiva salvezza insieme al Figlio presso il Padre.
Maria ci ha preceduto nella gloria celeste.
Se Maria, per il suo ruolo nel progetto di Dio, è stata fatta oggetto di singolari privilegi, non vuol dire che noi dobbiamo porla su un piedistallo di grandezza discriminatoria, perché tutti in Cristo, per volontà del Padre. « siamo stati scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità » ( Ef1,4), predestinati ad essere figli adottivi ed eredi della stessa gloria del Figlio.
Come per Gesù, con il corpo risorto e asceso alla destra del Padre, e Maria, assunta anche lei con il corpo nella gloria, anche noi parteciperemo nella risurrezione alla loro stessa gloria: il nostro corpo si ricongiungerà al nostro spirito e con tutto il nostro essere vivremo nella pienezza di Dio.
L’Eucaristia che celebriamo, mediante l’opera dello Spirito Santo che rende presente Cristo con il suo Corpo e il suo Sangue, ci trasforma in Cristo e diveniamo già partecipi dei beni futuri, di cui essa è caparra e anticipazione di immortalità.
« L’Eucaristia è pane di vita eterna per la comunione con lo stesso Gesù che Maria ha portato in grembo e dunque con quel Gesù con cui vive nella pienezza della sua femminilità, maternità, familiarità, con le storie vissute e i sentimenti nutriti » (Messalino delle Domeniche e Feste, Ed.Elledici, 2013).
Prima Lettura: Ap 11,19.12,1-6.10.
La liturgia trova l’ evocazione di Maria nell’arca dell’alleanza del santuario celeste e nella donna vestita di sole che partorisce un figlio, sottratto alle forze del male rappresentate nel drago. L’Apocalisse descrive la parabola della Chiesa, poiché alla Chiesa immediatamente si riferisce l’immagine della donna incoronata da dodici stelle. Ma Maria è nella Chiesa, come tipo ed esemplare, a sostenere le vicissitudini del popolo nuovo che rivive il cammino del deserto, protetto dalla potenza e dalla regalità di Cristo.
Seconda Lettura: 1 Cor 15, 20-27.
Gesù è risorto come primo: a lui, e a sua immagine, seguiranno quelli che « sono di Cristo », cioè quelli che hanno creduto in lui e ne hanno ricevuto la vita. Tra tutti questi la prima è Maria, che di Cristo è la Madre.
Vangelo: Lc 1,39-56.
Maria è stata scelta da Dio per pura grazia. Questa consapevolezza fa scaturire in lei il gioioso riconoscimento della bontà di Dio, che compie opere grandi in quanti si affidano a lui e in lui pongono ogni speranza.
Sia Elisabetta sia Maria gioiscono in Dio, che riconoscono come loro Salvatore che ha realizzato le promesse incarnandosi, offrendo la sua vita per amore sulla croce e risorgendo. Alla realizzazione di queste promesse partecipa innanzitutto Maria, la Madre, Colei che ha creduto; vi partecipiamo poi anche noi, perché anche noi siamo destinati come il Cristo, di cui siamo membra, alla risurrezione e alla vita in Dio per l’eternità.
SALVACI, SIGNORE.
13 AGOSTO-XIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO
Soprattutto la domenica, in cui Dio Padre ci raduna insieme come famiglia dei credenti e di figli adottivi, possiamo con il Figlio Gesù sperimentare la sua paternità e, nella fede, ricevere la grazia di sentire la sua azione nella nostra vita e in quella degli uomini tutti, così da poter superare le prove di ogni giorno: egli è sempre presente nella vita delle sue creature e dei suoi figli.
Affrontare con la serenità dei figli di Dio, ad imitazione di Gesù, le prove quotidiane, vuol dire vivere le difficoltà, i travagli della vita e, anche la sofferenza, con la fiducia e la certezza che il Signore ci è vicino. Egli accompagna ogni sua creatura, tutti i suoi figli, la sua Chiesa in mezzo ai marosi nel mondo, finché non giungiamo alla contemplazione della luce del volto di Dio nel cielo. Nel giorno del Signore, vivere il nostro incontro con lui accresce il desiderio del cielo, pregustando fin d’ora la gioia che ci sarà data in pienezza nell’ eternità.
Nella preghiera della Colletta diciamo a Dio:« Onnipotente Signore, che domini tutto il creato, rafforza la nostra fede e fa’ che ti riconosciamo presente in ogni avvenimento della vita e della storia, per affrontare serenamente ogni prova e camminare con Cristo verso la tua pace ».
Prima Lettura: 1 Re 19,9.11-13.
Nel lungo cammino nel deserto, fortificato dal cibo che Dio gli provvede, Elia giunge sul monte Oreb, dove incontra Dio che gli si manifesta, non nell’esperienza eclatante del vento impetuoso e gagliardo, non nel terremoto o nel fuoco, come lo fu per Mosè, ma in una brezza leggera e, al suo passaggio, si copre il volto con il mantello. Così Elia riceve la conferma della missione a cui Dio lo manda.. E,’ quella di Elia, un’esperienza misteriosa di intimità e di quiete. Pur stando Elia « alla presenza del Signore » e avvertirne la presenza, si ferma all’ingresso della caverna. Solo con la rivelazione che il Figlio fa del Padre è possibile vedere il volto di Dio, perché, dice Gesù, chi vede lui vede il Padre. E Giovanni, nel prologo del Vangelo dice: « Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato ».
Seconda Lettura: Rm 9,1-5.
Paolo avverte nell’ animo un’angosciosa sofferenza, tanto da voler essere, se potesse, anatema, cioè staccato da Cristo, che egli pur ama intensamente, a vantaggio dei suoi fratelli israeliti a lui consanguinei. Questo perché essi, che « Sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo », non hanno accolto Cristo come il Messia, pur essendo anch’egli israelita secondo la generazione umana, venuto per realizzare le promesse divine. L’apostolo, di questo misterioso ed enigmatico comportamento, non sa darne una spiegazione, ma si affida a Dio, che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli, certo che la sua misericordia divina si manifesta verso tutti e sopra tutti. Sia questo consegnarsi all’ insondabile disegno di Dio, sia questa passione per la conversione dei fratelli israeliti, deve spingere i credenti nel Cristo come i fratelli ebrei, più che ad atteggiamenti di inimicizia e di ostilità, a vivere momenti di fraternità e accoglienza e di collaborazione.
Vangelo: Mt 14,22-33.
Dopo la moltiplicazione dei pani, per cui la folla ammirò la straordinaria potenza di Gesù, egli costringe i discepoli a precederlo sull’ altra riva del lago e « sapendo che venivano per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo, a pregare ». Nel Vangelo di Matteo la moltiplicazione dei pani era stata un segno della sua messianicità, anche se fraintesa da parte dei discepoli e da quelli che avevano assistito all' evento , volendolo fare re. Così congeda la folla e li costringe a partire, affinché non cedessero alla tentazione della gloria.
Nella sua pedagogia Gesù vuole insegnare ai suoi discepoli che non ci si deve appropriare dei segni della benevolenza di Dio, né di chi ha sperimentato un evento o un dono di grazia di Dio, per ottenere, a proprio beneficio o interesse, il consenso o soddisfare la propria sete di dominio sugli altri.
Ancora. Nella preghiera solitaria e a contatto con il Padre celeste, Gesù vuole vincere la tentazione di rivelarsi nella sua identità di Messia e di Figlio di Dio, perché vuole ancora una volta insegnarci che il bene, che i suoi discepoli fanno, deve portare gli uomini a dare gloria al Padre celeste e a porre Dio al centro della propria testimonianza e non alla ricerca di gloria o di successi propri: tentazione sempre presente nella vita di ognuno e della sua Chiesa, a cui difficilmente si sfugge, se si perde il vero senso del rapporto con Dio che, nella preghiera e nel rapporto intimo con lui, ci fa riscoprire la nostra identità di figli nella sua giusta luce.
Essere saliti sulla barca di Cristo, la sua Chiesa, e trovarsi in mezzo al lago della storia, agitato da forte vento e da onde paurose, è certamente anche un altro momento che ci può cogliere come discepoli di Gesù e di credenti in lui, lungo la nostra vita e nella vita della Chiesa. Se allora Gesù è assente, come lo era nella barca, nell’ episodio del vangelo di oggi, la comunità del Signore è incapace di compiere serenamente la traversata verso l’altra riva e si è presi facilmente dalla paura degli eventi più o meno sconvolgenti che agitano la nostra e la vita della Chiesa e del mondo. Solo se si crede alla reale presenza di Gesù in mezzo alla vita degli uomini e della sua Chiesa, e non lo si crede un fantasma, e se ascoltiamo la sua parola: « Coraggio, sono io, non abbiate paura! », con cui manifesta la sua identità divina, allora la sua presenza ci dà coraggio e serenità.
E anche quando come Pietro, rassicurati dalla sua presenza e dal calmarsi dei travagli e delle vicende tormentate della nostra esistenza, gli chiediamo di camminare verso di lui, chiamandoci a svolgere una missione, non dobbiamo perdere la nostra fede in lui e non aver paura, perché rischiamo di affondare.
In quel momento, solo rivolgendoci a lui e non pensando alle difficoltà e ai travagli in cui versiamo, gridando come Pietro: « Signore, salvami! », potremo aggrapparci alla mano che Gesù ci tende e trovare salvezza nella rinnovata fiducia in Lui..
Con la presenza di Gesù tra noi, ogni tempesta si placa, ogni dissidio si risolve, ogni difficoltà si supera, ogni turbamento si rasserena e, facendo esperienza della sua presenza, anche a noi ci viene spontaneo rinnovare la stessa professione di fede degli apostoli: « Davvero tu sei il Figlio di Dio ». Dall’ accogliere nella fede questa identità di Gesù ci viene la nostra serenità e la forza per vincere ogni forma di timore che può sorprenderci nella “traversata della vita nostra, della Chiesa e dell'umanità tutta”.
M E M O R I A DI
S A N T 'E L E N A
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VENERDI’ 18 AGOSTO
ALLE ORE 18.30
SARA CELEBRATA LA SANTA MESSA
PRESSO LA GROTTA Di SANT’ELENA alla rotonda
Leonforte, 08 agosto 2017 il Parroco.
Gesù si trasfigura sul Tabor, manifestando la sua gloria.
6 AGOSTO - XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
TRASFIGURAZIONE DI GESU’ SUL TABOR.
Oggi celebriamo la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, dove egli anticipò davanti ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni la sua risurrezione dai morti e la sua gloria, dopo aver annunziato la sua passione che avrebbe sofferto a Gerusalemme e di cui gli apostoli si erano scandalizzati tanto da dissuaderlo a recarvisi. Gesù anticipa così la sua gloria prima della sua dipartita al Padre.
In questa Domenica del tempo ordinario, (tempo che rappresenta la vita della Chiesa nella storia), la Comunità cristiana celebra la festa della trasfigurazione del Signore sul Tabor e la solennità dell'Assunzione al cielo della Vergine Maria. Entrambe le celebrazioni vogliono farci riflettere sulla dimensione pasquale e sull’aspetto escatologico della fede e della visione cristiana della vita. Nella celebrazione odierna il Padre proclama Gesù suo Figlio prediletto e invita gli apostoli ad ascoltarlo per partecipare della stessa gloria del Figlio. In Gesù, che il Padre proclama Figlio, « l’amato nel quale ho posto il mio compiacimento » trovano compimento la legge e i profeti, rappresentati da Mosè ed Elia apparsi insieme a Gesù che manifesta la sua gloria., la quale sarà piena dopo i giorni della passione. Così gli apostoli, dopo l’annunzio della passione che li aveva gettati nello sconforto, sono rincuorati.
Cristo risorto quindi, ancora oggi, dona ai suoi discepoli, che sono chiamati a seguirlo portando ognuno la propria croce dietro a lui, la sua forza, nella prospettiva della gloria, rivelando così in sé « la meravigliosa sorte della Chiesa, suo mistico corpo », come preghiamo nel prefazio di oggi.
Nella colletta dell’Eucaristia ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del Cristo Signore, hai confermati i misteri della fede con la testimonianza della legge e dei profeti e hai mirabilmente preannunziato la nostra definitiva adozione a tuoi figli, fa’ che ascoltiamo la parola del tuo amatissimo Figlio per diventare coeredi della sua vita immortale ».
Prima Lettura: Dn 7,9-10.13-14.
Nel brano del profeta Daniele ci viene presentata l’apparizione che Dio fa al profeta manifestandosi come vegliardo, con una veste candida come la neve e capelli candidi come la lana, assiso su un trono che era come vampe di fuoco e con le ruote come fuoco ardente. « Dal trono scorreva un fiume di fuoco, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti ». Ancora nella visione notturna il profeta vede venire con le nubi « uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui ». A questi furono dati potere, gloria e regno. Tutti, popoli, nazioni e lingue lo servivano e « il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto ». La visione di Daniele richiama la risposta che Gesù dà al sommo sacerdote che davanti a tutto il sinedrio gli chiede se è Figlio di Dio. Egli risponde solennemente con le parole di Daniele: « D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo ». Viene allora accusato di aver bestemmiato, avendo il sommo sacerdote compreso bene il significato di quella affermazione, poiché Gesù si era attribuito quel titolo e il suo apparire come Giudice e Signore.
Seconda Lettura: 2Pt 1,16-19.
San Pietro scrivendo ai cristiani dice che, avendo fatto conoscere loro la potenza e la venuta Signore, non sono, né gli apostoli né loro che hanno creduto, « Andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria. “ Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento ». Pietro afferma che essi l’hanno udita scendere dal cielo mentre erano con lui sul santo monte. Ancora. Poiché essi insieme a Gesù trasfigurato videro Mosè ed Elia, dice Pietro: « Abbiamo, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino ». Pietro e gli altri apostoli con lui, avendo avuto una esperienza personale di quell’evento, non potevano che essere certi di quella rivelazione e del riconoscimento che il Padre ha fatto del suo Figlio. Così la loro testimonianza dà vigore alle Scritture, alla Legge mosaica e alla profezia, che come lampada fa luce nell’attesa che venga Cristo glorioso e che deve brillare sia nei discepoli che nel cuore degli uomini. Gesù infatti ha detto che non è venuto ad abolire la legge o i profeti, ma a dare ad essi compimento.
Vangelo: Mt 17,1-9.
Nel racconto della Trasfigurazione sul Tabor di Matteo , Mosè ed Elia, la legge e i profeti convengono presso Gesù, poiché ne sono stati la preparazione e l’attesa. Come Mosè, convocato da Dio per ricevere la Legge è salito sul monte Sinai, dove « la gloria del Signore venne a dimorare e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno…», così è ora: « Sei giorni dopo …», la professione di fede di Pietro, che lo riconosce come « il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Dopo l’annunzio della sua Passione, che scandalizzò gli apostoli (Mt 16 21) e le parole dette da Gesù che « il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo » Mt 16 27, sul Tabor, in Gesù trasfigurato, si rivela la gloria di Dio in tutto il suo splendore. Qui i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, saliti con Gesù, sono spettatori e testimoni della rivelazione della divinità di Gesù, finora celata dalla sua umanità. E se, da una parte, Gesù corregge le attese messianiche degli apostoli con l’annunzio della Passione, dall’altra preannunzia gli eventi pasquali con la trasfigurazione.
Anche la voce che proclama « Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo » (Mt 17,5), come era avvenuto nel Battesimo al Giordano, aiuta a comprendere la figura di Gesù come Figlio e Messia del Salmo 2, l’ amato come Isacco, in cui si compiace, come del Servo Sofferente di Isaia.
Mosè ed Elia, rappresentanti dell’Antico Testamento, indicano che in esso tutto è preannuncio della figura e dell’opera di Gesù: la Legge, la Profezia, il sacrificio di Isacco, la sofferenza del Servo di Dio e, quindi, la fede in lui deve affrontare lo scandalo della passione.
Gli apostoli, davanti all’evento della trasfigurazione, rimangono estasiati e non vorrebbero allontanarsene, ma la voce dice loro che più che guardarlo trasfigurato deve essere da loro ascoltato.
Poi Gesù, il Figlio di Dio, l’amato, colui nel quale abita e risuona la parola del Padre, resta solo e, insieme agli apostoli, scende dal monte per riportarli alla vita normale, quotidiana, luogo in cui bisogna ancora ascoltarlo e seguirlo, nell’obbedienza al Padre e nella sua sequela, affrontando i giorni della passione, condizione per giungere alla gloria.
I brevi momenti della trasfigurazione fanno comprendere un po’ il mistero di Gesù, abitualmente nascosto nella sua vita mortale e che la passione verrà ad oscurare ancora di più. Ma colui che vuole seguirlo non può vacillare davanti alla croce: il servizio umile della sua morte con cui Gesù porterà a compimento il disegno di Dio, che lo ha mandato perché il mondo sia salvato. Da questa parola di oggi siamo sfidati a scommettere la nostra vita in Dio e siamo provocati ad avere fiducia nel futuro di salvezza , iniziato con la morte e la risurrezione di Cristo e che avrà il pieno compimento, anche per il credente, nella stessa gloria di Dio, preannunziata con la trasfigurazione di Gesù sul Tabor.
L'accoglienza del Regno di Dio per il cristiano vale più di tutto.
27 LUGLIO - XVII DOMENICA - TEMPO ORDINARIO
Partecipare al sacrificio dell’Eucaristia vuol dire celebrare il memoriale della passione, morte e resurrezione del Signore che, in virtù dello Spirito Santo, attualizza nella vita del credente il suo mistero di salvezza. Lo Spirito, che trasforma il pane e il vino nella presenza reale di Cristo, ci dà la possibilità, alla mensa del Signore, di « condividere il pane disceso dal cielo ». L’accento, ancora una volta in questa Eucaristia, è posto sulla Pasqua domenicale e, nella preghiera iniziale, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Padre, fonte di sapienza, che ci hai rivelato in Cristo il tesoro nascosto e la perla preziosa, concedi a noi il discernimento dello Spirito, perché sappiamo apprezzare fra le cose del mondo il valore inestimabile del tuo regno, pronti ad ogni rinunzia per l’acquisto del tuo dono ». Tutto ciò che è necessario alla vita quotidiana, davanti a questi doni, deve essere ricercato e usato saggiamente, senza che l’impegno per le realtà quotidiane ostacoli la continua ricerca dei beni celesti. E qualora dovesse intralciare questa ricerca bisogna essere capaci di rinunziare a ciò che ci ostacola nel cammino verso il Regno, che è il vero tesoro nascosto e la perla preziosa..
Prima Lettura : 1 Re 3,5.7-12.
Salomone al Signore che, in sogno, gli dice di chiedergli ciò che vuole che Egli gli conceda, risponde pregando: « Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e distinguere il bene e il male ». Poiché piacque al Signore ciò che aveva chiesto, Dio gli disse: « Poiché mi hai chiesto questa cosa e non molti giorni, né hai domandato per te ricchezze, né la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole ». Il Signore gli concesse « un cuore saggio e intelligente », cosicché come lui non ci fu nessuno prima, né ne sorgerà uno dopo.
Salomone domanda al Signore la saggezza nel governare e il Signore la concede largamente al re. La saggezza è una grazia che vale molto più della longevità, delle ricchezze e delle vittorie. Essa è necessaria ad ognuno di noi, cosicché sappiamo distinguere il bene dal male, per essere giusti e non farci facilmente prendere dai pregiudizi, dalla vanità, dal tornaconto, dalla passione, dalla tracotanza, dalla presunzione. Il dono della sapienza è un dono dello Spirito Santo e lo possiede un’anima in grazia e chi domanda un « cuore docile », attento, disposto a lasciarsi guidare. Anche la nostra vita ha bisogno di un saggio governo spirituale.
Seconda Lettura: Rm 8,28-30.
San Paolo scrive ai Romani dicendo che siamo oggetto dell’amore provvidenziale del Padre celeste, per cui « tutto concorre al bene per quelli che amano Dio, per coloro che sono chiamati secondo il suo disegno ». Infatti, quelli che da sempre egli ha conosciuto, li ha « anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, primogenito tra molti fratelli », li ha chiamati, li ha anche giustificati e, infine, li ha anche glorificati. Nessuna condizione o situazione, per difficile e complicata che sia, può far fallire il piano d’amore che Dio Padre ha su noi. Considerando quanto Dio ha fatto per noi, che ci ha predestinati ad essere conformi al suo stesso Figlio, divenuto nostro fratello e, con tale destinazione, ci ha chiamati alla vita, ci ha giustificati e redenti mediante il sangue di Cristo, siamo ormai avviati e attesi per la gloria. Con questi punti fermi della storia di salvezza, predisposta dal Padre delle misericordie, nutriamo la speranza che Dio non ci abbandonerà mai, ma ci tiene cari e ci sorregge: questa è la ragione dell’ottimismo cristiano.
Vangelo: Mt 13, 44-52.
Ancora attraverso le parabole del regno che l’evangelista Matteo ci narra, Gesù vuole farci scoprire l’importanza che deve avere per noi il regno di Dio.
Esso viene paragonato ad un « tesoro » che un contadino trova nel campo e decide di vendere tutti i suoi averi e compra il campo; o ad una « perla » che un mercante, avendone trovata una di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora Gesù paragona il Regno di Dio ad una « rete », gettata dai pescatori nel mare,« che raccoglie ogni genere di pesci » e quando è piena viene tirata a riva e « i pescatori, stando a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi ».E Gesù conclude dicendo che così avverrà alla fine del mondo quando gli angeli separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente. Chiedendo Gesù agli apostoli se hanno compreso tutto quel discorso, avendo essi risposto affermativamente, egli conclude dicendo: « Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche ».
Fare nella vita anche scelte radicali secondo la sapienza del Signore è essere evangelicamente saggi. Incamminarsi sulla via del al regno di Dio, significa far sì che le cose che prima parevano acquistare valore, passano in secondo ordine, per cui si diventa capaci anche di rinunziarvi, per acquistare realtà più preziose.
Il Vangelo di oggi più che un cupo cristianesimo vuole farci comprendere che è fonte di gioia partecipare e vivere nel Regno di Dio, come il mercante c il contadino che vendono tutti gli avere per possedere il tesoro del campo o la perla preziosa. La fede cristiana è un’ esperienza da viversi con gioia benché sia un cammino ascetico. Certamente non si può escludere la gioia anche se si pone l’accento nell’ascesi, necessaria per la vita spirituale. Una visione cupa del cristianesimo, un’accentuazione della sofferenza e delle penitenze, un’esaltazione del dolore rendono la sequela di Cristo non conforme alla visione evangelica della vita cristiana.
Riformulare la concezione e le pratiche di vita ascetica e mistica, riscoprendo il perché di certe scelte, è come restaurare un’opera d’arte per recuperarla nella sua originaria bellezza e farla fruire agli appassionati. Così, accogliendo l’esortazione del Vangelo, il discepolo di Gesù « è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche »(Mt 13,52). In questo tesoro vi sono cose antiche, ma non per questo vecchie, inutilizzabili, come la preghiera, lo spirito di rinunzia, l’esigenza di accettare le sofferenze della vita con la rassegnazione evangelica, le esigenze della sequela del Signore, e cose nuove, come le esigenze , le domande e le scoperte dell’oggi che rinnovano e riattivano le cose antiche.
I personaggi delle parabole, l’agricoltore, il mercante che trovano oggetti di grande valore sono « pieni di gioia » e, di conseguenza, sono motivati a vendere tutto pur di acquistare il campo o comprare la perla preziosa. Così la gioia della scoperta di cose preziose e le conseguenti scelte nulla tolgono all’agire prudente del saggio: la gioia, allora, è compatibile con le difficoltà e le conseguenze che le scelte comportano: Se capissimo il valore del Regno di Dio, che è poi il valore di Gesù Cristo!
Di fronte al regno di Dio tutto perde di valore e si deprezza. Tutto si vende; da tutto ci si distacca: si supera ogni difficoltà, pur di averlo: è il tesoro nascosto e la perla preziosa. I veri discepoli lasciano ogni cosa per lui: tutto è riferito a Lui. Ma questo – si noti – deve valere per ogni cristiano, che semplicemente abbia compreso il Vangelo.
Una concezione corretta e non patetica della gioia sa distinguere tra la serenità d’animo, pacificante, inalterabile, anche di fronte alle difficoltà, e l’esaltazione dell’euforia tanto vivace quanto effimera. La scelta del Regno è motivata da una gioia che è capace di reggere lo sforzo ascetico, vissuto non come fine a se stesso ma come predilezione per Gesù e per il Regno, che richiede discernimento, virtù spirituale volta all’azione, come fa Salomone nella preghiera al Signore, a cui chiede il discernimento per governare e amministrare la giustizia e assolvere meglio al proprio compito come servizio a Dio e al popolo.
Se scegliere di seguire Cristo e il Regno comporta un orientamento di fondo della propria esistenza, bisogna poi saper incarnare tale scelta con azioni concrete in cui ognuno si trova, per porsi sempre al servizio di Dio e dei fratelli.
Tra le difficoltà e il conflitto di interessi e il valore del Regno, i primi possono soffocare la scelta del secondo, così come accade con il giovane ricco, che mosso da un autentico desiderio di perfezione, davanti alla risposta radicale di Gesù, che comportava un prezzo non indifferente, il vendere i suoi beni e seguirlo, « se ne andò, triste » (Mt19,22).
Cristo è però anche il punto di confronto per il giudizio: alla fine della vita, al termine della storia, avverrà la grande divisione, il decisivo discernimento, la separazione del bene dal male, tra pesci buoni e cattivi, dopo che in questa vita avrà avuto luogo la confusione.
Dobbiamo vivere e fare le nostre scelte con questo punto di confronto finale, scelte che oggi facciamo rispetto a ciò che vogliamo essere, quasi anticipando ogni volta il giudizio che poi verrà dato sulle nostre azioni.
IL SIGNORE E' DIO LENTO ALL'IRA E CONCEDE MISERICORDIA.
23 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo nella sua parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro ed espressione della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio: espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella Colletta di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « Ci sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della tua Chiesa, perché si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova, che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno ».
Prima Lettura: Sap 12,13.16-19.
Il libro della Sapienza, oggi, ci dice che non c’è Dio fuori di lui che si prende cura delle cose create, perché debba difendersi dall’accusa di essere giudice ingiusto. Poiché Dio è padrone di tutte le cose ed è indulgente, la sua forza è principio della giustizia e la mostra « quando non si crede alla pienezza del suo potere » ed egli rigetta « l’insolenza di coloro che pur la conoscono ».
Poiché, ancora, può tutto, egli giudica con mitezza e ci governa con indulgenza. Così agendo, Dio insegna « come il giusto deve amare gli uomini » e dà ai suoi figli « la buona speranza, che, dopo i peccati » concede il perdono.
Mentre tra gli uomini possiamo constatare la protervia del potere, unito alla violenza e al dominio, nei confronti degli altri uomini, Dio esercita la sua forza e potenza, in maniera diversa, con giustizia e pazienza, perché altrimenti chi potrebbe resistergli. Ma se Egli esercita, nei nostri confronti, la sua infinita pazienza e misericordia, perché ci attende nonostante i nostri fallimenti, applica anche per ognuno di noi la sua giustizia.
A questo modo di agire si deve conformare il nostro comportamento, specie quando vorremmo un intervento più preciso e puntuale nel reprimere il male da parte di Dio o della giustizia degli uomini. Questa maniera di fare di Dio deve infonderci la speranza che Dio non abbandona le sue creature e ci assicura che « dopo i peccati » dà sempre la possibilità di pentirsi. Occorre molta pazienza e fiducia, che accompagnano i nostri sentimenti e le nostre inquietudini. D’altra parte, non dimentichiamo che è anche detto che Dio « rigetta l’insolenza ».
Seconda Lettura: Rm 8,26-27.
San Paolo, scrivendo ai Romani, li esorta ad avere sempre fiducia in Dio, poiché lo Spirito del Signore ci soccorre nella nostre debolezze e, non sapendo pregare come si conviene, lo stesso Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili. Colui, poi, che scruta i cuori conosce cosa desidera lo Spirito, poiché « egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio ».
Se crediamo veramente che in noi abita lo Spirito Santo e ciò non è solo una certezza più o meno astratta, ma che realmente è in noi, prega dentro di noi e ci suggerisce le intenzioni nella preghiera, dobbiamo solo lasciarci guidare da lui, che ci conforma nella volontà di Dio.
Vangelo: Mt 13,24-43.
La Parola del Vangelo della Liturgia di oggi ci presenta diverse parabole, che mettono in rapporto due realtà, il Regno di Dio, con al sua potenza e forza, e il male che vuole contrastare l’espandersi del bene e della realtà del Regno.
Nella campo del regno dei cieli è seminato il buon seme della Parola di Dio ma, mentre i servi dormono, il nemico vi semina la zizzania. Lo spuntar di entrambi allarma i servi del padrone che gli chiedono di estirpare la zizzania. Ma il padrone, constatando che un nemico aveva gettato la zizzania, dice loro: « “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece mettetelo nel mio granaio”».
Nel piccolo seme di senape, che seminato nel campo cresce e diventa arbusto e gli uccelli vi fanno il nido, Gesù esprime la capacità che ha il regno dei cieli che, da piccola realtà iniziale, diventa capace di accogliere tutti coloro che vogliono parteciparvi. Inoltre, come il lievito, mescolato dalla donna nella farina, la lievita e fermenta tutta, così il regno dei cieli permea e trasforma tutti coloro che lo accolgono.
Parlando Gesù in parabole attua la profezia che dice: « Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo ».
Gesù, spiegando la parabola della zizzania ai discepoli, dice che il Figlio dell’uomo è il seminatore del buon grano e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e chi l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e gli angeli i mietitori, a cui verrà detto alla fine di raccogliere la zizzania e bruciarla, cioè di raccogliere dal regno « tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità che saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. I giusti risplenderanno, invece, come il sole nel Regno del Padre loro ». Conclude Gesù dicendo: « Chi ha orecchi, ascolti! ».
La zizzania.
Nei primordi dell’annunzio del Regno, molti pensarono che esso si sarebbe realizzato nell'’immediato, ma il passare delle generazioni e dei secoli hanno smorzato l’entusiasmo iniziale e ci è resi conto che lavorare per l’avvento del Regno di Dio non è facile, perché bisogna resistere nelle tentazione, tra le persecuzioni e gli scandali derivanti da comportamenti di infedeltà dei peccatori all’ interno della Chiesa stessa.
A parte il seme che cade lungo la strada ed è beccato, quello che cade in terreno sassoso e secca, tra il buon seme della sua Parola, seminato dal Signore nel suo campo, come nella parabola del Vangelo di oggi, spunta anche la zizzania. Non è stato certo solo nella Chiesa delle origini che si è faticato per non perdere la tensione verso il Regno, ma anche oggi i cristiani devono affrontare le varie resistenze che si oppongono alla realizzazione del Regno di Dio.
Ma tutto il tempo della storia è tempo di misericordia di Dio, perché gli uomini si convertano. La libertà, di cui Dio ha dotato l’uomo, può trascinarlo nelle sue quotidiane scelte di vita, a tradurre gli ideali di bene e le sue capacità, le sue ispirazioni, la sua Parola, seminate nel suo cuore, da buon grano in zizzania. Per ognuno la propria vita è tempo per imparare a discernere il bene e il male, non quello di giudicare il buono e il malvagio. La parabola ci insegna che questo è il tempo della misericordia, della pazienza e del non peccare di presunzione, volendo chiedere a Dio di affrettare il suo giudizio, per estirpare il male.
La parabola della zizzania ci invita, nel nostro oggi, a prendere posizione a favore del Regno di Dio, ad averlo nelle nostre scelte e nei nostri desideri con l’ampio orizzonte di Dio, trovando in esso il senso del nostro agire.
Le altre parabole, quella del granellino di senape e del lievito, se fanno risaltare la sproporzione tra la piccolezza del seme e la grandezza del realizzarsi finale del Regno di Dio, devono anche farcelo concepire non come un avvenimento clamoroso, invadente, che subito s’imponga. Il Vangelo cresce a poco a poco, con una forza interna, capace di permeare tutta la massa dell’umanità nelle varie epoche di vita degli uomini, qualora questi mostrassero la disponibilità ad accoglierlo nella propria vita. E’ perciò necessario che il seme muoia per poter crescere rigoglioso. Si deve credere, quindi, alla sua forza interna, simile – dice Gesù – a quella del granellino di senape, dagli inizi insignificanti: la croce di Cristo e la sua morte umana, realtà piccole e deboli, hanno espresso la potenza di Dio per l’inizio e l’incremento del Regno.
Il lievito solo sciogliendosi e confondendosi con la farina può farla fermentare, non certo il restare separati e distinti.
La piccolezza del seme e la commistione tra lievito e farina, realtà piccole, producono un effetto grandioso: frutto di una operatività che sfugge all’uomo, che dovrebbe saper vivere realizzando il bene anche in mezzo alle resistenze, alle contraddizioni, alle difficoltà e alle incompiutezze.
La tentazione di accelerare i tempi per il giudizio, che certo ci sarà, ma che è nel tempo e nelle mani di Dio e non nostri, significa non voler accettare l’interiorizzazione delle leggi del Regno, che sono la piccolezza, la commistione di puro e impuro.
Tre insegnamenti dalla pagina del Vangelo che leggiamo.
- Dio non interviene subito nella storia dell’uomo.
- E’ paziente. Aspetta. Ma alla fine il male sarà strappato ed eliminato.
- Non dobbiamo lasciarci sconvolgere dalla presenza del male nel mondo; dobbiamo sopportarlo ed avere fiducia insieme nella giustizia e nella misericordia del Signore. « I figli del Maligno », « quelli che commettono iniquità » non avranno riuscita. Occorre fare il bene con serenità e con la certezza che « i giusti splenderanno ».